La falsificabilità delle teorie: Popper e il principio di demarcazione tra scienza e pseudoscienza
Che cosa distingue la scienza dalle pseudo-scienze o dalle semplici opinioni? Questo interrogativo, noto come problema della demarcazione, ha impegnato filosofi e scienziati per decenni. Tra le proposte più influenti vi è quella avanzata da Karl Popper negli anni ’30 del Novecento: secondo Popper, il criterio chiave per tracciare il confine tra scienza e non-scienza risiede nella falsificabilità di una teoria. In altre parole, una teoria può dirsi scientifica solo se espone se stessa al rischio di essere smentita dai fatti: deve fare previsioni controllabili che, se risultassero false, ne provocherebbero la confutazione. Al contrario, un’asserzione che è compatibile con qualsiasi esito possibile o che non può essere messa alla prova in modo rigoroso non appartiene al dominio della scienza. Questo principio, per quanto semplice, si è rivelato estremamente fecondo nel chiarire l’atteggiamento della scienza verso le proprie teorie: la scienza cerca costantemente di sottoporre a test severi le proprie ipotesi, accettando in linea di principio la possibilità di doverle abbandonare qualora i dati empirici le contraddicano. Al contrario, un sistema di credenze che accumula solo conferme e si sottrae a qualunque prova contraria tende a scivolare nel dogma e nella pseudoscienza.
Popper formulò il suo criterio di falsificabilità in contrapposizione alle idee dei neopositivisti, che avevano enfatizzato la verificabilità empirica delle affermazioni. Egli notò un’asimmetria logica fondamentale: per quante osservazioni favorevoli si raccolgano, non si potrà mai dimostrare in modo conclusivo che una teoria è vera, mentre basta un solo fatto contrario per dimostrare che è falsa. Da ciò dedusse che la capacità di essere falsificata – cioè di entrare in conflitto con possibili osservazioni – è il marchio delle teorie scientifiche. Popper stesso portava esempi illuminanti: la teoria della relatività generale di Einstein, ad esempio, prevedeva che la luce delle stelle dovesse incurvarsi passando vicino al Sole; se l’osservazione durante l’eclissi del 1919 non avesse riscontrato questa deviazione, l’intera teoria di Einstein sarebbe stata confutata. Questa audacia predittiva rende la relatività una teoria scientifica esemplare, perché proibisce certi eventi (ad esempio la luce che non devia affatto) e può dunque essere potenzialmente smentita. Viceversa, consideriamo l’astrologia: essa formula indicazioni così vaghe o elastiche da adattarsi a qualunque esito – qualsiasi evento può essere reinterpretato per confermare l’oroscopo – e non esiste un possibile riscontro osservativo che gli astrologi riconoscerebbero come prova della fallacia dell’astrologia. In base al criterio popperiano, dunque, l’astrologia non è una scienza, poiché manca di falsificabilità.
Oltre all’astrologia, Popper applicò il suo principio di falsificabilità ad altre discipline dubbie o controverse. Egli citava il caso della psicoanalisi freudiana e dell’interpretazione dei sogni di Alfred Adler: tali teorie, affermava Popper, sono strutturate in modo da spiegare post hoc qualunque comportamento umano, trovando sempre una razionalizzazione a posteriori ma senza mai esporre predizioni rischiose suscettibili di fallire. Ad esempio, sia un comportamento aggressivo sia uno remissivo di una persona possono essere spiegati dalla psicoanalisi invocando rispettivamente una “sublimazione” o una “repressione” dell’istinto, rendendo la teoria adattabile a tutto e quindi non falsificabile. Anche il materialismo storico marxista, secondo Popper, veniva continuamente modificato per renderlo compatibile con gli eventi politici, invece di considerarsi smentito dalle previsioni non realizzate (come la mancata rivoluzione proletaria mondiale). Queste dottrine, pur presentandosi con linguaggio e pretese scientifiche, sarebbero in realtà pseudoscientifiche perché immuni alla prova empirica: nessun dato potrebbe mai dimostrarle false, in quanto trovano sempre scuse o spiegazioni aggiuntive per assorbire l’anomalia. Al contrario, nelle vere scienze naturali come la fisica o la chimica, quando un esperimento produce un risultato incompatibile con la teoria, quest’ultima viene riconsiderata o abbandonata. Il progresso scientifico, secondo Popper, avviene proprio per congetture e confutazioni: si formulano ipotesi ardite e si cerca di confutarle; quelle che resistono ai tentativi di falsificazione vengono provvisoriamente accettate.
Il criterio di falsificabilità ha avuto enorme influenza, ma non è privo di critiche e limitazioni. Diversi filosofi della scienza hanno osservato che esso, preso alla lettera, esclude dalla sfera scientifica anche teorie legittime o interi campi di ricerca. Ad esempio, in cosmologia o in certi ambiti della fisica delle particelle, esistono ipotesi (si pensi al multiverso o a determinate estensioni speculative del Modello Standard) che al momento non sono falsificabili con le tecnologie disponibili, ma che comunque orientano la ricerca teorica. Inoltre, la storia della scienza mostra casi in cui teorie apparentemente falsificate sono state mantenute perché si scoprì che l’osservazione contraria era dovuta a un errore sperimentale o a un’ipotesi ausiliaria errata: ciò suggerisce che la falsificazione non è sempre netta e automatica nel reale processo scientifico. Viceversa, esistono pseudoscienze che formulano previsioni falsificabili: l’astrologia stessa è stata effettivamente sottoposta a test statistici (ad esempio verificando se le caratteristiche personali correlino con il segno zodiacale) e i risultati hanno smentito le sue pretese. Ciò però non ha convinto i sostenitori astrologici ad abbandonarla, mettendo in luce come il comportamento dei proponenti sia rilevante quanto la struttura logica della teoria. Un critico di Popper, il filosofo Larry Laudan, ha sostenuto negli anni ’80 che nessun criterio singolo (nemmeno la falsificabilità) riesce a separare in modo netto scienza e non-scienza, e che il demarcation problem potrebbe essere in ultima analisi insolubile. Oggi molti concordano sul fatto che la falsificabilità sia una condizione necessaria per la scientificità, ma forse non sufficiente: può essere vista come uno dei diversi indicatori (insieme alla coerenza interna, alla replicabilità, alla peer review, ecc.) che nel loro insieme caratterizzano l’impresa scientifica.
Nonostante queste obiezioni, il contributo di Popper rimane fondamentale nell’aver chiarito un aspetto essenziale dell’atteggiamento scientifico: la disponibilità a mettersi in discussione. Il principio di falsificabilità ha educato generazioni di scienziati a formulare ipotesi in modo chiaro e controllabile, incoraggiando esperimenti cruciali volti a smascherare eventuali errori piuttosto che a cercare solo conferme. Questa mentalità critica distingue profondamente la scienza da ambiti come la metafisica, l’ideologia o la pseudoscienza, dove spesso ci si sottrae al confronto con evidenze ostili. In pratica, gli scienziati adottano strategie ispirate a Popper quando progettano ricerche che possano potenzialmente contraddire le loro teorie, proprio per saggiarne la validità. Pur riconoscendo che la demarcazione non è riducibile a un solo criterio, la maggior parte degli studiosi concorda che una buona teoria scientifica debba, almeno in linea di principio, poter essere confutata da qualche osservazione possibile. Ciò la differenzia dalle mere credenze infalsificabili, che rimangono impermeabili a qualunque evidenza contraria.
In conclusione, la falsificabilità come principio di demarcazione ha avuto un impatto enorme nella filosofia e nella pratica della scienza, pur senza risolvere in modo definitivo il problema del confine tra scienza e pseudoscienza. Popper ha fornito uno strumento concettuale potente: ha spostato l’enfasi dalla verifica alla possibilità di errore, evidenziando che ciò che rende robusta una teoria è l’aver superato tentativi seri di confutazione. Sebbene la discussione successiva abbia raffinato e integrato questo criterio con altri elementi, il messaggio di fondo resta attuale. Nella divulgazione scientifica, ad esempio, si insiste spesso su questo punto: una teoria è scientifica se ci dice anche come potremmo provare che è sbagliata. Questo atteggiamento antidogmatico è una delle virtù che rendono la scienza dinamica e affidabile. Al contrario, le pseudoscienze tendono a cercare solo conferme e a ignorare sistematicamente i dati scomodi. In definitiva, il principio di Popper – “se una teoria non rischia mai di essere smentita, non è scienza” – pur con i suoi limiti, rimane un faro importante per orientarsi nel distinguere il genuino metodo scientifico dalle imitazioni che ne mancano lo spirito critico.
Fonti
K. Popper, The Logic of Scientific Discovery (1959); Stanford Encyclopedia of Philosophy – Science and Pseudo-Science; Internet Encyclopedia of Philosophy – Pseudoscience and the Demarcation Problem(Pseudoscience and the Demarcation Problem | Internet Encyclopedia of Philosophy).