Inizia oggi una serie di articoli si propone di fornire strumenti analitici e concettuali per riconoscere, comprendere e decostruire le dinamiche della disinformazione, delle teorie del complotto e delle narrazioni antiscientifiche. L’obiettivo è promuovere una lettura critica dei contenuti informativi, rafforzando le capacità individuali di valutazione, verifica e contrasto dei meccanismi che alimentano falsità e distorsioni nel discorso pubblico.
Il termine fake news è entrato prepotentemente nel dibattito pubblico contemporaneo, indicando fenomeni di disinformazione sempre più diffusi nell’ecosistema digitale. Comprendere come si costruisce una notizia falsa è cruciale in un’epoca in cui i social media e i blog hanno indebolito i filtri tradizionali dell’informazione. In contesti di crisi o di forte polarizzazione politica, le fake news trovano terreno fertile, potendo influenzare percezioni e decisioni collettive. Questo primo articolo contestualizza il tema, evidenziando l’importanza di analizzare i meccanismi di creazione intenzionale di notizie ingannevoli. Solo un approccio rigoroso può mettere in evidenza le strategie con cui vengono fabbricate queste falsità e dunque aiutare a contrastarle efficacemente, proteggendo la qualità del dibattito democratico.
Per delineare la costruzione di una fake news, occorre partire dalla sua definizione. Secondo la letteratura scientifica più autorevole, come illustrato da Rajiv Desai nel saggio Imitation Science, si tratta di informazioni intenzionalmente fabbricate che imitano nella forma esteriore i contenuti giornalistici autentici, pur non rispettandone le procedure di verifica né condividerne le finalità conoscitive. In altre parole, una fake news adotta l’apparenza di una notizia reale – attraverso titoli, struttura e linguaggio simili a quelli della stampa professionale – ma è priva dei controlli editoriali e dei criteri di accuratezza che caratterizzano il giornalismo vero. Questa imitazione presentata con una forma esteriore credibile ne nasconde il carattere ingannevole e la differenzia dalle semplici informazioni errate diffuse in buona fede (misinformation), collocandola nell’ambito della disinformazione intenzionale. La sua efficacia nel fuorviare il pubblico dipende proprio dall’ambiguità visiva e testuale, che porta a interpretarla come notizia autentica. In questo modo, mina la fiducia collettiva nelle fonti informative attendibili e si diffonde in un ecosistema mediatico indebolito dalla disinfornazione e dalla facilità con cui i contenuti non verificati possono circolare senza controllo.
La costruzione di una notizia falsa spesso combina elementi di realtà con distorsioni e invenzioni. Studi recenti hanno mostrato che molte fake news non sono totalmente inventate da zero: circa il 59% delle false notizie durante la pandemia COVID-19 rielaborava notizie esistenti, mentre il restante 41% era completamente fabbricato. Chi crea disinformazione sfrutta dunque talvolta un nucleo di verità, decontestualizzando eventi reali o citando dati autentici in maniera fuorviante, così da rendere la falsità più credibile. Altre volte l’intera storia viene creata ex novo: si inventano fatti mai accaduti, personaggi o dichiarazioni immaginarie, confezionandoli però in modo plausibile. Un tratto comune è l’assenza di prove verificabili a sostegno: le fake news raramente forniscono fonti affidabili, limitandosi piuttosto ad asserzioni apodittiche o a “prove” interne che non reggono ad un controllo esterno. Un esempio ricorrente è l’uso di immagini decontestualizzate accompagnate da didascalie fuorvianti, come una foto reale di una manifestazione scattata in un paese e in un anno specifici, riproposta per sostenere eventi inventati altrove, oppure la citazione di presunti studi scientifici mai pubblicati o attribuiti a istituti inesistenti, privi di riscontro nei database accademici o nei repertori ufficiali.
Chi fabbrica una fake news opera con obiettivi precisi. In alcuni casi, la motivazione è politica o ideologica: influenzare l’opinione pubblica, screditare un avversario, orientare un voto. La storia recente riporta esempi di campagne coordinate di disinformazione orchestrate per avvantaggiare attori politici, sia a livello nazionale che internazionale. In altri casi, le ragioni sono economiche: esiste un vero e proprio mercato delle fake news basato sulla pubblicità online, in cui titoli sensazionalistici e bugie clamorose vengono confezionati per attirare clic (clickbait) e generare ricavi. Non mancano inoltre i casi in cui la disinformazione è alimentata da motivazioni ideologiche o da convinzioni personali fortemente radicate. In questi contesti, le fake news non sono necessariamente costruite per trarne vantaggi politici o economici, ma nascono dalla volontà di confermare una visione del mondo predefinita, spesso rigida e impermeabile alla critica. È il caso, ad esempio, della diffusione di teorie pseudoscientifiche da parte di gruppi con caratteristiche settarie, nei quali l’adesione a certe credenze – come il rifiuto dei vaccini, la negazione dell’evoluzione o il rigetto della medicina ufficiale – diventa parte dell’identità collettiva. In tali ambienti, la produzione e la circolazione di contenuti falsi o distorti rispondono a una logica interna di rafforzamento del gruppo e di opposizione al sapere istituzionale, più che a un calcolo strumentale o propagandistico.
Qualunque sia l’obiettivo perseguito – politico, ideologico, economico o identitario – chi produce disinformazione sa che l’attenzione del pubblico è una risorsa scarsa e contesa, e la tratta come una merce da conquistare e capitalizzare. I contenuti sono costruiti con precisione per attrarre segmenti specifici della popolazione, sfruttando elementi cognitivi ed emotivi in grado di generare reazioni immediate. Paure collettive, ostilità latenti, risentimenti diffusi o speranze deluse vengono trasformati in vettori di coinvolgimento, selezionando temi sensibili e confezionando messaggi che suscitano allarme, rabbia, indignazione o euforia. La narrazione è calibrata per interrompere la soglia dell’attenzione e imporsi nello scorrimento rapido dell’informazione digitale. Titoli iperbolici, immagini forti, formule retoriche familiari e confermatorie sono gli strumenti principali con cui si ottiene la visibilità necessaria a far circolare il messaggio. In questo scenario, la veridicità cede il passo all’efficacia percettiva: ciò che conta non è che la notizia sia vera, ma che funzioni nel catturare lo sguardo e nel suscitare una reazione coerente con il profilo psicologico del destinatario.
Il modus operandi per costruire una fake news tende a seguire schemi ricorrenti. Innanzitutto si individua un tema emotivamente carico o divisivo (ad esempio salute, sicurezza, politica identitaria) così da assicurarsi reazioni intense. Si procede quindi a inventare una narrazione distorta: può trattarsi di un evento del tutto fittizio oppure di una reinterpretazione radicale di fatti reali. Spesso il testo è corredato da elementi che ne simulano l’autenticità: nomi di esperti inesistenti, statistiche senza fonte o immagini fuori contesto. Un classico stratagemma è la “mimetizzazione” della fonte: creare siti e testate dai nomi ingannevolmente simili a quelli di media autorevoli (ad es. usando domini che richiamano emittenti famose). Questo espediente confonde il lettore frettoloso, inducendolo a credere che la notizia provenga da una fonte legittima. Ulteriori ingredienti utilizzati sono titoli urlati e sensazionalistici, che riassumono tesi estreme per catturare immediatamente l’attenzione, e la presentazione di dettagli narrativi apparentemente concreti (luoghi, date, nomi) allo scopo di rendere il falso racconto più vividamente credibile.
Una volta confezionata, la fake news viene introdotta nel circuito informativo attraverso i canali più adatti a garantirne la massima visibilità, in particolare le piattaforme digitali a diffusione virale. I social network rappresentano i veicoli privilegiati: profili falsi o pagine gestite da operatori propagandistici con ampio seguito pubblicano il contenuto, spesso accompagnato da commenti emotivamente marcati, funzionali ad accrescere l’impatto e ad attivare la condivisione spontanea. In molti casi, intervengono anche reti di bot automatizzati che moltiplicano la diffusione iniziale, simulando un interesse organico e contribuendo ad alimentare i meccanismi algoritmici che favoriscono i contenuti più visibili.
Un’altra strategia frequente consiste nello sfruttare vuoti informativi: diffondere tempestivamente una “rivelazione” non verificata in un momento di incertezza, così che le prime ricerche online restituiscano quasi esclusivamente il contenuto di disinformazione, in assenza di smentite autorevoli. Con il passare delle ore, la notizia falsa viene rilanciata da utenti comuni, spesso in buona fede, attraverso blog, forum e canali privati di messaggistica, espandendosi ben oltre l’ambito iniziale. In questo modo, il contenuto fuorviante sfugge al controllo degli autori originari e si diffonde per imitazione e contagio sociale, confondendosi progressivamente con l’informazione legittima e raggiungendo vasti segmenti della popolazione prima che siano disponibili verifiche o smentite credibili.
Fonti
Lazer D.M.J. et al. (2018). The science of fake news – Science, 359(6380): 1094-1096.
Beauvais C. (2022). Fake news: Why do we believe it? – PNAS, 119(31): e2207829119.
CISA (2020). Disinformation Tactics: Exploit Information Gaps – Cybersecurity & Infrastructure Security Agency (US).
FactCheck.org (2016). How to Spot Fake News – Annenberg Public Policy Center.
al. (2021). Disinformation Tactics and Manipulation – Johns Hopkins University.