
di Fabio L. Grassi
Della Turchia si scrive più che un tempo, ma spesso se ne scrive male. Presumo che anche un esperto di Paraguay e di storia del Paraguay abbia spesso l’impressione che l’oggetto della sua competenza sia trattato in modo trasandato, stereotipato, fuorviante; però il combinato disposto dell’interesse che le vicende contemporanee della Turchia suscitano, della pluralità e potenza degli specchi deformanti con cui abitualmente esse vengono interpretate e della scarsa preparazione di molti di coloro che ne parlano producono probabilmente un caso-limite di sfasatura tra realtà e percezione e, per dirla tutta, di diffusa cialtroneria.
Per tutti questi motivi risulta davvero benefico e lodevole questo libro del giovane Carlo Pallard: un libro ben organizzato, ben scritto (al netto di occasionali errori o imprecisioni), frutto di solida competenza, chiaro e spesso esemplare nell’esposizione. Tra tutte, direi che spiccano per limpidezza le pagine su Erdoğan.
Il volume si apre con un’utile tavola cronologica della Turchia contemporanea. Seguono la lista dei presidenti della repubblica e la prefazione del giornalista Mariano Giustino, che da anni, tramite Radio Radicale, fornisce puntuale e seria informazione sulle vicende turche. Il prologo è sull’eredità kemalista, ossia sui decenni pre-1960. In questo capitolo, di eccellente livello, le righe meno convincenti sono quelle relativi agli anni della prima guerra mondiale. E’ facile, infatti, con il senno di poi, giudicare sciagurata la decisione del governo unionista di entrare in guerra; ma l’autore di questa recensione a suo tempo ha fatto notare che nell’orizzonte razionale di un policymaker ottomano del 1914 una Russia vincitrice in cotanta guerra avrebbe probabilmente fatto un sol boccone dell’Impero Ottomano, quand’anche rimasto neutrale. Riguardo alla sterminio degli armeni, inoltre, l’autore trascura (come pressoché tutti, del resto) fattori concreti e determinanti come la diaspora caucasica e quindi in generale si allinea un po’ troppo prudentemente alla letteratura mainstream.
Tutto ciò che segue è sostanzialmente impeccabile. Per esempio, Pallard smonta vigorosamente il mito dei militari turchi illuminati e difensori della laicità: ricorda che il colpo di stato del 1960 maturò essenzialmente in ambienti di estrema destra, anche se il suo esito conclusivo fu la buona Costituzione del 1961 (quella del “27 maggio” è una vicenda davvero intricata e paradossale); soprattutto, rimarca che il colpo di stato del 1980, a onta dello sbandierato richiamo al kemalismo, fu nei fatti la sanguinosa vittoria di forze conservatrici e reazionarie (furono i golpisti del 1980 a imporre la dottrina musulmana sunnita hanafita nelle scuole). Con ciò, non manca di esporre le divergenze che presto maturarono all’interno di questo fronte, cementato essenzialmente dall’anticomunismo, come non manca di esporre quelle che negli ultimi anni hanno dilaniato il fronte tradizionalista-religioso.
Questo agile libro, per iniziare a concludere, è una valida quantunque non esauriente bussola. Ci sono temi e aspetti importanti della storia recente della Turchia che vengono al massimo sfiorati, anche se di sicuro non ignoti a Pallard; ma, a ogni passaggio, nello scegliere che cosa dire in due pagine, in un capoverso, in una riga, l’autore ha fatto quasi sempre la scelta giusta. E non è capacità di poco conto.
Il volume si chiude con un’appendice sulla questione di Cipro; appendice anch’essa limpida, equilibrata, corretta e utilissima per chiunque voglia maturare un serio giudizio sulla questione.
Editore:Eiffel
Anno edizione: 2020
Pagine: 208 p., Brossura
EAN: 978889544739