
Sono i nullatenenti, dunque, che per avere di che vivere, e nella speranza di arricchirsi, monopolizzano le istituzioni della città e condizionano il dibattito in assemblea e nei tribunali non certo con l’arte oratoria ma il “suo diritto di parola è l’urlo, l’insulto, l’interruzione violenta delle parole altrui”[1]. Sono loro i “signori dell’urlo e del tumulto”, secondo la definizione di Iperide[2].