Il ‘post liberalismo’: verso l’impresa-Stato e il crepuscolo delle libertà
di Carlo Iannello
La République des Sciences è la sezione di Stroncature che ospita gli interventi di accademici e accademiche, ricercatori e ricercatrici delle università e dei centri di ricerca italiani. Si tratta di un luogo terzo, rispetto alle riviste scientifiche e ai social network, che ha il fine di dare la maggiore diffusione possibile alle voci del mondo dell’accademia e della ricerca perchè possano impattare con forza sul dibattito pubblico.
di Carlo Iannello1
Le politiche che vengono comunemente definite neoliberali, implementate nel nostro Paese a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, hanno dispiegato i loro effetti ben al di là del campo economico, finendo per modificare in profondità il ruolo e i compiti dello Stato.
La logica dell’impresa ha fatto, inizialmente, il suo ingresso in settori precedentemente gestiti dal pubblico attraverso la privatizzazione del sistema bancario, la privatizzazione e la liberalizzazione dei grandi servizi nazionali e di quelli locali, la dismissione degli asset pubblici e di quasi tutto l’apparato produttivo pubblico.
La sperimentazione realizzata in questi ambiti, con l’apertura al mercato di rilevanti settori pubblici, preceduta dalla creazione di autorità asseritamente indipendenti dal potere politico, è stata poi generalizzata.
In un secondo momento, infatti, questa logica è penetrata nel cuore dello Stato sociale, coinvolgendo i più importanti servizi garantiti in base al principio universalistico: dalla sanità alla scuola all’università (che hanno subito un processo di aziendalizzazione e di messa in concorrenza) fino a coinvolgere, in generale, le politiche di welfare. Ad esempio, le prestazioni, un tempo rese da amministrazioni di erogazione, sono state progressivamente sostituite da politiche market friendly, come la corresponsione di bonus ai cittadini, affinché i bisognosi potessero acquistare sul mercato le prestazioni ‘sociali’ di cui necessitavano, aprendo agli attori del mercato nuove possibilità di guadagno in campi di attività in cui erano precedentemente esclusi.
Anche settori non economici sono stati così ‘regolati’ in base alle leggi del mercato da normative che hanno collocato l’erogazione di questi servizi in un ambiente concorrenziale, costruito artificialmente, dalle stesse normative di settore.
La logica dell’impresa si è, infine, insinuata nella stessa amministrazione pubblica, attraverso la privatizzazione dell’azione amministrativa e del lavoro pubblico.
Tali politiche hanno avuto come obiettivo quello di introdurre la concorrenza in ogni ambito della vita associata (senza che si potesse o volesse arginare questo movimento ai soli settori considerati economici).
Promuovere, creare e favorire la concorrenza è diventato il compito essenziale del potere pubblico, cioè il suo ‘nuovo’ fine, in grado di conferire una ‘rinnovata’ legittimazione alle politiche pubbliche.
Una volta affermatosi il principio concorrenziale come ‘regolatore’ dell’intera vita sociale ne è derivata una ‘coerente’ emarginazione del potere di governo degli organi democratico-rappresentativi. Conseguenza necessaria per evitare che le dinamiche di mercato fossero falsate dalla naturale propensione di questi organi a far valere fini sociali e istanze di giustizia sociale attraverso politiche di carattere redistributivo.
Questo processo ha provocato una completa subordinazione dello Stato all’economia di mercato.
Si è ribaltato il rapporto tradizionale tra politica e mercato, diventato la fonte esclusiva di legittimazione dell’azione pubblica. Neutralizzata la politica, sono stati scardinati i principi dello Stato liberale di diritto e dismesse le politiche redistributive proprie di quello sociale.
Lo Stato, tuttavia, inteso come apparato burocratico autoritativo, ha rappresentato lo strumento essenziale per la realizzazione dei nuovi obiettivi. Non è quindi scomparso e nemmeno arretrato, come si è acriticamente sostenuto in passato, ma si è solo trasformato e, nella sua dimensione autoritativa, persino rafforzato. Ciò che si è profondamente modificato è stato il fine dell’azione pubblica: non più la “conservazione” dei diritti naturali dei cittadini (fossero quelli individuali del primo costituzionalismo o anche quelli sociali del costituzionalismo novecentesco), ma la creazione dell’ordine artificiale del mercato.
Gli Stati si sono così trasformati in profondità.
Neutralizzato il loro ruolo politico, gli organi rappresentativi si sono sempre più allontanati sia dal paradigma liberale che da quello sancito dalle costituzioni novecentesche. I cardini su cui si sono tradizionalmente retti sono stati capovolti. Integro, perché indispensabile al mercato, è restato l’apparato autoritativo (difesa, ordine pubblico e amministrazione della giustizia).
Le libertà politiche e i diritti sociali sono stati infirmati dal decadimento dei fondamenti delle liberaldemocrazie, come sanciti dai testi originari del costituzionalismo settecentesco, ossia garanzia dei diritti, principio rappresentativo e separazione dei poteri, nonché dal tramonto del solidarismo, cuore del costituzionalismo novecentesco. Sono rimaste intatte le sole libertà negative legate al mercato, presupposto indefettibile della società aperta: iniziativa economica e proprietà.
Libertà di iniziativa economica e proprietà, architravi del neoliberalismo, sono tuttavia adesso minacciate proprio dalla efficiente realizzazione dell’ordine imposto dalle stesse politiche neoliberali, caratterizzato dalla fuga del potere dalle sedi politiche e dalla sua sempre crescente concentrazione. Il recente arretramento persino delle libertà economiche (della piccola e media impresa e della piccola e media proprietà privata), emerge, ad esempio, dall’implementazione delle agende digitali e green, che sta avvenendo con la logica del piano, come è il caso del PNRR. Pianificazioni formalmente prodotte sempre dagli organi titolari del potere pubblico, ma per favorire la massima espansione possibile dei grandi attori del mercato, eliminando ogni ostacolo alla loro implementazione (cfr., ad esempio, l’art. 4, comma 7 bis del d.l. n. 60 del 2024). Sebbene il nome evochi strumenti propri dello Stato interventista, queste nuove pianificazioni non sono indice di un ritorno dello Stato come attore di governo, ma della radicalizzazione della tendenza pregressa: lo Stato è ancor più confinato nel ruolo in cui le politiche neoliberali lo avevano collocato, cioè di mera ancella di un mercato sempre più oligarchico. Oramai, l’erosione delle libertà non risparmia più nemmeno quelle economiche, rimaste, fino a poco tempo fa, indenni.
Gli stessi fondamenti teorici del neoliberalismo sono entrati in crisi. Gli studiosi neoliberali auspicavano una società senza pianificazioni, senza etero-direzione dell’economia, senza un governo politico, in cui tutte le scelte fossero lasciate al libero dispiegarsi delle preferenze individuali all’interno di un mercato concorrenziale: frutto, cioè, di una dinamica, comunque sia, determinata da una pluralità di attori.
Decenni di politiche neoliberali hanno, paradossalmente, minato gli stessi presupposti teorici del neoliberalismo. Una nuova forma di centralizzazione economica, realizzata dagli stessi attori del capitalismo transnazionale, sta governando l’economia e la società, attraverso istituti che rimandano alle pianificazioni di stampo collettivistico. Sono oramai le imprese, o meglio, le grandi imprese multinazionali, le piattaforme digitali, i fondi di investimento, a occupare il vuoto creato dall’eclissi della politica e a farsi esse stesse Stato. Sta cioè emergendo una nuova forma di impresa, ‘l’impresa-stato’, come lucidamente messo in evidenza dagli studi sociologici.
Proprio come il neoliberalismo era stato in grado di negare il liberalismo classico, questa nuova tendenza arriva finanche a sconfessare il fondamento del neoliberalismo. Siamo al ‘post-liberalismo’: «oltre» lo Stato e lo stesso neoliberalismo.
«Oltre» lo Stato, perché esso è oramai svuotato di ogni effettivo potere di governo, mero esecutore di decisioni prese in sedi sovranazionali, cui non partecipa da protagonista. «Oltre» il neoliberalismo, perché si sta affermando una nuova direzione (non più pubblica, come accaduto durante l’esperienza dello Stato moderno) dell’economia e della società, bensì realizzata dai grandi attori transnazionali del mercato. Un’impresa che si avvale degli strumenti un tempo usati dallo Stato per correggere le dinamiche di mercato (le pianificazioni), per occupare ogni spazio possibile. Un inedito dirigismo privato, volto alla pianificazione dell'economia e della società, che minaccia anche le superstiti libertà economiche, per dare piena realizzazione ai fini stabiliti delle nuove oligarchie economiche.
Il segno distintivo del ‘post-liberalismo’ è il tramonto della libertà[1].
[1] Queste riflessioni anticipano un lavoro più ampio la cui pubblicazione è prevista nel 2025 con il titolo “Lo stato del potere”.
Professore associato di Diritto costituzionale, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
Un'ottima analisi sulla decadenza dello stato nazione, l'insorgere di economie regionali che vogliono abbandonare le zone più deboli delle rispettive nazioni al loro destino (vedi autonomia differenziata o secessione dei ricchi), il crescente dominio delle oligarchie finanziarie capaci di creare loro spazi su scala mondiale e nuove geografie. Non solo entro i confini planetari, ma anche nello spazio (vedi la cd. space economy e la competizione/collaborazione fra pubblico e privato in quel campo).