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Con il senno si poi, guardandosi indietro, forse è possibile sostenere una tesi e cioè che l’assalto al potere mondiale delle autocrazie (la Cina pare ormai schierata con Mosca) sia stato preceduto da un lento lavoro preparatorio il cui epicentro è stata l’Europa, vale a dire il tentativo di smontare l’Unione e attraverso di essa rompere la comunità transatlantica.
Ovviamente non si ha alcun elemento per poter dire che Cina e Russia abbiano lavorato d’intesa, ma sia sufficiente a questo punto del ragionamento mettere in fila un po’ di cose.
Partiamo dal lato cinese. Pechino ha avuto bisogno di acquisire all’estero in maniera più o meno lecita quella tecnologia che in patria non riesce a produrre. Gli Stati Uniti a partire dal caso UNOCAL nel 2005 hanno posto sotto un regime di sorveglianza speciale gli investimenti cinesi e in molti sono stati bloccati. Quindi il nuovo mondo è stato chiuso alle imprese statali cinesi che sono quelle che il governo ha usato come propria longa manus (Si chiamava la strategia del “Go Global”).
Per questo motivo le imprese cinesi si sono rivolte al mercato europeo, e se in America avevano preso porte in faccia, nell’Europa dell’austerity hanno trovato tappeti rossi. Sono così entrate nei grandi progetti di ricerca (come nel caso di Galileo), nelle Università europee e quando l’acquisizione di qualche azienda sensibile destava qualche apprensione per i brevetti che quella aziende deteneva, allora i colossi cinesi non facevano altro che aprire un loro centro di ricerca e assumere i ricercatori più brillanti.
C’è di più, come si è detto anche altre volte, la via della Seta è un progetto economico con finalità politiche. Si tratta di usare il mercato dei consumatori cinesi come leva per legare politicamente a sè gli europei. Semplifico in maniera brutale: io Cina faccio vendere a te Italia il Parmiggiano a mezzo miliardo di cinesi, se tu Italia rompi con gli Stati Uniti e sostieni i miei interessi politico-strategici.
Dunque, la Cina ha minato l’unità transatlantica usando la leva commerciale ed economica. La Russia ha fatto altrettanto, usando da una parte la leva delle risorse energetiche che sono state utilizzate come uno strumento per imbrigliare il vecchio continente e legarlo a Mosca.
Dall’altro con i soldi delle grandi compagnie di Stato russe (Gazprom in primis) si sono finanziati quei movimenti politici avversi all’Unione europea e avversi agli Stati Uniti e alla NATO. Sovranisti, populisti, no euro, non NATO: un esercito variegato ma pericoloso di sabotatori del progetto europeo e dell’unità delle democrazie liberali transatlantiche e quindi delle democrazie liberali.
Con senno di poi, oggi sappiamo quanto tutto questa operazione di scavo sotterraneo, di danneggiamento delle fondamenta e di sabotaggio fosse pericoloso. Serviva a svuotare dall’interno l’Unione perché quando l’attacco fosse partito, la reazione Occidentale non avrebbe alcuna forza di reazione.
Per dirla diversamente a Mosca e a Pechino si aspettavano che gli europei dipendenti dal gas russo e dagli investimenti cinesi, infiltrati da quinte colonne in grado di frantumarne la volontà e troppo avidi per rinunziare alle prospettive di guadagno, non avrebbero fatto nulla per impedire l’assalto al potere mondiale delle autocrazie.
Tutto questo non è riuscito, ma non è detto che il pericolo sia stato sventato. L’ondata emotiva è stata così forte che ha fatto reagire con orgoglio le democrazie liberali, ma le ondate per definizione passano e c’è il rischio che quel piano che non è riuscito al primo colpo possa essere ritentato.
Come? Ritornando a utilizzare lo stesso copione. Rompere il fronte europeo e rompere il fronte atlantico, ritornando a fare pressione sulle vecchie fratture. Ecco allora che diventa importante monitorare i discorsi di quanti oggi si pongono in posizione critica nei fronti del sostegno delle democrazie liberali all’Ucraina. Gli argomenti sono sempre gli stessi ormai.
Il primo: la Russia non può perdere, dunque armare gli ucraini serve solo ad aumentare il tasso di violenza. Si tratta di un pacifismo peloso che fa leva sul senso di umanità delle opinioni pubbliche europee, per rompere il fronte interno.
Il secondo: è interesse degli americani che la guerra duri per poter indebolire la Russia e fare dell’Ucraina un nuovo Afghanistan, non degli europei che subiranno forse un’ondata di profughi senza precedenti nella storia.
Il terzo: è interesse degli americani mettere in ginocchio Mosca con le sanzioni, non degli europei, che sono coloro che pagheranno il prezzo più alto.
Tutte queste argomentazioni, che servono, vale la pena ripeterlo, a rompere il fronte interno e a spezzare l’unità Atlantica delle democrazie liberali, hanno un unico fine: fare in modo che gli europei corrano a Mosca a chiedere non la pace (non la si può chiamare in questo modo), ma a offrire il sacrificio dell’Ucraina nella speranza che la sete di terre di Mosca di plachi, senza rendersi conto che insieme a quella di Kyiv andranno a offrire anche la propria servitù.
Se così stanno le cose, allora ogni volta che sentirete qualcuno che dice che la guerra è nell’interesse dell’America, che non possiamo permetterci le sanzioni o di accogliere i profughi o dobbiamo smetterla di armare l’Ucraina o di spingere per una difesa comune europea, allora ci sono buone probabilità che vi troviate di fronte a chi lavora per dolo o per colpa per il Cremlino quindi per barattare con nulla la libertà di tutti noi.