Uno dei temi su cui Stroncature ha maggiormente insistito riguarda il passaggio dalla società fordista alla società digitale. Questo passaggio non è solo tecnologico, ma implica una trasformazione profonda delle strutture economiche, delle forme del lavoro e delle modalità attraverso cui si produce valore. La nostra principale preoccupazione, in un’ottica di tenuta delle società aperta, riguarda il destino di quella larga fascia della popolazione che rischia di rimanere prigioniera del mondo fordista, vincolata a occupazioni e funzioni il cui valore aggiunto è in progressivo calo. Queste persone, nonostante l’impegno, non riescono più a garantirsi un’esistenza dignitosa, poiché il sistema economico non remunera più adeguatamente le competenze e le attività che fino a ieri costituivano il cuore dell’industria e del welfare.
Per un certo periodo, qui si è ipotizzato che l’intelligenza artificiale potesse svolgere un ruolo analogo a quello della catena di montaggio nella transizione precedente, quella dalla società contadina a quella industriale. Se la catena di montaggio aveva rappresentato lo strumento attraverso cui masse di lavoratori, privi di formazione tecnica, venivano integrate nella nuova società industriale, semplificando le attività complesse e rendendole eseguibili da chiunque, si pensava che l’AI potesse rendere accessibile la complessità del mondo digitale a milioni di persone. Tuttavia, questa analogia si è rivelata fragile. La catena di montaggio era parte di un ordine produttivo strutturato, in cui il lavoratore aveva un ruolo definito, standardizzato, passivo. Le grandi organizzazioni – imprese o apparati pubblici – garantivano l’integrazione sociale. Il soggetto non doveva capire, né immaginare: doveva eseguire.
L’intelligenza artificiale, al contrario, non fornisce automaticamente un ordine o una struttura. Essa non impone gerarchie né coordina processi: è uno strumento che può essere attivato o lasciato inattivo, a seconda della volontà e delle capacità del soggetto che lo utilizza. L’AI moltiplica ciò che già si possiede: conoscenza, intuizione, creatività, capacità di astrazione, desiderio di sperimentare. Senza questi elementi, l’AI non produce nulla. È uno strumento che non guida né educa; non trasforma da solo un soggetto passivo in attore della nuova economia. In questo senso, il paragone con la catena di montaggio è fuorviante: laddove quest’ultima traduceva la complessità in esecuzione, l’AI traduce la complessità in possibilità, che tuttavia devono essere riconosciute, immaginate e concretizzate dal singolo.
Questa caratteristica rende l’intelligenza artificiale uno strumento selettivo, non inclusivo. La sua efficacia dipende dall’attivazione individuale, dalla disponibilità a interrogarsi, a sbagliare, a tentare nuove vie. Non a caso, coloro che ottengono i maggiori benefici sono spesso già dotati di strumenti cognitivi solidi, di una formazione elevata o di una cultura della sperimentazione. Al contrario, chi proviene da percorsi educativi fragili o è stato formato per obbedire piuttosto che per esplorare, rischia di non trovare nell’AI alcuna leva di emancipazione. L’AI non democratizza automaticamente il sapere, né abbatte le barriere all’accesso: richiede invece un surplus di iniziativa, in un contesto in cui questa capacità non è mai stata universalmente distribuita.
Il punto cieco della modernità sta qui: nel presupporre che basti introdurre una nuova tecnologia per ottenere automaticamente progresso, crescita, inclusione. Ma quando lo strumento è selettivo e moltiplicativo, e non standardizzante e inclusivo, il rischio è quello di consolidare disuguaglianze già esistenti, rendendo la nuova società più chiusa, anziché più aperta. La modernità digitale rischia di voltare le spalle proprio a coloro che una volta erano il fulcro della modernità industriale, se non si immaginano quelle infrastrutture istituzionali che devono far sì che le promesse di progresso, insite nello sviluppo tecnologico, siano mantenuti per tutti.
Ciò solleva una questione politica e culturale centrale: la transizione alla società digitale non può essere lasciata al caso, né affidata alla sola disponibilità tecnologica. Se si vuole evitare che si approfondiscano le disuguaglianze tra chi sa attivare strumenti come l’AI e chi ne rimane escluso, occorre costruire nuove infrastrutture educative e istituzionali che preparino i cittadini a esercitare l’immaginazione, a gestire l’incertezza, a esplorare sentieri alternativi. In assenza di una simile mediazione, l’AI non sarà una zattera collettiva, ma un dispositivo che amplifica il divario tra chi è già in grado di navigare e chi, ancora fermo sulla riva, guarda senza comprendere e si spaventa.