Introduzione alla Corporate Due Diligence Directive: ovvero Escher e Balzac sul dilemma del mandarino cinese e del caos per porre ordine al tutto
Trend & Dossier
di Inti Merino Rimini
Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti - Membro del Comitato Direttivo dell’Associazione Duchini Studio del Pensiero Economico - Università Cattolica del Sacro Cuore - sede di Milano)
PREMESSA
La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (“CSDDD” o “CS3D”) è arrivata al guado: il 31 gennaio il parlamento europeo ha licenziato il testo finale offrendo, così, un corposo contributo con il raffronto fra le proposte che si sono susseguite nel tempo (vedi qui). L’obiettivo è quello di portare le Corporate a promuovere “best practice” sostenibili al fine di identificare, prevenire, mitigare e rendere conto degli impatti negativi non solo sulle loro attività, ma anche su tutta la “value chain”, su argomenti considerati topici: diritti umani e ambiente.
Adesso si attende il voto da parte del consiglio europeo, previsto per il 9 febbraio, con alcuni scenari di incertezza: “in primis” la Germania, che da tempo ha già attuato un proprio standard (di cui parlerò in un articolo di approfondimento a parte), pare possa votare contro.
Comunque andrà, la rivoluzione è iniziata e la linea imposta appare chiara in un contesto che in apparenza è di solo disordine: diverse direttive sulla sostenibilità si stanno alternando da tempo, fra obblighi di reportistica per le corporate, normative sul tema del “greenwashing” e tutela del consumatore sulle informative ESG dei prodotti (che ha visto recentemente due emendamenti importantissimi).
La tortuosità di questi corpi normativi sembrano richiamare il senso delle Opere di Escher, diversi punti di vista che non si incrociano mai (in apparenza), ma il cui senso è ben riassunto dal mantra dell’artista olandese: adoriamo il caos perché amiamo produrre l’ordine”.
Bene, spinto da questa suggestione proverò a fare ordine delineando i punti chiave previsti da questa Direttiva.
A CHI SI RIVOLGE LA CS3D
Vengono colpite le grandi imprese con sede in EU e quelle la cui proprietà è extra-EU, ma anche le medie imprese che operano nei settori dell'abbigliamento, dell'agricoltura o dei minerali.
Rientrano nel campo di applicazione le aziende con sede nell'UE che soddisfano i seguenti requisiti:
- Oltre 500 dipendenti e un fatturato netto consolidato “worldwide” superiore a 150 milioni di euro
- Società capogruppo di un gruppo che raggiunge la soglia di cui sopra
- Oltre 250 dipendenti e un fatturato netto complessivo superiore a 40 milioni di euro, se almeno 20 milioni di euro sono stati generati in settori ad alto rischio, ovvero: abbigliamento, calzature, tessile, agricoltura, silvicoltura, pesca, alimenti e bevande, minerali, metalli e costruzioni.
Vengono incluse anche soglie per licenziatari e società in franchising.
Rientrano nel campo di applicazione le aziende di proprietà straniera (ovviamente extra EU) che soddisfano i seguenti requisiti:
- almeno un fatturato netto di 150 milioni di euro generato all'interno dell'UE
- Società madri di un gruppo che raggiunge la soglia di cui sopra
- almeno un fatturato netto superiore a 40 milioni di euro e almeno 20 milioni di euro generati in uno o più dei settori ad alto rischio di cui sopra.
Anche in questo caso sono incluse anche le soglie per i licenziatari e le società in franchising.
PIANI DI TRANSIZIONE E INCENTIVI
Le aziende con più di 1.000 dipendenti dovranno prevedere degli incentivi finanziari legati ai loro Piani di transizione verso il cambiamento climatico nei confronti degli organi di amministrazione, gestione o supervisione. Questo aspetto appare molto importante, proprio perchè occorrerà individuare delle metriche “ad hoc” nelle quali legare forme di premialità verso questi soggetti in relazione ad obiettivi target spesso di difficile individuazione e stima. Inoltre, di sovente questi valori in dottrina aziendale sono spesso di natura “stimata” e/o “congetturata”, il cui riconoscimento può avvenire “ex post” o “ex ante” alla chiusura del Bilancio di Esercizio.
PIANO DI TRANSIZIONE PER IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Viene prevista la predisposizione di un piano di transizione per il cambiamento climatico, e sarà utile elaborarlo in sinergia rispetto a quello di cui sopra (piano sugli incentivi), proprio per la definizione degli obiettivi e dei kpi che possono essere collegati e comuni ai due piani.
In questo caso specifico le aziende devono elaborare un “Piano di Transizione Climatica” per assicurare che le loro strategie e modelli di business siano allineati con l'obiettivo di limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C, in linea con l'Accordo di Parigi. Questi piani devono prevedere obiettivi specifici entro il 2030 e aggiornamenti quinquennali fino al 2050, basati su solidi dati scientifici e includere, altresì, obiettivi di riduzione delle emissioni per tutti i tipi di emissioni di gas serra (GHG 1,2 e 3). Inoltre è richiesta una dettagliata descrizione delle strategie di decarbonizzazione, delle azioni previste per raggiungere gli obiettivi, degli investimenti necessari per l'attuazione del piano e, in ultimo, del ruolo degli organi societari rispetto al piano stesso. In questo caso, a differenza del precedente piano per gli incentivi, viene prevista una revisione e aggiornamento annuale, anziché biennale.
POLICY SULLA DUE DILIGENCE
Già il corpo normativo degli ESRS (ovvero dei nuovi indicatori europei per il Report di sostenibilità) aveva posto l’importanza sui meccanismi di rendicontazione sugli aspetti di Governance (statuiti dagli ESRS 2), prevendendoli obbligatori a prescindere dal settore di appartenenza della corporate. Molto, all’interno dei "disclosure requirements” viene previsto in ambito di “policy”; in quest’ottica la CS3D sembra essere quasi un completamento agli ESRSi.
In sintesi, occorre:
- descrivere l'approccio dell'azienda alla due diligence, anche in un’ottica di lungo periodo
- descrivere i processi e le azioni dell'azienda nell’attuazione della due diligence, compreso il modo in cui si attuano le verifiche su questo tema nei confronti della propria “value chain”
- prendere in considerazione gli impatti negativi più gravi dell'azienda identificati attraverso la valutazione del rischio
- Includere un codice di condotta in grado di garantire copertura su queste policy nei confronti delle proprie controllate e della“value chain”
- vi è un obbligo di revisione biennale nei confronti delle policy adottate e di contestuale aggiornamento in caso di cambiamenti significativi nel contesto operativo
RISK ASSESSMENT
Questa fase potrebbe, sotto il profilo metodologico, essere svolta in parallelo rispetto al metodo I.R.O. (Analisi sugli Impatti, sui rischi e sulle Opportunità sotto il profilo ESG) prevista dal processo “double materiality” proposto dalla commissione EFRAG (si ricorda che questo documento è ancora in fase di “draft”), proprio perchè è una esplicitazione della fase di “risk assessment" riservata al profilo degli impatti sotto il profilo finanziario.
Sulla base della CS3D le aziende dovranno effettuare una valutazione del rischio e dare priorità ai rischi più gravi per le questione relative ai diritti umani e all'ambiente. La valutazione del rischio deve comprendere una mappatura della “value chain” seguita da valutazioni approfondite delle attività e dei fornitori a più alto rischio su questi temi, a tal fine le aziende sono tenute a consultare le parti interessate in questo processo.
Le aziende sono tenute a identificare e valutare gli impatti effettivi e potenziali nelle proprie attività, filiali e catene del valore, attraverso le seguenti fasi:
- Mappatura delle proprie attività, filiali e catene del valore
- Identificazione delle aree generali in cui gli impatti negativi sono più gravi. Questa operazione deve basarsi su informazioni quantitative e qualitative e prendere in considerazione i fattori di rischio rilevanti, come la geografia e il contesto, i rischi settoriali, ecc.
- Effettuare valutazioni approfondite delle proprie attività, delle filiali e dei partner commerciali nelle aree in cui è più probabile che si verifichino gli impatti negativi risultano più gravi.
- Dare priorità ai rischi e agli impatti negativi più gravi e probabili identificati nel processo di valutazione dei rischi. La gravità si basa sull'entità, sulla portata e sul carattere irrimediabile dell'impatto negativo (come nel processo metodologico della I.R.O. Analisi).
- Le aziende devono consultare gli stakeholder interessati quando identificano i rischi per i diritti umani e per l'ambiente.
STAKEHOLDER ENGAGEMENT
Le aziende devono consultare gli stakeholder interessati durante tutto il processo di due diligence, così da poter ripartire sulle diverse categorie interessate la valutazione dei rischi e lo sviluppo di piani d'azione preventivi e correttivi.
Questo processo deve avvenire al fine di:
- raccogliere informazioni sul processo di valutazione dei rischi
- sviluppare piani d'azione preventivi
- Sviluppo di piani d'azione correttivi
- sviluppare piani d'azione correttivi rafforzati, prima di sganciarsi da un partner commerciale
- prendere la decisione di interrompere o terminare una relazione d'affari.
Le aziende farsi carico di eventuali rimozioni relativamente agli ostacoli che possono rendere difficile il coinvolgimento degli stakeholder e garantire, al contempo, che questi ultimi non siano soggetti a ritorsioni e/o punizioni per aver espresso il proprio parere.
Quando non è ragionevolmente possibile condurre un coinvolgimento efficace con gli stakeholder, le aziende possono rivolgersi a esperti.
COSA SONO I CAPs (Corrective Action Plans)
Le aziende dovranno affrontare i gravi rischi derivanti dal mancato rispetto per diritti umani e per l'ambiente, classificati come prioritari nel loro processo di valutazione del rischio, sviluppando dei piani d'azione preventivi per i rischi ritenuti complessi e gravi, per la verifica, la definizione di piani d'azione correttivi (CAPs) nell’eventualità in cui vengano identificati problemi. Questo comporterà l'integrazione del codice di condotta aziendale nei contratti con i fornitori e la diffusione di questi requisiti lungo la catena del valore, nel caso in cui dovesse essere necessario.
Le aziende sono tenute, quindi, ad adottare misure appropriate per prevenire e mitigare gli impatti negativi che hanno identificato, o avrebbero dovuto identificare, nella loro valutazione dei rischi. Ciò significa che devono affrontare i rischi prevedibili di cui avrebbero dovuto essere a conoscenza (ossia i rischi ben documentati).
In sintesi, in questi casi occorre:
- sviluppare piani d'azione preventivi per tutti i rischi complessi e gravi che sono stati classificati come prioritari. Le aziende dovranno collaborare con gli stakeholder nello sviluppo di tali piani.
- Integrare i codici di condotta nei contratti con i fornitori e richiedere ai fornitori di trasmettere i requisiti a cascata ai loro fornitori.
- Verificare che i fornitori (diretti e indiretti) rispettino il codice di condotta e i piani d'azione preventivi dell'azienda.
DISIMPEGNO, OVVERO L’INTERRUZIONE DEI RAPPORTI COMMERCIALI E L’INTRODUZIONE DI PIANI D’AZIONE DI PREVENZIONE
In ultima istanza, le aziende sono tenute a sospendere gli ordini e quindi a disimpegnarsi se non possono prevenire o mitigare un impatto o un rischio grave.
Se un'azienda non è in grado di prevenire o mitigare un impatto negativo, come ultima risorsa deve astenersi dall instaurare nuovi rapporti o continuare quelli esistenti con i partner commerciali interessati. Non è chiaro se questa azione si debba rendere necessaria per i rischi e gli impatti più gravi, con tutte le conseguenze relative al fatto che questa analisi spesso è molto soggettiva.
Prima di interrompere un rapporto commerciale le aziende sono tenute a sospendere l'approvvigionamento con queste ultime e, inoltre, ad adottare e attuare un piano d'azione di prevenzione rafforzata con tempistiche chiare.
Se il rischio o l'impatto è grave e il piano d'azione di prevenzione rafforzata fallisce o l'azienda stabilisce che non avrà successo, l'azienda dovrà interrompere il rapporto commerciale.
In entrambi i casi, le aziende sono tenute a valutare gli impatti che deriveranno dalla sospensione o dalla cessazione del rapporto di lavoro e ad adottare misure per affrontarli, fornendo un ragionevole preavviso.
Se un'azienda stabilisce che l'impatto della sospensione o della cessazione di un rapporto di lavoro sarà più grave dell'impatto negativo stesso, non è tenuta a sospendere il rapporto di lavoro, ma in questo caso, l'azienda deve spiegare all'autorità competente le ragioni del suo mantenimento.
LA GESTIONE DEI RECLAMI
Vi è anche una tutela sulla questione del cosiddetto “grievance mechanism”, ovvero la gestione dei reclami, al fine di rendere efficace non solo la segnalazione di questi, bensì di garantire tempestività nella risposta e nell’adozione di pratiche operative conseguenti.
Le aziende dovranno disporre di
- un meccanismo di reclamo efficace per gestire i casi sollevati dalle parti interessate nelle loro operazioni e nella loro catena del valore
- un meccanismo per ricevere informazioni sui rischi potenziali nelle loro operazioni e nella loro catena del valore.
Se un reclamo è fondato, l'azienda deve affrontarlo nello stesso modo in cui affronterebbe qualsiasi altro impatto effettivo individuato. Le procedure devono anche affrontare i casi in cui l'azienda ritiene che un reclamo sia infondato.
I denuncianti hanno il diritto di:
- Richiedere un seguito appropriato al reclamo
- incontrare i rappresentanti dell'azienda a un livello adeguato
- Ricevere le motivazioni per cui un reclamo è considerato fondato o infondato e, se fondato, ricevere informazioni sui passi e le azioni da intraprendere.
Le aziende possono partecipare a meccanismi di reclamo collettivo per soddisfare questi requisiti. Inoltre, le aziende devono disporre di un meccanismo per ricevere "notifiche" di rischi o informazioni sulle loro catene del valore. Le aziende devono adottare misure per proteggere gli informatori da ritorsioni, ma non sono obbligate a fornire informazioni sui passi successivi che intendono svolgere.
SULLA ATTUAZIONE DEI RIMEDI
Le aziende sono tenute a porre rimedio, ovviamente, quando hanno causato un impatto negativo e il rimedio messo in atto deve essere proporzionato all'entità dell'impatto e al suo contributo. Se un fornitore causa un impatto negativo, l'azienda "può" usare la sua influenza sui partner commerciali per incoraggiare il fornitore a porre rimedio all'impatto.
Per rimedio si intende la restituzione alla persona o alle persone, alle comunità o all'ambiente colpiti da un impatto negativo, di una situazione equivalente o il più possibile vicina a quella in cui si sarebbero trovati se non si fosse verificato l'impatto negativo effettivo.
SISTEMA SANZIONATORIO
Le aziende sono soggette a responsabilità civile - anche in solido - per i danni causati dall'azienda e dalle sue controllate o dai suoi partner commerciali (sia diretti, sia indiretti). L'orientamento appare quello di non ritenere responsabili le aziende nel caso in cui il danno è stato causato solo dal partner commerciale. Vi è un periodo di cinque anni entro il quale le persone interessate (compresi i sindacati e le organizzazioni ritenute espressioni della società civile - concetto effimero che verrà chiarito nella fattualità delle opposizioni proposte ai giudici) possono presentare richieste di risarcimento relative al mancato rispetto dei diritti umani e ai danni ambientali.
Le imprese sono inoltre soggette a sanzioni pecuniarie in caso di violazione delle leggi, il cui limite massimo non può essere inferiore al 5% del fatturato netto consolidato worldwide dell'azienda.
E NEL FRATTEMPO?
Nel frattempo la commissione europea ha previsto che dal 1 ottobre 2023, fino al 2026 entra in vigore il periodo di transizione per preparare l’adozione del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, ovvero il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism). Si prevede di iniziare a mappare, in questo modo, le “emissioni in entrata” nella zona UE per tutti coloro che importano da paesi extra UE. E’ un meccanismo che consente, in prima battuta, di poter iniziare l’esercizio previsto dalla CS3D di mappatura della propria “value chain” iniziando dai supplier e sugli elementi di disclosure emissiva.
CONCLUSIONI
Come si è visto, la CS3D pone in essere un processo metodologico in capo agli organismi di governance complesso e articolato e, al contempo, non può essere letta disgiuntamente dalla CSR Directive e dai contenuti degli ESRS, previo il rischio di un doppio lavoro in capo alla corporate nell’elaborazione di corretti presidi per valutare gli indicatori di sostenibilità.
Si pone il medesimo interrogativo contenuto nel romanzo “Papà Goriot” di Honoré de Balzac, quando il protagonista Rastignac mette alla prova il suo amico Bianchot con il seguente dilemma:
…Sono tormentato da brutte idee. Hai letto Rousseau?”. “Sì”. “Ti ricordi di quel punto in cui domanda al lettore che cosa farebbe nel caso in cui potesse arricchirsi uccidendo in Cina, con la sua sola volontà, un vecchio mandarino, senza muoversi da Parigi?”. “Sì”. “Ebbene?”. “Mah! Io sono al trentatreesimo mandarino”. “Non scherzare. Andiamo, se ti venisse dimostrato che la cosa è possibile, e che basterebbe un cenno della testa, lo faresti, tu?”. “E’ molto vecchio, il mandarino? Beh, giovane o vecchio, paralitico o in buona salute, in fede mia… Diamine! ebbene, no!...
Ebbene, il richiamo della CS3D sembra proprio questo: se provochi un danno, senza essere visto e scoperto, non hai solo un problema di coscienza, ma anche di mancato presidio per non aver usato tutti gli accorgimenti necessari per averlo evitato.