di Giovanni Ciaccio
Di recente l’ex ambasciatrice Elena Basile, balzata agli onori della cronaca per le sue forti posizioni sul conflitto russo ucraino, ha scritto un articolo pubblicato sul giornale TPI, attaccando il Ministro degli Esteri ucraino Kuleba. L’articolo si incentra sulla forte indignazione dell’ex diplomatica verso le parole pronunciate dal Ministro, il quale aveva spiegato la propria funzione, ossia creare le condizioni atte a garantire una vittoria ucraina, tramite una metafora calcistica.
L’arringa della Basile parte attaccando frontalmente gli assunti “fideistici” di Kuleba, il quale descrive l’invasione russa dell’Ucraina come una minaccia alla sicurezza del Continente Europeo. Secondo l’ex ambasciatrice, se il Ministro fosse convinto di ciò che dice, avrebbe molte armi per convincere i suoi alleati ad intervenire direttamente con le proprie truppe utilizzando una semplice leva negoziale, minacciare la sostanziale resa militare dell’Ucraina in caso di mancato intervento occidentale. Il fatto che la leadership di Kyiv non eserciti tale leva negoziale, viene ritenuto dalla Basile come una prova che non esistano minacce all’Europa.
Tali assunti risultano tuttavia essere profondamente errati sulla base della semplice ragionevolezza, nonché della postura di diversi paesi europei. La Strategia di Sicurezza Nazionale Polacca del 2020 cita espressamente la Federazione Russa come la principale minaccia alla sicurezza nazionale del paese, indicando espressamente come Mosca stia perseguendo una politica estera “neo imperiale” e impieghi strumenti al di sotto della soglia della guerra convenzionale, quali operazioni “ibride” e disinformazione, volte a destabilizzare e dividere le società occidentali. Risulta pertanto chiaro come la Federazione Russa rappresenti eccome una minaccia per l’Europa, anche per nazioni coperte dall’art 5 del Trattato Nord Atlantico come la Polonia.
In secondo luogo, minacciare la resa dell’Ucraina salvo intervento occidentale non avrebbe il minimo senso, la principale leva negoziale di Kyiv nei confronti dell’Occidente è rappresentata proprio dal fatto che l’Ucraina risulta in grado di degradare in maniera irreversibile le capacità militari della Federazione Russa, principale minaccia al continente europeo, senza che ciò comporti l’intervento diretto dell’Occidente, il quale è di conseguenza protetto da ogni possibile perdita umana e materiale. Lo stesso Zelensky ha, infatti, messo in evidenza come gli aiuti occidentali all’Ucraina rappresentino “investimenti” per la stabilità globale. Se l’Ucraina minacciasse la propria resa, perderebbe quindi l’unica leva in suo possesso, poiché l’Occidente troverebbe maggiormente conveniente investire sulle proprie forze armate, piuttosto che rischiare un intervento militare diretto nei confronti della Federazione Russa. Al contempo minacciare la resa lascerebbe la popolazione ucraina in balia delle forze di Mosca, le quali estenderebbero su tutto il territorio del paese i ben noti trattamenti nei confronti dei civili che hanno già posto in essere nei territori da esse occupati, quali torture, arresti e intimidazioni, pertanto i politici ucraini verrebbero meno alle responsabilità che hanno verso la propria stessa popolazione.
La seconda parte del ragionamento di Elena Basile è invece incentrata sulle “responsabilità” dell’Ucraina nell’invasione, la quale a detta dell’ex ambasciatrice si sarebbe potuta evitare: se il paese avesse posto in essere il suo avvicinamento all’Occidente tramite una graduale apertura commerciale e riforme delle debole democrazia locale, definita preda di oligarchi e forze nazionaliste radicali; se avesse negoziato la propria neutralità; se avesse applicato gli accordi di Minsk e se avesse evitato una “penetrazione” militare anglosassone. Questa seconda parte dell’articolo risulta completamente scollegata dalla realtà, nonché indice di una profonda impreparazione sulla politica ucraina, tanto interna, quanto estera.
Anzitutto a partire dal 2015 l’Ucraina ha avviato una positiva serie di riforme finalizzate al contrasto della corruzione, le quali hanno determinato un generale rafforzamento della locali istituzioni democratiche, elemento indicato dai vari report di Freedom House, in secondo luogo a partire dal 2014 le formazioni nazionaliste radicali quali Svoboda e Pravy Sektor hanno perso in maniera consistente voti e seggi, finendo per assumere un ruolo assolutamente marginale nella politica ucraina, la quale presenta un grado di influenza di partiti estremisti di destra e di sinistra significativamente più basso rispetto al resto d’Europa.
Indice di assoluta impreparazione da parte della Basile è invece l’assurda dichiarazione sulla neutralità dell’Ucraina, la quale era infatti garantita dall’articolo 11 comma 2 della legge “Sulle basi della politica interna ed estera” approvata ne 2010. La rivoluzione del 2014 non comportò alcun cambiamento di tale paradigma, in quanto il programma del governo Yatsenuk non includeva l’adesione alla NATO come obbiettivo, citando invece espressamente l’integrazione europea e la necessità di mantenere relazioni di buon vicinato con la Federazione Russa, obbiettivi largamente simili a quelli del Presidente filorusso Yanukovich. Lo status di neutralità del paese venne abolito solo nel dicembre 2014, di fronte alla constatazione della sua inefficacia nel tutelare l’integrità territoriale ucraina.
Con riguardo agli accordi di Minsk, non è certo stata l’Ucraina a determinarne il fallimento, semmai la Federazione Russa, la quale non ha ottemperato agli obblighi da esso derivanti, i quali includevano il ripristino del controllo ucraino, il ritiro delle forze straniere e lo scioglimento dei gruppi illegali. Non risulta che la Federazione Russa abbia ritirato le proprie forze dal Donbass, né che abbia ordinato lo scioglimento delle milizie da essa costituite nella regione.
Mosca ha, inoltre, reso estremamente difficoltosa l’implementazione della missione speciale di monitoraggio dell’OSCE, la quale ha peraltro riconosciuto come la stragrande maggioranza delle violazioni del cessate il fuoco arrivasse dalla Russia. L’Ucraina ha inoltre largamente onorato gli impegni derivanti dall’accordo, ossia la garanzia di uno statuto speciale per il Donbass e l’amnistia per i separatisti, come indicato nel rapporto sugli accordi scritto da Kurt Volker per la CEPA.
Concludiamo con la “penetrazione militare anglosassone”, anzitutto non risultano dislocamenti di truppe permanenti di forze americane e britanniche in Ucraina, in secondo luogo anche l’assistenza militare fornita al governo ucraino da parte di Washington e Londra si è rivelata in un primo momento limitata e in larga parte rivolta a fornire strumenti necessaria a difendersi da una eventuale invasione russa, i primi obici M777 sono infatti arrivati solo nell’aprile del 2022. In precedenza, prima l’equipaggiamento occidentale costituiva una percentuale assolutamente ridotta dell’inventario ucraino, largamente costituito da equipaggiamento locale ed ex sovietico.
Nell’ultima parte dell’articolo l’ex ambasciatrice si scaglia invece contro l’Occidente, il quale starebbe perseguendo una strategia “demenziale”, volta a sconfiggere militarmente la Russia e smembrarla per ottenerne le risorse. Risulta piuttosto difficile comprendere l’ultima parte del contributo della Basile, che non sembra tenere conto conto del fatto che anche l’URSS era una potenza nucleare, il che non le ha impedito di perdere il conflitto in Afghanistan, così come l’arsenale nucleare russo non ha protetto il paese dalla sconfitta in Cecenia nel 1996 e nel Donbass nel 2014, dove le forze russe persero tutte le tre battaglie principali a Kramatorsk, Sloviansk e Mariupol contro l’esercito ucraino. In ultima analisi, lo smembramento della Federazione Russa non pare assolutamente un obbiettivo dell’Occidente, tradizionalmente molto preoccupato delle possibilità di dispersione del arsenale nucleare di Mosca, come mostrato negli anni Novanta dall’avvio del programma Nunn Lugar.