Il trasferimento tecnologico nella Terza Missione dell’università italiana
Il trasferimento tecnologico può essere definito come l’insieme dei processi con cui l’università converte i risultati della ricerca in conoscenza e soluzioni fruibili al di fuori del contesto accademico, contribuendo allo sviluppo economico e sociale. In origine la Terza Missione accademica era intesa quasi esclusivamente come trasferimento tecnologico, ma nel tempo il suo raggio d’azione si è ampliato includendo anche attività di natura culturale, educativa e sociale. Tuttavia il trasferimento tecnologico resta al centro della Terza Missione, in quanto principale strumento con cui l’università – accanto a didattica e ricerca – promuove lo sviluppo economico e sociale attraverso la diffusione della conoscenza.
Nella tassonomia ufficiale adottata dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), il trasferimento tecnologico coincide in larga parte con le attività di valorizzazione della ricerca (prima macro-area della Terza Missione). In particolare rientrano in tale ambito la gestione e tutela della proprietà intellettuale e industriale derivante dalla ricerca (brevetti, privative vegetali, software e altri titoli di proprietà intellettuale); la promozione dell’imprenditorialità accademica, ovvero la creazione di imprese spin-off e start-up basate su risultati di ricerca; le attività conto terzi, ossia progetti di ricerca e consulenza commissionati da enti esterni a fronte di un corrispettivo; le collaborazioni università–impresa di varia natura (partenariati di ricerca industriale, programmi congiunti di innovazione, ecc.); e lo sviluppo di strutture di intermediazione (uffici di trasferimento tecnologico, incubatori, consorzi pubblico-privati) che collegano atenei e tessuto socio-economico. Queste componenti delineano il perimetro concettuale del trasferimento tecnologico universitario in Italia. Nel seguito si analizzano i relativi processi gestionali, il ruolo atteso delle istituzioni accademiche e gli strumenti attraverso cui tali attività vengono monitorate e valutate.
Processi di trasferimento tecnologico e imprenditorialità accademica
All’interno della vasta gamma di attività della Terza Missione, il trasferimento tecnologico (TT) rappresenta il dominio orientato alla valorizzazione economica e applicativa dei risultati della ricerca scientifica. Esso si realizza attraverso processi distinti ma complementari, tra cui la gestione della proprietà intellettuale, le attività di ricerca conto terzi e l’imprenditorialità accademica. Questi tre ambiti costituiscono i pilastri del trasferimento tecnologico universitario riconosciuti anche dalla tassonomia ufficiale ANVUR. Di seguito se ne delineano le caratteristiche con precisione, sulla base della documentazione istituzionale vigente.
Gestione della proprietà intellettuale – La tutela e la valorizzazione della proprietà intellettuale (PI) prodotta nelle università è un primo fondamentale processo di trasferimento tecnologico. Rientrano in questo ambito tutte le attività legate alla protezione giuridica dei risultati di ricerca e al loro sfruttamento industriale: in particolare il deposito di brevetti per invenzione o modello, la registrazione di privative per nuove varietà vegetali, nonché la gestione di ogni altro titolo di proprietà industriale ai sensi del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. 30/2005, art. 2). L’obiettivo è trasformare le invenzioni accademiche in innovazioni sfruttabili dal sistema produttivo, ad esempio tramite licenze o cessione di brevetti a imprese che ne curino lo sviluppo industriale. Dal punto di vista normativo, i brevetti accademici sono considerati indicatori chiave di Terza Missione: il Manuale ANVUR e i bandi VQR rilevano sistematicamente il numero di brevetti (depositati e concessi) di cui l’ateneo è titolare o co-titolare, nonché gli eventuali introiti derivanti dalla loro commercializzazione. Va sottolineato che per brevetto universitario si intende tipicamente un brevetto ottenuto su un’invenzione alla quale abbia contribuito almeno un docente o ricercatore dell’ateneo, spesso in compartecipazione con enti esterni; la titolarità può essere dell’università (soprattutto se l’invenzione deriva da ricerche finanziate con fondi pubblici) oppure condivisa con partner industriali, a seconda delle politiche di ateneo e degli accordi contrattuali. La gestione della PI in ambito accademico include inoltre il supporto ai ricercatori nelle fasi di prior art search e stesura delle domande di brevetto, la valutazione del potenziale di mercato delle invenzioni e la negoziazione di accordi di licensing. Si tratta quindi di un’attività strategica che richiede competenze specialistiche e che negli atenei italiani è generalmente affidata a strutture dedicate (come si vedrà oltre). La rilevanza istituzionale di questo processo è tale che brevetti e privative sono monitorati annualmente attraverso le schede nazionali (SUA-TM) e valutati sia a livello di ateneo che di dipartimento nell’ambito della performance di Terza Missione.
Attività di ricerca conto terzi – Un secondo asse portante del trasferimento tecnologico è costituito dai progetti di ricerca e consulenza commissionati dall’esterno, i cosiddetti “conto terzi”. Si tratta di attività che l’ateneo (o singoli dipartimenti) svolge su richiesta e finanziamento di committenti esterni – tipicamente imprese, pubbliche amministrazioni o altri enti – a fronte di un corrispettivo economico. In termini operativi, rientrano nella categoria conto terzi i contratti di ricerca applicata, i contratti di consulenza scientifica e più in generale tutte le prestazioni dell’università verso l’esterno che producono un utile per l’ateneo e non rientrano nei finanziamenti competitivi a bando. Queste collaborazioni permettono di trasferire conoscenze e competenze accademiche direttamente nel tessuto produttivo o nella società, rispondendo a esigenze concrete dei committenti. Ad esempio, un’azienda può affidare a un laboratorio universitario lo sviluppo sperimentale di una nuova tecnologia, oppure un ente pubblico può commissionare uno studio specialistico. Dal punto di vista della Terza Missione, gli introiti da conto terzi rappresentano un indicatore quantitativo di primario interesse, in quanto segnalano la capacità dell’università di interagire con il mercato e di attrarre risorse aggiuntive tramite servizi conoscitivi. Già il bando VQR 2011-2014 includeva tra i parametri da considerare i proventi da attività conto terzi accanto a brevetti e spin-off, riconoscendo così il peso di queste attività nella valutazione complessiva. Anche nei successivi esercizi valutativi e nelle linee guida ministeriali, i contratti conto terzi compaiono come elemento rilevante: ad esempio, il DM 1154/2021 annovera tra gli indicatori di performance dipartimentale proprio la proporzione di proventi da ricerche commissionate e trasferimento tecnologico sul totale dei proventi di ricerca. Pertanto le attività conto terzi, oltre a generare impatto economico diretto (in termini di soluzioni innovative per le imprese e risorse finanziarie per l’ateneo), contribuiscono in modo sostanziale alla misurazione dell’efficacia con cui l’università svolge la propria Terza Missione.
Imprenditorialità accademica (spin-off e start-up) – Il terzo pilastro del trasferimento tecnologico accademico consiste nella promozione di nuove imprese originate dalla ricerca: in particolare le imprese spin-off accademiche e, in senso lato, le start-up innovative fondate da personale universitario o basate su tecnologie brevettate dall’ateneo. Secondo la definizione adottata dall’ANVUR (coerente con la normativa ministeriale in materia), uno spin-off universitario è un’impresa che opera valorizzando risultati di ricerca prodotti nell’ateneo di origine, mantenendo con quest’ultimo rapporti organici di collaborazione scientifica, e la cui qualificazione come “spin-off dell’università” è sancita da una delibera formale del Consiglio di Amministrazione dell’ateneo stesso (accreditamento). Non è richiesta necessariamente la partecipazione dell’università al capitale sociale, né la presenza di docenti nei ruoli amministrativi dell’azienda, purché vi sia un accordo ufficiale che riconosce l’impresa come veicolo imprenditoriale per trasferire una tecnologia o know-how accademico. In pratica, tramite gli spin-off l’università concede l’uso di conoscenze proprietarie (ad esempio brevetti o software) a un nuovo soggetto imprenditoriale, spesso coinvolgendo come soci attivi gli stessi ricercatori autori dell’invenzione, così da portare sul mercato prodotti e servizi innovativi nati nei laboratori accademici. Le start-up accademiche costituiscono un concetto analogo ma leggermente più ampio, includendo anche imprese giovanili ad alta tecnologia fondate da studenti, dottorandi o assegnisti legati all’ateneo, talvolta senza un brevetto specifico ma con idee imprenditoriali sviluppate in ambito universitario. La politica italiana negli ultimi anni ha riservato attenzione crescente a queste forme di imprenditorialità: il DM 168/2011 (anticipatore di linee guida in materia) e i regolamenti di molti atenei hanno fissato le condizioni per riconoscere e sostenere gli spin-off, mentre sul piano valutativo il numero di spin-off attivati è da tempo uno degli indicatori di Terza Missione rilevati in sede di VQR. Ad esempio, l’indicatore “ITMS3” introdotto da ANVUR conteggia le imprese spin-off accreditate presso la struttura nel periodo di riferimento. Nella VQR 2015-2019, la valutazione delle attività di imprenditorialità accademica è stata ulteriormente rafforzata mediante l’analisi di casi studio di particolare impatto e la considerazione di elementi qualitativi (es. crescita dell’impresa, creazione di posti di lavoro, attrazione di investimenti) accanto ai puri numeri di spin-off. Complessivamente, la creazione di spin-off è vista come un veicolo strategico di trasferimento tecnologico perché consente di traslare risultati di ricerca dal laboratorio all’industria in modo più diretto e flessibile rispetto alla licenza a terzi: spesso gli spin-off fungono da ponte per sviluppare tecnologie ancora acerbe fino a renderle appetibili sul mercato, oppure per servire nicchie innovative che grandi imprese ignorano. Gli atenei italiani, anche su impulso ministeriale, hanno attivato programmi di supporto all’imprenditorialità accademica (incubatori, bandi proof-of-concept, percorsi di formazione all’imprenditorialità) al fine di aumentare il numero e la qualità delle iniziative spin-off generate.
Il ruolo di atenei ed enti di ricerca nel trasferimento tecnologico
Le università e gli enti pubblici di ricerca (EPR) sono i protagonisti istituzionali dei processi di trasferimento tecnologico sopra descritti. Il loro ruolo non si esaurisce nella produzione di conoscenza scientifica, ma implica la messa a punto di meccanismi organizzativi e gestionali per trasferirla efficacemente fuori dall’accademia. In altri termini, atenei ed enti di ricerca fungono da snodi strategici tra il mondo della ricerca e il sistema socio-economico, all’interno di un quadro di politiche pubbliche che ne richiede un impegno attivo su questo fronte.
Anzitutto, le università promuovono il trasferimento tecnologico dotandosi di specifiche strutture di intermediazione al proprio interno. Ad esempio, quasi tutti gli atenei dispongono di un Ufficio di Trasferimento Tecnologico (UTT) – talora denominato Technology Transfer Office (TTO) – incaricato di gestire i brevetti e i contratti di ricerca conto terzi, supportare la creazione di spin-off e, più in generale, curare i rapporti con le imprese in materia di innovazione. Tali uffici svolgono funzioni specialistiche di valorizzazione della ricerca, spesso in coordinamento con gli uffici della ricerca scientifica e con le divisioni legali per gli aspetti contrattuali. In secondo luogo, molte università hanno istituito incubatori d’impresa o si appoggiano a incubatori regionali/consortili, dove le start-up accademiche possono trovare spazi, servizi e mentorship per sviluppare i loro prodotti. Altre strutture di raccordo includono gli uffici di placement (che facilitano l’inserimento dei laureati nelle aziende, favorendo così la circolazione di know-how) e i laboratori congiunti o centri di innovazione creati in collaborazione con imprese. Spesso gli atenei partecipano inoltre a consorzi e associazioni finalizzati al trasferimento tecnologico su scala territoriale o settoriale: un esempio tipico sono i cluster tecnologici co-promossi da università, centri di ricerca, imprese e istituzioni locali per condividere infrastrutture di ricerca e conoscenze in un dato ambito (dalle biotecnologie all’energia). Tutte queste strutture costituiscono l’infrastruttura attraverso cui l’università “esce” dai propri confini e interagisce con attori esterni in ottica di innovazione.
Il ruolo degli EPR (come CNR, ENEA, INFN, ecc.) è analogo e spesso complementare a quello degli atenei. Gli enti di ricerca, infatti, conducono attività scientifiche finalizzate anche ad applicazioni concrete e partecipano attivamente a progetti con l’industria; alcuni dispongono di propri uffici brevetti e promuovono il licensing delle loro tecnologie. ANVUR negli esercizi di valutazione tende ad applicare criteri e indicatori simili per università ed EPR, per quanto adattati alle diverse missioni istituzionali. Ciò riflette la visione per cui l’ecosistema dell’innovazione nazionale è formato da una pluralità di soggetti pubblici della conoscenza, tutti chiamati – pur con specificità differenti – a concorrere alla “valorizzazione e trasferimento delle conoscenze” verso la società.
Da sottolineare è anche il coordinamento centrale che il Ministero e altri organi pubblici forniscono a sostegno del trasferimento tecnologico. Un attore chiave è il consorzio interuniversitario CINECA, che gestisce le piattaforme informatiche per la raccolta dei dati di Terza Missione (ad es. il portale SUA-TM) e i database nazionali relativi a brevetti, spin-off e contratti. Ad esempio, i dati sui brevetti e sulle imprese spin-off vengono in parte precompilati da ANVUR tramite interfacciamento a banche dati pubbliche e poi validati dai singoli atenei. Ciò facilita un monitoraggio sistematico e comparabile a livello nazionale. Il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), da parte sua, ha varato iniziative specifiche per incentivare l’innovazione accademica: degno di nota è il programma dei Cluster Tecnologici Nazionali, reti di soggetti pubblici e privati coordinate a livello ministeriale in aree tecnologiche ritenute strategiche, con lo scopo di catalizzare risorse e rafforzare il collegamento tra il mondo della ricerca e quello delle imprese. Questi cluster – lanciati a partire dal 2012 – fungono da piattaforme di trasferimento tecnologico su temi di interesse nazionale (ad esempio, agrifood, aerospazio, energia, ecc.), coinvolgendo università in partnership con industrie e amministrazioni locali. In aggiunta, strumenti di finanziamento competitivo come il Programma Nazionale della Ricerca (PNR) e, più di recente, le azioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dedicano linee di intervento al trasferimento tecnologico: si pensi ai bandi per Ecosistemi dell’innovazione, ai Centri Nazionali su tecnologie emergenti, o ai fondi destinati a potenziare gli Uffici di trasferimento tecnologico degli atenei. Tali misure, pur esterne alla valutazione della Terza Missione in senso stretto, integrano il quadro di politiche pubbliche che riconoscono il trasferimento tecnologico come leva per la competitività e lo sviluppo del Paese.
Monitoraggio, rendicontazione e valutazione delle attività di TT
Considerata la rilevanza strategica del trasferimento tecnologico, il sistema universitario italiano si è dotato di appositi strumenti per monitorare, rendicontare e valutare le attività ad esso relative. Ciò avviene su base sia annuale che periodica, intrecciando le esigenze di trasparenza interna con i meccanismi nazionali di valutazione e finanziamento.
Uno strumento cardine è la Scheda Unica Annuale della Terza Missione/Impatto Sociale (SUA-TM/IS). Questo è il questionario ministeriale, gestito tramite CINECA, che ogni ateneo compila annualmente per documentare in modo dettagliato le proprie attività terza-missionali, incluse quelle di trasferimento tecnologico. La SUA-TM è stata introdotta sperimentalmente nel 2014 e a regime dal 2015, come estensione della Scheda Unica Annuale della Ricerca Dipartimentale (SUA-RD). In essa confluiscono dati quantitativi (es. numero di brevetti depositati, imprese spin-off attive, introiti da conto terzi per ciascun anno) e descrittivi (es. politiche di ateneo, strutture di supporto, principali risultati conseguiti). La compilazione è obbligatoria per tutti gli atenei statali e non statali, ed è divenuta parte integrante del sistema di assicurazione della qualità: i dati SUA-TM alimentano sia le analisi annuali dei Nuclei di Valutazione interni, sia le basi informative utilizzate da ANVUR e dal MUR per le loro valutazioni. Ad esempio, nell’ambito della VQR 2015-2019, ANVUR ha utilizzato i dati consolidati SUA-TM per la selezione dei case studies di Terza Missione da sottoporre alla valutazione qualitativa da parte degli esperti. La trasparenza e la standardizzazione garantite da questo sistema di rilevazione annuale permettono inoltre al Ministero di disporre di indicatori aggiornati per eventuali allocazioni di risorse basate sul merito (cosiddetta “quota premiale” del fondo di finanziamento), e più in generale fotografano l’evoluzione nel tempo delle performance di trasferimento tecnologico di ciascun ateneo.
Sul fronte della valutazione periodica, il principale processo è la già citata VQR quinquennale, condotta da ANVUR su mandato ministeriale. A partire dal ciclo VQR 2011-2014, alla valutazione bibliometrica e peer review dei prodotti di ricerca si è affiancata la valutazione delle attività di Terza Missione. Nel bando VQR 2011-14 (DM 458/2015) veniva infatti previsto, a fini conoscitivi, l’esame del “profilo di competitività” degli atenei nelle attività di Terza Missione, tenendo conto di parametri comuni quali proventi conto terzi, attività brevettuale e imprese spin-off, con l’eventualità di considerare tali risultati ai fini del riparto di risorse statali. Questa clausola ha sancito per la prima volta che le prestazioni di trasferimento tecnologico potessero influire concretamente sui finanziamenti pubblici alle università, conferendo di fatto al TT un ruolo strategico e incentivante. Nel successivo esercizio VQR 2015-2019, la Terza Missione ha assunto un peso più strutturato: le linee guida (DM 1110/2019) hanno introdotto una scheda ad hoc in cui ogni ateneo ha presentato un insieme di “casi studio” rappresentativi dell’impatto socio-economico generato, valutati da un Gruppo di Esperti della Valutazione multidisciplinare. Contestualmente, è proseguita la raccolta di indicatori quantitativi standard (brevetti, spin-off, contratti, pubblic engagement, ecc.) per fornire un quadro comparativo di contesto. Questo approccio combinato – indicatori più casi studio – è destinato a consolidarsi anche nelle future valutazioni, in linea con le pratiche internazionali di assessment dell’“impatto” della ricerca. Il trasferimento tecnologico, in particolare, risulta spesso al centro dei casi studio di maggior successo, evidenziando come un progetto scientifico si sia tradotto in innovazione industriale, startup o brevetti sfruttati: tali evidenze qualitative rafforzano la narrazione del ruolo socio-economico dell’università oltre i meri dati numerici.
Un ulteriore livello di valutazione è integrato nel sistema AVA di accreditamento e assicurazione della qualità. Come anticipato, le visite di accreditamento periodico condotte da ANVUR nelle sedi accademiche (generalmente su base quinquennale) verificano anche la capacità dell’ateneo di gestire la Terza Missione. In queste procedure, alle università è richiesto di dimostrare di avere obiettivi strategici chiari sul TT, un monitoraggio attivo degli indicatori e azioni di miglioramento continuo. Le Linee Guida ANVUR per l’Accreditamento Periodico (aggiornate dopo il DM 1154/2021) dedicano una specifica sezione alla Qualità della ricerca e della Terza Missione, articolando criteri quali: l’esistenza di un piano di ateneo per la valorizzazione della ricerca e il TT, l’efficacia delle strutture di intermediazione (UTT, incubatori…), il coinvolgimento del territorio, e i risultati conseguiti rispetto a target prefissati. I panel di esperti valutatori esaminano documenti e indicatori forniti dall’ateneo (ad esempio il numero di brevetti/spin-off per docente, l’ammontare di risorse da contratti industriali, etc.) e possono formulare giudizi e raccomandazioni. L’esito di queste valutazioni influisce sull’accreditamento: eventuali criticità nel presidio della Terza Missione potrebbero comportare condizioni o richieste di intervento correttivo da parte del Ministero. In tal modo, attraverso AVA, la dimensione del trasferimento tecnologico è istituzionalmente integrata nel ciclo di vita delle università, incidendo sulla loro legittimazione periodica e spingendo gli organi di governo a considerarla nei processi decisionali.
Conclusioni
In definitiva, il trasferimento tecnologico occupa un ruolo di primo piano e squisitamente strategico all’interno della Terza Missione dell’università italiana. Negli ultimi anni, l’evoluzione normativa e gli strumenti valutativi hanno progressivamente consolidato la centralità di questi processi: dalle previsioni del D.Lgs. 19/2012 e dei decreti AVA, fino ai meccanismi premiali inseriti nei decreti VQR e alle recenti linee guida per l’accreditamento, tutto converge nel considerare la capacità di trasferire conoscenza al sistema socio-economico come una componente essenziale della performance accademica complessiva. Il trasferimento tecnologico – inteso come gestione della proprietà intellettuale, collaborazione con il mondo produttivo e promozione di imprenditorialità innovativa – non rappresenta più un’attività accessoria o residuale per gli atenei, ma è divenuto parte integrante della loro missione istituzionale, al pari dell’insegnamento e della ricerca.
Le università italiane sono così chiamate a svolgere funzioni di trait d’union tra scienza e società: proteggono i risultati delle proprie ricerche e ne favoriscono l’utilizzo industriale tramite brevetti e licenze; mettono le proprie competenze a disposizione di imprese e istituzioni attraverso progetti conto terzi; incubano nuove iniziative imprenditoriali per tradurre le invenzioni in imprese e posti di lavoro; e, non da ultimo, diffondono cultura scientifica e tecnologie in settori chiave per lo sviluppo. Tutto ciò avviene in sinergia con le politiche pubbliche per l’innovazione, che considerano l’università un attore di sviluppo economico locale e nazionale. Documenti programmatici come la Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente e il Programma Nazionale della Ricerca enfatizzano il potenziamento dei meccanismi di trasferimento tecnologico, e iniziative mirate (cluster, ecosistemi innovazione, fondi proof-of-concept) sostengono l’azione delle università in questo ambito. Allo stesso tempo, l’ANVUR e il MUR vigilano affinché la rendicontazione sia trasparente e la valutazione rigorosa, garantendo un ciclo virtuoso: misurare, confrontare e premiare i risultati di trasferimento tecnologico crea incentivi per le università a investire ulteriormente in tali attività, innescando un miglioramento continuo.
In un quadro di crescente competizione internazionale basata sulla conoscenza, il trasferimento tecnologico diventa dunque per gli atenei italiani una leva strategica per contribuire allo sviluppo socio-economico e per qualificarsi come motori di innovazione. La Terza Missione, in particolare nella sua declinazione tecnologica, si configura come il terreno di incontro tra università e società, dove la ricerca accademica trova applicazione concreta e genera impatto tangibile. Grazie a un corpus normativo e valutativo ormai maturo, questa missione “terza” è oggi pienamente parte dell’identità istituzionale delle università italiane, che ne perseguono gli obiettivi con rigore tecnico e visione strategica. Il trasferimento tecnologico, in sintesi, non è solo un insieme di procedure amministrative, ma un elemento chiave della strategia accademica nazionale per promuovere innovazione, competitività e progresso sociale mediante la conoscenza.
Fonti: Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR); Agenzia ANVUR – Linee guida e Manuali Terza Missione; Normativa vigente (L. 240/2010; D.Lgs. 19/2012; DM 47/2013; DM 987/2016; DM 1110/2019; DM 1154/2021).