La Cina è per l’Occidente un rompicapo politico e anche fonte di qualche angoscia. Il motivo non è solo l’idea della maggiore efficacia del governo delle autocrazie nei confronti del chiacchiericcio delle democrazie occidentali (vedi “L’argilla dei piedi cinesi”). C’è dell’altro e ugualmente profondo. È lo sconcerto dovuto al fatto che i liberi commerci, la partecipazione ai benefici dell’ordine liberale, la goccia dell’economia non hanno eroso la roccia del monolite del potere autocratico, trasformandolo in una democrazia liberale.
La cosa non è di poco conto, perché di fatto tutta la Grand Strategy degli Stati Uniti era stata impostata avendo in testa questa idea. Questo è il motivo per il quale sia in America che in Europa tutti gli occhi che era possibile chiudere sono stati chiudi nei confronti delle violazioni cinesi: dumping sociale, dumping monetario, violazione dei diritti umani, la sempre maggiore arroganza cinese, sia a livello regionale (Mar cinese meridionale e orientale) sia a livello globale con Xi Jinping che ha mandato in soffitta il vecchio monito di Deng di tenere un basso profilo. Tali violazioni, sebbene gravi, erano da considerarsi minori rispetto all’obiettivo finale di una transizione cinese verso la liberal-democrazia e alla trasformazione di Pechino in un co-tutore dell’ordine liberale internazionale.
Il punto è che a quasi cinquant’anni dal primo viaggio di Nixon, il Partito comunista sembra più forte che mai e così la crescita economica, il che vuole dire che lo sviluppo economico e il libero mercato non hanno condotto alla trasformazione dall’interno.
Dunque Montesquieu e Kant avevano torto? I liberi commerci e la goccia dell’economia non conducono alla trasformazione politica delle nazioni? E ancora, una crescita economica auto propulsiva è compatibile con l’autoritarismo politico e l’assenza di libertà? Forse è presto per fasciarsi la testa e stracciarsi le vesti.
Una prima considerazione: il processo di trasfusione (Arnold Toynbee lo avrebbe definito “una cosa tira l’altra”) per cui dalla necessità di garantire una serie di diritti economici si stava passando alla richiesta di diritti e libertà politiche, in Cina si era avviato e stava funzionando perfettamente. Nel giugno del 1989 a Pechino gli studenti chiedevano le libertà politiche occidentali.
Dunque, questo processo di trasfusione, che dalla modernizzazione economica e tecnologica conduce alla modernizzazione politica e istituzionale delle società chiuse e che le porta a trasformarsi in società aperte, funziona perfettamente. Il punto è che le società chiuse, in questa storia, non sono degli attori passivi (forse questo è stato l’errore commesso in Occidente), anzi possono reagire e invertire con la forza il processo: i carri armati di Piazza Tienanmen. Il che però non è cosa senza conseguenze.
A questo punto vale la pena introdurre un concetto. Il concetto è quello di “trappola del reddito medio”. In sintesi con “trappola del reddito medio” gli economisti individuano le cause che hanno impedito ad alcuni paesi in via di sviluppo di fare il salto da produttori di giocattoli e magliette (quindi prodotti labour-intensive a tecnologica matura) a prodotti ad altro contenuto di conoscenza e tecnologia nuova e quindi ad alto valore aggiunto.
Dicono gli economisti: un paese si avvia sulla strada dello sviluppo sfruttando spesso quello che è il suo solo vantaggio comparato dopo essersi aperto al mercato internazionale e cioè il basso costo della manodopera agganciata a tecnologie mature che arrivano attraverso gli investimenti diretti esteri.
Quel paese, si conquista così uno spazio nella divisione internazionale del lavoro e inizia a crescere. Cresce anche il reddito medio, fino al punto in cui il costo della manodopera di quel paese non diventa più tanto conveniente come un tempo.
Se nel frattempo quel paese non si è creato una nuova competitività passando dai prodotti labour-intensive a quelli ad alto contenuto tecnologico, le imprese lasceranno il paese e andranno alla ricerca di altre aree del globo dove più basso è il costo della manodopera.
Si prenda il caso di Taiwan, Giappone e Corea del Sud. Tutti hanno fatto il salto da prodotti a basso di conoscenza alle vette High-Tech. I paesi che non fanno questo salto restano intrappolati nell’aumento del reddito medio, perdono il loro vecchio vantaggio comparato, non riescono a crearsene uno nuovo e così vedono svanire i propri sogni di benessere e iniziano a declinare.
Questi sono i casi di paesi che ce l’hanno fatta, mentre altri, come quelli dell’America Latina hanno presto imboccato la via del declino. Perché? Perché alcuni paesi restano intrappolati?
La trappola del reddito medio è un fenomeno economico ma le sue cause (e quindi le sue soluzioni) sono politiche. Nello specifico i paesi che sono riusciti ad evitare la trappola del reddito medio sono quelli che sono riusciti a compiere la transizione politica da regimi autocratici a regimi pienamente liberal-democratici. In sintesi, la transizione economica da prodotti a tecnologia matura a prodotti a tecnologia nuova (prodotta in loco) è possibile se si è prima compiuta una transizione politica dall’autoritarismo alla liberal-democrazia, perché solo istituzioni libere, e in grado di rendere concreta tale libertà per tutti, possono produrre quell’innovazione che è il motore della crescita economica. Proprio come è successo nel caso di Taiwan e della Corea del Sud. Dal che ne consegue, per ritornare al caso cinese, che maggiore è la forza del Partito, minore è il grado di libertà e quindi sempre più flebile si fa la fonte che genera ricchezza.
La domanda a questo punto sorge spontanea: come ha fatto la Cina, che in quanto a diritti e libertà non ha mai brillato, a durare sino ad ora? O meglio, a non risentire pesantemente delle conseguenze economiche del suo assetto istituzionale? Per dirla diversamente, se la libertà genera la creatività e questa ricerca scientifica e sviluppo tecnologico che sono il motore della crescita economica, come ha fatto la Cina ad avere quelle tecnologie che le hanno consentito la crescita?
Pechino è riuscita a non pagare le conseguenze economiche delle sue scelte politiche, perché ha acquisito le tecnologie di cui aveva bisogno attraverso investimenti, fusioni, acquisizioni (o altre operazioni meno trasparenti) nelle società aperte occidentali. Per dirla diversamente, sono le società aperte occidentali che hanno fornito alla società chiusa cinese quelle tecnologie che essa non era in grado di produrre a causa del suo modello istituzionale e di fatto l’hanno tenuta in vita.
Ora qualcosa sta cambiando. Gli Stati Uniti sin dal caso Unocal nel 2005 hanno messo in piedi una serie di barriere per impedire che Pechino acquisisca indebitamente tecnologia. Ora anche l’Europa, che per un decennio è stata considerata dai cinesi il ventre molle dell’Occidente dove poter fare liberamente shopping, sta mostrando una nuova consapevolezza (in questo senso potrebbe essere letto il rinvio del summit Cina-Ue, in programma per settembre a Lipsia).
Per concludere. Se Xi Jinping dovesse realizzare i suoi sogni di restaurazione imperiale e di soffocamento delle libertà liberali nel paese (compresa Hong Kong) e se nel contempo dovessero essere interrotti i canali attraverso i quali la Cina si procurava quella tecnologia che non è in grado di produrre, allora il rallentamento della crescita economica potrebbe accelerare. Il che vorrebbe dire che Pechino pagherebbe in un colpo solo il conto della sua arroganza e della forza bruta con cui tenta di risolvere le questioni interne (ieri Tienanmen, oggi Hong Kong) e sarebbe costretta a prendere atto che i più forti non hanno ragione nemmeno in politica.
Nunziante Mastrolia