Accanto alla disseminazione formale dei risultati scientifici, vi è un altro livello della Terza Missione rivolto alla divulgazione accademica e al coinvolgimento diretto della società nel mondo delle idee. Mentre per disseminazione si intende soprattutto la circolazione di conoscenze e dati (spesso tramite pubblicazioni, open access, conferenze), con divulgazione ci si riferisce alla traduzione del sapere accademico in cultura accessibile e dialogo pubblico. In altre parole, è il processo attraverso cui le università si aprono alla società civile, condividendo non solo scoperte ma anche competenze, prospettive critiche e pensiero scientifico, in modo comprensibile e attraente per un pubblico non specialista. Questa missione “culturale” dell’accademia ha radici antiche: già nel Settecento istituzioni come il Collège de France organizzavano lezioni aperte al pubblico generale, incarnando l’ideale dell’istruzione come bene comune. Oggi la divulgazione accademica assume forme molteplici, dai cicli di conferenze pubbliche ai laboratori per le scuole, dai programmi televisivi condotti da scienziati alle piattaforme online di e-learning aperto. Il fine ultimo è avvicinare il mondo universitario – spesso percepito come una torre d’avorio – alla società, creando un ponte bidirezionale: da un lato i cittadini possono accedere al patrimonio di conoscenze e ai dibattiti più avanzati, dall’altro l’università riceve stimoli, domande e una legittimazione sociale indispensabile per la sua attività.
Numerosi atenei nel mondo hanno istituzionalizzato pratiche di divulgazione rivolte alla comunità locale e nazionale. Negli Stati Uniti le università “land-grant” – come Cornell o UC Berkeley – sin dal XIX secolo hanno un mandato esplicito di fornire formazione pratica e conoscenze utili alla cittadinanza (ad esempio attraverso le Cooperative Extension in ambito agricolo e sanitario). Questo modello di “università al servizio del popolo” si è evoluto includendo oggi programmi radiofonici, pubblicazioni divulgative e sportelli informativi su temi d’interesse pubblico (dall’assistenza veterinaria alle politiche energetiche). In Europa, un esempio storico è l’organizzazione delle lectio magistralis aperte: molte università ospitano regolarmente seminari serali o cicli di lezioni dove docenti ed esperti presentano argomenti scientifici, umanistici o economici in termini accessibili. In Italia iniziative come il Festival della Scienza di Genova o il Festival dell’Economia di Trento coinvolgono anche il mondo accademico nel dialogo con platee ampie, mostrando l’interesse pubblico verso temi di frontiera e il contributo dei ricercatori nel chiarirli. Stroncature si inserisce in questo filone, come canale di comunicazione continua e permanente tra il mondo della ricerca e la società civile, attraverso il web, con video e podcast, nonchè interventi nella sezione La République des Sciences. Nel Regno Unito, la Royal Institution organizza dal 1825 le Christmas Lectures, conferenze scientifiche divulgative tenute da eminenti studiosi (tra cui molti accademici) e trasmesse in televisione, unendo intrattenimento e rigore in un format che ha ispirato analoghe iniziative in altri paesi. Questi esempi evidenziano che la divulgazione non è un’attività occasionale, ma può diventare parte integrante della vita universitaria, con appuntamenti fissi e riconoscimento istituzionale.
Un aspetto rilevante della divulgazione accademica è il dialogo con le giovani generazioni e con le scuole. Portare la scienza e il sapere universitario nelle scuole secondarie contribuisce a formare nuovi talenti e a rendere la società più consapevole e informata. Molti atenei hanno programmi di orientamento e outreach che vanno oltre il reclutamento degli studenti: ad esempio, l’Università di Cambridge e l’ETH Zürich organizzano “giornate della scienza” per studenti delle superiori, con lezioni tenute da professori su argomenti di attualità scientifica e visite ai laboratori. In Giappone esistono da anni le cosiddette “Università dei bambini” (Kid’s University), eventi in cui professori universitari tengono mini-lezioni e dimostrazioni pratiche a platee di bambini e famiglie, per stimolare curiosità fin dall’infanzia. Queste attività, pur semplificate, trasmettono il metodo scientifico e la passione per la conoscenza, favorendo un clima culturale più ricettivo alla scienza. Anche il coinvolgimento di laureati e dottorandi nei programmi di divulgazione è in crescita: ad esempio, il movimento internazionale Pint of Science, nato nel Regno Unito e diffusosi in decine di paesi, vede giovani ricercatori presentare le proprie ricerche in luoghi informali come pub e caffè, raggiungendo persone che normalmente non frequentano ambienti accademici. Ciò aiuta i giovani studiosi a migliorare le proprie capacità comunicative e al tempo stesso umanizza l’immagine della scienza agli occhi del pubblico.
Anche Stroncature sta lavorando su questo fronte, nella convinzione che ci sia un forte legame tra la divulgazione della ricerca scientifica e l’orientamento. Mostrare alle giovani menti i problemi su cui il mondo della scienza di sta arrovellando e alla soluzione dei quali ricercatrici e ricercatori dedicano la loro esistenza, è il modo migliore per suscitare entusiasmo, senso della sfida intellettuale e amore per ampliare il raggio del noto rispetto all’ignoto.
La collaborazione con i media e l’editoria è un ulteriore canale attraverso cui la conoscenza accademica si riversa nella società. In ambito scientifico, riviste come Scientific American o Le Scienze (edizione italiana di Scientific American) da decenni fungono da ponte tra accademia e pubblico colto, spesso con articoli scritti direttamente da ricercatori ma adattati in linguaggio narrativo. Stroncature in Italia e con ambizioni europee svolge la funzione di partner tecnico, che affianca le università nella creazione di video e podcast e nella loro diffusione e promozione attraverso i propri canali, per amplificarne e ampliarne impatto e pubblico.
Anche nell’ambito della divulgazione accademica esistono nodi da sciogliere. Una delle questioni aperte è come misurare l’efficacia di queste attività e giustificarne il finanziamento continuativo. Mentre è relativamente semplice contare brevetti o start-up, valutare l’impatto culturale di una conferenza pubblica o di un articolo divulgativo è più complesso: spesso si ricorre a metriche surrogate (numero di partecipanti, audience media, accessi online) che però non catturano del tutto la qualità dell’interazione o il cambiamento di conoscenza nel pubblico. Inoltre, permane il problema del linguaggio: tradurre concetti avanzati in termini chiari senza travisarli è un esercizio difficile. Alcune discipline, come la fisica teorica o la matematica pura, risultano ostiche da divulgare anche per la loro natura altamente astratta; altre, come la medicina o le scienze ambientali, possono incontrare resistenze dovute a convinzioni preesistenti o paure (si pensi alla diffidenza verso i vaccini o verso certe tecnologie alimentari).
Vi è poi la questione del tempo: i professori universitari hanno agende già dense di insegnamento, ricerca e compiti amministrativi, e dedicare energie alla divulgazione richiede spesso sacrificare altre attività o svolgerla extra-orario per passione personale. Questo può portare a disparità, dove solo i più motivati (o quelli in discipline di immediato richiamo) si impegnano attivamente, mentre altri ambiti restano nell’ombra. Infine, non va sottovalutato il rischio di semplificazione eccessiva: nella competizione per l’attenzione del pubblico, vi è la tentazione di spettacolarizzare la scienza o presentare risultati preliminari come verità assodate, il che può generare disinformazione involontaria o false aspettative.
Per risolvere o mitigare tali criticità, diverse soluzioni sono state proposte. Una è integrare la valutazione della Terza Missione negli esercizi di valutazione della qualità accademica: l’Italia, ad esempio, attraverso il sistema di autovalutazione delle università, ha iniziato a raccogliere indicatori quantitativi e qualitativi sulle attività di public engagement (numero di eventi organizzati, partecipazione a festival, produzione di materiali divulgativi) per inserirli nei rapporti di valutazione annuale. Ciò spinge gli atenei a pianificare strategicamente anche su questo fronte. Un’altra soluzione è creare sinergie tra atenei: invece di ogni università che organizza piccoli eventi isolati, si favorisce il coordinamento a livello cittadino o regionale (come il Cambridge Festival che unisce università e istituzioni locali). Questo aumenta la massa critica e l’impatto percepito.
Inoltre, molte università stanno professionalizzando la divulgazione, assumendo comunicatori scientifici esperti che lavorano a fianco dei docenti per tradurre al meglio i contenuti (scrittori, videomaker, illustratori scientifici), come nel caso di Stroncature. Questi professionisti possono alleviare il carico sui ricercatori, consentendo a ciascuno di contribuire secondo il proprio ruolo. Importante è anche il supporto da parte delle amministrazioni pubbliche e dei finanziatori: alcuni programmi ministeriali ora prevedono fondi dedicati alle attività di outreach, e organizzazioni filantropiche (come la Wellcome Trust nel Regno Unito) finanziano generosamente progetti di engagement nelle comunità. Infine, la strada del dialogo bidirezionale sembra essere la chiave di una divulgazione di nuova generazione: non più solo scienziati che parlano e pubblico che ascolta, ma un confronto aperto dove si recepiscono anche i dubbi, le esperienze e le conoscenze pratiche dei non accademici.
Questo approccio, promosso ad esempio dal National Co-ordinating Centre for Public Engagement (NCCPE) britannico, trasforma eventi e festival in occasioni di apprendimento reciproco. In conclusione, l’impegno nella divulgazione accademica, seppur sfidante, risulta essenziale per rinsaldare il patto tra università e società: da un lato arricchisce il dibattito pubblico con solide basi di evidenza, dall’altro legittima l’investimento collettivo nella ricerca e forma cittadini più consapevoli. Come nota un’analisi della University of Warwick, “il public engagement è divenuto il nuovo mantra delle politiche scientifiche nel Regno Unito” – segno che una università aperta e interconnessa con il tessuto sociale è ormai riconosciuta come elemento cardine per affrontare le grandi sfide del nostro tempo.
Per maggiori informazioni su servizi che Stroncature offre ai Dipartimenti e Centri di ricerca per attività di public engagement e disseminazione scientifica in ambito Terza Missione è possibile scrivere a Gianantonio Volpe (mail: [email protected])