Chiara Vangelista, "Cartografia migrante. Hercule Florence da Nizza al Brasile (1804-1879)", Confluenze. Rivista Di Studi Iberoamericani
di Paulo Cesar Gonçalves
Allo stato attuale, gli studi sulle migrazioni individuali e collettive contemplano numerose questioni, che via via hanno arricchito e ampliato il campo della ricerca. Il libro di Chiara Vangelista segue questa tendenza e presenta al lettore un approccio estremamente originale a un personaggio già ben noto agli studiosi in Brasile e, in parte, in Europa. Si tratta di Hercule Florence, che, nato a Nizza nel 1804 durante l’occupazione francese, dopo una breve esperienza migratoria nel nord Europa si imbarcò per il Brasile, dove partecipò alla spedizione russa di esplorazione di quel paese; in seguito si dedicò alla pittura, alle ricerche scientifiche (fu tra l’altro l’inventore della zoofonia, uno degli inventori della fotografia e il primo al mondo a definirla in questo modo); per breve tempo partecipò intensamente alla politica nazionale, praticò il piccolo commercio locale, fu responsabile della gestione di una proprietà agricola destinata alla coltivazione del caffè e, infine, amministratore di una scuola privata femminile. Tenendo conto di tali molteplici attività, l’autrice di questo libro scrive nell’introduzione: “l'interesse per Hercule Florence da parte degli studiosi di vari campi del sapere risiede nella sua produzione artistica, nei suoi scritti e nelle sue invenzioni”.
Vangelista, tuttavia, ha intrapreso una strada diversa, mai praticata sinora, al fine di comporre questo mosaico di attività e di ruoli, utilizzando non solo i numerosi scritti di Florence, ma anche un'ampia gamma di fonti raccolte in diversi archivi e biblioteche. Per di più, il libro, avvicinandosi alle vicissitudini di Florence, stabilisce una relazione tra il particolare e il generale, o, in altri termini, tra la microstoria e la macrostoria. Si tratta di un'analisi a doppio senso, che pone Florence come uomo del suo tempo – la prima metà dell'Ottocento – e nello stesso tempo introduce il lettore a un periodo storico fondamentale per comprendere la formazione della società occidentale contemporanea.
Il personaggio ha un potenziale speciale. La capacità di esprimersi a più livelli (scrittura, pittura, invenzioni) fa di Florence una fonte importante per lo studio di un aspetto specifico della sua epoca: la circolazione di persone, di conoscenze e d’idee tra Europa e America nella prima metà dell’Ottocento. È in questo senso che è stato possibile delineare un itinerario migrante che è individuale, ma allo stesso tempo specchio di un fenomeno collettivo.
Il libro accompagna Hercule Florence nell’inserimento nel mercato del lavoro di Rio de Janeiro; nelle reti sociali europee in Brasile e nelle strategie matrimoniali; nella costruzione di uno spazio economico, sociale e immaginario; nella vita politica e associativa, che trovò una sintesi nella Massoneria; nelle attività imprenditoriali presso la fazenda dei figli della prima moglie e alla scuola della seconda moglie; infine, in quella che fu la vocazione di tutta la vita: scoprire e inventare.
Il primo aspetto interessante è la struttura del libro. Diviso in otto capitoli, il principio organizzativo è la geografia, i luoghi che Florence percorre e quelli in cui si stabilisce definitivamente. Nelle parole dell’autrice, questo procedimento permette di stabilire una cartografia migrante del personaggio. Per questo l'ottavo capitolo, quello conclusivo, non poteva avere altro titolo che Il tempo, lo spazio, le mappe di Hercule.
Infatti, un libro che si propone di ricostruire la cartografia di un migrante non poteva esimersi dall’attenzione agli spazi di origine e di destinazione e alle loro temporalità storiche. In questo modo il lettore riceve informazioni su Nizza, il Principato di Monaco, Anversa, Rio de Janeiro, São Paulo, Porto Feliz, Campinas e Torino, attraverso un percorso all’interno del quale Hercule Florence, secondo l'autrice, non si percepiva come un emigrante, almeno in termini di un progetto articolato di attraversare l'Atlantico per stabilirsi nel Nuovo Mondo, quanto piuttosto come un giovane uomo alla ricerca di avventure e di conoscenza.
Solo più tardi, dopo aver messo radici in Brasile, Florence si rese conto del suo status d’immigrato o addirittura di esule. Il sentimento dell'esilio compare negli scritti di Florence, dal suo arrivo a Campinas dopo l’esperienza a São Paulo, misurando diligentemente il tempo della distanza, al pari di tanti immigrati prima e soprattutto dopo di lui.
Il libro non intende essere una biografia di Florence attraverso i suoi scritti attentamente consultati. L’obiettivo è diverso. Si tratta di comprendere e presentare al lettore un personaggio complesso, che ha registrato gran parte della sua vita su carta (autobiografia, scritti scientifici, carteggi, arte visiva), dal punto di vista di un tipico migrante della prima metà dell'Ottocento. Un uomo metodico, nel senso che ha lasciato molti scritti e immagini su di sé e sulla società che lo circondava, che uno storico può esplorare in molti modi – in questo caso, Florence come un migrante – in un sapiente intreccio tra autobiografia e memoria individuale, familiare, collettiva.
D'altra parte, la storia del mondo Atlantico è lo sfondo su cui Florence si muove e si percepisce nel mondo, assume certi atteggiamenti, costruisce il suo percorso di vita e mostra le sue contraddizioni. In Europa, la Rivoluzione Industriale e la Rivoluzione Francese aprirono la strada a Napoleone e al liberalismo, contrastati dal Congresso di Vienna e dalla Restaurazione, che però non riuscirono a impedire l'Età delle Rivoluzioni della prima metà dell'Ottocento. Nel Nuovo Mondo, l'indipendenza degli Stati Uniti e le successive emancipazioni nell'America spagnola e portoghese portarono alla formazione di nuovi paesi, allora sempre più desiderosi di emigranti europei e aperti alle avventure oltreoceano da parte di questa popolazione.
Il sentimento nazionale, i nazionalismi o le “comunità immaginate” di Benedict Anderson mettono in guardia lo storico attento alla storicità e alla fluidità dei confini che sono forgiati lungo tutto l'Ottocento, secondo il principio dello Stato-Nazione. Sentimenti nazionali che, come ha insegnato Hobsbawm, si completano solo quando, a partire dalle élite colte, raggiungono gli strati popolari.
Lo stesso liberalismo era confuso con l'idea di patria e nazione. E come ha osservato Vangelista, buona parte della generazione di Florence e di quella a lui precedente era più interessata all’espansione dei principi della Rivoluzione Francese e, insieme, degli ideali liberali, piuttosto che alla definizione dei confini statali. La patria era il luogo della libertà e si poteva e si doveva combattere per la libertà in ogni parte del mondo.
Florence si inserisce quindi perfettamente in questa complessa dinamica. Era francese, monegasco, sardo o italiano? O, meglio e soprattutto, si sentiva francese, monegasco, sardo o italiano? I suoi scritti rivelano proprio questo, una nazionalità fluida, sebbene come suddito del Regno di Sardegna, dato che l'identità nazionale è stata un processo di costruzione collettiva e individuale attraverso la riconfigurazione di gran parte dei confini europei, da Napoleone a Napoleone III, passando per la formazione dello Stato-Nazione e, nel caso di Florence, per il processo di unificazione italiana, momento in cui egli decide di rimanere suddito sardo e, in seguito, cittadino italiano.
Il libro fa notare che lo Stato-Nazione, dalla netta distinzione di lingua, istituzioni, gerarchie e così via, non si era ancora formato e ciò si rifletteva anche nei comportamenti dei migranti della prima metà dell’Ottocento. Si pone così in luce un cambiamento epocale avvenuto durante l’Ottocento nell’ambito della costruzione dell’identità nazionale, in conseguenza del quale l’orizzonte di riferimento spaziale e culturale dei migranti sarà profondamente diverso nella sua seconda metà.
La cosa più importante è prestare attenzione alle strategie migratorie in cui Florence è stato inserito: reti migratorie, matrimoni, formazione di famiglie numerose, gusto dell'avventura. Quest'ultima è stata osservata molto bene a proposito dell'impresa di Florence: “È in sostanza il rifiuto della trasformazione in banale migrazione di quello che doveva essere un viaggio avventuroso”.
Hercule Florence costruì il suo spazio sociale mediante azioni, e persino strategie, condivise con la sua generazione di migranti, quella precedente alla grande immigrazione della fine del secolo diciannovesimo; strategie che contemplavano i legami matrimoniali, prima con Angélica, poi con Carolina, e le affinità ideali e politiche, le quali trovavano compimento nella socialità colta e militante dei giornali, nei circoli cittadini d’ispirazione massonica e nell’impegno per la formazione delle giovani all’interno di una scuola laica.
La costruzione di una rete di relazioni fu in grado di offrire al giovane migrante opportunità di lavoro e, soprattutto, d’inserimento sociale. Grazie ad Álvares Machado, importante uomo politico e suo suocero, Florence era entrato nei circoli più avanzati del liberalismo brasiliano ed euro-brasiliano, aveva conosciuto Libero Badarò nella fazenda del senatore Vergueiro, poi a São Paulo, dove per un breve periodo egli tentò di costruire una vita indipendente per sé e per la moglie, occupandosi di pittura.
A questo punto è importante richiamare l'attenzione sul “capitale intellettuale” che aveva Florence quando arrivò in Brasile. Un tassello fondamentale nel suo percorso di vita nelle terre brasiliane per l'inserimento nella società di Campinas, dove iniziò a crescere una famiglia. Questo “capitale intellettuale”, però, non gli bastò per ottenere ciò che aveva sempre desiderato: il riconoscimento come inventore e uomo di scienza. Alla luce di Bourdieu, possiamo dire che il “capitale intellettuale” di Florence non si sia dimostrato capace di trasformarsi in “capitale simbolico”, ciò che il sociologo francese considera essenziale in termini di riconoscimento o valore sociale.
Il riconoscimento sempre ricercato non fu raggiunto in vita, ma è arrivato con il tempo, attraverso la conservazione della memoria, in cui hanno avuto un ruolo fondamentale i discendenti di Hercule Florence, oltre a lui stesso con i suoi scritti. Gli sforzi intrapresi presso l'Accademia delle Scienze di Torino anche con l'aiuto di suo figlio Francisco – un episodio importante verso la fine del libro – è la prova della volontà di Florence di ottenere il riconoscimento dai suoi presunti pari come inventore e uomo di scienza.
Torniamo in Brasile: se Porto Feliz divenne un luogo fondamentale della mappa mentale e affettiva che Florence si stava costruendo in Brasile, è stato a Campinas, dove si stabilì definitivamente, il luogo in cui poté osservare l'inizio dello sviluppo dell'economia paulista basata sulla coltivazione estensiva del caffè. L'acquisto della piccola Fazenda Soledade da parte della famiglia della sua prima moglie si inseriva in questa nuova potenzialità di sviluppo.
Florence finì per diventare l'amministratore e fu costretto a fare i conti con il lavoro degli schiavi, nonostante la breve esperienza con i coloni europei e la sua visione del mondo liberale contro la schiavitù. Una contraddizione che non era esclusiva di Florence, ma di tanti liberali e antischiavisti come lui. Basti ricordare che fu sulla base del lavoro degli schiavi che non solo Campinas, ma l'economia del caffè dell’Ovest paulista si sviluppò e si modernizzò, come dimostrano gli studi di Emília Viotti da Costa.
Infine, ancora un accenno all'ultimo capitolo: Il tempo, lo spazio, le mappe di Hercule. Le relazioni professionali e parentali dei Florence, spesso intrecciate tra loro, davano forma a un ambiente sociale colto e vivace, radicato a São Paulo e specialmente a Campinas, ma aperto al mondo, attraverso queste stesse reti. Florence era il prodotto di un’epoca diversa, se pure ravvicinata nel tempo; era cresciuto con l’aspirazione di essere cittadino del mondo e con il progetto di diventarlo concretamente, grazie ai suoi viaggi, in Europa e infine in America, dovunque avesse voluto fermarsi.
Se è vero che la vita a Campinas indicava che i viaggi erano finiti, Hercule Florence, i suoi figli e la sua seconda moglie, Carolina, non persero mai i contatti con la famiglia e i luoghi europei di origine. Così si definisce la famiglia Florence come transnazionale. Gli argomenti presentati nel libro sono convincenti: l'arrivo a Campinas nel 1831 e il suo insediamento in questa città non hanno delineato definitivamente i contorni della mappa mentale di Florence. La ricerca di Vangelista persegue con successo questa traiettoria, con la conoscenza e l'intimità che gli permettono di mettere nel titolo dell'ottavo capitolo il nome del personaggio, Hercule, e non il suo cognome, Florence. Alla fine del libro, anche il lettore può considerarsi parte della cerchia degli intimi di Hercule Florence.