La riflessione che voglio fare è rischiosa e me ne rendo conto. Perchè rischiosa? Perchè la faccio da europeista convinto e temo di dare armi a chi europeista non è e spara contro la Germania per affossare l’Unione. Ma forse vale la pena comunque farla.
Partiamo da un concetto. Se è vero che nessuno si salva da solo, è altrettanto vero che nessuno si arricchisce da solo.
Che voglio dire? Voglio dire che i giganteschi surplus di bilancio tedeschi, non sono solo il merito della grande produttività tedesca e delle riforme fatte con Schroeder. La cosa è più complessa, sopratutto per due ragioni.
La prima, se si sono arricchiti vendendo Mercedes in Europa, significa che qualcuno quelle Mercedes le ha comprate. E se hanno venduto Mercedes ai cinesi, grazie alla loro grande competitività, è anche perché hanno una catena di produzione anche in Italia dove i salari sono più bassi (per l’Italia vale soprattutto per i beni strumentali e intermedi). Bassi salari, minori costi di produzione, maggiore competitività, a fronte di standard tecnologici altissimi (un solo esempio, la Lamborghini posseduta dall'Audi).
Perché faccio questo discorso? Per una serie di ragioni. Se si imposta il problema nel modo suddetto, la metafora delle cicale (noi paesi mediterranei) e delle formiche (Germania et similia) non ha alcun senso. La Germania ha potuto accumulare surplus perché altri hanno fatto deficit o hanno lavorato duramente per le fabbriche tedesche, a salari più bassi. Altro che cicale.
La seconda, gli Eurobond non sono decisivi dal punto di vista economico. Grazie al cielo, la Banca centrale sta facendo in maniera eccellente il suo lavoro. Ma sono un segnale politico, di solidarietà tra paesi che si sentono accomunati da un unico destino: la difesa della libertà e dello Stato di diritto in un mondo che li sta perdendo entrambi. Negare questa manifestazione di solidarietà è di una miopia abbastanza sconcertante. Anche perché a livello macroeconomico questo non è altro che il vecchio mercantilismo, che implica una visione a somma zero nelle relazioni europee, ed è del tutto incompatibile rispetto a un insieme di stati che vogliono essere una comunità.
C’è un ultimo punto infine da toccare. E mi riferisco a quello che è sempre stato identificato a partire dal dopoguerra con un nome molto preciso: vale a dire il “problema tedesco” e cioè come fare per avere una Germania, ricca, forte e prospera senza che questa riprendesse ad accarezzare i vecchi sogni egemonici di un tempo.
Una prima risposta la si trova già negli accordi di Washington dell’aprile del 1949 dove si raccomanda di “incoraggiare e facilitare l’integrazione il più possibile stretta… del popolo tedesco… in un’associazione europea”. Un principio, ripreso poi nella costituzione della CECA che è alla base del processo di integrazione europea, con una Germania che può superare i vicoli che le sono stati imposti con la sconfitta nella seconda guerra mondiale solo integrandosi sempre più con gli altri stati del vecchio continente: in altri termini, cedendo sovranità nei confronti di un organismo sovranazionale. È per questo che la Germania diventa un motore di integrazione europea.
“Non vogliamo un’Europa tedesca - le parole sono di Thomas Mann - ma un Germania europea”. Ecco, scegliendo di farsi motore del processo di integrazione europea Bonn sceglieva la prima strada: risolvere il problema tedesco dando vita a una Germania europea. E così è stato fino a Kohl e alla decisione, in perfetta coerenza con quanto detto sinora, di “sciogliere” il marco nell’euro.
Con la Merkel sembra si sia scelta una strada diversa e cioè la costruzione di una Unione plasmata dalla Germania. Non a caso, il maggiore protagonismo tedesco (nel fare o nel frenare) ha generato nelle coscienze europee, come accade da secoli, i timori di un tentativo egemonico da parte di Berlino e così facendo la Germania ha generato la costituzione di contro alleanze, che nascono con l’unico obiettivo di contrastare Berlino. Del resto è quello che è sempre accaduto in Europa. Ogni volta che c’è un tentativo egemonico, che sia di Parigi o di Berlino, si genera una reazione uguale e contraria da parte degli altri stati.
Tra le tante difficoltà del momento attuale, dunque, ce ne sono due che possono essere attribuite a Berlino, o meglio alla Merkel, e cioè una doppia miopia: quella di ragionare in un’ottica mercantilista del tutto incompatibile (di fatto e in linea di principio) con una economia interdipendente come quella europea; la seconda, la scelta di costruire una Europa tedesca, cosa del tutto incompatibile sia con lo spirito europeo, sia con la storia del vecchio continente, dove ogni tentativo egemonico ha avuto l’unico effetto di produrre spaccature, odi e guerre.
Nunziante Mastrolia
Ottima analisi. Concordo parola per parola
interessante, però farei una obiezione: se parlando di EU si parla solo di Kohl e Merkel si ammette implicitamente che la Germania fa e disfa e gli altri stanno a guardare. Vorrei essere più ottimista e vedere anche gli errori degli altri, di come un po' tutti si è guardato alla UE; del complesso d'inferiorità nei confronti dei tedeschi o dell'adagiarsi alla visione di una UE elargitrice di risorse. Credo che le democrazie europee si siano concessi troppi lussi, dai capricci ridicoli sul gasdotto che molesta gli ulivi pugliesi, al pregiudizio anti nucleare indifferente ai ricatti geopolitici. La Grecia, che amo quasi quanto l'Italia, l'abbiamo visitata un po' tutti, a me una cosa colpiva sempre, il parco auto paragonabile a quello tedesco. Se il parco auto fosse una spia del tenore di vita ci si sarebbe fatta un'idea sbagliata di quello che era il reddito medio di un cittadino greco; c'era anche questo credo tra le avvisaglie (e le cause) del disastro economico che i possessori di bmw pagarono lasciandole in garage a arrugginire e i poveracci con la fame vera; il colpevole chi è stato?