di Nane Cantatore
Credo che uno dei fattori di maggiore importanza sullo scenario delle relazioni internazionali sia la posizione dell'Arabia saudita. Per anni, anzi decenni, il principale prodotto di esportazione di Ryadh è stato, accanto al petrolio, il wahabismo: i quattrini degli idrocarburi sono serviti a finanziare la diffusione di un modello di Islam fondamentalista, intollerante e tendenzialmente aggressivo, tanto nel mondo arabo-musulmano, quanto tra le comunità islamiche in occidente e, in particolare, in Europa. Non era affatto scontato che proprio questa interpretazione prendesse il sopravvento, dato che l'Islam, come ogni altra religione, è sostanzialmente un oggetto scrotale che, proprio come la pelle dei coglioni, può essere tirato in tutte le direzioni.
Qui c'è stata una sostanziale convergenza, fino diciamo agli anni Novanta, tra gli interessi della casa di Saud e quelli di un grosso pezzo di occidente, USA in primis. I primi, in quanto custodi dei luoghi sacri, traevano ogni vantaggio da un impianto tradizionalista che ne consolidasse il potere interno e il ruolo centrale tra le comunità islamiche mondiali. I secondi avevano bisogno di un contraltare "interno" ai nazionalismi laici che, in forme variamente macellaie, si diffondevano in giro per i diversi paesi islamici. Tutto ciò ha retto fino a un certo punto, quando la contraddizione insita tra la predicazione fondamentalista e apocalittica ha cominciato a stridere con la realtà di una casta aristocratica che campava nel lusso grazie ai quattrini occidentali e usava la religione come strumento di difesa dei propri privilegi. La manifestazione più pura di questa contraddizione è il progetto di al Qaeda: un'organizzazione terrorista internazionale e internazionalista, dalle evidenti origini saudite ma nemica dei suoi apparati di potere, che usava una pesante retorica populista per costruire consenso trasversale e portare avanti un nuovo modello di Jihad.
Bene, senza approfondire l'ulteriore radicalizzazione di questa trasformazione eversiva del wahabismo con il Daesh e i complessi rapporti con la Fratellanza musulmana (e Hamas, che ne è una costola), il punto cruciale è che Mohammed bin Salman, di fatto il princeps saudita, ha capito che così non poteva andare. Per due motivi:
● per le citate contraddizioni, che di fatto avevano ormai reso politicamente inagibile la sponsorizzazione del radicalismo islamico a meno di partecipare a un insostenibile gioco al rialzo;
● perché fare i petrolieri puri è comodo ma insostenibile sul lungo periodo. Meglio usare gli enormi capitali accumulati per comprare tecnologia, sviluppare infrastrutture e industrie, potenziare i commerci eccetera. Solo che, facendolo, non si può continuare con un modello fondamentalista: tocca diventare borghesi e, come diceva ormai 175 anni fa un celebre signore tedesco di origini ebraiche,
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi."
Insomma, la famosa secolarizzazione. L'Arabia saudita, per diventare qualcosa di più che una petromonarchia, ossia un regime feudale che campa di rendita, deve modernizzarsi, dunque secolarizzarsi. E, quando si percorre questa via, l'alleato naturale è l'occidente. Salman può aver avuto tutti i flirt che vuole con la Cina e, del resto, nessuno gli vieta di continuare ad averne: siamo uomini di mondo, si fanno affari dove si trovano; ma certamente, affidarsi a Pechino come partner strategico comporta molti più vincoli che guardare a ovest. E il primo occidente in cui ci si imbatte, partendo da quelle zone, è Tel Aviv. Per questo la principale potenza economica e politica del mondo arabo ha un interesse vitale ad avvicinarsi a Israele, che si sostanzia in un fecondo rapporto di collaborazione industriale, in cui gli israeliani mettono la tecnologia e i sauditi capitali e accesso ai mercati. Qui si gioca anche la partita della Via del Cotone, il corridoio commerciale tra Europa, Medio Oriente e India che ridimensiona la Via della Seta cinese, si inserisce nel processo generale di reshoring/friendshoring e ha bisogno di favorire la soluzione della questione israelo-palestinese.
Una questione che è stata artificialmente mantenuta aperta, come una ferita beante, proprio attraverso i finanziamenti continui alle fazioni più intransigenti del campo palestinese e la propaganda antisemita e fondamentalista nel mondo arabo-musulmano. Ora che il principale sponsor di queste operazioni ha cambiato linea, gli altri stati del Golfo non possono che seguire, come mostra la crescente freddezza del Qatar verso Hamas. Di fatto, le reazioni del mondo arabo, in particolare quelle dei paesi del Golfo, sembrano dare un sostanziale via libera al progetto israeliano di sradicare Hamas, al di là delle proteste di facciata.
Tra l’altro, la VIa del Cotone mette il regno saudita in diretta contrapposizione con gli altri attori principali dell’area, Turchia ed Egitto, che rischiano di essere tagliati fuori dal nuovo corridoio commerciale. Il suo tracciato, infatti prevede due grandi rotte marittime, dall’India a Dubai e dal porto israeliano di Haifa all’Europa. Dubai e Haifa dovrebbero essere collegati da una linea ferroviaria ad alta capacità, che passi per Arabia Saudita, Giordania e la stessa Israele: come si vede, resterebbero tagliati fuori tanto Suez quanto le vie di terra turche, passaggio cruciale della Via della Seta. A questo punto, sarebbe possibile una riconfigurazione generale dei rapporti di forza e di collaborazione in tutta l’area, nella quale la questione palestinese perda tutta la sua centralità.
In tutto questo, bin Salman ne esce come una sorta di autocrate illuminato, dotato di una grande visione politica e della capacità di realizzarla; possibile protagonista di una fase di forte modernizzazione e secolarizzazione del suo paese e, in prospettiva, di tutto il mondo arabo-islamico, avrebbe davvero l’ambizione, forse persino le capacità, di un principe rinascimentale. Certamente, ne ha la spietatezza e la spregiudicatezza. Può spiacere doverlo dire, ma forse anche stavolta toccherà dare ragione a Renzi.