La Germania, un tempo colonna portante dell'economia europea, si confronta oggi con una serie di sfide strutturali che ne minacciano il ruolo di leader, trasformandola nel "nuovo grande malato" d'Europa. Ad una crescita economica che languisce, problematiche demografiche sempre più pressanti e una transizione energetica che stenta a decollare, si sommano le complicazioni derivanti da una dipendenza economica e politica da potenze esterne quali Russia e Cina, in un contesto internazionale sempre più orientato verso il protezionismo e terremotato dalle conseguenze dell’aggressione di Putin all’Ucraina. Questa fase di vulnerabilità, aggravata da decenni di mancato investimento in aree cruciali, pone Berlino di fronte alla necessità di mettere mano a riforme importanti per rivitalizzare la propria economia e tentare preservare il suo status di leader europeo e globale. Il guaio è che l’ordine dei problemi tedeschi affonda le sue radici lontano nel tempo.
Nel 2013 chi scrive pubblicava sul sito della Fondazione Nenni un articolo dal titolo “La Germania danneggia l’Europa e se stessa”, nel quale si mettevano in evidenza le debolezze strutturali dell’economia e della società tedesca che si potevano intravedere tra i bagliori della crescita economico. E si diceva una cosa molto semplice. La Germania di allora stava vivendo i suoi ruggenti anni Novanta, come era accaduto per gli Stati Uniti, anni nei quali si creeranno le condizioni per la cresi dei mutui subprime, e si diceva che la stessa cosa poteva accadere a Berlino. Ecco quell’onda lunga è arrivata.