Sono vari anni che chi scrive ha provato a “vendere” le analisi sulla politica e l’economia internazionale di Stroncature al mondo della finanza e delle imprese, ma senza molto successo. Spesso mi sono chiesto le ragioni, e la risposta che mi sono dato e che si trattava di una incomprensione dovuta non alla mancanza di interesse nei confronti delle questioni di politica internazionale e geopolitica delle aziende, ma dal fatto che parlavamo linguaggi diversi. Ecco perchè'.
La principale argomentazione che si sosteneva ha a che fare con un cambiamento epocale che c’è stato negli ultimi anni. Difficile definirne con precisione la data di inizio. Si potrebbe pensare, con il senno di poi, alla nomina di Xi Jinping o all’invasione della Crimea da parte degli omini verdi di Putin. In cosa consiste questo cambiamento? In quello che qui si è definito il ritorno degli zeloti e nella sconfitta degli erodiani, e cioè la fine di quel processo di convergenza politica, nel quale sembrava che tutti i paesi volessero diventare liberali, attraverso un processo di integrazione economica.
In quest’ottica, il mondo era realmente piatto, politicamente piatto. Il che voleva dire che, a differenza degli anni della Guerra Fredda, le analisi di politica internazionale, studi strategici e anche geopolitici, contavano poco. A contare erano, e giustamente, le analisi economiche, il diverso peso dei fattori della produzione, i diversi vantaggi comparati delle nazioni, i passi in avanti fatti sulla via dello sviluppo dalle economie emergenti.
Ora, c’è un punto che vale la pena sottolineare perchè ci ritornerà utile dopo. Il bello dell’economia è che si tratta di una analisi razionale, dove il vantaggio economico è spesso misurabile, la logica del calcolo economico abbastanza universale e la maggior parte dei fattori, una volta che si è stabilito che le volontà e le variabili politiche sono date, sono quantificabili.
Il punto è che negli ultimi anni e in maniera progressiva, tutto è cambiato, con le grandi potenze regionali che hanno posto fine al processo di convergenza, hanno voltato le spalle all’ordine liberale e stanno cercando, con la forza di imporre loro ordini regionali. Questo vuol dire che il mondo smette di essere politicamente piatto, i valori liberali non sono più universali, ma a contare sono, lo dico nella maniera più neutra possibile, le sensibilità locali.
Se vogliamo dirla con Toynbee, come si accennava, si tratta della reazione degli zeloti, vale a dire nel rifiuto da parte delle elite locali di adeguarsi al quel processo di occidentalizzazione, che ha ondate progressive e con sempre maggiore forze, ha invaso il resto del mondo (quello al di fuori dell’Europa), imponendogli di adeguarsi o di perire. Rifiuto dell’Occidente e rivendicazione di una tradizione vissuta come sacra. In questo senso si può dire che questo processo è anche una risacralizzazione del mondo non occidentale. La cosa è evidente a Mosca, con l’alleanza di ferro con la chiesa ortodossa, ma è presente anche a Pechino, con la sacralizzazione della figura del presidente-imperatore.
Vogliamo chiamare questo processo ritorno della politica? Chiamiamolo pure, ma a condizione di intendersi su cosa è politica, o quanto meno una sua parte. Ebbene, per certi versi, la politica non è altro che la capacità di gestire (manipolare, aizzare, sopire) l’opinione pubblica incanalandola verso il perseguimento di determinati fini politici. Questo vuole dire molto cose, ma due in particolare.
La prima, in questa accezione la politica è impastata con una grande quantità di fattori irrazionali i lutti e i trionfi del passato, le paure del futuro, gli odi e le rivalità regionali, le terre irredente e il sacro suolo della patria, la terra dei padri, le non nate genti, la revanche e il diritto di un posto al sole. Tutti fattori che hanno a che fare con la coscienza storica dei popoli e la sua manipolazione, con categorie politiche e sociologiche, con pezzi di psicologia delle folle che non sono quantificabili, misurabili, incasellabili in un foglio excel.
La seconda, con la fine del mondo piatto, come si è detto, l’analisi razionale del comportamento politico delle grandi potenza sulla scena internazionale, potrebbe lasciare progressivamente il passo, ad impulsi politici delle grandi potenze regionali che sono mosse dalle forze che si sono appena elencate, certo in maniera non esaustiva.
Ora, una parte del mondo della consulenza aziendale, degli analisi del mondo piatto di ieri, hanno colto questo cambiamento epocale, solo che hanno reagito utilizzando gli strumenti razionali in loro possesso. Di qui tutto un proliferare di analisi rischio geopolitico fatte a forza di dati economici, minerari, geologici, commeraciali e via elencando, di solito affidati a questo o quell’algoritmo. Tutte operazioni utili e meritorie, sia chiaro, il cui valore non va sottovalutato. Il punto è che rischiano di guardare al mondo di ieri, a un mondo che non c’è più, visto che non sono in grado si cogliere quelle variabili politiche, di cui si è detto sopra, che ieri non contavano niente, o quasi, ora sono delle forze possenti.
Per dirla diversamente, questi modelli quantitativi non sono in grado di cogliere la nostalgia del sacro di un popolo, o il suo sentimento di revanche, umiliazione e frustrazione, nè di avere consapevolezza delle operazioni di formazione dell’opinione pubblica, fatte dalle elites politiche attraverso i libri di testo delle scuole.
Per concludere è importante che il mondo finanziario e le imprese, il cui luogo di lavoro è il mondo, prendano atto di questo cambiamento epocale e della necessità di utilizzare strumenti appropriati per leggere il mondo nuovo e capire le ripercussioni che questi cambiamenti internazionali hanno sulle proprie attività, in maniera indiretta o meno. Altrimenti si rischia di fare come quei marinai della domenica, che si avventurano in mare senza buttare nemmeno uno sguardo alle previsioni del meteo.
Ps. Stroncature continua a produrre strumenti analitici che servono leggere il mondo e interpretare le transizioni in atto. Sono gli strumenti a disposizione degli abbonati, ma anche una serie di Strumenti riservati a imprese e istituzioni.
Contributo molto interessante. A mio vedere, a partire dagli anni ottanta, quando prende forma un movimento di rivendicazione di moltiplicazione delle storie, delle memorie, delle identità, la sacralizzazione della politica si intensifica. In questo contesto, che non è più nuovo, gli strumenti di analisi dell’antropologia sono diventati più importanti di quelli di altre scienze (penso soprattutto alla sociologia).
Negli anni passati, per quanto riguarda l’America latina ho vissuto da lontano la stessa esperienza cui accenni tu in apertura. Dico da lontano, perché dopo una o due esperienze giovanili mi sono dedicata alla sola ricerca di base. Segnalo però un’istituzione che si è evoluta in questo senso, e lo posso dire per esperienza diretta, per i contatti istituzionali che ho avuto con l’esercito: dagli anni novanta, e suppongo che questo interesse si sia mantenuto, i superiori degli studenti militari incentivavano lo studio delle storie di area, cioè extraeuropee (da me venivano gli specialisti contro il narcotraffico) e dell’antropologia, che ritenevano essenziale per gestire le missioni di pace. Almeno in questo senso qualche passo avanti è stato fatto.
Buona giornata!
Chiunque scorra quotidianamente le newsletter della "stampa qualificata" (NYT, WP, Foreign Affairs, The Guardian, The New Statesman, Le N.O., ISPI, ...) raccoglie un florilegio interpretativo e prospettivo molto articolato e quasi gratuito. In un contesto di policrisi, più che di previsioni ha senso parlare di scenari a fronte dei quali predisporre "mitigation". Va privilegiata l'adattabilità, la rapidità di risposta, l'attenzione a tutta la segnaletica, dalle dinamiche del Pil ai trend delle tribù consumistiche. Qualche esempio: quando e come finirà la guerra in Ucraina? Chi vincerà le prossime elezioni americane? Ci sarà una stagnazione dell'economia europea per colpa della Germania?