Grecia 1821: la nuova Europa nasce nel sangue
di Andrea Pradelli, Università degli Studi di Trento
Il congresso di Vienna mirava a ristabilire la pace tra le grandi potenze e stroncare ogni focolaio di rivoluzione. Bisognava tornare, per quanto possibile, allo status-quo prenapoleonico. Ma l’Europa era cambiata e venti di liberalismo soffiavano dalla Spagna alla Polonia, passando per l’Italia. A rompere l’equilibrio, però, è una provincia povera e periferica dell’Impero ottomano: la Grecia.
Mark Mazower, storico inglese della Columbia University e autore, tra gli altri, di Salonicco, città di fantasmi e Le ombre d’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, racconta la rivoluzione greca. Il suo libro Grecia 1821. La rivoluzione che cambiò l'Europa è rigoroso e avvincente, e non c’è una netta divisione fra “buoni” e “cattivi”. La guerra è infatti molto cruenta: ai massacri turchi di Chios (1822) e Missolungi (1825-26), corrispondono atrocità commesse dai greci, come l’uccisione indiscriminata di circa 8000 ebrei e musulmani dopo la presa di Tripolitsa, capoluogo provinciale del Peloponneso (23 settembre 1821).
La caratteristica distintiva della rivoluzione greca è la complessità, che Mazower rende in maniera eccellente. Il lettore avrà bisogno di farsi uno schema per ricordare tutti i personaggi che intervengono nella lotta, da una parte o dall’altra. Lo stesso Peloponneso, centro della rivolta, è un puzzle multietnico. Se la maggioranza della popolazione è greca e cristiana, ci sono anche 400 000 musulmani. La minoranza albanese è significativa in tutta la Grecia, e spesso si tratta di bande armate difficili da controllare. Alcuni sono cristiani, come i Sulioti e gli Arvaniti, e supportano la causa greca, altri sono musulmani e combattono per il sultano Mahmud II. Albanesi sono anche Alì Pascià di Giannina e Mehmet Ali Pasha. Il primo diventa signore de facto di vasti territori tra Albania centro-meridionale e Grecia centro-settentrionale. Dalla sua corte sfarzosa di Giannina sfida il sultano, fino a quando non viene definitivamente sconfitto e ucciso nel 1822. Tra i suoi seguaci alcuni appoggiano la causa greca, altri sostengono il sultano. Il secondo, Mehmet Pasha, viene nominato governatore dell’Egitto e lo rende uno stato di fatto indipendente dal sultano, con un’amministrazione e un esercito basati sul modello francese. Dopo le disfatte dei primi anni della rivoluzione, è a lui che Mahmud II si rivolge per sottomettere la Grecia. Il figlio Ibrahim Pasha sbarca in Peloponneso nel febbraio del 1825 e conquista città su città massacrando gli abitanti terrorizzati. Il 5 giugno 1827 Atene cade e la rivoluzione sembra spacciata.
I turchi, però, non avevano fatto i conti con la diplomazia europea. Se all’inizio le grandi potenze si erano mantenute caute per evitare di sconvolgere il concerto europeo di Vienna, nel 1827 la situazione era mutata. La Russia già dai tempi della zarina Caterina II sognava la restaurazione di qualcosa di simile all’impero bizantino e nel 1770 aveva sobillato una rivolta dei greci del Peloponneso, repressa nel sangue dai turchi. Nell’era del romanticismo e della riscoperta dell’antichità greco-romana, tanti europei scontenti del sistema di Metternich erano sbarcati nel Peloponneso per sostenere la causa greca. Tra questi, detti filelleni, c’erano il poeta inglese lord Byron, gli italiani Santorre di Santarosa, Brengeri e Francesco Bruno, il tedesco Karl von Norman-Ehrenfels, gli ufficiali francesi Jean-François-Maxime Raybaud e Joseph Baleste e i generali britannici Richard Church e Thomas Cochrane. Come racconta Mazower, i filelleni rimangono delusi quando scoprono che la vera Grecia è diversa dall’ Atene di Pericle: è povera, calda, piena di clan riottosi e non meno violenti dei turchi. La loro pressione sull’opinione pubblica, però, è il segno che una nuova Europa sta nascendo. Eugène Delacroix immortala i massacri turchi nei dipinti Scene dal Massacro di Chios e Grecia sulle rovine di Missolungi, e in Inghilterra, Stati Uniti e Francia nascono giornali a sostegno della causa greca, persino in ambienti legittimisti. Haiti è il primo Paese a riconoscere il neonato stato greco, mentre dalle banche di Londra arrivano due ingenti prestiti. Alla fine, Francia e Gran Bretagna non possono che passare all’azione, anche per non lasciare un eventuale stato greco sotto l’influenza russa. Il 20 ottobre 1827 le flotte russa, britannica e francese annientano la flotta turca a Navarino, e nel 1829 la battaglia di Petra stronca la resistenza turca nella Grecia continentale. Nel 1832 la conferenze di Londra e il trattato di Costantinopoli sanciscono l’indipendenza greca, e il trono viene offerto al giovane Ottone di Baviera.
Il terzo, e più importante, protagonista di questa storia è il popolo greco. Dalla presa di Costantinopoli nel 1453 i greci, che ancora nell’Ottocento si definivano Romioi(Romani), sognavano di liberarsi dal dominio turco. Il Romèiko, però, non era cosa facile. Curiosamente la rivoluzione greca non nasce in Grecia, ma ai confini fra Ucraina e Romania. Nel 1814 nasce a Odessa la Filikì Eterìa (società degli amici), una società segreta che mira a liberare la Grecia. Nell’impero zarista vivono molti mercanti greci, ma soprattutto il ministro degli esteri è il greco Ioànnis Kapodìstrias. Il tentativo di nominare Kapodìstrias presidente della Filikì Eterìa fallisce, ma la speranza nel sostegno russo non muore. L’Eterìa fa scoppiare il primo focolaio della rivoluzione nei principati di Moldavia e Valacchia, sotto il dominio ottomano ma da tempo governati da hospodar greci. Il tentativo di sobillare i cristiani locali contro i turchi, però, fallisce completamente. Nel frattempo, il Peloponneso insorge nella primavera del 1821. Mazower sembra non credere alla tradizione secondo cui la rivolta sarebbe iniziata il 25 marzo 1821, quando l’arcivescovo di Patrasso Germanos avrebbe sollevato la bandiera greca con la croce nel monastero di Agìa Làvra. Dal racconto di Mazower si capisce subito che i greci sono tutt’altro che uniti. Il Peloponneso è infestato dai briganti, detti klèftes, e dagli uomini che i turchi mandano per combattere i briganti, gli armatoloi, che spesso diventano a loro volta klèftes. Questi capi senza scrupoli controllano ampi territori e sono maestri nell’arte della guerriglia. Tra di loro ci sono Georgios Karaiskàkis e soprattutto Theòdoros Kolokotrònis, che diventerà il simbolo della lotta di liberazione. I bey, grandi latifondisti, e i kotzabàsides, notabili locali, detengono il potere politico. La marina greca è in mano agli armatori di Hydra, Spetses e Psara, come Geòrgios Kountouriòtis. Non hanno esperienza nelle battaglie navali tradizionali, ma possono raccogliere ingenti fondi, garantire provviste all’entroterra assediato e distruggere le navi turche con i brulotti, temibili navi incendiarie. I rumelioti della Grecia centrale e i membri della Filikì Eterìa, spesso intellettuali liberali che hanno vissuto all’estero, completano il quadro. Presto questi attori entrano in guerra fra di loro. Fra il 1823 e il 1825 tra i greci scoppiano ben due guerre civili, e Kolokotronis viene incarcerato. Con l’avanzata di Ibrahim Pasha la rivoluzione sembra segnata, ma la diplomazia europea e l’eroica resistenza greca portano alla vittoria di Davide contro Golia.
La nuova Grecia sceglie come presidente Ioànnis Kapodìstrias, che si insedia nel gennaio 1828. Lavoratore instancabile, Kapodistrias crea dal nulla un’amministrazione moderna, fonda orfanotrofi, scuole e ospedali ed emana un Codice civile. Da uomo della Restaurazione, però, decide che il popolo greco non è ancora pronto per la democrazia e abolisce la costituzione voluta dal governo provvisorio. Il suo errore, però, è inimicarsi buona parte dei patrioti che avevano combattuto i turchi. Dopo aver fatto arrestare Mavromichalis, bey del Mani, nel settembre del 1831 Kapodìstrias viene ucciso. Già da qui si capisce che per la Grecia l’indipendenza non sarà l’inizio di un’età dell’oro. Ci sono uno stato da costruire, tanti debiti da pagare e lotte fratricide da risolvere. Soprattutto, però, i confini del nuovo stato vengono fissati sulla linea Arta-Volos, dall’Epiro alla Tessaglia: meno di un terzo dei greci che vivevano nell’Impero ottomano faranno parte della Grecia libera. Per arrivare ai confini odierni ci vorranno decenni di guerre violentissime, che culmineranno nella Catastrofe dell’Asia Minore (1919-1922) e cancelleranno per sempre il carattere multietnico e multireligioso della Grecia.