L’idea che si possa aprire un secondo fronte con la Cina che approfitta della situazione non è campata in aria. Eppure, non è detto che ci sia un automatismo: visto che Washington non interviene militarmente in Ucraina allora non lo fa nemmeno a Taiwan. Le cose potrebbero stare diversamente e conviene provare a fare qualche ragionamento, partendo da un dato di fatto e cioè che la Cina continua a essere il paese che dopo il Giappone detiene più debito americano.
L’idea che in molti condividono è che questo significa che Pechino ha il coltello dalla parte del manico. Ma non è detto che le cose stiano in questi termini. Partiamo da un punto. Se per un paese acquisire il debito di un altro significa acquisire una leva strategica e quindi un’arma di ricatto, perché gli Stati Uniti hanno consentito che la Cina acquistasse il proprio debito? La domanda non è retorica né tanto scontata. Se è vero che così facendo la Cina ha acquistato un tale potere di condizionamento, perché sacrificare posizioni strategiche di lungo periodo per un prestito di breve periodo?
La risposta la si trova in una pubblicazione di Walter Russell Mead Potere, terrore, pace e guerra: sin dai tempi della presidenza Eisenhower la costante crescita del deficit – argomenta Mead – ha alimentato le ansie e gli allarmi di un imminente e spaventoso crack del sistema finanziario americano. Ma niente di tutto ciò è avvenuto. Ciò che è accaduto è che la posizione di indebitamento americano ha comportato, su scala globale, al di là della dipendenza del debitore che dialetticamente imprigiona anche il creditore, la trasformazione del debito finanziario in credito politico e in potere di influenza politica, come già la Banca d’Inghilterra aveva teorizzato nel 1642: “«Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore», dice il Vangelo”.
Così negli ultimi sessant’anni via via che il credito vantato dall’estero nei confronti degli Stati Uniti cresceva, si rafforzava nei creditori l’interesse a che il sistema americano continuasse a essere forte, stabile e prospero, in modo da garantire i propri investimenti e i propri interessi.
“Un crollo dell’economia americana e la conseguente caduta del valore del dollaro avrebbe conseguenze molto maggiori della semplice riduzione del potere e della ricchezza degli Stati Uniti. Senza i loro migliori clienti, paesi come la Cina o il Giappone andrebbero a loro volta in rovina. Se negli Stati Uniti crollassero tutte le banche, la solidità finanziaria di tutti i Paesi del mondo sarebbe messa in crisi e forse crollerebbe”.
Ora sul punto c’è un precedente che potrebbe esserci utile nella situazione attuale. L’episodio lo racconta Hank Paulson, ex Segretario del Tesoro, nel saggio On the Brink e sostiene che nel pieno della tempesta finanziaria del 2008: “funzionari russi ebbero contatti ad altissimo livello con i cinesi e proposero loro la vendita congiunta delle loro partecipazioni nelle GSE, in modo da forzare gli Stati Uniti ad intervenire in emergenza per sostenere queste imprese”, il riferimento è a Fannie Mae e Freddie Mac. Tuttavia “I cinesi si sono rifiutati di attuare un tale dirompente piano”. Quella dei russi, commenta Paulson “non era una mossa speculativa, era offensiva strategica contro gli Usa alle corde e Pechino, saggiamente, disse di no.”
È probabile che anche questa volta funzionari russi premano su Pechino perché apra un altro fronte. Si spera che il precedente del 2008 si ripeta e Pechino, anche questa volta, saggiamente dica di no.
Il creditore ha il coltello dalla parte del manico solo se il debitore ha necessità di ricorrere a nuovo debito. Altrimenti, è il debitore che ha il coltello dalla parte del manico!
Se gli USA decidessero, per sanzione contro la Cina in caso di invasione di Taiwan, di ripudiare il debito verso i creditori cinesi, questi farebbero la fine dei banchieri fiorentini del 1300, quando a ripudiare il debito fu il Re di Inghilterra.
Discorso complicato.
Io sto svolgendo una analisi di sistema sulle connessioni della guerra in Ucraina.
Provo a condividere qualche nota, per trarre vantaggio dalla discussione.
1. La situazione è totalmente diversa rispetto al 2008 (era una crisi finanziaria: per dirla da straccione basata sulla vendita di pezzi di carta, e non una crisi economica e produttiva). Quella attuale è tutta di equilibri geopolitici, sostenuti da forze militari in campo e da elementi di sicurezza strategica : l’energia in primis.
2. L’energia non è finanza, o non solo: è il
Driver dello sviluppo sociale, economico e produttivo . Per intenderci: tocca direttamente i singoli cittadini ed il loro portafoglio, con impatto drammaticamente immediato (il pieno di benzina, le bollette di fine mese) .
3. La crisi attuale riguarda addirittura i diritti civili (che sono individuali) e le forme statuali (le regole di convivenza civile): democrazia verso autocrazia. Difficili da tradurre in soldoni.
Quindi il quadro è molto più complicato rispetto al 2008, e forse questa crisi era anche necessaria: ci fa concentrare sulle cose importanti (come l’Europa) e mettere in secondo piano le sciocchezze (es. no vax ) che rischiavano di occupare tutto il dibattito sociale e politico. Adesso a questo tavolo ci dobbiamo giocare, e non è un tele quiz.
Spero ….