“Battle of the Big Bang: The New Tales of Our Cosmic Origins” Niayesh Afshordi e Phil Halper (The University of Chicago Press, 2025)
Il punto di partenza di Battle of the Big Bang: The New Tales of Our Cosmic Origins (The University of Chicago Press, 2025) è una frattura concettuale che, secondo gli autori, viene spesso appiattita nel racconto pubblico: “Big Bang” non coincide automaticamente con “origine assoluta”. Il libro chiede al lettore di distinguere fra il Big Bang “caldo”, cioè il quadro osservativo di un universo che in passato era più denso e più caldo e poi si è espanso e raffreddato, e il Big Bang come singolarità, cioè l’idea di un punto di densità infinita in cui il tempo stesso comincia e le domande sul “prima” diventano prive di senso. La tesi di fondo, introdotta con cautela e senza proclami, è che la prima nozione è solidamente sostenuta da un secolo di dati, mentre la seconda è sempre più percepita come un limite della teoria, un segnale che la fisica nota non può essere estesa indefinitamente all’indietro. Da qui deriva la posta in gioco: se la singolarità è un miraggio matematico, allora la cosmologia non è solo cronaca dell’espansione, ma una ricerca attiva di una “preistoria” fisica, popolata da modelli concorrenti, da criteri di giudizio spesso conflittuali e da un problema metodologico decisivo: come trasformare scenari estremi in ipotesi controllabili. In questo senso il libro mette subito a fuoco un interrogativo radicale ma disciplinato: che cosa significa davvero “spiegare” un’origine, quando la nostra memoria scientifica più antica potrebbe essere già una traduzione imperfetta di qualcosa di ancora più profondo?


