La “vendetta delle periferie”: globalizzazione, fratture territoriale ed emergenza populismo
Negli ultimi decenni, la questione territoriale è tornata al centro del dibattito politico e accademico come una delle linee di frattura più rilevanti nelle democrazie occidentali. La tensione tra città globali, integrate nelle reti dell’economia digitale e della finanza, e territori periferici, segnati da stagnazione economica e declino demografico, ha prodotto un disequilibrio profondo che non è solo materiale, ma anche simbolico. I territori che non contano, come li ha definiti Andrés Rodríguez-Pose, non si riconoscono più nel racconto del progresso e reagiscono con una forma di contestazione che si manifesta in termini politici. L’esclusione territoriale genera così una domanda di riconoscimento che, non trovando canali di mediazione efficaci, si traduce in forme di voto estremo, polarizzazione e sfiducia sistemica. Le periferie, un tempo viste come margini silenziosi del sistema, si fanno attori politici, non tanto per proporre un nuovo progetto, quanto per denunciare l’asimmetria di potere e di attenzione che le riguarda. La crisi non è tanto nella distanza tra individui, ma tra territori, e la politica tradizionale, fondata sulla rappresentanza astratta e sull’idea di convergenza automatica, si è mostrata impreparata a leggere questa trasformazione. Questo documento intende analizzare in profondità questa frattura, ricostruendone le cause e i sintomi attraverso i casi emblematici di Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Francia e Italia.