Il ruolo degli esperimenti controllati
Fin dagli albori della scienza moderna, l’esperimento controllato è stato uno strumento fondamentale per indagare la natura. Nei laboratori di fisica e chimica, poter riprodurre artificialmente un fenomeno in condizioni semplificate e isolandone i fattori determinanti ha permesso di scoprire leggi fondamentali: basti pensare agli esperimenti di Galileo sul piano inclinato, grazie ai quali fu compresa l’accelerazione gravitazionale uniformemente accelerata, o alle celebri “teste di Moro” di Lavoisier, con cui si dimostrò la conservazione della massa nelle reazioni chimiche. Un esperimento controllato consiste essenzialmente nel creare due (o più) situazioni identiche in tutto tranne che per la presenza o assenza (o un diverso valore) della variabile di interesse, così da attribuire a quest’ultima l’eventuale differenza osservata negli esiti. Questo approccio, già potentissimo nelle scienze naturali, è stato progressivamente adottato anche nelle scienze della vita e nelle scienze sociali, dove però presenta sfide particolari. L’idea di fondo rimane la stessa: per capire se X causa Y, si cerca di controllare tutti gli altri possibili fattori e di modificare solo X, osservando l’effetto su Y.
Un classico esempio sono i trial clinici randomizzati in medicina, considerati il gold standard per valutare l’efficacia di un trattamento. In un RCT (Randomized Controlled Trial), i pazienti vengono assegnati in modo casuale a due gruppi: uno riceve il trattamento sperimentale (farmaco o intervento), l’altro funge da controllo e riceve un placebo o la terapia standard. La randomizzazione garantisce che, a grandi numeri, i due gruppi siano equivalenti rispetto a tutte le caratteristiche (età, condizioni di salute, stili di vita, ecc.) tranne che per l’intervento ricevuto. Se alla fine dello studio si riscontra una differenza significativa di esito (ad esempio di guarigione) tra i gruppi, si può concludere con elevata confidenza che la causa di tale differenza è proprio il trattamento sperimentale.
Questo approccio sperimentale ha rivoluzionato la medicina a partire dalla metà del Novecento, trasformando la valutazione delle terapie da narrazioni aneddotiche a prove basate su dati controllati. Gli esperimenti controllati hanno peraltro applicazioni che vanno oltre la medicina: in economia e scienze sociali, ad esempio, l’uso di trial controllati per testare politiche pubbliche (come differenti approcci educativi o programmi di lotta alla povertà) è diventato sempre più comune negli ultimi decenni. Per citare un caso, in India e in Africa gruppi di ricerca hanno condotto esperimenti randomizzati per valutare l’impatto di microcrediti, incentivi scolastici o interventi sanitari su comunità locali, isolando gli effetti di ciascuna misura. Questo ha fornito evidenze solide su “cosa funziona” in sviluppo economico, tanto che nel 2019 il Premio Nobel per l’Economia è stato assegnato a Banerjee, Duflo e Kremer proprio per aver portato gli RCT nella valutazione delle politiche di alleviamento della povertà.
Naturalmente, non tutti gli ambiti consentono esperimenti controllati in senso stretto. Nel campo dell’astrofisica o della geologia, ad esempio, non possiamo riprodurre stelle o terremoti in laboratorio su scala reale; la ricerca deve allora basarsi sull’osservazione passiva e su metodologie alternative (come simulazioni al computer e modelli matematici) per testare le ipotesi. Anche nelle scienze sociali esistono limiti etici e pratici: non si possono “assegnare” a caso individui a condizioni di vita dannose (povertà, fumo, ecc.) per vedere cosa succede, né controllare completamente l’ambiente di una società come si farebbe con una provetta. In questi casi, i ricercatori ricorrono a strategie surrogate: esperimenti naturali (situazioni in cui circostanze fortuite creano gruppi comparabili), analisi retrospettive con tecniche statistiche per compensare differenze (propensity score, variabili strumentali) o esperimenti su scala ridotta in ambienti simulati (come i giochi comportamentali in laboratorio per studiare fenomeni economici). Sebbene meno nette, queste soluzioni cercano di avvicinarsi al rigore del controllo sperimentale.
Va inoltre riconosciuto che anche gli esperimenti controllati hanno i loro punti deboli. Uno è la cosiddetta validità esterna: i risultati ottenuti in condizioni controllate e spesso semplificate valgono anche nel mondo reale più complesso? Un farmaco testato su un campione selezionato di pazienti può avere effetti diversi nella popolazione generale con caratteristiche più varie; un intervento sociale efficace in un villaggio pilota potrebbe non funzionare allo stesso modo su scala nazionale, perché intervengono fattori di contesto. Gli scienziati sono consci di questo e cercano di progettare esperimenti sempre più rappresentativi (ad esempio multicentrici, su varie popolazioni) e di integrare le evidenze sperimentali con altre fonti di conoscenza. Un’altra potenziale criticità è di tipo etico: in ambito medico, ad esempio, per portare avanti un RCT bisogna talvolta negare temporaneamente a un gruppo di pazienti un trattamento che si sospetta efficace, per poter fare il confronto col controllo – un dilemma risolto ricorrendo al principio di incertezza (si giustifica l’esperimento solo se a priori non si sa quale trattamento sia migliore) e monitorando attentamente i risultati per interrompere lo studio se una terapia si dimostra nettamente superiore. Nonostante questi limiti, il consenso generale è che, laddove fattibile, un esperimento controllato fornisca l’evidenza più solida di un nesso causale.
Nella storia della scienza, gli esperimenti controllati hanno spesso permesso di smascherare credenze errate e di fare passi avanti rivoluzionari. Ad esempio, per lungo tempo si era creduto che la generazione degli organismi potesse avvenire spontaneamente dalla materia inerte (la cosiddetta “generazione spontanea”). Fu l’esperimento controllato di Louis Pasteur, con i suoi celebri matracci col collo a cigno, a dimostrare che in brodi sterili non nascevano microrganismi a meno che non vi giungessero spore dall’aria, confutando così la generazione spontanea. Allo stesso modo, negli anni ’80, solo un trial clinico controllato (condotto dagli stessi scopritori Marshall e Warren, con auto-somministrazione del batterio H. pylori e successiva cura antibiotica) convinse definitivamente la comunità medica che l’ulcera gastrica era causata da un batterio e non solo da stress o dieta, rivoluzionando il trattamento di quella malattia. Questi esempi mostrano come l’esperimento controllato sia lo “sparo decisivo” che può distinguere tra due spiegazioni alternative. In fondo, il suo valore risiede nell’obbligare la natura a rispondere a una domanda precisa, eliminando quanto più possibile le ambiguità.
Oggi l’uso di esperimenti controllati si estende persino ai servizi digitali e alle grandi piattaforme online, dove vengono effettuati costantemente test A/B (una forma di esperimento controllato randomizzato) per ottimizzare funzionalità e comprendere il comportamento degli utenti. L’idea che “nulla batte un esperimento ben congegnato” è diventata un mantra in molte aziende tecnologiche, eredità diretta del pensiero scientifico. Allo stesso tempo, c’è una maggiore consapevolezza che gli esperimenti vanno interpretati nel contesto di programmi di ricerca più ampi: come sottolineano alcuni metodologi, un singolo RCT da solo non racconta l’intera storia, ma deve inserirsi in un programma cumulativo di indagine con teoria e replicazioni indipendenti. Questo significa che, pur essendo potentissimi, gli esperimenti controllati danno il meglio quando sono parte di una strategia integrata: servono a stabilire “che cosa funziona” in condizioni ideali, e vanno affiancati da ulteriori studi per capire “perché funziona” e come trasporre quel risultato in situazioni diverse. In sintesi, dagli austeri laboratori alle complesse ricerche sul campo sociale, il principio sperimentale rimane il faro metodologico della scienza empirica. È la dimostrazione più chiara che la conoscenza avanza non per semplice osservazione passiva, ma mettendo alla prova attiva le nostre ipotesi di fronte alla realtà.
Fonti
Our World in Data – Why randomized controlled trials matter (Why randomized controlled trials matter and the procedures that strengthen them - Our World in Data); A. Deaton & N. Cartwright, Soc. Sci. Med. 210, 2-21 (2018) (Understanding and misunderstanding randomized controlled trials - PubMed); J.-P. ALexandre et al., Clin. Pharm. Ther. 111(1), 8 (2022).