Rilettura critica di “Saturnalia di Zelensky in TV fra propaganda e fakenews”

di Gianluca Lo Nostro

Quelle che seguono sono alcune note critiche per dimostrare l’infondatezza di quanto affermato nell’articolo “Saturnalia di Zelensky in TV fra propaganda e fakenews” a firma di Daniela Ranieri.

“Zelensky parte con un concetto – si legge nell’articolo del Fatto – che ribadirà più volte durante il monologo intervallato da domande detto intervista: ‘Putin ha eserciti pagati e quindi soldati non motivati’, mentre il popolo ucraino è pieno di fervore patriottico e sta al 100% col governo. Se fosse vero, Zelensky non avrebbe avuto bisogno di mettere fuori legge gli 11 partiti di opposizione, oscurare tre reti tv critiche col governo, istituire la legge marziale (reclutamento obbligatorio, potere giudiziario in mano ai tribunali militari, abolizione di leggi ordinarie).”

Sì, Zelensky ha messo al bando undici partiti politici nel 2022. Quasi tutte forze extraparlamentari e pro-Russia. Nell’elenco c’è Nashi, guidato da Yevhen Murayev, che secondo l’intelligence Uk era nella shortlist del Cremlino per il nuovo governo fantoccio a Kyiv.

Ma il grande escluso è Viktor Medvedchuk di “Piattaforma di Opposizione – Per la Vita”, il principale partito di opposizione alla Rada. Medvedchuk era stato posto agli arresti domiciliari prima di venire scambiato dal governo ucraino con dei prigionieri di guerra detenuti dai russi

Oggi si trova in Russia, dove pianifica la sua vendetta contro Zelensky con il suo nuovo partito “Un’altra Ucraina”. Questi progetti non solo non hanno alcun seguito in Ucraina, ma non nascondono neppure l’intenzione di collaborare con il Cremlino.

“Ho passato tutti questi mesi a mettere insieme una squadra. Molte persone sono venute da Kyiv, molte ora sono fuori dall’Ucraina, in Russia, in Europa e in Turchia. Sono pronte a continuare la lotta e a farsi sentire”, ha dichiarato Medvedchuk, che medita dunque una vendetta.

Forse è il caso di ricordarlo: la Russia è un Paese in guerra con l’Ucraina. E chi collabora col nemico, in guerra, di certo non viene trattato al pari degli altri cittadini.

Il blocco cosiddetto filo-russo, presente in Ucraina dall’anno in cui il Paese è diventato indipendente (1991), non sparirà con la fine della guerra, ma muterà: in democrazia i partiti politici nascono e muoiono ogni giorno. E finché il popolo ucraino sarà libero di autodeterminarsi, allora si potrà rifondare un nuovo partito per la popolazione russofona. Ma russofono non significa pro-Russia né tantomeno russo. È impensabile che le popolazioni russofone dell’Est o del Sud possano simpatizzare un giorno per un regime che continua a bombardarle incessantemente da oltre un anno. Il percorso euroatlantico dell’Ucraina è già tracciato e scolpito nella costituzione approvata nel 2014.

Lo ripetiamo per la terza volta: l’Ucraina è uno Stato in guerra. Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha invaso tutto il territorio nazionale ucraino da Sud, Nord e da Est per conquistare la capitale e instaurare un regime fantoccio, uccidendo Zelensky.

E quando uno Stato entra in guerra, non c’è altra scelta se non quella di introdurre la legge marziale. Una scelta dolorosa, ma come è dolorosa la guerra e vivere sotto la costante minaccia di una bomba che può piombare sulla tua casa da un momento all’altro.

In attesa della preannunciata controffensiva, i soldati continuano a dare la vita per la sopravvivenza della loro nazione e senza la leva obbligatoria l’esercito di Kyiv verrebbe facilmente sopraffatto dalle armate regolari e private di Putin.

Il potere giudiziario non è in mano ai militari: la Corte Costituzionale sta proseguendo la sua attività, nonostante i tentativi di corruzione prontamente individuati dalle autorità statali (il giudice capo è stato pizzicato con 3 milioni di dollari di tangenti in casa).

Lo stato di diritto, a differenza della Russia, non è stato sospeso.

L’articolo continua con il sempreverde attacco all’Occidente cattivo e guerrafondaio.

L’ex premier israeliano Bennett ha rivelato che nel marzo ‘22 un tentativo di tregua fallì per il veto di Johnson e Biden, che volevano “to smash Putin”, distruggerlo”.

No, Naftali Bennett non ha detto che la Nato ha fatto muro contro la trattativa di pace quasi raggiunta nell’aprile del 2022. L’ex premier israeliano ha raccontato mesi fa i passi della complessa mediazione da lui tentata nella primavera dell’anno scorso.

Le parti erano praticamente giunte a un accordo sul ritiro delle truppe russe in cambio della rinuncia di Kyiv a entrare nella Nato con le garanzie di sicurezza di diversi Paesi tra cui gli Stati Uniti.

Il piano è sfumato dopo il terribile massacro di Bucha perpetrato dai russi, che ha allineato tutti i leader, anche quelli più moderati come Macron e Scholz, con coloro che Bennett ha chiamato “aggressivi” e “radicali” (Boris Johnson, ma non Biden, descritto come ondivago).

“I crimini di guerra commessi in Donbass da truppe regolari ucraine e milizie neonaziste contro le popolazioni russofone sotto i governi Poroshenko e Zelensky, in violazione dei due accordi di Minsk su cessate il fuoco e autonomia di Lugansk e Donetsk”.

Su quanto è accaduto in Ucraina dal 2014 si è già espressa la Corte europea dei diritti dell’Uomo con una sentenza di 811 pagine.

Nella sua approfondita pronuncia, la Cedu non solo ricostruisce minuziosamente i fatti a partire dal 2014, ma riconosce apertamente la responsabilità – fino al 2022 negata – del Cremlino.

“La Corte ha ritenuto che la Russia avesse il controllo effettivo su tutte le aree nelle mani dei separatisti dall’11 maggio 2014 a causa della sua presenza militare nell’Ucraina orientale e del grado decisivo di influenza di cui godeva su queste aree grazie al suo appoggio militare, politico ed economico a “DPR” e “LPR” (le “repubbliche “autoproclamatesi degli oblast di Donetsk e Luhansk, ndr). La Corte ha ritenuto accertato al di là di ogni ragionevole dubbio che ci fosse personale militare russo presente in veste attiva nel Donbass dall’aprile 2014 e un dispiegamento su larga scala di truppe russe al più tardi nell’agosto 2014. Inoltre ha rilevato che lo Stato convenuto ha avuto un’influenza significativa sulla strategia militare dei separatisti, che aveva fornito armi e altro equipaggiamento militare ai separatisti su scala significativa dal primi giorni del “DPR e del” LPR “e nei mesi e negli anni successivi e che ha effettuato attacchi di artiglieria su richiesta dei separatisti. C’erano anche chiare prove di il sostegno politico fornito alla “DPR” e alla “LPR” e la Federazione Russa aveva giocato un ruolo attivo nel loro finanziamento”.

L’articolo continua: “Da una domanda sciocca esce una verità, cioè che le sanzioni non funzionano (economia russa: crescita superiore all’Europa; Ucraina: fallita).”

Le sanzioni occidentali contro l’economia russa stanno funzionando. Solo nel primo quadrimestre del 2023 il Pil russo segna una contrazione del 2% (dato anno su anno), calano le entrate del settore energetico e sale il default.

La Russia ha chiuso i rubinetti del gas e Paesi come l’Italia oggi importano una manciata di miliardi di metri cubi di gas naturale, in confronto alle decine di miliardi pre-guerra. Le sanzioni mordono e ad ammetterlo non sono i leader occidentali, ma il presidente Putin.

Inoltre, “Le sanzioni imposte contro la Russia possono avere un impatto davvero negativo sull’economia nel medio termine”, come ha ammesso il capo del Cremlino nel mese di marzo di quest’anno.

“Zelensky ha vietato la lingua russa e continuato la guerra civile anzichè cessare il fuoco”, prosegue l’articolo de “Il Fatto Quotidiano”

Zelensky non ha mai firmato una legge per vietare la lingua russa in Donbass. Nell’aprile 2019, dunque, prima che Zelensky si insediasse, il parlamento ucraino ha approvato una legge che rende l’ucraino la lingua ufficiale dello Stato da usare negli uffici pubblici.

Così il Consiglio d’Europa in un report sul provvedimento: “È un obiettivo legittimo e lodevole per gli Stati promuovere il rafforzamento della lingua di Stato e della sua padronanza da parte di tutti i cittadini, e di intraprendere azioni per il suo apprendimento da parte di tutti, come un modo per affrontare le disuguaglianze esistenti e per semplificare una più efficace integrazione delle persone appartenenti a minoranze nazionali nella società”.

Così invece recita l’art. 10 della Costituzione ucraina: “Sono garantiti il libero sviluppo, l’uso e la protezione del russo e delle altre lingue delle minoranze nazionali dell’Ucraina”.

Nient’altro da aggiungere. Se non che, e questo possono confermarlo gli ucraini nati nel Sud del Paese, in regioni come Kherson addirittura ci sono sempre stati villaggi dove nelle scuole si impara solo il russo.

E no, non c’è stata una “guerra civile”: già nel 2014 era un conflitto tra la Russia e l’Ucraina.

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