Gli spin-off universitari come strumento di Terza Missione nell’università italiana
La Terza Missione è la missione istituzionale delle università italiane che si affianca alle funzioni tradizionali di didattica e ricerca. È riconosciuta formalmente dal sistema normativo (D.Lgs. 19/2012) come l’insieme delle attività con cui l’università contribuisce allo sviluppo socio-economico e culturale, tramite trasferimento di conoscenze e interazione diretta con la società e il tessuto produttivo. In questo contesto, le imprese spin-off accademiche rappresentano uno strumento fondamentale di valorizzazione economica della ricerca pubblica. Gli spin-off universitari sono nuove società che nascono per trasferire e sfruttare sul mercato i risultati della ricerca scientifica, favorendo l’innovazione tecnologica e la crescita economica a beneficio della società. L’articolo analizza il quadro normativo e operativo che disciplina la creazione di spin-off accademici in Italia, definendone i requisiti, descrivendo i processi di approvazione e chiarendo il ruolo delle istituzioni accademiche nella promozione e gestione di queste iniziative imprenditoriali, in linea con le politiche pubbliche per università e ricerca.
Quadro normativo di riferimento
Il concetto di spin-off accademico emerge nel diritto italiano alla fine degli anni ’90 come parte delle politiche di trasferimento tecnologico. Il D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 297 fornì una prima definizione, indicando tra i possibili beneficiari di finanziamenti per la ricerca anche le “società di recente costituzione ovvero da costituire, finalizzate all'utilizzazione industriale dei risultati della ricerca … con la partecipazione … di professori e ricercatori universitari, personale di ricerca dipendente da enti di ricerca, … dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca …”. Questa definizione riconosceva dunque le imprese spin-off come veicoli per trasformare i risultati scientifici in innovazione industriale, con il coinvolgimento attivo di personale universitario.
Una disciplina organica degli spin-off universitari è stata introdotta con la riforma universitaria del 2010. La Legge 30 dicembre 2010, n. 240 (art. 6, comma 9) ha rimosso il tradizionale divieto per professori e ricercatori di partecipare ad attività industriali o commerciali, facendo salva la possibilità per essi di costituire società aventi caratteristica di spin-off o start-up universitari. Tale norma consente al personale accademico di assumere anche responsabilità formali nelle società spin-off, entro limiti temporali e secondo le regole fissate dal proprio ateneo, e richiede il rispetto di criteri definiti da un apposito regolamento ministeriale. Questa previsione ha sancito a livello legislativo la legittimità degli spin-off accademici come strumento di Terza Missione, demandando al Ministero la definizione dei criteri attuativi.
In attuazione della delega contenuta nella legge 240/2010, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha emanato il D.M. 10 agosto 2011, n. 168. Questo decreto ministeriale – un regolamento nazionale – definisce i criteri di partecipazione dei professori e ricercatori universitari a società con caratteristiche di spin-off o start-up universitari. In particolare, il D.M. 168/2011 stabilisce la nozione formale di spin-off universitario e i requisiti affinché una società possa qualificarsi come tale. Esso recepisce la definizione già delineata nel D.Lgs. 297/1999 e la aggiorna, specificando che per qualificarsi come spin-off o start-up universitario la società deve nascere su iniziativa dell’università o di suoi membri, oppure prevedere la partecipazione dell’ateneo al capitale, ovvero il coinvolgimento del personale universitario nel progetto. Il medesimo regolamento chiarisce che la partecipazione del personale accademico a tali società può avvenire sia in termini di conferimento di capitale sociale, sia attraverso un impegno diretto nel perseguimento dell’oggetto sociale, mettendo a disposizione know-how e competenze maturate in ambito di ricerca. Il D.M. 168/2011 inoltre demanda ai singoli atenei l’adozione di propri regolamenti attuativi, nel rispetto dei criteri ministeriali e dell’autonomia universitaria.
Accanto a queste norme specifiche sugli spin-off, vi è un importante quadro normativo che integra la Terza Missione (e quindi anche gli spin-off) nel sistema di valutazione della qualità universitaria. Il D.Lgs. 19/2012 ha introdotto il sistema nazionale di Autovalutazione, Valutazione periodica e Accreditamento (AVA) delle sedi universitarie, riconoscendo esplicitamente la Terza Missione come uno degli ambiti da considerare nella valutazione delle università. Successivamente il D.M. 47/2013 ha fissato, all’interno del sistema AVA, indicatori e parametri per la valutazione periodica delle attività di Terza Missione assieme a quelli della didattica e della ricerca. In pratica, dal 2013 le performance di Terza Missione (inclusa la creazione di spin-off, la gestione della proprietà intellettuale, i rapporti con il territorio, etc.) sono parte integrante dei requisiti di qualità e vengono considerate nei processi di accreditamento e nelle politiche di finanziamento premiale delle università. Questi criteri sono stati ulteriormente aggiornati con il D.M. 987/2016 e da ultimi con il D.M. 1154/2021, che rappresenta la versione più recente del modello AVA. In particolare, l’Allegato al D.M. 1154/2021 include tra gli indicatori quantitativi di qualità della ricerca e impatto socio-economico il numero di spin-off universitari (nonché di brevetti) rapportato al numero di docenti di ruolo dell’ateneo. Ciò evidenzia come il legislatore utilizzi anche il conteggio delle imprese spin-off come metrica della capacità di un’università di trasferire conoscenza e generare impatto economico.
Parallelamente, la valutazione nazionale della ricerca ha cominciato a considerare la Terza Missione e gli spin-off. Già nell’esercizio VQR 2004-2010 l’ANVUR aveva avviato una rilevazione sperimentale di attività di Terza Missione, includendo brevetti, contratti conto terzi, musei universitari e società spin-off tra gli output considerati. Più recentemente, per il ciclo di valutazione VQR 2015-2019, all’ANVUR è stato formalmente affidato il compito di valutare anche la Terza Missione (D.M. 1110/2019). In tale esercizio è stata istituita un’area interdisciplinare dedicata all’impatto e alla Terza Missione, con un apposito Gruppo di Esperti della Valutazione (GEV) incaricato di esaminare le evidenze fornite dagli atenei in questo ambito. Anche in questo contesto, le performance relative a spin-off e trasferimento tecnologico sono entrate a far parte degli indicatori di qualità complessiva dei risultati delle università italiane.
Infine, va ricordato che le società spin-off accademiche spesso rientrano nella più ampia categoria delle start-up innovative, introdotta dal legislatore italiano per favorire l’imprenditorialità tecnologica. Il D.L. 3/2015 (convertito con L. 33/2015) ha definito i requisiti per l’iscrizione delle start-up innovative in una sezione speciale del Registro delle Imprese, condizione necessaria per accedere a incentivi fiscali e agevolazioni. Molte imprese spin-off universitarie, se dotate di forte carattere innovativo, soddisfano tali requisiti e possono dunque registrarsi come start-up innovative, cumulando i benefici previsti dalla normativa di settore con il riconoscimento di “spin-off di ateneo”. Questa sovrapposizione normativamente consentita riflette l’allineamento delle politiche universitarie di Terza Missione con le politiche industriali di promozione dell’innovazione e della creazione di nuove imprese tecnologiche.
Definizione e requisiti degli spin-off accademici
Nel quadro normativo italiano, uno spin-off universitario è definito da precisi criteri giuridici e funzionali. Alla luce delle linee guida ministeriali e di valutazione ANVUR, una società può qualificarsi come spin-off accademico (o start-up universitario) se soddisfa i seguenti requisiti fondamentali:
Origine dalla ricerca universitaria: l’impresa deve operare sulla base di risultati della ricerca prodotti in ambito accademico, e/o mantenere rapporti organici di collaborazione scientifica con l’università di origine. In altre parole, il core business dello spin-off deve derivare da conoscenze, tecnologie o invenzioni sviluppate all’interno dell’ateneo (ad esempio esiti di progetti di ricerca, brevetti universitari, competenze scientifiche dei fondatori). Lo scopo è proprio la trasformazione dei risultati della ricerca in applicazioni commerciali, prodotti o servizi innovativi, generando valore economico a partire dal sapere scientifico pubblico.
Coinvolgimento di personale accademico: lo spin-off nasce su iniziativa dell’università stessa o di membri del suo personale (docenti, ricercatori, dottorandi, assegnisti di ricerca, tecnologi ecc.). È essenziale che almeno un promotore della società appartenga (o sia recentemente appartenuto) all’ente di ricerca, portando così il bagaglio di competenze accademiche nella nuova impresa. Il D.M. 168/2011 ha chiarito che la partecipazione del personale universitario può assumere due forme non esclusive: da un lato la partecipazione al capitale sociale (ossia detenere quote o azioni della società); dall’altro un impegno diretto nell’attività dell’azienda, mettendo a disposizione know-how scientifico e svolgendo un ruolo operativo nel raggiungimento dell’oggetto sociale. È importante notare che, a differenza di precedenti prassi, non è obbligatorio che l’ateneo partecipi direttamente al capitale della società per poterla qualificare come spin-off. Ugualmente non è richiesto che un docente universitario sieda negli organi amministrativi della società. È sufficiente il coinvolgimento sostanziale di persone o conoscenze accademiche nel progetto imprenditoriale.
Riconoscimento formale da parte dell’ateneo: lo status di spin-off universitario dev’essere ufficialmente approvato dall’università di afferenza, generalmente tramite una delibera del Consiglio di Amministrazione (CdA) dell’ateneo. Questo accreditamento formale attesta che la società è riconosciuta come spin-off dell’Università, permettendole spesso di utilizzare tale qualifica (e il nome/marchio dell’ateneo, secondo specifiche condizioni) e di accedere a eventuali supporti logistici o convenzioni. Il riconoscimento avviene tipicamente a seguito di una valutazione interna della proposta di spin-off (come descritto nel paragrafo seguente) e ha una durata che può essere limitata nel tempo. Gli atenei, nei propri regolamenti, prevedono di norma un periodo di validità della qualifica di spin-off (ad esempio alcuni anni), al termine del quale è possibile chiedere un rinnovo presentando opportuna documentazione sull’andamento della società. Se la società perde i requisiti o non mantiene un legame attivo con l’università, il CdA può revocare lo status di spin-off. In tal caso l’azienda prosegue come entità autonoma, ma senza più il patrocinio accademico.
Oltre a questi criteri essenziali, esistono ulteriori requisiti operativi che spesso gli atenei richiedono: ad esempio la forma giuridica della società (solitamente è richiesto che lo spin-off sia costituito come società di capitali, tipicamente una S.r.l. o S.p.A., o eventualmente cooperativa, per garantire una struttura adeguata allo sviluppo imprenditoriale); il possesso di un piano industriale credibile; la presenza di un minimo di soci operativi e di capitale iniziale sufficiente; e l’oggetto sociale coerente con le attività di ricerca da valorizzare. Alcune università distinguono tra “spin-off partecipati” (in cui l’ateneo entra come socio, in genere di minoranza) e “spin-off non partecipati” o “spin-off accademici puri” (in cui l’università non detiene quote societarie, limitandosi a riconoscere e patrocinare l’iniziativa). In entrambi i casi, la società è considerata spin-off dell’ateneo se viene rispettato l’iter di approvazione e se perdura un collegamento funzionale con la struttura di ricerca (ad esempio attraverso convenzioni per l’utilizzo di laboratori universitari, accordi di collaborazione scientifica, o coinvolgimento di studenti/giovani ricercatori in progetti comuni).
Un ulteriore aspetto normativo riguarda le condizioni di compatibilità e conflitto di interessi per i docenti coinvolti. La legge 240/2010 qualificava gli spin-off come eccezione all’incompatibilità generale tra ruolo accademico e attività imprenditoriali. Il D.M. 168/2011 e i conseguenti regolamenti di ateneo stabiliscono limiti precisi: ad esempio, un professore che ricopre cariche accademiche apicali (Rettore, Prorettore, Direttore di Dipartimento, membro degli organi di governo dell’ateneo) non può contemporaneamente assumere incarichi direttivi o amministrativi nello spin-off, salvo rinunciare alla carica universitaria o ottenere un’aspettativa. Sono quindi previste incompatibilità per evitare conflitti: il docente interessato deve dichiarare che non sussistono sovrapposizioni di ruoli vietate, oppure optare tra la carica accademica e quella nello spin-off. Ad esempio, un Direttore di Dipartimento non potrà essere amministratore delegato di uno spin-off dell’ateneo, a meno che non lasci la direzione di dipartimento (fa eccezione il caso in cui l’ateneo designi ufficialmente un proprio rappresentante nel CdA dello spin-off, il quale però non deve essere personalmente coinvolto come socio fondatore). Inoltre, i regolamenti attuativi prevedono che il personale accademico impeganto nello spin-off continui a rispettare i propri doveri istituzionali verso l’ateneo: se l’impegno imprenditoriale diviene tale da pregiudicare le attività didattiche e di ricerca del docente, può essere richiesta un’aspettativa non retribuita per un periodo determinato, in accordo con le normative vigenti (generalmente fino a due anni, prorogabili). In sintesi, il sistema normativo mira a bilanciare la partecipazione dei professori alle attività d’impresa con la tutela della funzione pubblica accademica, evitando situazioni di conflitto e assicurando che l’impegno nello spin-off non avvenga a discapito dei compiti istituzionali.
Procedura di approvazione e accreditamento degli spin-off
La creazione di uno spin-off universitario segue una procedura regolata sia da norme nazionali sia – soprattutto – da regolamenti interni di ciascun ateneo, in virtù dell’autonomia universitaria. Pur con variazioni nei dettagli, gli elementi tipici del processo di approvazione di uno spin-off accademico sono i seguenti:
Proposta iniziale: Il gruppo di promotori (almeno un componente deve appartenere all’università) elabora un progetto imprenditoriale basato su risultati di ricerca dell’ateneo. Viene redatto un business plan o piano di fattibilità, che descrive l’idea di business, il prodotto/tecnologia da sviluppare, il mercato potenziale, l’organizzazione della futura società, il fabbisogno di capitali, etc. Spesso è richiesta anche una sorta di piano di valorizzazione che esplicita come l’iniziativa trasferirà conoscenza dall’università e quali benefici attesi (in termini di introiti, brevetti, posti di lavoro qualificati, ecc.) potrà generare. La proposta include i nominativi dei soci proponenti (docenti, ricercatori, eventuali partner esterni), con i rispettivi ruoli previsti nella società, e indica se l’ateneo è invitato a partecipare al capitale sociale. Questa documentazione preliminare viene sottoposta ad una prima verifica interna: tipicamente passa per il Dipartimento o Struttura di afferenza dei proponenti per un parere, quindi a un organismo centrale (spesso esiste una Commissione Spin-off o analogo comitato tecnico-scientifico nominato dall’ateneo) che valuta la validità scientifica e la sostenibilità economica del progetto.
Valutazione e iter decisionale: La Commissione di ateneo preposta al Trasferimento Tecnologico e Terza Missione esamina la proposta secondo i criteri del regolamento d’ateneo (coerenza con le finalità istituzionali, originalità dell’innovazione, potenzialità di mercato, assenza di conflitti d’interesse, ecc.). Se la valutazione è positiva, la commissione formula un parere favorevole e talvolta suggerisce condizioni o raccomandazioni (ad esempio riguardo alla quota di partecipazione dell’università, o alla tutela della proprietà intellettuale). A questo punto il progetto di spin-off viene sottoposto agli Organi di governo dell’università: in molti atenei è richiesto il parere dell’organo accademico (Senato Accademico) e l’approvazione formale definitiva del Consiglio di Amministrazione (CdA). È il CdA a deliberare sulla costituzione o sul riconoscimento dello spin-off, autorizzando eventualmente la partecipazione dell’università con una certa quota di capitale (di solito minoritaria, ad es. 5-10%, talvolta attraverso il conferimento di know-how o brevetti in conto capitale) e approvando le modalità di coinvolgimento del personale (ad esempio concedendo al docente promotore il permesso di dedicare tempo al progetto o di utilizzare spazi e attrezzature universitarie con apposite convenzioni). La delibera del CdA rappresenta l’atto formale di accreditamento dello spin-off: da quel momento la società (se non ancora costituita) può costituirsi con la qualifica di “spin-off dell’Università X”, oppure (se già costituita da esterni e ora coinvolgente l’università) ottiene lo status di spin-off riconosciuto dall’ateneo a partire dalla data della delibera.
Costituzione della società: Se non era già stata creata in precedenza, la società viene formalmente costituita per atto notarile, di regola dopo l’approvazione del CdA (alcuni atenei richiedono che la costituzione avvenga entro un certo tempo dalla delibera, ad es. 3 o 6 mesi). Nello statuto societario vengono inserite eventuali clausole richieste dall’università, come l’indicazione che trattasi di uno spin-off accademico, i vincoli sulla cessione di quote (spesso l’ateneo pone un diritto di veto o gradimento su ingressi futuri di soci terzi che possano snaturare il progetto), e l’obbligo di presentare report periodici all’ateneo sull’andamento della società. La compagine sociale al momento della fondazione comprende i soci promotori (docenti e altri), e può includere l’università stessa se questa ha deliberato di partecipare. In alcuni casi partecipano fin dall’inizio anche investitori esterni, enti pubblici locali o fondazioni bancarie interessate a sostenere lo spin-off.
Convenzioni e supporto operativo: Contestualmente alla nascita dello spin-off, l’università stipula spesso convenzioni per regolare i rapporti con la nuova impresa. Ad esempio, può essere prevista una convenzione per l’uso di spazi e laboratori universitari da parte dello spin-off (dietro pagamento di un fee o a titolo gratuito per un periodo iniziale); oppure accordi per l’uso del marchio e logo dell’ateneo in abbinamento alla ragione sociale della società (spesso lo spin-off può dichiararsi “spin-off dell’Università XYZ” solo finché dura l’accreditamento e secondo le condizioni pattuite). Se l’università è socia, vengono definiti i patti parasociali e la rappresentanza dell’ateneo negli organi societari (ad esempio nominando un proprio rappresentante nel Consiglio di Amministrazione o nel Collegio Sindacale della società). Inoltre, l’ateneo può offrire servizi di incubazione o tutoring imprenditoriale tramite le proprie strutture (Ufficio Trasferimento Tecnologico, incubatori universitari, laboratori congiunti), specie nella fase di avvio. Tutte queste misure sono volte a incrementare le chance di successo dello spin-off, trasferendo non solo tecnologie ma anche competenze gestionali e networking verso l’impresa nascente.
Monitoraggio e durata dello status: Una volta avviato, lo spin-off accademico viene monitorato periodicamente dall’università. I promotori sono tenuti a comunicare all’ateneo informazioni sull’evoluzione societaria (ad esempio bilanci annuali, numero di dipendenti, eventuali nuovi investitori, risultati di mercato, ecc.). Questo monitoraggio è funzionale sia a valutare l’impatto della Terza Missione, sia a decidere su eventuali rinnovi o revoche della qualifica di spin-off. Come accennato, lo status di “spin-off di ateneo” ha solitamente una scadenza: ad esempio, molti regolamenti prevedono uno status iniziale di 2-3 anni, prorogabile previo esame di un rapporto di attività. Se lo spin-off prospera e mantiene rapporti con l’università (ad es. ospita tirocinanti, finanzia borse di ricerca, continua a sviluppare brevetti accademici), il CdA di ateneo può rinnovarne l’accreditamento. Al contrario, se l’azienda cambia natura, oppure cessa l’apporto di risultati della ricerca, o il personale accademico esce dalla società, l’ateneo può decidere di interrompere il riconoscimento ufficiale. In caso di revoca, solitamente è fatto divieto alla società di continuare a utilizzare il titolo di spin-off dell’università e di sfruttarne il logo, tutelando così la reputazione dell’ateneo.
Ruolo delle istituzioni accademiche
Le università italiane svolgono un ruolo cruciale sia nel promuovere la nascita di spin-off sia nel regolarne lo sviluppo in modo coerente con la missione pubblica. Ogni ateneo, in ottemperanza a quanto previsto dal D.M. 168/2011 e dalla legge 240/2010, si è dotato di un Regolamento di Ateneo per gli spin-off (talora unificato con la disciplina delle start-up). In tale regolamento interno sono stabilite le procedure sopra descritte, i criteri specifici dell’ateneo per approvare nuovi spin-off, i diritti e doveri dei docenti coinvolti, nonché le eventuali forme di sostegno offerte. Le istituzioni accademiche hanno infatti ampia autonomia nel definire strategie di Terza Missione: alcune incentivano attivamente la creazione di imprese (ad esempio istituendo premi per idee imprenditoriali dei ricercatori, corsi di imprenditorialità, o finanziando prototipi), altre vi partecipano in modo più selettivo. In tutti i casi, però, l’ateneo funge da garante che gli spin-off accademici rispettino la finalità di valorizzare ricerca e non degenerino in conflitti di interesse.
Tra i compiti chiave delle università c’è la valutazione ex-ante della qualità scientifica e del potenziale innovativo del progetto di spin-off. Le commissioni di ateneo coinvolgono spesso anche esperti esterni (ad esempio rappresentanti del mondo industriale o investitori) per avere un riscontro sulla fattibilità di mercato. Inoltre, l’università negozia con i promotori gli aspetti relativi alla proprietà intellettuale: se nello spin-off confluiscono brevetti o software sviluppati internamente, si definisce se l’ateneo licenzierà tali tecnologie alla società (dietro pagamento di royalties) o se entrerà nel capitale sociale conferendo i diritti di proprietà intellettuale. Questo garantisce che l’università venga adeguatamente riconosciuta per le invenzioni generate dalla ricerca pubblica, evitando al contempo di ostacolare la commercializzazione tramite eccessivi vincoli.
Il supporto operativo agli spin-off è un’altra dimensione del ruolo istituzionale. Molte università mettono a disposizione servizi di incubazione o sportelli dedicati (spesso gestiti in collaborazione con il Consorzio CINECA o con le Zone Economiche Speciali dove presenti). Ad esempio, possono offrire spazi in pre-incubatori universitari, laboratori attrezzati per sviluppo prototipi, assistenza legale e amministrativa nella fase di avvio (predisposizione atti societari, contrattualistica), e facilitare l’accesso a finanziamenti pubblici (bandi ministeriali, regionali, fondi europei) destinati alle nuove imprese innovative. L’università agisce quindi da attore abilitante, riducendo le barriere che i ricercatori-imprenditori incontrano nel portare un’idea dal laboratorio al mercato.
Contestualmente, le istituzioni accademiche svolgono un’azione di controllo e tutela. L’approvazione concessa agli spin-off è condizionata al mantenimento di un comportamento etico e trasparente: i promotori devono evitare di utilizzare risorse universitarie senza autorizzazione, o di generare concorrenza sleale sfruttando il doppio ruolo. I regolamenti di ateneo spesso richiedono ai docenti coinvolti di dichiarare annualmente l’assenza di conflitti di interesse tra attività dello spin-off e attività istituzionali, e impongono la rinuncia a incarichi accademici incompatibili. L’ateneo può revocare lo status di spin-off se emergono irregolarità o se la società devia dagli scopi dichiarati (ad esempio, se la ricerca originaria viene abbandonata). In tal modo, l’università preserva la propria integrità scientifica mentre promuove l’imprenditorialità.
Un aspetto rilevante del ruolo istituzionale è la misurazione e valutazione degli spin-off come parte delle performance dell’ateneo. Ogni università deve raccogliere dati sulle proprie attività di Terza Missione, inclusi numero e caratteristiche degli spin-off attivi, e comunicare tali informazioni agli enti di valutazione (MUR/ANVUR). Come vedremo più avanti, gli atenei compilano annualmente la Scheda Unica Annuale (SUA) per la Ricerca e la Terza Missione, dove gli spin-off sono una voce rilevante. In prospettiva, il ruolo delle università non si limita quindi alla creazione degli spin-off, ma include anche un monitoraggio continuo del loro impatto e dei benefici generati, integrando tali feedback nella pianificazione strategica dell’ateneo in materia di trasferimento tecnologico.
Strumenti di rilevazione e valutazione degli spin-off
La misurazione delle attività di Terza Missione – e in particolare degli spin-off – avviene tramite strumenti istituzionali consolidati, garantendo trasparenza e confrontabilità a livello nazionale. Il principale strumento di raccolta dati è la Scheda Unica Annuale della Ricerca e Terza Missione (SUA-RD/Terza Missione), sviluppata dal CINECA in collaborazione con ANVUR. La SUA-Terza Missione è una piattaforma informatica attraverso cui ogni ateneo inserisce annualmente informazioni standardizzate sulle proprie iniziative di Terza Missione, tra cui brevetti, accordi conto terzi, attività culturali e, appunto, imprese spin-off. Questo sistema centralizzato consente sia all’ateneo di auto-valutare i propri progressi, sia all’ANVUR di disporre dei dati necessari per le valutazioni comparative e per le visite di accreditamento periodico.
All’interno della SUA, gli spin-off costituiscono un quadro specifico (Quadro I.2 - Imprese spin-off) in cui vengono censite e descritte le attività legate alla creazione di imprese spin-off nell’ateneo. Il caricamento delle informazioni è in parte automatizzato: l’ANVUR pre-compila alcune sezioni interrogando banche dati pubbliche (come il Registro delle Imprese) per ottenere dati aggiornati sulle società già note. Ad esempio, agli atenei viene mostrata una lista provvisoria delle imprese spin-off accreditate risultanti dalla rilevazione precedente, che essi devono validare e integrare con le nuove spin-off costituite nel periodo di riferimento. Inoltre, attraverso interrogazioni alla banca dati AIDA di Infocamere, il sistema recupera automaticamente informazioni economico-finanziarie su ciascuna società, quali: forma giuridica, stato dell’impresa (attiva, in liquidazione, cessata), settore ATECO di attività, fatturato annuo, numero di soci, composizione delle quote, ecc.. Questo consente di alleggerire il carico di compilazione per gli atenei e, al contempo, di uniformare i dati raccolti a livello nazionale.
Oltre ai dati anagrafici ed economici prelevati da Infocamere, gli atenei devono fornire ulteriori dettagli qualitativi tramite un questionario per ogni spin-off. In particolare, vengono richieste informazioni quali: la data della delibera del CdA con cui l’ateneo ha approvato lo spin-off (e l’eventuale anno di fine accreditamento, se la collaborazione è terminata); il numero di soci operativi coinvolti e l’area disciplinare CUN di provenienza dei soci fondatori (per mappare i settori scientifici da cui originano le imprese); il numero di addetti (dipendenti/collaboratori) che lavorano nello spin-off, indicando quanti di essi sono dottori di ricerca o laureati dell’ateneo, come misura dell’occupazione qualificata generata; il tipo di attività svolta dall’impresa (es. produzione di dispositivi medici, consulenza biotecnologica, sviluppo software, ecc.); l’eventuale stato di incubazione, ovvero se la società è ospitata in un incubatore universitario o altro incubatore certificato; l’eventuale utilizzo di infrastrutture universitarie (laboratori, apparecchiature scientifiche) da parte dello spin-off; le modalità di collaborazione in essere con l’ateneo (ad esempio contratti di ricerca congiunti, progetti comuni, tirocini attivati); e infine l’elenco di eventuali brevetti di cui lo spin-off sia titolare o licenziatario, specialmente se originati dalla ricerca accademica. Queste informazioni permettono di avere un quadro completo non solo quantitativo (numero di spin-off), ma anche qualitativo dell’attività di Terza Missione: si valuta in che misura le imprese crescono, impiegano capitale umano formato dall’università, producono innovazioni brevettate e mantengono interazioni virtuose con il mondo accademico.
I dati raccolti attraverso la SUA-Terza Missione confluiscono nei processi di valutazione e accreditamento. Come accennato, in sede di Accreditamento Periodico delle sedi universitarie l’ANVUR esamina anche gli aspetti di Terza Missione (ambito E della griglia AVA) e verifica che l’ateneo disponga di un sistema efficace di gestione della ricerca e del trasferimento tecnologico. Tra gli indicatori considerati vi è, in forma aggregata, il numero di spin-off per docente, indicatore che segnala la propensione imprenditoriale del corpo accademico e la capacità dell’ateneo di tradurre i propri risultati scientifici in iniziative economiche. Un basso numero relativo potrebbe indicare un potenziale non sfruttato o barriere interne alla creazione di imprese; viceversa, un alto tasso di spin-off suggerisce un ecosistema dinamico di innovazione. Va sottolineato che l’indicatore numerico da solo non esaurisce la valutazione: in sede di audit, le commissioni di esperti esaminano anche come l’ateneo supporta concretamente gli spin-off (esistenza di uffici dedicati, fondi seed capital, presenza di poli di innovazione, ecc.) e quali risultati tangibili si registrano (ad es. casi di spin-off di successo, attrazione di investimenti, internazionalizzazione). Inoltre, nel contesto della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR), l’ANVUR ha sviluppato metodi per valutare l’impatto socio-economico: nel VQR 2015-2019 alle università è stato chiesto di presentare casi studio di Terza Missione, alcuni dei quali potevano riguardare proprio spin-off nati da ricerche eccellenti, evidenziandone i risultati (ad es. prodotti innovativi lanciati sul mercato, aziende che hanno creato decine di posti di lavoro altamente qualificati, ecc.). Tali studi di caso, valutati dal GEV di Terza Missione, hanno contribuito a fornire un quadro narrativo e qualitativo del contributo degli spin-off accademici al progresso economico e tecnologico del Paese.
Nel complesso, l’esistenza di strumenti di rilevazione strutturati come la SUA-TM e di procedure valutative dedicate riflette l’importanza attribuita a livello di politiche pubbliche agli spin-off universitari. La trasparenza nei dati e la comparabilità tra atenei incentivano infatti una virtuosa competizione nel campo della Terza Missione: gli atenei sono spinti a migliorare continuamente i propri meccanismi di trasferimento tecnologico e a moltiplicare le opportunità imprenditoriali per non sfigurare nelle valutazioni nazionali. Inoltre, i risultati di queste valutazioni incidono su quote di finanziamento (attraverso la cosiddetta quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario), orientando così le università ad investire strategicamente nel supporto agli spin-off. In sintesi, la misurazione sistematica e la valutazione comparativa degli spin-off costituiscono un motore di policy, attraverso cui il Ministero e l’ANVUR stimolano gli atenei a consolidare la Terza Missione come terzo pilastro della loro attività istituzionale, accanto a didattica e ricerca.
Spin-off e valorizzazione economica della ricerca universitaria
Gli spin-off universitari si collocano all’intersezione tra il mondo accademico e il sistema produttivo, svolgendo un ruolo di catalizzatore nell’ecosistema dell’innovazione. Il loro contributo alla valorizzazione economica della ricerca è molteplice e significativo:
Da un lato, essi rappresentano uno strumento diretto di trasferimento tecnologico. Attraverso lo spin-off, conoscenze avanzate e tecnologie sviluppate nei laboratori universitari vengono tradotte in prodotti, servizi o processi innovativi commercializzabili, superando il cosiddetto “gap di trasferimento” spesso presente tra ricerca di base e applicazione industriale. Questa conversione avviene grazie al coinvolgimento degli stessi ricercatori/inventori nel progetto imprenditoriale, il che assicura che il know-how tacito e l’expertise scientifica rimangano all’interno del processo di sviluppo del prodotto. In assenza dello strumento spin-off, molti risultati di ricerca resterebbero confinati nelle pubblicazioni o nei brevetti non sfruttati, mentre l’impresa accademica consente di portarli sul mercato, creando valore aggiunto. Ciò risponde alla finalità pubblica di mettere a disposizione della società i benefici della ricerca scientifica, stimolando al contempo la competitività del tessuto industriale nazionale.
Dall’altro lato, gli spin-off contribuiscono alla creazione di nuova imprenditorialità qualificata. Spesso queste imprese coinvolgono giovani laureati, dottori di ricerca e assegnisti, offrendo loro un percorso alternativo di carriera al di fuori (o parallelo) dell’accademia, in cui possono applicare le proprie competenze in un contesto d’impresa ad alto contenuto tecnologico. In questo senso, gli spin-off fungono da ponte tra formazione avanzata e mondo del lavoro, contrastando la “fuga di cervelli” e generando occupazione qualificata sul territorio. Alcuni spin-off crescono fino a diventare PMI innovative consolidate o vengono acquisiti da aziende più grandi, integrando il capitale intellettuale universitario nei settori produttivi tradizionali. Ciò produce un impatto economico tangibile in termini di sviluppo locale, attirando investimenti e talvolta stimolando la nascita di cluster tecnologici attorno agli atenei (si pensi ai distretti biotech, ICT o di energie rinnovabili in cui gli spin-off universitari hanno fatto da apripista).
Dal punto di vista delle politiche pubbliche italiane per università e ricerca, la promozione degli spin-off si inserisce in una visione più ampia di innovazione diffusa e collaborazione pubblico-privato. Negli ultimi anni, il Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) e altri attori istituzionali hanno lanciato iniziative specifiche a sostegno del trasferimento tecnologico: ad esempio, programmi di finanziamento per Proof of Concept, fondi per incubatori universitari, accordi con il Ministero dello Sviluppo Economico per facilitare brevetti e start-up. In tali programmi, le imprese spin-off universitarie sono spesso destinatarie o protagoniste. Anche i Piani Nazionali della Ricerca (PNR) hanno sottolineato l’importanza di rafforzare le sinergie tra università e industria, e gli spin-off sono indicati come uno dei KPI (Key Performance Indicators) per monitorare l’impatto delle azioni di ricerca e innovazione. L’Italia, in linea con le strategie europee, mira a aumentare il numero e la vitalità degli spin-off accademici per colmare il ritardo nel trasferimento tecnologico e favorire la transizione verso un’economia basata sulla conoscenza.
In conclusione, gli spin-off universitari si sono affermati come uno strumento operativo centrale della Terza Missione degli atenei italiani. La loro disciplina normativa – dal quadro legislativo ai regolamenti di ateneo – ne delinea con precisione la definizione, i requisiti e i limiti, assicurando un equilibrio tra autonomia imprenditoriale e funzione pubblica della ricerca. Sul piano organizzativo, le procedure di approvazione e monitoraggio affidano alle università il compito di incubatrici istituzionali di nuova impresa, con responsabilità sia di abilitazione (facilitando la nascita di spin-off validi) sia di salvaguardia (vigilando su conflitti di interesse e qualità scientifica). Infine, l’integrazione degli spin-off nei sistemi di valutazione della performance accademica – attraverso indicatori dedicati e raccolta sistematica di dati – testimonia la rilevanza strategica attribuita a queste iniziative nelle politiche pubbliche per l’università e la ricerca. Gli spin-off costituiscono un veicolo privilegiato di valorizzazione economica della ricerca, traducendo l’eccellenza scientifica in innovazione e sviluppo: un obiettivo che è ormai parte integrante della missione istituzionale delle università italiane.