
Autore: Leonardo Colletti; Editore: Lindau; pagine: 304; categoria: Arte, architettura e fotografia
In Italia c’è decisamente bisogno di scienza. Dovrebbe essere distribuita a tutti in tutte le stagioni, come i panini alle infinite sagre che ormai punteggiano anzi infestano la Penisola.
La buona scienza la si costruisce a partire dalla scuola, avvicinando e interessando gli studenti con una buona divulgazione. Ora, questa “buona” divulgazione latita, è spesso focalizzata solo su alcuni argomenti modaioli, tipo i pesanti tomi che circolano sui paradossi temporali e i buchi neri (e si stenta a capire come si possa afferrare il senso profondo delle dissertazioni su questi ultimi, lette tra un tè e un tramezzino come l’ultimo giallista svedese, se poi non si conosce un’acca di Galileo e Newton e non si hanno basi elementari di matematica), o è tradotta (a volte malamente) da libri concepiti oltre oceano. Non vogliamo lamentarci ma spesso è così.
Quindi ben vengano i tentativi prodotti anche in Italia di avvicinare alla fisica dei lettori (giovani ma anche meno giovani) attraverso approcci nostrani, anche piuttosto originali, ovvero per esempio attraverso l’analisi dei capolavori pittorici di un immaginario museo. Il volume, intitolato “Quadri di un’esposizione” condivide il titolo con una famosa suite di Modest Musorgskij, composta a suo tempo proprio a seguito di suggestioni derivanti dalla visita ad una mostra.
L’immagine del resto è una potente leva di comprensione e sintesi, una leva in grado stavolta non di sollevare il mondo, per dirla con Archimede, ma più modestamente quantomeno di sollevare l’interesse di lettori giovani che poi sono anche gli utenti delle scuole superiori. L’autore dice che l’idea gli è venuta proprio “preparando per un corso di storia della fisica una serie di diapositive su cui fissare gli spunti principali del discorso”. Ottima cosa, troviamo. Quando si produce un PowerPoint per finalità didattiche, si cerca sempre di imporsi mentalmente la stessa regola: la prima slide è un’immagine, deve essere un’immagine che riassuma i concetti che vogliamo esprimere nella successiva carrellata di slides. L’ultima slide, in genere è invece una conclusione, l’estrema sintesi, stavolta discorsiva, di ciò che si è tentato di spiegare con quei testi e con quella immagine iniziale. I veri docenti vogliono infatti sempre farsi capire, lasciare un segno in chi ascolta. E questo libro un segno lo lascia.
Nelle scuole in molti casi, e lo sa certamente bene l’autore che è docente, la fisica ricade in categorie e descrizioni aride e nozionistiche di tipo qualitativo e la materia non si ama perché risulta confinata ad un ruolo coreografico da comprimaria come la sua omonima materia curriculare che inizia per Educazione. Eppure tutte e due, la Fisica e l’Educazione Fisica, se ben praticate sarebbero ottime ginnastiche e stimoli per il muscolo cerebrale.
Il libro è un racconto che procede per accostamenti scritto da chi di certo ama e sa far amare la sua materia di studi: “galeotta fu la fisica” si potrebbe dire, visto che la complessa matassa si dipana immaginando un dialogo tra due giovani che si chiamano proprio Paolo e Francesca, legati da una profonda amicizia e dalla passione per due diversi ma, sembra, non così distanti campi del sapere, l’arte e la fisica. L’amore galeotto sta tutto nello sforzo di tradurre l’uno la propria passione nel linguaggio dell’altro.
Si spazia da Magritte a Murillo, e contemporaneamente da Galileo a Boltzmann, con notevole competenza e, maggiore ancora, fantasia: bello il Monet utilizzato per illustrare il concetto delle “buche di potenziale” e il Balla utilizzato per introdurre il principio di indeterminazione di Heisenberg. Le opere sono allo specchio: i protagonisti del racconto le guardano come opere d’arte ma poi indossano degli strani occhiali speciali, come una volta si faceva al cinema, che li portano a scrutare oltre la tela in modo quasi tridimensionale. Ed ecco che l’opera si riduce a metafora pittorica di un concetto fisico.
Tuttavia il volume è qualche volta vittima del dover compiere un doppio salto mortale: la divulgazione scientifica è già di per sé un’arte complessa e il dialogo in un racconto è una pratica ancor più difficile, molto difficile. Il libro a tratti ci si perde, arranca e si dilunga in dialoghi dai contenuti certo interessanti ma a volte decisamente un po’ improbabili e poco realistici come quando Paolo dice a Francesca “Nel caso del campo elettromagnetico queste quantità sono i quanti di luce, detti anche fotoni. Nel caso dell’interazione nucleare forte e debole sono, rispettivamente, i gluoni e le particelle W+- e Z°.” Non restituisce certo l’idea di un dialogo tra due giovani.
Sarebbe perciò assai utile proseguire questo esperimento, ma in forme forse riviste in un senso un po’ piĂą agile e comunicativo data anche l’ampiezza e l’ambizione con cui è costruito il testo: precisamente, come si diceva all’inizio a proposito della presentazione PowerPoint, unendo di quando in quando in forma schematica conclusioni e sintesi al fluire di racconto e immagini.