Il metodo scientifico come strumento di autocorrezione: i grandi errori scientifici della storia:
La storia della scienza non è un cammino lineare privo di inciampi: al contrario, è punteggiata da grandi errori, ipotesi rivelatesi false, teorie ampiamente accettate in un’epoca e poi smentite dalle evidenze successive. Lungi dall’essere una debolezza, questa capacità di correggersi è uno dei punti di forza del metodo scientifico. Ogni volta che la scienza abbandona un’idea errata, dimostra in pratica la propria capacità di correggersi e progredire. Esaminare alcuni grandi errori del passato e come sono stati superati aiuta a comprendere come funziona questo processo di correzione: idee affascinanti ma sbagliate vengono lentamente erose dall’accumularsi di dati contrari, finché una nuova teoria più adeguata prende il loro posto. “Errare è umano” – e gli scienziati, in quanto umani, non fanno eccezione – ma la struttura sociale e metodologica della scienza fa sì che prima o poi gli errori vengano individuati e rimossi, avvicinandoci sempre di più a una descrizione fedele della realtà.
Un esempio paradigmatico è il caso del flogisto. Nel XVIII secolo, la teoria del flogisto dominava la chimica: si pensava che ogni sostanza combustibile contenesse flogisto, un principio invisibile che veniva liberato durante la combustione. Questo modello spiegava alcuni fenomeni (ad esempio la perdita di peso di un metallo quando brucia, attribuita al flogisto liberato). Tuttavia, presentava incongruenze: quando certi metalli venivano calcinati (cioè ossidati), aumentavano di peso anziché diminuirlo, fatto difficile da conciliare con l’idea di una perdita di flogisto. Per alcuni decenni, i sostenitori del flogisto aggiustarono l’ipotesi (immaginando flogisto con “peso negativo” o altri artifici) per salvarla. Fu il lavoro di Antoine Lavoisier, con esperimenti quantitativi rigorosi, a screditare definitivamente la teoria tra il 1770 e il 1790. Lavoisier mostrò che nella combustione non veniva emesso un principio invisibile, bensì acquisito un elemento ben reale: l’ossigeno dall’aria. Pesando accuratamente i reagenti e i prodotti (ad esempio, stagno e aria prima, ossido di stagno dopo), dimostrò che il peso guadagnato dal metallo corrispondeva a quello dell’aria consumata nella reazione. La teoria dell’ossigeno si impose perché spiegava coerentemente tutti i risultati, dove il flogisto richiedeva troppi aggiustamenti ad hoc. Entro il 1800, praticamente ogni chimico riconobbe la correttezza del nuovo paradigma e il flogisto venne archiviato come un’ipotesi errata, sebbene storicamente importante. Questo episodio illustra come un’intera struttura teorica consolidata possa essere rovesciata dalla forza dei dati sperimentali e di un’interpretazione più accurata: la scienza si vantò (a ragione) di aver corretto un proprio grande abbaglio.
Un altro classico errore superato è la credenza nell’etere luminifero. A fine Ottocento, i fisici ritenevano che la luce – essendo un’onda – dovesse propagarsi in un mezzo sottile ed invisibile permeante tutto lo spazio, chiamato etere. Per decenni l’etere fu dato per scontato e si cercò di misurarne le proprietà. Nel 1887 gli americani Michelson e Morley condussero un esperimento interferometrico estremamente ingegnoso per rilevare il movimento della Terra attraverso l’etere, aspettandosi di misurare differenze di velocità della luce in direzioni diverse. Con grande sorpresa, il risultato fu “decisamente negativo”: indipendentemente dall’orientamento, la velocità della luce risultava la stessa, senza traccia di vento d’etere. Molti scienziati tentarono allora di salvare l’ipotesi supponendo che l’esperimento non fosse sensibile, o che l’etere venisse in parte trascinato dalla Terra. Ma la spiegazione definitiva giunse con Albert Einstein nel 1905: la teoria della relatività ristretta postulava che la velocità della luce fosse costante in ogni sistema di riferimento e che non vi fosse bisogno di alcun etere. In pochi anni la comunità fisica accettò questa rivoluzione concettuale: l’etere semplicemente “non esiste”. Ancora una volta, una presunzione radicata (il mezzo portante della luce) venne abbandonata alla luce di esperimenti rigorosi e di una nuova teoria più elegante. Michelson, all’inizio del ‘900, commentò ironicamente di sentirsi come chi “aveva passato la vita a cercare quello che non c’è”: eppure il loro null result fu uno dei motori del progresso. Il metodo scientifico non ignora i risultati inaspettati, anzi li eleva a fattori di svolta, mettendo in discussione anche concetti ritenuti fondamentali.
Numerosi altri errori costellano la storia della scienza: dalla classificazione errata di “pianeta” attribuita per decenni a Plutone (oggi declassato a pianeta nano dopo migliori comprensioni delle popolazioni di oggetti trans-nettuniani), all’interpretazione dei canalI marziani come opere di civiltà aliene (smentita da osservazioni ravvicinate che li mostrarono come illusioni ottiche e conformazioni geologiche naturali), fino al famigerato caso dell’uomo di Piltdown, un presunto fossile di ominide scoperto in Inghilterra nel 1912 e accolto entusiasticamente come anello mancante, ma rivelatosi poi nel 1953 una frode (un cranio umano combinato con una mandibola di orangotango). Ogni volta, la comunità scientifica alla fine ha corretto il tiro. Nel caso del Piltdown, nuove tecniche (datazione fluorimetrica, analisi al microscopio elettronico) smascherarono l’inganno, e oggi quell’episodio è citato come esempio della capacità della scienza di auto-purificarsi da errori e falsificazioni.
La scienza è quindi intrinsecamente un processo di scoperta ma anche di correzione. Inizialmente può abbracciare spiegazioni poi rivelatesi sbagliate, perché opera ai margini dell’ignoto e formula ipotesi con le informazioni disponibili. Tuttavia, ciò che la distingue da altri sistemi di pensiero è la determinazione con cui mette alla prova le proprie credenze e le modifica alla luce di nuove evidenze. Come scriveva lo stesso Galileo, “le verità scientifiche si riconoscono dal fatto che prima o poi distruggono gli errori” – un processo spesso doloroso per chi è legato alle vecchie idee, ma salutare per l’avanzamento collettivo. Ogni grande errore corretto ha rappresentato un balzo in avanti: il superamento del flogisto ha aperto la chimica moderna, l’abbandono dell’etere ha portato alla relatività e alla fisica del XX secolo, lo smascheramento del Piltdown ha permesso di ricostruire la vera evoluzione umana senza l’ingombro di un falso.
È importante notare che la scienza non garantisce di avere sempre ragione al primo colpo; al contrario, garantisce un metodo per individuare e correggere gli errori nel tempo. Thomas Kuhn parlerebbe di “paradigmi” che si succedono: un paradigma può dominare finché non accumula anomalie insolubili, dopodiché viene sostituito da uno nuovo in una “rivoluzione scientifica”. Imre Lakatos preferiva l’idea di “programmi di ricerca” che incorporano correzioni successive. Al di là delle formulazioni filosofiche, la pratica scientifica quotidiana riflette un continuo testing e refining delle teorie. In questo senso, l’errore non è un incidente evitabile ma una componente fisiologica della costruzione della conoscenza: ogni errore individuato e rimosso è un successo del metodo. Nessun scienziato accoglie con gioia la smentita delle proprie idee, ma la struttura comunitaria della scienza – con replicazioni, peer review, confronto aperto – assicura che le evidenze alla lunga prevalgano sulle opinioni.
In definitiva, i grandi errori scientifici del passato non sono motivo di sfiducia verso la scienza, bensì la dimostrazione del suo potere di autocorrezione. Ogni volta che una teoria affermata cede il passo a una spiegazione migliore, la scienza mostra la sua natura autocritica e auto-rigenerante. Questo processo non è istantaneo né privo di resistenze (ci sono voluti anni perché alcuni errori fossero universalmente riconosciuti come tali), ma è inesorabile. Col tempo, ciò che è falso viene espulso dal corpo della conoscenza scientifica. Possiamo aspettarci che anche in futuro alcune idee oggi accettate saranno rimpiazzate da teorie più ampie o precise – e sarà un segno di vitalità, non di debolezza. Come affermava Carl Sagan, “nella scienza l’unica verità sacra è che non ci sono verità sacre”: tutto può essere messo in dubbio se l’evidenza lo richiede. Ed è precisamente questa predisposizione all’autocorrezione che ha permesso e permetterà alla scienza di convergere, attraverso errori e smentite, verso una sempre migliore comprensione del mondo reale.
Fonti
Stanford Best Practices in Science – Science Correcting Itself (Science Correcting Itself | Alternative Explanations, Interpretations, and Conclusions | Best Practices in Science); Encyclopædia Britannica – Phlogiston theory (Phlogiston | Antoine Lavoisier, Fire | Britannica); American Museum of Natural History – Luminiferous Ether (Luminiferous Ether: A Pre-Einstein Concept of Light | AMNH).