Il concetto di fascismo digitale: genealogia, usi e limiti
Il termine “fascismo digitale” si colloca nel più ampio tentativo di comprendere come il potere politico e sociale venga trasformato dall’integrazione tra capitalismo delle piattaforme, tecnologie di sorveglianza e processi di manipolazione dell’opinione pubblica. A differenza del fascismo storico del Novecento, basato su violenza fisica, organizzazione paramilitare e culto del leader, il fascismo digitale opera in modo più sottile e meno visibile, sfruttando l’onnipresenza degli strumenti digitali. La nozione appare per la prima volta all’inizio degli anni Duemila, in contesti diversi. Evgeny Morozov, critico delle utopie tecnologiche, ha parlato di “autoritarismo digitale” per descrivere l’uso delle reti a fini repressivi, mentre intellettuali come Umberto Eco avevano già tracciato, con l’idea di “Ur-Fascismo”, le linee permanenti di un autoritarismo adattabile a contesti differenti. Più di recente, studiosi come Christian Fuchs hanno sistematizzato l’espressione “digital fascism” per riferirsi all’intreccio tra logiche economiche delle piattaforme e forme di dominio politico che sfruttano dati, algoritmi e disinformazione per orientare società intere.