La metodologia di Stroncature per l’analisi geopolitica basata sugli scenari impiega due driver fondamentali – l’apertura economica/integrazione sovranazionale e la forza dello Stato di diritto/qualità istituzionale – come assi per interpretare l’evoluzione dei paesi e prevederne i possibili sviluppi. Si tratta di un modello predittivo a più fattori che può essere reso più complesso con l’introduzione di altri driver. Il grado di apertura economica e integrazione sovranazionale indica in che misura un paese è inserito nei flussi globali di commercio, investimenti e cooperazione, fino a cedere parti della propria sovranità ad istituzioni sovranazionali. La forza dello Stato di diritto e la qualità delle istituzioni valuta invece quanto solide e liberali siano le strutture giuridico-istituzionali: rispetto delle leggi, separazione dei poteri, trasparenza, tutela delle libertà e capacità di garantire welfare ed efficienza amministrativa. Questi due driver delineano una matrice a quattro quadranti (economia aperta/integrata vs chiusa/isolata, incrociata con istituzioni forti vs deboli) che permette di classificare i paesi e identificare scenari ricorrenti. Nel seguito del rapporto verranno definiti i parametri con cui misurare ciascun driver, costruito il framework di analisi, discussi esempi storici e trend, e infine delineati scenari futuri globali e regionali basati sulle tendenze individuate.
Definizione dei parametri di misurazione
Per quantificare e qualificare i due driver in esame, è necessario individuare una serie di indicatori affidabili tratti da fonti autorevoli (Banca Mondiale, FMI, OCSE, Freedom House, World Justice Project, Heritage Foundation, Transparency International, studi accademici, ecc.). Ciascun driver verrà articolato in dimensioni specifiche misurabili tramite indicatori sia quantitativi (indicatori numerici comparabili tra paesi) sia qualitativi (valutazioni di caratteristiche istituzionali e politiche). Di seguito si delineano i parametri chiave per ciascun driver.
1. Grado di apertura economica e integrazione sovranazionale
Questo driver riflette il livello di globalizzazione economica di un paese e il suo coinvolgimento in istituzioni/regole sovranazionali. Si articola in: apertura commerciale, integrazione finanziaria/degli investimenti, e partecipazione a trattati/organismi internazionali.
Commercio internazionale: un indicatore di base è la quota di commercio estero sul PIL (“trade openness”), calcolata come somma di export e import in % del PIL. Ad esempio, il commercio mondiale è passato dal 36% del PIL globale nel 1979 a circa il 60% nel 2019), segnalando un marcato aumento dell’integrazione economica globale negli ultimi decenni. Questo trend è confermato dal KOF Globalisation Index, che mostra una crescita costante della globalizzazione (economica, sociale, politica) dal 1970 ad oggi, con un’accelerazione dopo la fine della Guerra Fredda. Indicatori correlati includono: la quota di esportazioni di manufatti ad alta tecnologia, il saldo commerciale come % del PIL, e le tariffe medie ponderate (dati Banca Mondiale).
Investimenti Diretti Esteri (IDE): misurati tramite i flussi annui di IDE in entrata/uscita (% PIL) o lo stock di IDE estero accumulato. L’aumento degli IDE è un segnale di crescente integrazione finanziaria: ad esempio i flussi globali di IDE, quasi nulli fino agli anni ‘80, hanno raggiunto picchi di oltre 2 mila miliardi di $ nel 2021 prima di assestarsi intorno ai 1,3 mila miliardi nel 2022). Indicatori utili sono gli IDE netti (% PIL) (World Development Indicators) e indici di apertura finanziaria (come l’indice Chinn-Ito).
Partecipazione a organismi e accordi sovranazionali: qui rientrano metriche come il numero di accordi commerciali regionali sottoscritti (es. trattati di libero scambio notificati al WTO, che sono oltre 350 negli ultimi decenni, in forte aumento dal 2000 in poi), l’adesione a organizzazioni internazionali (ONU, WTO, FMI, Banca Mondiale, OCSE, accordi regionali tipo UE, NAFTA/USMCA, MERCOSUR, ASEAN, ecc.), e la cessione di sovranità in ambiti specifici. Un caso emblematico è l’Unione Europea, dove gli stati membri hanno delegato competenze chiave (moneta, politiche commerciali, regolamentari) a istituzioni comunitarie – indice di integrazione sovranazionale avanzata. Il KOF Globalisation Index – componente politica fornisce un parametro numerico (0-100) per la globalizzazione politica, misurando proprio il coinvolgimento in trattati, missioni di pace, organizzazioni internazionali e adesione a norme globali. Ad esempio, Paesi Bassi, Svizzera e Belgio risultano tra i più globalizzati al mondo secondo l’indice KOF, grazie all’intensa partecipazione economica e istituzionale sovranazionale. Altri indicatori qualitativi includono: l’uso di valute comuni (es. appartenenza all’Eurozona, che implica cessione di sovranità monetaria), l’allineamento a standard giuridici internazionali (es. rispetto delle decisioni di corti internazionali, adozione degli standard WTO), e la mobilità transnazionale (accordi sui visti, libertà di circolazione).
2. Forza dello Stato di diritto e qualità delle istituzioni
Questo driver valuta la qualità del sistema politico-istituzionale di un paese, includendo dimensioni come: Stato di diritto (rule of law), separazione dei poteri e democrazia, assenza di corruzione e integrità pubblica, libertà civili e diritti, efficienza della pubblica amministrazione e welfare. È un concetto composito che può essere misurato con diversi indicatori internazionali:
Indice di Stato di diritto (Rule of Law): Il World Justice Project (WJP) Rule of Law Index è un riferimento chiave, coprendo 142 paesi con 8 fattori di valutazione. Esso misura il grado in cui in un paese vi sono: limiti ai poteri del governo, assenza di corruzione, governo aperto/transparente, diritti fondamentali tutelati, ordine e sicurezza, enforcement delle normative, giustizia civile equa, giustizia penale efficace. Ad ogni paese è assegnato un punteggio 0-1 (dove 1 indica pieno Stato di diritto) calcolato tramite oltre 250mila sondaggi tra famiglie e esperti. Ad esempio, nel 2024 i paesi in vetta all’indice WJP sono Danimarca, Norvegia, Finlandia e Svezia (punteggi ~0.85-0.90), mentre agli ultimi posti figurano Venezuela, Cambogia, Afghanistan e Haiti (punteggi ~0.30). In generale, oltre il 60% della popolazione mondiale vive oggi in paesi dove lo stato di diritto è più debole rispetto al 2016, a causa di tendenze autoritarie diffuse. Un indicatore correlato è il Worldwide Governance Indicator – Rule of Law della Banca Mondiale, che sintetizza percezioni su rispetto delle regole, qualità di tribunali e polizia, assenza di criminalità e violenza. Questo indicatore WGI esprime i punteggi in termini di deviazioni standard dalla media mondiale (da circa -2.5 a +2.5). Ad esempio, secondo la definizione WGI, “il Rule of Law cattura la fiducia degli attori nelle regole della società, la qualità dell’applicazione di contratti, diritti di proprietà, polizia e tribunali, nonché la probabilità di crimine e violenza”.
Democrazia e libertà civili: la Freedom House pubblica ogni anno l’indice Freedom in the World, che assegna a ciascun paese un punteggio da 0 a 100 in base a 25 indicatori di diritti politici e libertà civili, classificandolo Libero, Parzialmente libero o Non libero. Questo indice riflette aspetti come elezioni libere, pluralismo politico, libertà di espressione, associativa, rispetto delle opposizioni e dello Stato di diritto. Nel 2022, secondo Freedom House, 84 paesi su 195 risultavano “Liberi”, 59 “Parzialmente liberi” e 67 “Non liberi”. Purtroppo il trend è negativo: il 2022 ha segnato il 17° anno consecutivo di declino della libertà globale, con più paesi in peggioramento che in miglioramento (35 vs 34). Questo declino, definito “recessione democratica”, è accompagnato da restrizioni crescenti alla libertà di stampa e di espressione (il numero di paesi con punteggio 0/4 sulla libertà dei media è salito da 14 a 33 in 17 anni). L’indice Freedom House, pur focalizzato su diritti politici e civili, è un buon proxy della qualità istituzionale: un paese “Libero” tipicamente gode di elezioni regolari, checks and balances funzionanti e rispetto delle leggi. Altri indicatori affini includono il Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit e il Polity IV score, che classificano i regimi da democrazie a autocrazie.
Corruzione e trasparenza: la Corruption Perceptions Index (CPI) di Transparency International è ampiamente usata per valutare l’integrità delle istituzioni pubbliche. Essa classifica 180 paesi secondo il livello percepito di corruzione nel settore pubblico, con punteggi da 0 (corruzione dilagante) a 100 (assoluta pulizia). Nel 2023, ad esempio, Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda guidavano la classifica con CPI ~90 (molto “puliti”), mentre Sud Sudan e Somalia chiudevano con punteggi sotto 12. Un alto livello di corruzione segnala debolezza dello stato di diritto e delle istituzioni (mancanza di integrità e imparzialità). L’indice di Controllo della corruzione del WGI è un altro riferimento, così come gli indici regionali (es. African Governance Index di Mo Ibrahim Foundation).
Libertà economica e regolatoria: la qualità istituzionale si riflette anche nella libertà di iniziativa economica entro un quadro legale certo. L’Index of Economic Freedom (Heritage Foundation) combina misure di stato di diritto (es. tutela della proprietà, efficacia giudiziaria, integrità governativa), dimensioni di intervento statale (spesa pubblica, pressione fiscale), efficienza regolatoria (libertà d’impresa, del lavoro, monetaria) e apertura di mercato (libertà commerciale, degli investimenti, finanziaria). Esso assegna un punteggio 0-100 e categorizza i paesi da “liberi” (>80) a “repressi”(<50). Pur essendo un indice di taglio economico, molte sue componenti (p.es. property rights, government integrity) riflettono la solidità dello stato di diritto. Analogamente, il Global Competitiveness Index del World Economic Forum include pillar istituzionali (istituzioni, contesto normativo, etc.), e la Ease of Doing Business (prima della sospensione nel 2021) misurava l’efficacia delle regolamentazioni.
Efficienza del settore pubblico e welfare: indicatori come il Government Effectiveness (WGI) e la Regulatory Quality (WGI) valutano la capacità della burocrazia di attuare politiche, fornire servizi pubblici di qualità e regolare l’economia senza eccessi. Ad esempio, Government Effectiveness sintetizza percezioni sulla qualità dei servizi pubblici, indipendenza del servizio civile, formulazione e attuazione di politiche credibili. Anche la qualità del welfare può essere dedotta da indicatori di outcome (indice di sviluppo umano HDI, tasso di povertà, GINI per le diseguaglianze) combinati con la spesa sociale. Sebbene più difficili da condensare in un unico indice, questi aspetti contribuiscono al quadro istituzionale: uno stato che garantisce istruzione, salute e protezione sociale in modo efficiente tende ad avere istituzioni robuste e legittimazione alta.
Costruzione di un framework di analisi
Combinando i due driver sopra definiti, si può costruire un framework analitico a matrice che classifica i paesi (o scenari) lungo due assi: Asse X: Apertura economica (da minima a massima integrazione sovranazionale) e Asse Y: Stato di diritto/Qualità istituzionale (da molto debole a molto forte). Ne risulta una matrice 2x2 con quattro quadranti idealtipici.
Economia aperta & Istituzioni forti – “Democrazie liberali integrate”. Paesi con alto grado di globalizzazione economica e solido stato di diritto. In questo quadrante rientrano tipicamente le democrazie avanzate occidentali e altri paesi industrializzati con economie di mercato aperte e istituzioni democratiche consolidate. Esempi: l’Unione Europea (in particolare nazioni come Germania, Francia, Italia, Paesi nordici), gli Stati Uniti, il Giappone, nonché piccole economie avanzate come Svizzera o Singapore (che, pur con specificità politiche, eccellono in governance economica). Questi paesi sono caratterizzati da alti indici di libertà (Freedom House 100/100 per molti di essi), bassi livelli di corruzione (CPI spesso >70) e alti punteggi di apertura (trade/PIL > 70% in Europa, Globalisation Index >80 per Svizzera, Paesi Bassi, ecc.). Sono economie molto interconnesse (membri WTO, molteplici accordi commerciali) e con istituzioni robuste che garantiscono certezza del diritto agli investitori. Vantaggi e stabilità: storicamente questo modello ha prodotto prosperità diffusa e stabilità interna; inoltre, vige la tesi liberale che l’interdipendenza economica tra democrazie riduca i rischi di conflitto. Nel nostro framework, questo quadrante rappresenta lo scenario ottimale di “ordine liberale globale”.
Economia aperta & Istituzioni deboli – “Capitalismo autoritario/cleptocratico”. Paesi fortemente integrati nei mercati internazionali (esportazioni, investimenti esteri, catene globali del valore) ma con governance politica autoritaria, stato di diritto carente o corruzione elevata. In sostanza, regimi illiberali che adottano il mercato (o parti di esso) senza le libertà civili corrispondenti. Esempi emblematici: la Cina contemporanea (profondamente inserita nel commercio mondiale, seconda economia globale, ma con partito unico, repressione del dissenso e rule of law debole), la Russia post-sovietica (soprattutto anni 2000: integrazione nei mercati energetici e finanziari globali, accompagnata però da autoritarismo crescente e corruzione sistemica), varie petro-monarchie del Golfo Persico (economicamente aperte a investimenti e manodopera internazionale, ma sistemi politici autocratici tradizionali). Anche alcuni paesi emergenti possono ricadere qui: ad esempio la Turchia negli ultimi anni ha un’economia abbastanza aperta e legata all’Europa, ma istituzioni democratiche indebolite; oppure la Malesia/Thailandia, attive nell’export ma con problemi di corruzione e diritti civili limitati. Caratteristiche: questi paesi spesso mostrano alti punteggi di apertura (es. la Cina ha Trade/GDP intorno al 35% e forti IDE) ma punteggi bassi su libertà e corruzione (Cina: Freedom House 9/100 “Non libera”; percentile ~45° per Rule of Law secondo WB). Il concetto di “authoritarian capitalism” descrive bene questo quadrante: un sistema in cui coesistono economia di mercato e governo autoritario. Rischi: tali regimi possono godere di crescita economica (il mercato attrae capitali nonostante la scarsa trasparenza, finché c’è stabilità), ma presentano vulnerabilità di medio termine – ad esempio, l’assenza di stato di diritto può scoraggiare investimenti di qualità o portare a crisi (corruzione, bolle speculative, proteste popolari per disuguaglianze, espropri e confische da parte delle autorità locali). Inoltre, l’integrazione economica senza riforme politiche può generare tensioni sociali (ceti medi che chiedono più diritti man mano che l’economia prospera).
Economia chiusa & Istituzioni forti – “Stati liberali ma protezionisti”. Questo quadrante è meno frequente nella pratica contemporanea, ma concettualmente rappresenta paesi con buon governance interna (democrazia o stato di diritto) che però mantengono un basso livello di integrazione economica globale. Potrebbero essere democrazie isolazioniste o economie miste che privilegiano il mercato interno. Esempi storici: l’India nelle decadi post-indipendenza fino agli anni ‘80 era una solida democrazia parlamentare (alternanza di potere, Corte Suprema autorevole) ma seguiva politiche economiche autarchiche e protezionistiche (licenze, dazi alti, minima apertura agli IDE). Anche alcuni piccoli paesi democratici potrebbero trovarsi in questa categoria se geograficamente o volutamente isolati (es. la Costa Rica in passato, con stato di diritto avanzato per gli standard regionali ma scarsa partecipazione al commercio internazionale). Un altro esempio parziale: la Gran Bretagna immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale – pur essendo una democrazia matura, attraversò fasi di forte controllo statale sull’economia e scarsa apertura esterna (prima delle liberalizzazioni dagli anni ’70 in poi). Caratteristiche: punteggi alti in indici di libertà (Freedom House “Libero”), rule of law elevato, ma indicatori economici di globalizzazione bassi (trade/PIL modesto, investimenti esteri limitati, barriere tariffarie e non tariffarie alte). Dinamiche: spesso tali paesi hanno motivazioni ideologiche (p.es. nazionalismo economico, socialismo democratico) o esigenze di tutela di settori nascenti. Possono reggere se le istituzioni compensano con politiche interne efficaci (welfare, sviluppo industriale interno). Tuttavia, la storia recente mostra che molti di essi tendono col tempo ad aprirsi economicamente per necessità di crescita: l’India stessa avviò liberalizzazioni nei ’90 senza intaccare (in larga misura) le proprie istituzioni democratiche. Pertanto questo quadrante può essere visto spesso come scenario transitorio.
Economia chiusa & Istituzioni deboli – “Regimi autoritari isolati”. È il quadrante che comprende gli stati più problematici: dittature e stati falliti con economie poco integrate, generalmente poveri e politicamente repressivi. Esempi tipici: la Corea del Nord (autocrazia totalitaria ermeticamente chiusa al commercio estero, quasi autarchica e con diritti inesistenti), paesi come l’Eritrea o la Siria odierna, regimi sotto sanzioni internazionali pesanti (es. l’Iran in parte, sebbene abbia export di petrolio, è isolato finanziariamente). Anche vari stati fragili dell’Africa subsahariana rientrano qui: istituzioni debolissime o corrotte, conflitti interni, economia minima e poco connessa (es. Sud Sudan, Somalia – quest’ultima ha il valore più basso al mondo nell’indice di globalizzazione KOF ~30/100 e uno dei peggiori punteggi CPI ~9/100). Caratteristiche: punteggi bassi sia in apertura (trade/PIL spesso basso e limitato a poche risorse, scarso IDE, isolamento diplomatico) sia in governance (Freedom House “Not Free”, rule of law quasi nullo). Ad esempio, la Corea del Nord ha un punteggio di libertà 3/100 ed è fuori da quasi tutti i meccanismi economici internazionali; il Venezuela attuale combina collasso dello stato di diritto con un’economia in parte autarchica dopo le sanzioni. Conseguenze: questo quadrante spesso coincide con crisi umanitarie, instabilità e conflitti: l’assenza di integrazione priva di opportunità economiche, e l’assenza di stato di diritto alimenta arbitrio e violenze. Sono i contesti da cui spesso provengono ondate migratorie e che rappresentano sfide per la sicurezza internazionale.
Va sottolineato che la matrice è un modello semplificato: molti paesi reali si trovano in posizioni intermedie o si spostano gradualmente. Tuttavia, come framework analitico, essa aiuta a individuare pattern, ma può essere resa più complessa, aggiungendo altre variabili, come salute del welfare state, spesa per ricerca, forza delle imprese locali, qualità dell’istruzione pubblica, Stato innovatore vs Stato imprenditore. Tutti elementi che servono a leggere i possibili movimenti di un paese all’interno di un quadrante o da un quadrante all’altro. La matrice permette anche di ragionare sulle transizioni: es. un paese che si democratizza e si apre (movimento dal quadrante 4→1 passando per 3 e 2), oppure un paese che regredisce da democrazia aperta a autocrazia chiusa (in casi estremi 1→4).
Sistema di classificazione. Utilizzando i dati quantitativi, è possibile costruire un sistema di punteggi compositi e classificare i paesi nei quattro scenari. Ad esempio, si potrebbe normalizzare gli indicatori di apertura (commercio+IDE+indici integrazione) su una scala 0-10 e fare altrettanto con un indice composito istituzionale (media di rule of law, Freedom House, CPI, ecc.). Tracciando i due punteggi su un grafico cartesiano, ogni paese occuperà un punto nello spazio dei driver. Soglie possono essere fissate per definire i quadranti: p.es. sopra certe soglie di apertura e governance si è nel quadrante 1, sotto entrambe nel 4, e così via.
Validazione e fonti. Il framework beneficia della triangolazione di fonti (dati quantitativi e valutazioni qualitative). Per esempio, un paese come la Polonia potrebbe avere un punteggio elevato di apertura (grazie all’integrazione UE) ma negli ultimi anni in leggero calo nei punteggi istituzionali (indipendenza giudiziaria indebolita) – segnalando uno spostamento nel piano del framework. Viceversa, un paese come il Vietnam ha migliorato l’indice di Stato di diritto WJP 2024 e al contempo è molto aperto commercialmente, suggerendo una traiettoria verso quadrant 1 da quadrant 2. Incrociando indicatori di diverse fonti (Heritage vs Freedom House vs WJP) si aumenta l’affidabilità della classificazione. La mappa di scenario risultante può essere uno strumento intuitivo per policy-maker: consente di individuare outlier, cluster regionali, nonché monitorare movimenti nel tempo (una sorta di “grafico di transizione” nello spazio bidimensionale dei driver).
Esempi applicativi e trend storici
L’impiego di questo modello su dati storici permette di identificare pattern di evoluzione e possibili segnali predittivi di transizioni da un quadrante all’altro. Analizziamo alcuni casi di studio emblematici e trend di lungo periodo, evidenziando come i due driver si siano influenzati reciprocamente nella storia recente e quali indicatori anticipatori hanno segnalato i cambiamenti di scenario.
Caso 1. Transizione dall’isolamento autoritario all’integrazione democratica (Quadrante 4 → 1) – Europa orientale post-1989. La caduta del Muro di Berlino offre una naturale sperimentazione storica: i paesi dell’Est Europa erano fino agli anni ’80 economia chiusa pianificata e regimi autoritari (Quadrante 4). Dagli anni ’90 hanno avviato contemporaneamente aperture di mercato e riforme democratiche per aderire all’UE. Il risultato nei due decenni successivi è stato un netto spostamento verso il Quadrante 1. Ad esempio, la Polonia e i Paesi baltici nei primi anni ’90 liberalizzano commercio e prezzi, attirano investimenti esteri e privatizzano (indice di apertura commerciale salito da ~20% a ~80% del PIL nei Baltici dal 1990 al 2005), mentre introducono stato di diritto, elezioni libere e misure anti-corruzione (Freedom House: da “Not Free” negli ’80 a “Free” anni 2000). Un indicatore predittivo chiave qui è stata la volontà di aderire a istituzioni sovranazionali: già nei primi anni ’90 questi paesi hanno siglato accordi di associazione con la CE/UE e riformato leggi per conformarsi all’acquis comunitario. Questo impegno sovranazionale segnalava credibilità nel percorso sia di apertura che di costruzione istituzionale. Altro segnale: l’afflusso di aiuti internazionali condizionati a riforme (es. programmi FMI, PHARE UE) – gli indicatori di riforma legislativa emanati e la riduzione dell’inflazione/passi verso economia di mercato anticipavano il consolidamento istituzionale. I risultati sono visibili: nel Rule of Law Index WGI paesi come Estonia, Slovenia, Polonia hanno raggiunto percentile 75-85 entro i primi anni 2000 (da <50 del 1990) e il loro commercio/PIL è raddoppiato. Pattern ricorrente: liberalizzazioni economiche accompagnate da pressioni popolari per libertà politiche, con la prospettiva di benefici reciproci (accesso al mercato unico, Stato di diritto per proteggere investimenti). Questo pattern di “virtuous cycle” ha pochi equivalenti fuori Europa (forse l’Uruguay e il Cile da dittature isolate a democrazie aperte negli stessi anni). Segnali deboli tipici: liberalizzazione dei media, indipendenza della magistratura, legalizzazione di sindacati e opposizioni, smantellamento di monopoli statali – quando tali cambiamenti compaiono insieme, indicano un passaggio dal Quadrante 4 verso 1 attraverso la fase intermedia (Quadrante 2 o 3 temporanei).
Caso 2. Autocratizzazione e chiusura (Quadrante 1 → 4) – Venezuela 1990-oggi. Negli anni ’90 il Venezuela era considerato (pur con limiti) una democrazia petrolifera aperta: regime civile, commercio internazionale del petrolio florido, alto PIL pro-capite. Dal 1999 in poi, con la “rivoluzione bolivariana”, è iniziato un doppio processo di erosione istituzionale (accentramento del potere, erosione di checks and balances, persecuzione oppositori) e progressivo isolamento economico (nazionalizzazioni, controlli valutari, crollo investimenti). Il paese è scivolato dal Quadrante 1 al Quadrante 4 nel giro di due decenni: oggi è “Not Free” per Freedom House, con uno Stato di diritto quasi inesistente (ultimi posti WJP) e sanzioni internazionali che lo isolano dal commercio (export ridotto al solo petrolio verso pochi acquirenti). Segnali premonitori di questa traiettoria erano rilevabili già nei primi anni 2000: l’impunità crescente (il governo Chávez ha iniziato a bypassare parlamento e corti), il ritiro o l’espulsione di organismi sovranazionali di monitoraggio (es. Venezuela ha denunciato la Convenzione CIADI-Banca Mondiale nel 2012 per non sottoporsi ad arbitrati internazionali sugli investimenti), la retorica anti-globalizzazione e il riallineamento a alleanze alternative (es. ALBA) invece che al sistema finanziario internazionale. Dal lato economico, l’introduzione di controlli sui capitali e cambio fisso nel 2003 fu un indicatore forte di chiusura. Inoltre, l’uso politico della rendita petrolifera per controllo interno, senza reinvestire in competitività, ha portato al collasso produttivo: un segnale economico fu il calo drastico di investimenti privati esteri già a metà anni 2000. Pattern: populismo autoritario – uno scenario in cui un paese relativamente aperto usa uno shock (es. crisi economica o leadership carismatica) per giustificare la concentrazione di potere e la rottura con le istituzioni globali. Altri esempi minori: la Turchia (da Quadrante 1 negli anni ’90 verso Quadrante 2-4 oggi, con autoritarismo crescente e minore integrazione finanziaria per diffidenza mercati) – segnali: modifica costituzionale che elimina pesi e contrappesi, repressione media, parallela ad aumento dazi e disputa commerciale con partner (vedi dazi USA su acciaio turco nel 2018 in risposta a politiche arbitrarie). Oppure la Russia: negli anni ’90 era Quadrante 2 (economia aperta ma istituzioni deboli); sotto Putin ha virato verso meno apertura (soprattutto dopo 2014: sanzioni, autarchia tecnologica) e istituzioni sempre più autocratiche – oggi tende al Quadrante 4. Il segnale evidente fu l’annessione della Crimea nel 2014 e la conseguente rottura con l’ordine economico liberale (sanzioni, contro-sanzioni, esclusione da G8), anticipata da anni di crescente controllo statale su settori strategici (energia) e restrizioni alle ONG e media indipendenti (early warning istituzionale).
Caso 3. Autoritarismo di mercato stazionario (Quadrante 2 stabile) – Cina e Vietnam. Questi casi mostrano un pattern differente: apertura economica marcata senza riforme democratiche equivalenti, e una certa stabilizzazione in questo equilibrio. La Cina dopo il 1978 (riforme di Deng Xiaoping) ha liberalizzato gradualmente l’economia – oggi è tra i primi partner commerciali per oltre 130 paesi – pur mantenendo il monopolio politico del Partito Comunista. Interessantemente, alcune ricerche indicano che l’apertura al commercio può persino rafforzare certe dimensioni dello stato di diritto economico senza necessariamente democratizzare: uno studio NBER ha trovato che “l’openness (trade/GDP) ha un effetto positivo sullo stato di diritto, pur avendo impatti negativi sulla democrazia”. Ciò suggerisce che la Cina, integrandosi nei mercati mondiali (ingresso nel WTO 2001), abbia dovuto migliorare alcuni aspetti normativi (p.es. tutela investimenti, certezza contratti per attrarre aziende estere), senza però concedere libertà politiche. Il risultato è un regime di “capitalismo autoritario” efficace nel breve-medio termine: alto tasso di crescita, attrazione di capitali grazie a infrastrutture e un minimo di certezza legale in ambito economico, ma controllo politico rigido. Segnali di tenuta di questo modello: la capacità del governo di reprimere istanze democratiche (es. Tiananmen 1989 per la Cina, Piazza Tam Dao 2019 in Vietnam) senza intaccare la fiducia degli investitori esteri; l’ingresso nelle supply chain globali (misurato dall’elevata quota di export manifatturiero high-tech cinese ~30% del totale mondiale). Finché questi paesi garantiscono stabilità e crescita, la pressione interna per lo stato di diritto rimane contenuta. Tuttavia emergono segnali di tensione: diseguaglianze crescenti, proteste localizzate contro abuso di potere (es. proteste contadine in Cina per espropri), e dall’esterno pressioni per standard più alti (USA/EU chiedono rispetto proprietà intellettuale, minor manipolazione mercati). Per ora Cina e Vietnam restano saldamente nel Quadrante 2, ma il loro futuro (scenari aperti: evoluzione in Quadrante 1 se liberalizzano politicamente, o regressione in Quadrante 4 se chiudono economia sotto nazionalismo). Pattern: modernizzazione economica senza democratizzazione, in parte spiegato culturalmente o dal controllo del partito. Altri esempi: Singapore (città-stato ricchissima, economia tra le più aperte, ma con restrizioni politiche e stampa non pienamente libera – anche se lo stato di diritto economico è eccellente). Indicatore predittivo di eventuale transizione qui potrebbe essere il sopraggiungere di una crisi economica: alcuni teorici (es. “sequenza di Lipset”) sostengono che lo sviluppo economico prima o poi generi domanda di libertà; ma finché i regimi autoritari di mercato performano economicamente, rimangono stabili. Una recessione prolungata potrebbe scatenare proteste per cambiamento (se ciò avvenisse, monitorare indicatori come aumento disoccupazione giovanile, calo redditi e incremento proteste urbane – questi potrebbero anticipare aperture politiche).
Caso 4. Divergenze regionali recenti – Negli ultimi anni vediamo traiettorie divergenti: mentre l’Europa mantiene alta integrazione e in generale buone istituzioni (anche se con sfide in alcuni membri, vedi Polonia/Ungheria in lieve calo di rule of law), in altre regioni c’è un mix più eterogeneo. Ad esempio, l’Asia vede giganti autoritari (Cina) convivere con democrazie aperte (Giappone, Corea del Sud, India quest’ultima in posizione intermedia: democrazia sì ma con tendenze nazionalistiche economiche). Ungheria merita menzione come paese in regressione: era Quadrante 1 come membro UE democratico, ma dal 2010 ha subìto un arretramento della democrazia (Freedom House l’ha declassata a “Partly Free” nel 2019) pur restando nell’UE economicamente integrata. È quindi scesa verso Quadrante 2. Un segnale predittivo osservato: l’erosione dell’indipendenza giudiziaria e la limitazione della stampa libera già nel 2012-2013 indicavano la deriva illiberale, prima che emergessero effetti economici (oggi l’Ungheria rischia riduzione fondi UE per violazioni stato di diritto). Brasile invece ha oscillato: anni 2000 Quadrante 1 (boom economico e consolidamento democratico), seconda metà anni 2010 istituzioni indebolite dalla polarizzazione e aumento protezionismo (era Bolsonaro), ma nel 2022 con un cambio democratico di governo sta cercando di rientrare nel Quadrante 1. Questo evidenzia come i movimenti non siano lineari e possono avvenire anche in tempi brevi per via elettorale (dominio di fattori interni).
Trend storici globali: a livello macroscopico, dal secondo dopoguerra fino circa al 2005 si è osservata una generale convergenza verso scenari aperti e democratici. La “seconda ondata di globalizzazione” (1945-2000) ha portato sempre più paesi ad aprirsi: il rapporto commercio/PIL mondiale è salito costantemente). Parallelamente, la “terza ondata di democratizzazione” (1974-2000, da Portogallo/Spagna/Grecia a America Latina e poi Est Europa) ha aumentato il numero di democrazie (oltre 60% degli Stati negli anni 2000 erano formalmente democratici). Questo implicava uno spostamento generale dei punti-paese del mondo verso l’alto a destra della nostra matrice (Quadrante 1). Tuttavia, gli ultimi 15 anni hanno mostrato un controtendenza: “slowbalisation” o stagnazione della globalizzazione da un lato (dopo la crisi 2008, il rapporto commercio/PIL mondiale ha smesso di crescere, rimanendo intorno al 55-60%; guerre commerciali USA-Cina dal 2018; pandemia 2020 che ha temporaneamente contratto i flussi) e “recessione democratica” dall’altro (17 anni consecutivi di declino medio dei punteggi Freedom House, avanzata di nuovi autoritarismi e democrazie illiberali). Così, alcuni paesi si allontanano dal Quadrante 1 verso direzioni diverse. Esempio chiave: gli Stati Uniti, tradizionale leader Quadrante 1, hanno vissuto una fase di minore apertura (protezionismo sotto amministrazione Trump: ritiro da accordi, dazi) e tensioni istituzionali interne (indici Freedom House leggermente calati, problemi di polarizzazione), pur restando solidamente una democrazia di mercato. La Brexitha segnato per il Regno Unito un piccolo passo verso meno integrazione (Quadrante 3): pur rimanendo una democrazia liberale, ha scelto di ridurre la partecipazione sovranazionale economica uscendo dall’UE. Questi eventi suggeriscono che shock esterni o scelte politiche possono spostare anche paesi consolidati.
Segnali predittivi ricorrenti. Dall’analisi dei casi emergono alcuni pattern di indicatori da monitorare come segnali di possibili transizioni: (a) Shock economici (crisi finanziarie, forte recessione) spesso precedono cambi di regime politico – es. crisi asiatiche ’97 innescarono riforme in alcuni paesi e colpi di stato in altri; (b) Cambiamenti nelle alleanze o trattati: l’adesione a un trattato di libero scambio o al contrario l’uscita da un’organizzazione (es. Commonwealth, UE) segnalano un imminente cambio nel grado di apertura; (c) Indice di corruzione in impennata o calo rapido: un aumento improvviso della corruzione percepita spesso anticipa instabilità istituzionale (il malcontento può sfociare in proteste o colpi di stato), viceversa un netto miglioramento CPI può preludere a aperture economiche grazie alla maggiore fiducia; (d) Proteste popolari e indice di libertà media: ad es. proteste di massa per la democrazia (Primavere Arabe 2011) erano un segnale – poi in molti casi non portato a esiti di lungo termine positivi, ma indicavano uno stress nel Quadrante 4; (e) Andamento degli IDE: investitori internazionali fungono da “canarino nella miniera” – un calo drastico degli investimenti esteri (al netto di fattori globali) può indicare timori sulla governance locale, quindi eventuali derive autoritarie, così come un boom di IDE spesso segue riforme e aperture (da monitorare insieme ad annunci di policy).
In sintesi, la lettura incrociata della storia recente attraverso i due driver conferma la loro utilità interpretativa: molte transizioni cruciali possono essere viste come movimenti su questo piano bidimensionale. Ciò consente di individuare pattern predittivi (virtuous vs vicious cycles) e di riconoscere in anticipo situazioni di mis-match (Quadranti 2 o 3) potenzialmente instabili. Ad esempio, uno studio ISS ESG del 2022 nota che “minimizzare i rischi geopolitici richiede di considerare fattori come democrazia, Stato di diritto e accountability, oltre a apertura economica”, poiché questi determinano la propensione ai conflitti. Tali conclusioni rafforzano l’idea che i due driver vadano analizzati congiuntamente per capire i futuri scenari.
Fonti
World Trade to GDP Ratio 1970-2025 - Macrotrends
Evolution of the world's 25 top trading nations | UN Trade and Development (UNCTAD)
KOF Globalisation Index – KOF Swiss Economic Institute | ETH Zurich
World Foreign Direct Investment 1970-2025 - Macrotrends
Global foreign direct investment flows over the last 30 years | UN Trade and Development (UNCTAD)
Foreign direct investment (FDI) worldwide - Statistics & Facts
KOF Globalisation Index – KOF Swiss Economic Institute | ETH Zurich
WJP Rule of Law Index 2024 Global Press Release | World Justice Project
Freedom House: Global Freedom Declines for 17th Year – Global Investigative Journalism Network
Economic Freedom Index by Country 2024
Mapped: The State of Economic Freedom in 2023
China: Authoritarian Capitalism - INSEAD
Rule of Law, Democracy, Openness, and Income: Estimating the Interrelationships | NBER
Evolution of the world's 25 top trading nations | UN Trade and Development (UNCTAD)
Freedom House: Global Freedom Declines for 17th Year – Global Investigative Journalism Network