di Vito Vacca
L’estremo accumulo delle ricchezze penalizza lo sviluppo economico
Questo articolo non si occupa di ricchi, né tanto meno di benestanti, si occupa dell’enorme concentrazione di ricchezza, che si è generata negli ultimi trent’anni a fronte di una serie di fattori:
1) le politiche neo-liberiste che hanno preso piede dagli anni ottanta in poi in tutti i Paesi Occidentali a partire da Gran Bretagna (Thatcher) e Stati Uniti (Reagan), che non hanno portato affatto allo sperato “gocciolamento” (trickle-down) verso il basso, sulla base della fallace teoria economica per la quale i benefici economici elargiti a vantaggio del ceto al vertice della piramide sociale (ad esempio: alleggerimento dell'imposizione fiscale) favorirebbero necessariamente e di conseguenza l'intera società, compresa la classe media e le fasce di popolazione più marginali e disagiate;
2) la globalizzazione espansiva che ha portato ad una sempre maggiore concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi soggetti e/o famiglie, anche in forza di una sempre maggiore finanziarizzazione dell’economia (make money with money);
3) l’emergere ed il consolidarsi dei giganti del web, che con le loro attività informatiche e di servizi hanno di gran lunga surclassato le attività tradizionali in termini di concentrazione della ricchezza, in una dinamica temporale di accumulo (in un brevissimo periodo) mai vista in precedenza.
Pertanto, questo articolo si occupa di High Net Worth Individuals (HNWI), ed in particolare degli “ultra HNWI” ossia degli ultra ricchi, che sono definiti come gli individui con oltre 30 milioni di dollari in attività finanziarie liquide, escludendo beni personali, proprietà quali un’abitazione principale, oggetti da collezione e beni di consumo durevoli.
La classificazione comunemente accettata vede la seguente suddivisione delle attività finanziarie liquide degli High Net Worth Individuals (HNWI):
Questa classificazione di individui con un patrimonio netto elevato o molto elevato si qualifica per i conti di investimento gestiti ad hoc nelle gestioni patrimoniali; infatti, più attività ha una persona, più lavoro ci vuole per mantenere e preservare questi beni con servizi personalizzati nella gestione degli investimenti, nella pianificazione patrimoniale, nella pianificazione fiscale (inclusi i paradisi fiscali) ed altro ancora.
Secondo il Capgemini World Wealth Report 2020, più del 60% della popolazione mondiale HNWI vive negli Stati Uniti, Giappone, Germania e Cina; aprono gli USA con 5,91 milioni di HNWI, il Giappone segue con 3,38 milioni, poi Germania 1,46 milioni e Cina 1,31 milioni di individui.
Prima del Covid nel 2019, la popolazione degli HNWI aveva raggiunto attività per 74 trilioni di dollari di ricchezza nel Mondo, ripartita in questo modo: Asia 22,2 trilioni di dollari, seguita dal Nord America con 21,7 trilioni di dollari, poi l'Europa con 16,7 trilioni di dollari, l'America Latina con 8,8 trilioni di dollari, il Medio Oriente con 2,9 trilioni di dollari e l'Africa con 1,7 trilioni di dollari.
Negli ultimi decenni, alla costante tendenza di aumento dei patrimoni e dei redditi degli ultra ricchi si è accompagnata la riduzione delle aliquote fiscali, nonché l’emergere di vari escamotage “legali” per pagare meno imposte; infatti, mentre una famiglia americana media, che guadagna circa 70.000 dollari all’anno, paga imposte federali annuali pari al 14%, un’indagine di ProPublica ha scoperto che i 25 statunitensi più ricchi (secondo le stime di Forbes) hanno pagato un’“aliquota reale” pari ad appena il 3,4% sulle nuove ricchezze accumulate tra il 2014 e il 2018.
Negli Stati Uniti, l’imposta marginale massima (che si applicava soltanto all’ultimo scaglione dei redditi molto elevati) era al 94% alla fine della Seconda Guerra Mondiale ed al 69% nel 1981 all’arrivo alla presidenza di Ronald Reagan; questa imposta negli ultimi 40 anni si è quasi dimezzata negli USA, seguita in questo processo dalla maggioranza dei Paesi Occidentali.
Negli Stati Uniti, il processo di accumulo delle ricchezze ha portato il 10% più ricco della popolazione a detenere (nel 2021) il 70% della ricchezza del Paese, mentre nel 1990 era pari, al già molto consistete, 60% del totale del valore; pertanto, con il passare del tempo la dinamica della concentrazione della ricchezza in poche mani prosegue in maniera sempre più consistente.
Se si passa ad analizzare la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione, i dati sono veramente impressionanti e sono in costante aumento negli ultimi vent’anni con la sola eccezione della Germania stabile e della Francia e del Giappone in leggera flessione.
Nel 2020, in Russia l’1% della popolazione deteneva il 58,2% della ricchezza totale, in Brasile l’1% possedeva il 49,6%, in India l’1% aveva nelle proprie mani il 40,5%, negli USA l’1% deteneva il 35,3%, in Cina (Paese formalmente comunista) l’1% della popolazione possedeva il 30,6% della ricchezza.
Per quanto riguarda l’Italia gli individui HNWI erano 298.000 nel 2019 (prima del Covid), con un incremento annuale del più 8% rispetto all’anno precedente, e nella tabella seguente sono riportati i dati specifici dei primi dieci Paesi per ammontare di popolazione di “ricchi”, “super ricchi” ed “ultra ricchi” (YOY growth = year over year growth, ossia crescita rispetto all’anno precedente).
Nei tre anni successivi la situazione non è affatto migliorata, anzi i dati disponibili fanno vedere che il processo di concentrazione della ricchezza nelle mani del dieci per cento più ricco della popolazione è aumentato anche durante la pandemia, ed in particolare a favore dell’uno per cento più ricco della popolazione a livello mondiale.
Questa dinamica, ormai consolidata, arreca gravi danni allo sviluppo economico planetario; negli ultimi decenni una serie di fattori (sopra elencati, in apertura di questo articolo) stanno portando ad una progressiva erosione del ceto medio, che si impoverisce sempre di più (non soltanto) nei Paesi Occidentali scivolando verso il basso; inoltre, marginalizzando e penalizzando ulteriormente le fasce più fragili della popolazione, che non vedono alcuna possibilità di miglioramento davanti a loro.
Tutto questo non giova a nessuno: non agli imprenditori che hanno bisogno di capitali attenti e motivati agli investimenti in vista di un corretto ritorno economico (e giustamente non guardano di buon occhio alle rendite parassitarie); non ai decisori politici che si trovano sempre di più a dover fare i conti con disponibilità finanziarie ridotte dal fatto che quell’uno/dieci per cento della popolazione ultra ricca non paga le imposte, oppure le paga in termini ultra minimi a fronte dell’enorme 70 per cento della ricchezza posseduta.
Nel concreto, continuare ancora con le politiche neo-liberiste e di rigida austerità di bilancio dell’Unione Europea che vanno ad impattare soprattutto sulla classe media (riducendo la sanità, la scuola, il welfare), ormai tosata da anni in tutti i modi possibili ed immaginabili, non porta a nulla di buono in una prospettiva futura e di un futuro possibile, ossia di poter immaginare per i propri figli un domani che non sia scandito dall’attuale paradigma del progressivo impoverimento da una generazione all’altra.
Bisogna ripensare le politiche pubbliche nell’intero Occidente (guidando se possibile il resto del Mondo), non è utile per nessuno l’enorme concentrazione di ricchezza nelle mani di pochissimi ultra ricchi, alcuni dei quali (Warren Buffet e Bill Gates) da almeno vent’anni chiedono di pagare più imposte sui loro patrimoni e redditi (e hanno messo in campo attività benefiche e/o caritatevoli, che però non risolvono il problema).
Infatti, immense ricchezze concentrate in pochissime mani drenano le risorse per gli investimenti a livello globale e rallentano lo sviluppo economico (sostenibile), non scontando una tassazione adeguata sugli enormi patrimoni ed i redditi ingenti.
Certo la natura transnazionale delle grandi imprese del web e di altri player a livello globale non rende facile il compito di far pagare le imposte in maniera corretta agli ultra ricchi (spesso i redditi da capitale sono esenti o scontano una tassazione ridotta), ma il tema non è più procrastinabile e va affrontato nel dibattito dell’opinione pubblica per trovare una soluzione che sia pratica, concreta ed attuabile.
In conclusione, un suggerimento: nei Paesi Occidentali sarebbe il caso di dedicare meno tempo del dibattito pubblico ai migranti (più poveri di noi), ma che lavorando non impoveriscono i nostri Paesi (anzi in prospettiva servono a tenere in ordine i conti della previdenza); occupandoci, invece, maggiormente di come far pagare le imposte agli ultra ricchi, che drenano ingenti risorse alla finanza pubblica e quindi ai servizi che servono a tutti i cittadini.