
Non conviene mai farsi leggere la mano.
Lo sanno i protagonisti di molte opere celebri, ad esempio condottieri e teste coronate che in base a sedicenti o interessate chiromanti fecero disastri apprendendo che sovente i divinatori nelle mani non leggevano proprio niente, ma spesso invece vi scrivevano un destino per conto di qualcun altro.
Ora nel caso dei re questo qualcuno poteva essere un altro pretendente al trono che aveva tutto l’interesse ad infognare il medesimo in una guerra senza speranze da dove magari sarebbe tornato coi piedi in avanti; qui invece il sospetto è che il chiromante sia l’editore, che sottopone una scrittura a tratti anche piacevole alla tortura di descrivere una galleria di banalità.
La prima, la più macroscopica e (a dir poco) inflazionata è posizionata all’inizio del libro dove in India (e in quale luogo se no?) un bramino profetizza la data della morte dell’autore. Ma potremmo essere prevenuti, e del resto l’India è un totem per molti: basta aprire un qualunque motore di ricerca e il “viaggio organizzato per riscoprire sé stessi” è l’evergreen delle offerte turistiche.
Il problema è che da lì si dipana un periodo ventennale di riflessione che poi sfocia nell’inanellare, capitolo dopo capitolo, un rosario di visite scontate ad altrettanto inflazionati portatori sani di futuro distopico.
Ce n’è per tutti i gusti, caso mai il profluvio di articoli e servizi televisivi degli ultimi dieci anni non vi fossero bastati: si va dagli ibernatori di corpi (o solo di teste che costa meno) americani ai venditori di rifugi antiatomici, per poi passare ai clonatori di cani asiatici e agli scassinatori di Dna cinesi che lavorano senza sosta alla generazione di ircocervi. Come potevano poi mancare i creatori di robot umanoidi e gli esploratori di Marte?
Che questi soggetti abbiamo qualcosa da insegnarci o da comunicare a chi, nell’ipotesi del libro, ha poco ancora da vivere (in virtù della profezia del bramino)e anche al lettore è davvero opinabile: del resto nel volume il succo dei loro insegnamenti, specie per gli incontri con orientali, è spesso limitato a brevi, metaforici, stereotipati colloqui sicuramente pregnanti di significati sottintesi (che però non si svelano mai nel seguito o che semplicemente il lettore, affezionato ai propri limiti e pigramente impegnato a non superarli, non ha capito) del tipo “dai la cera, togli la cera”.
Il succo è che clonare uomini non è un gran problema, tanto l’hanno sicuramente già fatto da qualche parte e la scienza non deve porsi limiti ma superarli in nome dell’intelligenza creativa (non sappiamo bene cosa voglia dire); mettere paletti sarebbe esclusivo compito dell’etica (questa sì però, che avrebbe bisogno di essere clonata perché sta davvero morendo), manipolare il DNA non è un problema, tanto l’hanno già fatto da qualche parte e, si sa, la scienza non deve porsi limiti, vivere con i robot anziché con altri consimili è cosa buona e tentare uscire dai centri di ricerca di quando in quando per uno straccio di vita sociale è forse addirittura sconsigliabile…eccetera eccetera. Non so a voi ma sembra un chiaro invito del tipo “astenersi perditempo”; se volete baloccarvi con l’etica e fare i bacchettoni non ci rompete le scatole e andate a giocare da un’altra parte che qui fioccano i dollari, anzi i renminbi.
Come si vede grandi ispirazioni e prospettive per il mondo futuro. Se lo scopo fosse stato quello di farci rimpiangere il chiromante, il gioco è riuscito e il libro sarebbe da consigliare.
Ci sarebbe anche una bella storia, questa sì con qualche ispirazione e originalità, quando l’autore si reca al Polo, a Ny-Alesund, a visitare un laboratorio che studia i cambiamenti climatici e il Global Seed Vault, dove vengono immagazzinati tutti i semi delle piante del mondo.
Peccato che le successive, amare riflessioni sull’effetto serra provengano da chi per esternarcele ha preso per scrivere questo libro l’equivalente degli aerei che il cittadino medio usa in due vite alla faccia degli idrocarburi fossili.
Al termine del volume inevitabilmente si torna dal bramino, sì proprio quello che il futuro non l’ha letto, ma lo ha determinato facendo fare all’autore un lungo e pensiamo dispendioso giro del mondo; tuttavia l’autentico e crediamo genuino momento di verità, questa sì un’autentica rivelazione, arriva alla fine della storia “Sono andato lontano a cercare il futuro e mi sono perso mesi con mio figlio, con la mia famiglia”.
Ecco.