Considerazioni sulla didattica a distanza

Il testo che segue è una riflessione fatta dalla prof.ssa Francesca Vettori a margine del primo incontro di “Tutta un’altra scuola”, la rubrica di Stroncature diretta dal prof. Paolo Maria Ferri, dell’Università Bicocca di Milano, dello scorso 28 luglio 2021


Credo che vadano distinti i problemi tecnici e tecnologici da quelli didattici. Il problema non sempre è la cablatura delle scuole che nella maggior parte dei casi hanno avuto risorse del Pon (reti Lan e Wlan), ma la difficoltà di avere a disposizione banda sufficiente (la fibra spesso non arriva alle scuole, i paesi dell’Appennino non sono coperti) 

I dispositivi a disposizione dei ragazzi e quindi delle famiglie spesso sono, nella maggior parte dei casi, degli smartphone, con l’aggravante che molto spesso su quei dispositivi tante applicazioni utili a dare dinamicità e partecipazione alla lezione in DAD non sono disponibili. Anche la compilazione di semplici schede su Fogli Google diventa un problema.  Il che, sulla base della mia esperienza, accade non solo con i ragazzi delle superiori, ma anche in corsi di formazione tecnica superiore in cui i corsisti sono per lo più adulti inoccupati.

Sul piano della didattica sicuramente l’emergenza sanitaria ha portato in evidenza le carenze del corpo docente sotto il profilo dell’utilizzo delle nuove tecnologie, anche se ha imposto una svolta, qui ed ora, che tutte le scuole hanno affrontato con difficoltà. Tuttavia i corsi di formazione (parlo sempre per la mia esperienza) attivati e seguiti dai docenti sono stati moltissimi, così le ore dedicate a webinar  specifici per la didattica e la valutazione sono state numerose.  I risultati di questi sforzi spesso non sono stati l’optimum, sicuramente si deve migliorare, ma in qualche modo l’inesperienza ha prodotto molti frutti positivi.

Sono completamente d’accordo su quello che è stato detto in merito alla necessità di una modalità blended della DAD, intesa come alternanza di momenti in presenza e di momenti a distanza e non, come purtroppo è successo, di pretesa che il docente riesca a gestire contemporaneamente la classe spezzata, con quindici ragazzi in presenza e quindici a distanza. L’emergenza sanitaria tuttavia ci ha messo di fronte a situazioni di mesi di sola DAD e questo sicuramente non ha aiutato.

Altro aspetto che vorrei considerare è che mentre gli insegnanti, chi più chi meno, hanno messo in atto azioni di formazione per cercare di mantenere il dialogo didattico, oltre che umano con i propri studenti, gli studenti si sono trovati completamente impreparati allo stravolgimento didattico. I nostri studenti, quelli delle superiori, ma anche quelli dell’Università immagino, sono “abituati”, “educati”  da anni di frequenza nella scuola ad un sistema che chiede loro di “ricevere” e nella migliore delle ipotesi di essere in grado, attraverso azioni, come prendere appunti, costruirsi percorsi concettuali o altro, di organizzare i contenuti per poi interiorizzarli e acquisirli come apprendimento e crescita culturale propria.

Queste azioni finora richieste agli alunni, necessitano però di due fattori determinanti: forte motivazione e capacità organizzativa. Questi fattori, già rari se pensiamo ad istituti professionali caratterizzati da popolazione scolastica con minor attitudine allo studio tradizionalmente inteso e spesso con competenze di base insufficienti ( capacità di leggere e scrivere),  sono tuttavia fortemente dipendenti dalla  “presenza a scuola”, dal  rapporto diretto con il docente, dalla consapevolezza di essere in qualche modo bonariamente  richiamato all’attenzione. Tutto ciò non avviene in DAD, il prof. Ferri usava l’immagine delle “palle degli occhi”, bene molto spesso non appaiono nemmeno quelle sullo schermo del docente, per i problemi di connessione di cui si diceva prima

Il che pertanto, vuol dire che il cambiamento della metodologia didattica, inevitabile con la situazione che ci siamo trovati a fronteggiare, ha, per le ragioni sopra esposte, spiazzato i nostri ragazzi, anche quelli più diligenti. A questo possiamo aggiungere il disagio di moltissimi che si sono trovati a dover imparare a utiizzare, per attività non ludiche, le nuove tecnologie. Tutto questo da soli, spesso (magari non sempre come lamentato) con difficoltà di connessione…

Per concludere vorrei dire qualcosa sulle famiglie, che nell’emergenza sanitaria creatasi hanno ri-assunto un ruolo determinante nel percorso educativo e di istruzione dei propri figli. Un ruolo che dovrebbe agire sulla motivazione all’impegno, sul far comprendere la necessità di crescere culturalmente per essere un cittadino migliore. Un  ruolo che spesso, specie nei contesti culturalmente e socialmente più svantaggiati, i genitori  hanno completamente delegato alla scuola (parlo delle superiori/ professionali) mentre all’atto dell’iscrizione sottoscrivono, a volte, (molto spesso?) senza nemmeno leggerlo  il “patto educativo di corresponsabilità”.

Quest’ultima analisi porta alla luce altre problematiche che sono legate al riconoscimento sociale della cultura in senso lato. Riconoscimento di fatto inesistente. 

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