La relazione generosa

Un libro prezioso e, a quanto ci risulta, unico nel suo genere che può essere letto su diversi livelli. Un primo livello è quello che weberianamente si potrebbe definire il gesto del donare da un punto di vista individuale, con il senso che ciascuno da, sulla base delle proprie personali esperienze e del proprio vissuto esistenziale.

Ma c’è anche un altro livello che dal testo emerge e qui il taglio è, per continuare sulla scia di quanto si diceva prima, non quello di Max Weber, ma quello di Émile Durkheim, vale a dire non più il significato che il singolo individuo da al gesto del donare, ma alla funzione sociale che il dono assolve all’interno di una compagine sociale.

Il dono è infatti il fulcro intorno al quale sono costruite le società tradizionali e ha una funzione ben precisa. Malinowski è stato il primo a mettere in evidenza questa funzione sociale ne gli Argonauti del Pacifico Occidentale (1922), attraverso lo studio di un fenomeno in apparenza bizzarro, vale a dire il Kula ring e uno scambio di oggetti tra numerose isole della Melanesia Occidentale che avveniva a cadenza regolari. La particolarità della cosa è che questo tipo di scambio (di fatto tutti si scambiavano nel tempo gli stessi oggetti) non aveva alcuna funzione economica o commerciale. 

Si trattava al contrario di un puro gesto rituale, ma che aveva una precisa funzione, vale a dire tessere dei legami sociali tra le popolazioni delle varie isole per evitare il sorgere di sentimenti ostili e prevenire così la guerra tra le diverse popolazioni. Quegli studi furono poi ripresi da Marcel Mauss, nipote di Durkheim, nel suo Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques (1924).

La funzione del dono è dunque quella di creare legami forti là dove non ci sono relazioni di sangue tra gli individui. Il fine è quello di tessere una serie di relazioni che tengano insieme una comunità e che impediscano faide, vendette, furti, atti violenti e, in senso più ampio, la guerra civile, la stasis dei greci.

Se così stanno le cose, allora è evidente che il dono è il mezzo, ma il fine è la relazione che si stabilisce tra chi da e chi riceve, e che non a caso è la cifra di questo testo, che fa della relazione generosa la chiave interpretativa per leggere la filantropia ma anche per aiutare chi dona e chi riceve a costruire insieme questa relazione. Una pietra d’angolo che diviene così lo strumento per la costruzione anche di una comunità generosa.

Qui si apre però un ulteriore aspetto di grande interesse che il libro affronta. Si tratta della filantropia strategica o sistemica e che fa riferimento alla capacità di una comunità di organizzarsi per garantire diritti, possibilità e benessere al numero più ampio di persone, senza passare attraverso l’intermediazione dello Stato.

Il punto è importante e va sottolineato, anche se le autrici a più riprese insistono sul fatto che la filantropia non può sostituirsi al ruolo della macchina statale. In che, in linea di principio è vero, ma c’è un aspetto da mettere in evidenza. Lo Stato è una macchina di tipo fordista che per la sua stessa natura è in grado di produrre quasi prevalentemente beni e servizi standardizzati e di massa. Mentre il nuovo paradigma nel quale stiamo entrando, quello digitale, richiede beni e servizi personalizzati di massa, che come un guanto si adattino alle esigenze delle comunità. Di qui la necessità di passare da un welfare state che ha come protagonista assoluto lo Stato, a un welfare community che ha come protagoniste le comunità (al plurale) e le relazioni generose che si è stati in grado di tessere nel tempo. 

Ed è qui, a parere di chi scrive, il vero valore aggiunto del libro, che è una guida per poter strutturare una Gemeinschaft all’interno della più ampia Gesellschaft delle nostre liberal-democrazie, dove è compito di ogni suo membro contribuire al benessere collettivo con i mezzi di cui dispone, perché nessuno può essere felice da solo.

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