La disseminazione scientifica rappresenta un’altra dimensione cruciale della Terza Missione, complementare alla valorizzazione commerciale dei risultati di ricerca. Se brevetti e start-up mirano a tradurre conoscenza in valore economico, la disseminazione punta a massimizzare il valore sociale della conoscenza, diffondendo risultati e dati al di là della comunità accademica ristretta. Fin dalle sue origini l’università ha il compito di “coltivare e trasmettere il sapere”: oggi ciò assume nuove forme attraverso l’open access, la scienza aperta e il coinvolgimento diretto di diversi pubblici.
Il movimento Open Science in particolare promuove la democratizzazione dell’accesso ai prodotti della ricerca, rendendo pubblicazioni, dati e software liberamente disponibili a chiunque, sia esso esperto o cittadino comune. Questa apertura, resa possibile dalle tecnologie digitali, favorisce trasparenza, collaborazione internazionale e riuso rapido delle conoscenze. Un caso emblematico è stata la condivisione istantanea dei dati scientifici durante la pandemia di COVID-19: grazie a piattaforme aperte, i ricercatori di tutto il mondo hanno potuto consultare sequenze genomiche del virus e risultati clinici in tempo reale, accelerando lo sviluppo di vaccini e terapie. L’esperienza pandemica ha evidenziato come la libera diffusione delle informazioni scientifiche possa tradursi in benefici concreti per la società, abbreviando i tempi di risposta a sfide globali.
La comunicazione efficace dei risultati della ricerca non si limita alla pubblicazione su riviste specialistiche: deve raggiungere anche portatori di interesse, decisori politici, imprese non direttamente coinvolte nel progetto e il pubblico generalista. In molti Paesi avanzati la disseminazione è ormai un requisito nei finanziamenti pubblici: l’Unione Europea, ad esempio, impone nei programmi Horizon Europe che tutti gli articoli scientifici prodotti con i suoi fondi siano ad accesso aperto, e incoraggia i ricercatori a definire piani di disseminazione e comunicazione dei risultati. Nel Regno Unito dal 2014 il Research Excellence Framework valuta l’“impact” delle ricerche anche in termini di benefici sociali e diffusione al di fuori dell’accademia. Negli Stati Uniti le agenzie federali della scienza richiedono un progetto di “broader impacts” in ogni proposta, stimolando iniziative educative e divulgative collegate alla ricerca finanziata.
Queste politiche riconoscono che la scienza, per generare innovazione diffusa, deve essere comunicata in modo comprensibile e fruibile. Gli atenei più all’avanguardia hanno creato uffici e figure professionali dedicate al public outreach, e investono nella formazione dei ricercatori alla comunicazione. Ad esempio, Nature offre masterclass su come presentare la propria ricerca ai non addetti ai lavori, sottolineando che “disseminare i risultati del proprio lavoro è parte centrale del ruolo del ricercatore, e non solo verso la comunità scientifica”. In un’epoca segnata da disinformazione e scetticismo verso la scienza, comunicare efficacemente al grande pubblico e ai decisori è più importante che mai.
Gli sforzi di disseminazione scientifica comprendono una varietà di attività. La più tradizionale è la pubblicazione di articoli e monografie: riviste di prestigio come Nature e Science hanno un ruolo chiave non solo nel certificare la qualità dei risultati attraverso la peer review, ma anche nel fungere da cassa di risonanza mediatica per scoperte di particolare rilievo. Accanto alle pubblicazioni, vi sono le conferenze scientifiche aperte, i report tecnici destinati a settori industriali e le piattaforme digitali. Negli ultimi anni, ad esempio, molte università utilizzano repository istituzionali online per rendere disponibili gratuitamente tesi, dataset e working paper. Si assiste anche a una crescita di iniziative di open data, in cui gruppi di ricerca mettono a disposizione i propri dati grezzi affinché altri possano riutilizzarli o verificarli.
Organizzazioni internazionali come l’OCSE e l’UNESCO promuovono linee guida per l’accesso aperto ai dati finanziati con fondi pubblici, riconoscendo che una più ampia circolazione delle informazioni può accelerare il progresso scientifico collettivo. La disseminazione, inoltre, include la comunicazione diretta tramite canali meno formali: blog e siti web divulgativi gestiti da gruppi universitari, newsletter indirizzate a stakeholder locali, presenza sui social media per spiegare in modo accessibile risultati complessi. Questi canali, sebbene non tradizionali, si sono rivelati preziosi per raggiungere audience più ampie e diversificate.
Le esperienze internazionali mostrano diversi modelli virtuosi di disseminazione. Nei paesi anglosassoni è consolidata la figura del “science writer” o del comunicatore scientifico con formazione accademica, spesso presente negli organici universitari o nei grandi enti di ricerca. Ad esempio, il MIT Technology Review, rivista fondata dal Massachusetts Institute of Technology, diffonde in forma giornalistica le innovazioni scientifiche e tecnologiche emergenti, rendendo accessibili al mondo industriale e al pubblico le frontiere della ricerca accademica. In Gran Bretagna, molte università – da Imperial College a Manchester – organizzano annualmente festival della scienza o settimane dell’innovazione in cui laboratori aperti e seminari pubblici presentano le ultime scoperte ai cittadini e alle imprese locali.
L’Università di Cambridge, ad esempio, ha istituito dal 2005 il Cambridge Science Festival (oggi evolutosi nel più ampio Cambridge Festival) che ogni anno in primavera offre decine di eventi gratuiti: conferenze divulgative, workshop interattivi e visite guidate ai laboratori, coinvolgendo attivamente i ricercatori e il pubblico di tutte le età. Manifestazioni simili fioriscono anche in Asia: il Giappone organizza da tempo open campus e science corner nei musei, mentre in Cina importanti accademie scientifiche curano piattaforme online bilingui per diffondere i propri risultati a livello internazionale. Tali iniziative, oltre a sensibilizzare la società sull’importanza della ricerca, creano terreno fertile per future collaborazioni e per l’accettazione delle nuove tecnologie (basti pensare alla necessità di informare correttamente il pubblico su temi come OGM, nanotecnologie o vaccini, dove la comprensione scientifica influenza le scelte collettive).
Le attività di Stroncature sulla Terza missione non entrano in conflitto con le iniziative che i diversi Dipartimenti e Università già conducono, ma si integrano. Il ruolo di Stroncature è quello di creare dei prodotti audio (podcast) e video (anche di diversi formati per i diversi social media) per amplificare l’impatto a la portata su canali diversi le attività in essere. In altri casi, Stroncature e i Dipartimenti universitari lavorano insieme per la creazione di pieni editoriali per la creazione di eventi online per la disseminazione del sapere scientifico
Non mancano tuttavia criticità e ostacoli nella disseminazione scientifica. Uno dei problemi più citati è la mancanza di incentivi strutturali: per decenni la carriera accademica è dipesa quasi esclusivamente dalle pubblicazioni specialistiche e dall’impatto tra pari, mentre l’impegno nel divulgare al grande pubblico raramente ha ricevuto riconoscimenti formali. Ciò ha portato molti ricercatori a considerare le attività di comunicazione come marginali o addirittura penalizzanti per il proprio progresso professionale. A questo si aggiunge una barriera culturale: il timore che semplificare eccessivamente i contenuti per renderli accessibili possa sminuire la complessità del lavoro scientifico.
In alcuni contesti accademici resiste ancora la percezione che la “divulgazione” sia un compito secondario rispetto alla “vera” ricerca. Inoltre, la comunicazione verso l’esterno richiede competenze specifiche di storytelling, uso di analogie, gestione dei media, che non fanno parte della tradizionale formazione del ricercatore. Un’indagine internazionale promossa da Nature nel 2022 ha rivelato che quasi tutti gli scienziati riconoscono l’importanza di saper comunicare ai non specialisti (il 97% dei ricercatori interpellati ha dichiarato fondamentale saper spiegare la propria ricerca al pubblico) ma il 61% trova questa attività particolarmente sfidante. Difficoltà comuni sono sintetizzare i messaggi chiave evitando gerghi, e riuscire a coinvolgere emotivamente senza tradire il rigore dei dati. Infine, permane il problema delle risorse limitate: organizzare eventi divulgativi, tradurre articoli in linguaggio comprensibile, produrre contenuti multimediali richiede tempo e fondi. Spesso i budget di progetto non prevedono voci sufficienti per la comunicazione, oppure queste vengono sacrificate di fronte a tagli.
Per superare tali ostacoli, numerose strategie sono state proposte e adottate in varie università. Un approccio è integrare la disseminazione negli indicatori di performance accademica: ad esempio, il Regno Unito valuta nei case studies di impatto anche il “public engagement” come via per ottenere risultati applicativi, incoraggiando gli atenei a promuovere la divulgazione tra il personale. Altre istituzioni assegnano premi o riconoscimenti ai docenti più attivi nel comunicare con il pubblico, segnalando che tale attività è valorizzata. Dal punto di vista formativo, cresce l’offerta di corsi di comunicazione della scienza per dottorandi e ricercatori: imparare a parlare in pubblico, a gestire un’intervista o a scrivere un articolo divulgativo sta diventando parte del bagaglio professionale dello scienziato moderno. Un altro fattore chiave è lo sviluppo di partenariati con i media e le comunità locali. Università come l’ETH di Zurigo o l’Università di Toronto hanno stipulato accordi con reti televisive e giornali per ospitare regolarmente rubriche scientifiche curate da accademici, creando un canale diretto verso la cittadinanza.
Anche le biblioteche e i musei scientifici svolgono il ruolo di hub tra ricercatori e pubblico: molti atenei collaborano con questi spazi per organizzare conferenze aperte, mostre sui risultati di ricerca e laboratori didattici. Infine, la scienza partecipata (citizen science) rappresenta un trend emergente che coniuga disseminazione e coinvolgimento attivo: progetti in cui i cittadini contribuiscono alla raccolta di dati o al monitoraggio scientifico (dalla classificazione delle galassie online al tracciamento di specie animali) diffondono conoscenza facendo della società stessa parte integrante del processo scientifico. In sintesi, creando meccanismi di incentivo, fornendo supporto professionale e instaurando dialoghi bidirezionali con la società, le università possono potenziare la disseminazione scientifica e adempiere pienamente alla loro missione sociale.
Fonti
Open science - Enabling discovery in the digital age | OECD
The Research Excellence Framework (REF) | NCCPE
Support and skills for a challenging research stage | Blog | Nature Masterclasses
Public engagement - Public events | University of Cambridge
Open science - Enabling discovery in the digital age | OECD
The Research Excellence Framework (REF) | NCCPE
Support and skills for a challenging research stage | Blog | Nature Masterclasses