Al di là del caso in sè, la cancellazione del profilo di Trump da Twitter o la sospensione di due anni da Facebook hanno creato un corto circuito, mostrando al mondo che quelle piattaforme social che si mostravano come il luogo della libertà e creatività individuale, dell’autonomia della società a petto dello Stato, in realtà sono tutto tranne che delle liberal-democrazie, ma qualcosa di molto simile a dei sistemi dispotici premoderni, dove la volontà dei proprietari e amministratori è legge.
Così, se si guarda ai sistemi creati dai social network con gli occhi della filosofia politica, essi appaiono come dei sistemi dispotici, dove il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono concentrati nelle stesse mani e dove il frutto del lavoro dei sudditi può essere confiscato o fatto evaporare in pochi istanti, dove tutto è di proprietà del tiranno e i sudditi non hanno alcun diritto. Per quanto io abbia lavorato negli anni al mio profilo, producendo contenuti (testi, audio, video), accrescendo la mia community di follower, curato i rapporti con quanti apprezzano quello che uno fa e scacciato i male intenzionati, il mio profilo non è mio, nè lo sono i miei contenuti. Tutto può scomparire in pochi secondi, vanificando il lavoro di anni, senza che un utente abbia la possibilità di appellarsi a un giudice terzo o a una giuria. Nessun diritto di resistenza, nessun appello al cielo, l’unica cosa che i sudditi digitali possono fare, come sotto l’imperatore cinese, è ubbidire e tremare.
La cosa di per sè è abbastanza sconcertante. All’interno delle nostre liberal-democrazie, che sono il frutto di una riflessione politica e giuridica che dura da millenni, abbiamo consentito che si sviluppassero dei sistemi dispotici che, dietro il vessillo della libertà di parola e di espressione, hanno in realtà costruito un sistema totalitario in grado di guardare ovunque, intervenire dappertutto e plasmare, con la censura, ogni cosa.
Il che li rende di gran lunga peggiori rispetto a qualsiasi totalitarismo comparso sulla faccia della terra. Per quanto i totalitarismi dei paesi dell’Est, infatti, fossero in grado di spiare in parte le vite degli altri, non potevano vedere tutto, non potevano sapere tutto. Al contrario, i moderni totalitarismi digitali possono leggere tutto quello che viene scritto al loro interno, possono vedere qualsiasi video e ascoltare qualsiasi conversazione si svolga sulla loro piattaforma.
Eppure c’è qualcosa di peggiore rispetto a questa sorveglianza totale e cioè che su quelle piattaforme, nulla è mio, nulla è altro rispetto alla piattaforme, la privacy non esiste perchè non ho un luogo dover rifugiarmi e non ho alcuno strumento per poter vedere garantito un qualche mio diritto (che sia la proprietà privata o un giudice terzo), se non quello all’oblio.
Ora, se è vero che la nostra esistenza si svolge sempre più online, anzi onlife per dirla con Luciano Floridi, e se è vero che questa esistenza online si svolge all’interno dei social network, allora vuol dire che la nostra esistenza online si svolge all’interno di sistemi dispotici a carattere totalitario.
Il caso Trump dunque fa cadere il velo e mostra nella loro essenza cosa sono le piattaforme, social e non solo, (Amazon è la stessa cosa): dei luoghi dove gli utenti lavorano gratis producendo contenuti, pagano con i propri dati per poter accedere, vengono tassati con tributi pagati in termini di tempo passato a guardare inserzioni pubblicitari, e nel frattempo hanno il compito di addestrare con il loro comportamento l’algoritmo, perchè impari a controllarli sempre meglio, e in qualsiasi momento possono essere annientati senza alcuna possibilità di vedere garantito il lavoro che hanno fatto, nè di poter tenere in vita la propria identità digitale, perchè online tutta la terra è del re.
Nessuno di noi vivrebbe un solo istante in un paese dove nessuna proprietà privata è tutelata, nessun diritto è garantito, dove si lavora gratis e i frutti del proprio lavoro possono essere in qualsiasi momenti confiscati dagli emissari del tiranno. Eppure continuiamo beatamente a vivere all’interno di social network consumando là la nostra risorsa più preziosa, e cioè il tempo, ignari che tutto quello che abbiamo su quella piattaforme, amici, fotografie, riflessioni, video, il nostro stesso profilo possono svanire e nessuno potrà farci niente.