Chiara Vangelista, "Cartografia migrante. Hercule Florence da Nizza al Brasile (1804-1879)"
di Maria Matilde Benzoni
Il libro ricostruisce l’esperienza euro-americana di Hercule Florence, "disegnatore, esploratore, cartografo, bricoleur, inventore" (così la quarta di copertina), figura affascinante per la sua "straordinaria ordinarietà" di europeo partito durante la Restaurazione alla volta delle Americhe, forte di molteplici appartenenze e competenze che gli hanno consentito di accreditarsi e radicarsi in Brasile. Per affrontare le traiettorie del personaggio, l’autrice pone in dialogo tre dei filoni in cui si articola il suo percorso di ricerca. Ci si riferisce rispettivamente all’esame degli attori e delle forme della mobilità transatlantica nel XIX secolo, alla ricostruzione delle dinamiche e delle relazioni interetniche e interculturali nelle Americhe iberiche tra Settecento e Ottocento e all’esplorazione della "rappresentazione visiva del Brasile urbano e rurale durante il primo impero" (p. 15). La figura di Hercule Florence evoca una pluralità di fenomeni di carattere linguistico, politico, ideologico, sociale, economico, culturale, tecnico ed estetico, che impone il ricorso contestuale alla storia europea, atlantica e brasiliana, e l’esame attento di dimensioni soggettive. Si allude alle "cronologie" e alle "cartografie interiori" affioranti dall’archivio della figura al centro del libro, ricostruite minuziosamente nel procedere di Hercule Florence dall’Europa all’America e nel suo duraturo insediamento oltre Oceano.
Nato a Nizza nel 1804, l’anno dell’indipendenza di Haiti e dell’assunzione del titolo di imperatore da parte di Napoleone, e morto a Campinas nel 1879, poco meno di un decennio prima dell’abolizione della schiavitù in Brasile, Hercule Florence trascorse la vita adulta nel paese sudamericano, dividendosi tra la gestione di un non facile quotidiano e la tenace ricerca di un riconoscimento. L’approdo in Brasile ebbe luogo nel 1824, l’anno della concessione della costituzione da parte dell’imperatore Pedro I, e della battaglia di Ayacucho, che decretò l’irreversibile disarticolazione dei territori dell’America spagnola nel segno del repubblicanesimo, regime politico ammirato dal nostro. Come per altri viaggiatori europei coevi, accanto all’entusiasmo, il disincanto e un irriflesso etnocentrismo permeavano la predisposizione di spirito verso il Nuovo Mondo di Hercule Florence, il quale avrebbe ricordato di avere provato sin dall’arrivo a Rio de Janeiro "una vaga sensazione di pena [...] Mi rattristò la vista di questa popolazione variopinta, di bianchi, di neri e di mulatti di ogni gradazione di colore" (p. 17).
Incentivata dalle indipendenze americane, l’intensificazione della circolazione intercontinentale degli europei nella prima metà dell’Ottocento offrì a migranti dal profilo potenzialmente poliedrico quali Hercule Florence l’opportunità, invero ricca di incognite, di un nuovo inizio in decenni attraversati nel Vecchio Mondo da grandi tensioni. La mobilità transatlantica del personaggio e di taluni membri della sua famiglia "transnazionale" risultò garantita nel corso del XIX secolo dal procedere della rivoluzione dei trasporti a largo raggio. Un fenomeno di cui Hercule Florence seguì gli sviluppi dal suo osservatorio brasiliano, dedicando sin dal 1830 un trattato alle "possibili tecniche di fabbricazione degli aerostati, tali da renderli pilotabili, e, in prospettiva, dei veri e propri mezzi di trasporto aereo" (p. 357).
Il potenziamento dei collegamenti transatlantici nel corso del XIX secolo va associato altresì al rilancio delle esplorazioni e della colonizzazione nell’immenso entroterra americano. Inizialmente, Hercule Florence ne sperimentò le regioni amazzoniche nel quadro della spedizione russa diretta da Georg Heinrich von Langsdorff (1826-1829). Un’esperienza "di viaggio, di osservazioni scientifiche, di produzione di disegni, di documenti e di erbari, di relazioni diplomatiche con le autorità locali, imperiali o indigene, di contatto e di osservazione dei diversi gruppi etnici incontrati, o cercati, lungo il cammino" (p. 119). Il reclutamento al servizio diretto di Langsdorff in qualità di disegnatore e factotum si inseriva nel solco della proiezione russa verso le Americhe, che, all’altezza della spedizione, aveva ormai alle spalle una significativa tradizione. Si pensi alle esplorazioni promosse da Pietro il Grande e da Caterina II nel quadro della crescente competizione intereuropea per la mappatura del globo nel XVIII secolo, e alla prima circumnavigazione del mondo russa all’inizio dell’Ottocento, cui si intrecciava "un interesse che si estendeva alle zone tropicali, dalle quali l’Impero importava quote consistenti dei cosiddetti prodotti coloniali" (p. 108). La "Russia americana" volgeva tuttavia al tramonto, sancito definitivamente dalla vendita dell’Alaska agli USA nel 1867. D’altro canto, nel corso del XIX secolo si registrò l’avvio di flussi migratori di diverso profilo dai territori europei dell’impero zarista verso il Nuovo Mondo.
La partecipazione alla spedizione Langsdorff consentì a Hercule Florence di misurarsi dal vivo con molteplici ambienti e società del gigantesco Brasile, e di rielaborare la sua esperienza diretta attraverso il disegno. Nei documenti analizzati nel testo ricorre il termine "deserto", adottato dal personaggio per indicare tanto uno spazio percepito come ancora suggestivamente primordiale quanto per segnare la distanza dall’Europa, considerata il cuore delle attività umane. "Tu inventerai nel deserto", scrisse per esempio Hercule Florence a guisa di premonizione (p. 163). Questo tono tendeva a oscurare le trasformazioni obiettivamente in corso all’epoca in Brasile, ma era destinato a diventare parte integrante di un’auto-narrazione abilmente restituita nel volume. La sua eco affiorava così puntualmente nel giudizio formulato alla fine del 1842 dalla Commissione dell’Accademia delle Scienze di Torino in merito alla "poligrafia", una delle invenzioni proposte dal "volenteroso, ma povero Piemontese" (p. 312).
L’autrice segue con puntualità i tentativi di Hercule Florence di accreditare in Europa e nel Regno di Sardegna le proprie proposte innovative, avvalendosi di network che includevano i diplomatici. Ormai al centro di una crescente valorizzazione storiografica e di public history per il prezioso patrimonio in essa conservato, l’Accademia delle Scienze di Torino si staglia per questa via all’interno del libro come un polo scientifico e istituzionale in cui si riverberano, anche sul piano archivistico, significative interazioni globali, che includono la regione di São Paulo ove il personaggio si era stabilito e da dove non cessava di ingegnarsi per necessità e per desiderio di affermazione, perseguendo con tenacia, a dispetto dei ripetuti rifiuti, un riconoscimento europeo. Oltre ad essere presentata nei suoi aspetti concreti, l’attività di Hercule Florence "inventore" viene esaminata dall’autrice tanto alla luce della spinta legata alla matrice locale quanto all’interno dell’orizzonte transatlantico e transnazionale in cui, grazie alla mobilità dei singoli, alle corrispondenze, ai consessi e alla stampa, si articolano la circolazione delle idee e delle tecniche e la socializzazione delle informazioni relative alle scoperte e alle innovazioni. Emerge così la relativa simultaneità di alcune importanti sperimentazioni nelle diverse parti del mondo occidentale. È il caso della "fotografia", messa pionieristicamente a punto in Brasile da Hercule Florence sulla base di urgenze legate alla sua situazione economica, e alla necessità non tanto "di fotografare oggetti e persone colpite dalla luce, ma di riprodurre scritti e disegni" (p. 153), obiettivo che lo portò ben presto a orientarsi verso altre tecniche.
Parallelamente, l’autrice esamina le strategie che consentirono a Hercule Florence di mettere durature radici a Campinas, dedicando uno spazio significativo ai due matrimoni del personaggio, che si confermano lo strumento principe, da un lato, per l’inserimento dei migranti europei nei contesti di accoglienza americani, e, dall’altro, per l’esercizio della loro funzione di mediatori tra vari mondi, attivatrice di significative trasformazioni demografiche, sociali, economiche e culturali. In questa prospettiva, l’autrice es
amina le molteplici dimensioni della prima unione, costellata di difficoltà e segnata da innumerevoli lutti, con la giovanissima Angélica de Vasconcellos, il cui padre godeva di un rilevante prestigio politico e intellettuale a livello locale e regionale. Rimasto vedovo, Hercule Florence ereditò una piccola fazenda, la cui gestione imponeva un quotidiano contatto con l’istituto della schiavitù, suggerendogli nel tempo, per pragmatismo e adesione a un naturale liberalismo, una serie di soluzioni volte a mitigare i regimi di lavoro legati alla coltivazione del caffè cui erano tenuti gli schiavi – una ventina in tutto – al suo servizio. Come sottolinea Vangelista, la razionalizzazione dei metodi di coltivazione, il controllo della produttività, gli incentivi economici e il ricorso a coloni di provenienza europea illuminano, attraverso un caso particolare, "il periodo della cosiddetta seconda schiavitù, vale a dire il regime schiavista in assenza di traffico negriero" rispetto a cui Hercule Florence entrò perfettamente nello spirito (pp. 226-227).
Anche la biblioteca ereditata dalla prima moglie rifletteva un panorama lungi dall’essere apparentabile al “deserto”. Al suo interno risultavano presenti testi di "letteratura, poesia, scienze naturali, medicina, spartiti musicali, storia, religione, dizionari di inglese, tedesco, francese, italiano, manuali di aritmetica e di geometria, atlanti e mappe" (p. 209). Un mosaico di saperi che evoca la consuetudine in realtà americane quali la regione di São Paulo, per quanto percepibili dai migranti europei come assolutamente fuori mano, di una circolazione di idee e di forme di diffusione culturale che spaziavano dall’adesione alla massoneria, dalla partecipazione politica e dalle tertulias, alla consultazione di vari generi editoriali e alla stampa.
L’apertura internazionale del Brasile si sostanziò nel secondo matrimonio di Hercule Florence (1854) con l’insegnante tedesca Carolina Krug. L’autrice dedica pagine attente all’unione, che le consente di illustrare attraverso un caso particolarmente calzante il funzionamento delle "catene migratorie" e l’impatto dei connubi tra gli europei di diverse confessioni presenti in un paese ove il cattolicesimo era allora la religione di Stato. Come si sottolinea nel testo, tali unioni erano destinate a incidere sulla geografia religiosa del paese, favorendo il contestuale maturare del dibattito sul matrimonio civile. La seconda consorte di Hercule Florence era infatti protestante, e aveva raggiunto in Sud America un fratello di idee liberali che si era costruito una posizione a Campinas. Grazie alle risorse familiari, alcuni anni dopo ella fu nelle condizioni di fondare in loco una scuola femminile di prestigio, "espressione delle esperienze pedagogiche più avanzate in Europa" (p. 221).
Sul filo della biografia, ma non indulgendo mai al biografismo, attraverso la figura di Hercule Florence l’autrice restituisce in modo persuasivo una fisionomia specifica a quella stagione della storia dell’emigrazione europea verso le Americhe iberiche che andò articolandosi tra la Restaurazione e i decenni centrali del XIX secolo, precisandone le forme e gli attori rispetto ai flussi successivi, e valorizzandone i riflessi sul piano della costruzione degli immaginari e delle auto-narrazioni. Nel caso delle già evocate "cartografie interiori" di Hercule Florence, a partire dall’arrivo a Rio de Janeiro nel 1824 con un bagaglio di ideali epidermicamente legati al liberalismo e al mito di Napoleone, egli mise a punto un’ambivalente rappresentazione del Brasile e della propria condizione, presentando il paese sudamericano tanto come un laboratorio locale che gli impose di ingegnarsi a dispetto delle prove riservategli dalla vita, quanto come il luogo dell’esilio e un contesto irrimediabilmente periferico rispetto all’"Europa-civiltà". Con quest’ultima, tuttavia, lungo tutta la sua esistenza il personaggio continuò a coltivare rapporti significativi, che Chiara Vangelista ha sapientemente esaminato nel loro intreccio transatlantico.
Titolo Rivista SOCIETÀ E STORIA
Autori/Curatori A cura della Redazione
Anno di pubblicazione 2024 Fascicolo 2024/183
Lingua Italiano Numero pagine 28 P. 199-226 Dimensione file 225 KB
DOI 10.3280/SS2024-183007