Bruno Genito
già Professore ordinario di Archeologia dell’Iran e dell’Asia Centrale Università “l’Orientale” di Napoli
Introduzione
In un contesto geopolitico internazionale in fibrillazione, così tormentato e minaccioso, quale è quello dell’odierno vicino e medio oriente, cioè dell’area geografica che si estende dal Libano all’Iran, e per intenderci, andando da ovest verso est, i territori palestinesi, Israele, Giordania, Siria, Turchia e Iraq, ho ritenuto utile approfondire e far apprezzare più da vicino uno dei tanti paesi coinvolti in quel contesto, affascinante ed attraente, ma, ai più, sconosciuto, come l’Iran, o meglio, come si chiama oggi, Repubblica Islamica d’Iran.
Queste note sono parte di un elaborato in preparazione, e di cui quello che presento qui, ora, costituisce solo un agile e sintetico excursus. Ho pensato di proporlo giacché nella comune dialettica informativa in corso, tra mass-media, social, giornali e pubblicazioni più o meno attendibili, si possono osservare sull’argomento errori di prospettive, plateali erronee affermazioni, se non addirittura elementi di marchiane, non sappiamo quanto volute, semplificazioni che non aiutano certo a districarsi in un quadro geo-storico e geo-politico già abbastanza complesso di per sé.
Mi accingo a svolgere queste considerazioni da un punto di vista particolare, essendo un antichista e in particolare un archeologo, che tra i suoi diversi campi di ricerca e studio privilegiati ha sempre avuto, a partire dagli inizi degli anni settanta del secolo scorso, proprio l’Iran. Questo breve contributo ha anche la pretesa di provare ad emancipare il dibattito in questione da una visione quasi esclusivamente politologica, nella quale se si colgono i decisivi punti di contrasto tra le parti negli ultimi trent’anni, spesso, in secondo piano, viene messo il contesto storico nei quali quei punti sono emersi, anche perché alcuni di essi affondano le proprie origini in un passato, spesso, lontanissimo.
Nell’attuale dibattito, come si diceva, prevalentemente politologico e/o geopolitico, a volte anche surreale, sono essenzialmente due gli aspetti che colpiscono di più: da un lato, la mancanza di voci di autorevoli esperti dell’Iran; e dall’altro, la mancanza assoluta di voci di esperti dell’Iran non moderno, che, invece, potrebbero fornire quegli elementi di base di conoscenza sull’antichissimo ruolo egemonico che l’Iran ha avuto nell’area geografica in cui si trova, a partire dalla metà del I millennio a.C. (nascita della prima formazione politica di tipo imperiale della dinastia Achemenide), alla metà del I millennio d.C. (fine della formazione politica di tipo imperiale della dinastia sasanide, prima dell’avvento dell’Islam). Naturalmente la natura socio-economica, politica e culturale dei periodi più antichi è strutturalmente diversa da quella dei periodi dell’età moderna e contemporanea, e nel prosieguo di queste note si capirà meglio quanto or ora affermato, soprattutto in relazione ai mille anni su menzionati. C’è poi da sottolineare nel dibattito attuale un uso fin troppo generalizzato di categorie storiografiche di origine eurocentriche come le nozioni di stato, nazione, impero, religioni, là dove, nel quadro informativo a disposizione di un lettore non addetto ai lavori, ad esse si ricorre per cercare di far comprendere un ambito geo-culturale e politico di una vastità e complessità enorme e per la quale quelle categorie non sono certamente le più indicate.
Non si può, inoltre, evitare di sottoporre al lettore alcune riflessioni relativamente a terminologie storico-geografiche, in voga ormai da anni in occidente, e, a volte, improprie, che non coincidono con le definizioni storicamente accettate dalla maggior parte degli studiosi, per comprendere al meglio la reale collocazione della Repubblica Islamica d’Iran. Le aree geografiche che oggi comunemente chiamiamo “Medio Oriente” (dall’inglese Middle East) sarebbero da indicare, più propriamente con l’espressione “Vicino Oriente” (dall’inglese Near East), cioè quella parte dell’Asia/Oriente più vicina al Mediterraneo; l’Iran, l’Afghanistan e l’Asia Centrale (Kazakhistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghisistan) dovrebbero costituire più propriamente un “Medio Oriente”, e la Cina, le due Coree e il Giappone, un “Estremo Oriente”. A parte andrebbero, poi, considerati il sub-continente Indiano (India, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka) e il sudest asiatico (Myanmar/Birmania, Laos, Cambogia, Tailandia, Vietnam e Malesia). E sarebbe, ulteriormente doveroso non dimenticare di trovare una collocazione, in questo complicato mosaico etno-geografico, etno-storico, ed etno-linguistico, all’area caucasica, ricca, da sempre, di articolazioni orografiche complesse, dove hanno trovato spazio diverse etnie e nazionalità, in parte all’interno della Federazione russa e in parte indipendenti: un crogiuolo di comunità molto vario e differenziato al suo interno, tra popolazioni caucasiche, iraniche/ossetiche, turche, cecene, daghestane, azere, armene e georgiane, etc.
In senso geografico il territorio politicamente pertinente all’odierna Repubblica Islamica d’Iran, poi, non può completamente sovrapporsi alla definizione fisico-geografica di altopiano Iranico che, invece, da un punto di vista orografico, si può considerare esteso dal golfo di Alessandretta in Turchia sud-occidentale (nella provincia di Hatay), fino all’Afghanistan. Su questa base possiamo provare, ora, ad organizzare un discorso che cerchi di comprendere in maniera quanto più ampia possibile, cosa sia stato e sia l’Iran nella sua dia-cronicità geo-storica.
Contesto Generale
A partire dalla costituzione della formazione politico-imperiale di Ciro il Grande e Dario I alla fine del VI secolo a.C., della dinastia degli Achemenidi (discendenti da Achemenes, di cui ci parlano le fonti classiche, in primis Erodoto, e le stesse iscrizioni in antico persiano), fino all’arrivo dell’Islam nella metà del VII secolo d.C., si cominciarono a creare le premesse di quello che sarà l’Iran dei secoli successivi, e a partire, poi, dall’inizio del XVI secolo con il dominio della dinastia dei Safavidi, dell’Iran moderno. La proclamazione dello Sciismo come religione di stato da parte di quella dinastia, rappresenterà la riproposizione, a distanza di secoli, di quella frattura politico-teologica, tutt’interna alla storia della religione islamica, risalente alla fine del VII secolo d.C. Quella frattura aveva visto, da un lato i seguaci di Alì, il quarto califfo (in arabo vicario) (656-661 d.C.) (genero e cugino di Muḥammad), dopo i primi tre Abu Bakr (632-634 d.C.), Omar (634-644 d.C.), Othman (644-656 d.C.) e dall’altro la Sunna (in arabo 'consuetudine, abitudine, costume' e, in senso lato, 'codice di comportamento', e anche ‘tradizione’) l'insieme delle norme comportamentali essenziali del pensiero giuridico, etico e sociale della Umma (in arabo comunità dei fedeli musulmani), ricavate non dal Corano, ma dalla vita di Maometto. Alì dopo numerosi tentativi di conciliabili, avvenuti a seguito dell’assassinio del suo predecessore Othman per tentare di definire una linea ereditaria comune per il califfato, nel frattempo, fu ucciso assieme ai suoi figli Husayn e Hussein e da allora si creò quell’ancora incomponibile frattura tra Sunniti (seguaci della consuetudine etc..) che portò alla creazione della prima dinastia califfale, quella degli Omayyadi e gli Sciiti (il partito di Alì).
Ora per comprendere un paese che già da queste premesse si presenta sia sul piano geografico, che su quello storico-culturale, così articolato e complesso, è inevitabile per i non addetti ai lavori aggiornarsi leggendo i numerosissimi articoli, saggi e volumi sull’Iran contemporaneo pubblicati negli ultimi decenni. Queste pubblicazioni, di taglio prevalentemente geo-politico, tuttavia, non sono, a mio parere, più da soli sufficienti a comprendere la realtà dell’oggi, non tanto e non solo perché esse prevalentemente trattano la storia di quel paese a partire dal 1978/1979 anni in cui nacque e si affermò la rivoluzione khomeinista, ma soprattutto poiché esse, spesso, mancano proprio di quella profondità storica, in casi così complessi come l’Iran, invece, assolutamente necessaria. Quanto accade per l’Iran, sarebbe paragonabile anche alla Francia, se p.es., ne volessimo parlare solo a partire dalla rivoluzione del 1789, o anche alla Russia, se cominciassimo a partire da quella sovietica del 1917. É ovvio che questi eventi rivoluzionari hanno fortemente segnato e caratterizzato la storia più o meno recente dei tre paesi in questione: degli ultimi trentacinque anni nel caso dell’Iran; degli ultimi cento anni nel caso della Russia; e degli ultimi duecento anni e più nel caso della Francia. Se non si approfondiscono gli elementi e gli aspetti che hanno, in ultima analisi, prodotto quegli avvenimenti rivoluzionari, le riflessioni su di essi rischiano, tuttavia, di trasformarsi in considerazioni monche e, spesso, anche fuorvianti.
Negli anni sessanta del secolo scorso il famosissimo iranista e islamista Alessandro Bausani (che ha insegnato all’Orientale di Napoli e alla Sapienza di Roma) scrisse un agile ed utilissimo pamphlet dal titolo I Persiani, nella famosa collana Civiltà Orientali, diretta da Sabatino Moscati della casa editrice Sansoni (1962). L’ultimo capitolo l’undicesimo, aveva il titolo, allora ai più piuttosto incomprensibile, ma, comunque, molto significativo di I fondamenti culturali dell’Iran moderno: Maometto e Dario (p. 243-273). Lo scopo di quel lavoro era prevalentemente incentrato sulla storia culturale del paese, da sempre a cavallo tra due prospettive principali diverse, anche se, a volte, sovrapponibili: una tradizione culturale prevalentemente “orale”, di ascendenza indoeuropea e antico centro-asiatica (originariamente nomadica), culminata negli esiti “imperiali” di Ciro il Grande, prima e Dario I, poi, alla fine del VI secolo a.C.; una consolidata tradizione culturale “scritta”, sedentaria (di ascendenza semitica) dell’antica-Mesopotamia (sumero-accadica prima, III millennio a.C., e assiro-babilonese poi, II-I millennio a.C.), confluita, successivamente, grazie all’apporto delle genti arabe del sud nel VII secolo d.C., nella più moderna tradizione iranico islamica. Il titolo di quell’ultimo capitolo del libro di A. Bausani, inoltre, cercava di mettere in evidenza, molto in anticipo sui tempi, le basi di quel contrasto politico che si sarebbe manifestato, poi, alla fine degli anni settanta, all’epoca della rivoluzione “islamica” di Khomeini, tra un Iran fortemente occidentalizzato voluto dal padre dello Scià di Persia Reza Khan e dal figlio Muḥammad Reza Pahlavi, e uno parzialmente arabizzato, ma completamente islamizzato voluto dell’imam (letteralmente colui che sta davanti, cioè guida) Khomeini e dai suoi seguaci.
Quelle due tradizioni culturali, a ben osservare la storia intera dell’Iran, sono rimaste nei tre millenni che ci separano, a partire da oggi, dall’arrivo presumibile degli iranici sull’altipiano (tra la fine del II millennio a.C. e l’inizio del I millennio a.C.), i poli culturali principali intorno ai quali è ruotata tutta la storia di quella civiltà, nata e sviluppata prevalentemente, ma non solo, proprio sull’altopiano. Se volessimo sintetizzare e semplificare al massimo il discorso, al di là dei diversi contenuti storico-geografici e politico-culturali, la civiltà iranica (compresa la lingua) resta una civiltà indoeuropea, a cui si sono sovrapposte altre componenti culturali di origine semitica, giacché il territorio noto come “persiano” dal toponimo della loro zona di insediamento originario (la provincia meridionale del Fars, cioè la Persia della nostra tradizione classica), è contiguo ad ovest, attraverso la provincia del Khuzestan, proprio alla pianura Mesopotamica, culla, come già detto delle più antiche civiltà di origine semitica. A tutto ciò si deve anche aggiungere un'altra componente etnico-culturale molto importante, che farà capolino qualche secolo più tardi, quella turca, che a partire dall’XI secolo d.C., fu decisiva nella formazione nazionale della Persia, stato che, solo a partire dagli anni trenta del secolo scorso, è stato, come vedremo, denominato Iran.
L’illustre studioso Bausani sosteneva, inoltre, anche che una delle caratteristiche di tutta la storia politico-culturale dell’Iran è stata segnata dal continuo ricorrere da parte dell’élites a quello che lui chiamava “un richiamo arcaizzante” al passato, a volte mitizzato e/o reso leggenda in tutti i momenti decisivi e difficili della sua storia. Accadde, come vedremo, la prima volta con Ciro il Grande, poi con Alessandro Magno, e via via con le dinastie partiche e sasanidi e con le diverse dinastie turche che dal X secolo fino al XIX secolo domineranno il paese. Si tratta, come cercheremo di mettere in evidenza, nel prosieguo delle nostre note, in qualche modo, della necessità di una continua rilegittimazione politica che ogni élite politica dominante avvertirà come imprescindibile esigenza, di fronte ai radicali cambiamenti nella gestione del potere.
Se non si parte da queste considerazioni preliminari e fondamentali sulla storia della civiltà iranica, si rischia di non cogliere appieno dell’Iran la sua specificità storico-geografica da un lato, e quella politico-culturale dall’altro, che hanno avuto come conseguenza, il decisivo ruolo egemonico geo-politico, ancora oggi ben chiaro.
Protostoria e dinastia Achemenide (VI-IV secolo a.C.)
I popoli iranici sono, per la prima volta, menzionati nella documentazione storica, assieme ad altri popoli di difficile collocazione etnico-linguistica, nelle fonti scritte degli Annali dell’impero neo-assiro (IX-VII secolo a.C.); gli assiri avevano già dimostrato di avere un’altissima considerazione di sé stessi nella fase media e paleo-assira dei secoli precedenti, e avevano chiaramente preteso di dominare e di ordinare il mondo allora conosciuto, attitudine e volontà dei popoli nella storia umana, come noto, molto diffuse e sempre, ahimè, gravide di pericolosissime conseguenze. Questi popoli iranici, tra i quali segnaliamo i mada (probabilmente i medi) nel nord-ovest dell'odierno Iran e i Parsua/Parsva (probabilmente i persiani), più tardi comparsi nel sud dell’altopiano, si collocavano, di fatto, in una estrema periferia dell’impero assiro. Essi, naturalmente, attrassero fortemente l'attenzione degli assiri, che, da parte loro, si collocavano nel mezzo nella pianura mesopotamica tra l’Eufrate a ovest, e il Tigri a est, con altitudini medie del loro territorio sui 20-25 m. s.l.m. Davanti a sé, a poco più di 100 km., ad est, si potevano, tuttavia, vedere le propaggini delle alte montagne della catena degli Zagros a partire da circa 400 m. s.l.m., fino ad arrivare con punte, all’interno, sempre più a est, fino a 4400 m. s.l.m. Quando le fonti neo-assire descrivono le popolazioni sulle montagne e oltre, ad est, le percepiscono con molta ansia e senso di pericolo in quanto esse vivono o si affacciano dall’alto di queste montagne e possono ovviamente controllare meglio la pianura nella quale gli Assiri vivevano. Quest’allarme viene percepito sempre più minaccioso, quando quelle popolazioni cominceranno a mostrare inequivocabili segnali di movimento, ai quali gli Assiri, a torto o a ragione, cominceranno a sentirsi sempre più esposti.
I Medi e la loro regione di riferimento (l’Iran di nord-ovest) si mostrerà irriducibile al modello assiro e proverà ad organizzarsi in modo autonomo, ma verso la fine della sua parabola, durante il dominio del re Assurbanipal, l'impero neo-assiro riuscirà ad ottenere, però, una fondamentale vittoria: la distruzione, nel 646 a.C. della potenza nemica dell’Elam (termine usato dagli Assiri che potrebbe indicare “alte terre”, anche se la maggior parte del territorio elamico, a dire la verità, si trova, invece, in pianura), una formazione statale (di etnia e lingua incerta) di grande importanza, che si estendeva su quello che oggi è l'Iran sud-occidentale, in gran parte, come si diceva, la pianura del Khuzestan. Da tempo, tuttavia, la formazione politica elamica, aveva avuto anche un secondo centro urbano principale: Anshan, che si collocava, questo sì nelle alte terre più a oriente (probabilmente il sito di Tall-i Malyan, non lontano da Persepoli nell'attuale provincia iraniana del Fars). Gli annali di Assurbanipal menzionano un’ambasceria inviatagli da un certo Kurush, ovvero Ciro, probabilmente un antenato dell'omonimo Ciro il Grande, che è ricordato come re di Anshan, erede della tradizione politico-amministrativa dell'Elam sconfitto. Anshan e il suo sistema di governo si propose, allora, di riempire quel vuoto politico lasciato dalla distruzione di Susa, capitale principale dell’Elam, ma, sorprendentemente, lo fece con un nome e una identità nuova, quello della Persia. Dopo il crollo di Susa le fonti ci consentono di vedere il potere della nuova Anshan “persiana”; nel 612 a.C., sulle rovine della capitale assira di Ninive, presso l'odierna Mossul; Nabopolassar il babilonese e il sovrano della Media Ciassarre (figura molto probabilmente leggendaria) si sarebbero spartito di fatto il mondo allora conosciuto: a Babilonia la Mezzaluna Fertile (o Crescente Fertile, espressione ideata negli anni venti del 900’ dall'archeologo James Henry Breasted dell'Università di Chicago), ai medi le alte terre, gli altopiani dell'Iran e dell'Armenia e, forse, quel che restava dell'Elam.
La formazione politico-imperiale che Ciro il Grande riuscirà a costruire nel giro di pochi anni, dal centro di Anshan in Persia, vincendo contro la Media, la Lidia del re Creso e Babilonia, presenta caratteristiche programmaticamente “universalistiche”, come era stato anche quello assiro, ma nella realtà, profondamente diverse. Gli assiri si erano concepiti come “popolo” chiamato dal dio nazionale Assur a unificare e civilizzare il mondo. Nella Persia achemenide prevale, invece, una modalità politica di integrazione di popoli, oggi si direbbe di inclusione: paesi, spazi, culture e popolazioni diverse riunite sotto una comune protezione, che ne tutela e garantisce le istituzioni e le leggi locali in cambio di tributi e fedeltà. Ogni comunità ha il suo ruolo nella nuova armonia politica garantita dal re dei re, significativa titolatura di origine mesopotamica che passerà in eredità successivamente al cristianesimo. Le iscrizioni celebrative reali sono plurilingui (elamico, accadico, antico persiano, e anche egizio e aramaico). Il re dei re governa per volere della suprema divinità iranica Ahura Mazda, ma in Babilonia è garante del culto di Marduk, divinità, invece, babilonese. Questa formazione politico imperiale, in un certo senso pluralista troverà la sua rappresentazione iconografica più significativa proprio a Persepoli capitale dell’impero, nell’immensa sala delle udienze fatta costruire da Dario I, l’Apadana, uno dei diversi monumenti presenti sulla terrazza (assieme alla scalinata di accesso, un ingresso trionfale, il palazzo di Dario, il palazzo di Serse, la sala delle cento colonne, il trypilon etc.). Nei rilievi che decorano le scalinate esterne dei portici orientale e settentrionale, sono rappresentati i popoli assoggettati alla Persia, a dimostrazione del fatto che l'impero riunisce, quindi, il mondo nella sua complessa diversità, una sorta di unità nella diversità si potrebbe dire oggi. I gruppi dei popoli raffigurati rappresenterebbero, secondo la maggior parte delle diverse interpretazioni proposte, le delegazioni delle diverse province (dall’antico persiano dahyu, pl. Dahyāva, ma anche Batrakatas) (in greco satrapēiē) e l'ordine in cui esse si dispongono rappresenterebbe la scala gerarchica della loro maggiore o minore rappresentatività. I personaggi indossano abiti diversi, portano effetti personali, oggetti e animali, in un contesto figurativo generale che suggerisce l’esistenza di una solenne cerimonia collettiva da svolgersi, forse, nel giorno dell’arrivo del nuovo anno, di cui viene riprodotta l’intera rappresentazione in bassorilievo. L'identificazione di queste delegazioni è stata oggetto di un ampio e complicato dibattito e in effetti, è difficile trovare una precisa corrispondenza tra la sequenza geografico-territoriale delle rappresentazioni, i loro nomi e il rango politico, in quanto i rilievi, tra l’altro, non portano iscrizioni.
Una formazione politica di questo tipo doveva necessariamente possedere una ideologia che prendesse le mosse da una precisa volontà di egemonia, sulla base della quale modellare i meccanismi del consenso politico, sociale e religioso. Questa ideologia è una realtà fattuale, ma anche un concetto complesso che deve aver avuto rapporti stretti con gli avvenimenti storici, politici, economici, con il diritto, il linguaggio, e aver costituito un sistema di segni che non può essere definito solo dal gigantismo territoriale, dall’eterogeneità etnica e culturale che lo caratterizza, o da un centro geografico definito e dalla sua relativa periferia. Ciò che distingue e qualifica una formazione politico-statale/imperiale di questo tipo, rispetto ad altre formazioni politiche, è la funzione di bilanciamento esercitato tra le varie componenti nello spazio che lo definisce. Palazzi ed altre installazioni architettoniche in pietra sono ben attestati a Susa nel Khuzestan, e qui, in particolare, a poche centinaia di metri dall'antica città elamita i palazzi achemenidi sembrano marcare il territorio con la loro presenza, senza mai, tuttavia, esprimere una chiara intenzionalità urbanistica. Anche per il "paesaggio" di Pasargadae a 80 km. a nord-est di Persepolis, nel Fars, non è possibile parlare dell'esistenza di una vera e propria “città” o addirittura di un insediamento. Quello che si può osservare nella piana del fiume Pulvar sono i resti di grandi edifici (un atrio, un luogo di riunione, l'ancora enigmatico Zendan-e Suleyman, la cosiddetta tomba di Ciro e il monumento su roccia del Tall-e Takht o Takht-e Madar e-Suleyman, una sorta di acropoli alta). Questi edifici sono situati in un ordine preciso, e disposti, tra giardini, mentre particolari iconografie umane e semiumane raffigurate su alcuni dei pilastri dei palazzi si correlano alla tradizione tecnico/stilistica ed iconografica del Vicino Oriente antico.
Alessandro Magno (n. a Pella nel 356 a.C., re dal 336 a.C.; m. nel 323 a.C. a Babilonia)
Anche il progetto imperiale di Alessandro di Macedonia si inserisce nella tradizione “universalistica” di quello di Ciro e dei suoi successori, pur se in un diverso contesto linguistico-culturale; presa e incendiata Persepoli, come ci dicono le fonti, quasi in una sorta di vendetta/rivalsa dopo un secolo e mezzo dall’assalto sacrilego all’acropoli di Atene compiuto da parte delle truppe persiane di Serse dopo la battaglia di Platea nel 479. Alessandro impone ai suoi soldati il matrimonio con donne persiane e cerca di educare i persiani stessi a combattere in falange, la tipica formazione di combattimento macedone. Sceglie per capitale Babilonia, già metropoli mesopotamica di prestigio antichissimo, ma i suoi eredi, i cosiddetti “diadochi”, non riusciranno, però, a mantenere intatta la visione politica degli achemenidi, preferendo, invece, mantenere una impronta esclusivamente ellenica, più familiare, pur se anch'essa diversa dalla cultura nativa dell’élite militare macedone. L’inevitabile frantumazione dell'impero che fa seguito alla sua morte interromperà, di fatto, ogni disegno “universalistico”. La Persia e il suo dominio non sono più la parte maggiore del mondo conosciuto, perché gli orizzonti geo-politici si sono dilatati sempre di più e le sole terre asiatiche resteranno a Seleuco e alla dinastia da lui fondata, quella seleucide (311-64 a.C.). La Macedonia resterà rinchiusa in sé stessa nella lotta continua contro il particolarismo senza fine delle poleis greche, e lo Stato seleucide guarderà più a ovest che ad oriente, coinvolto, come è, nei conflitti con l'Egitto, e poi con Roma. La prima capitale, Seleucia sul Tigri, nella regione di Babilonia, cederà il posto ad Antiochia in Siria sul Mediterraneo.
I Parti Arsacidi (248 a.C., 226 d.C.)
L'altopiano iranico e la Mesopotamia non resisteranno, tuttavia, a lungo agli attacchi della cavalleria dei parti (dominati dalla dinastia arsacide, dall’eponimo Arsace), un gruppo etnicamente iranico, in parte di origine semi-nomadica, che trae origine dal nome dalla satrapia achemenide di Parthia o Parhava, il territorio a sud-est del Mar Caspio (l’attuale Turkmenistan meridionale e Iran nord-orientale) in cui si insedieranno. Verso il 140 a.C., durante il dominio del re Mitridate giungono fino alle rive dell'Eufrate, al confine con il dominio romano, e il grande fiume riacquisterà il ruolo di frontiera geo-politica stabile che aveva avuto secoli prima nell'età del bronzo, tra assiri e hittiti.
Delimitato dall'Eufrate a occidente per quasi tutta la sua storia, il potere politico partico avrà la sua area geografica di pertinenza principale, invece, nell'altopiano, e in particolare il suo nord-est, la Parthia propriamente detta, e la Mesopotamia. Dopo, i successori di Mitridate fonderanno una nuova capitale, Ctesifonte, proprio in Mesopotamia, sulla sponda opposta del Tigri rispetto a quella della “greca” Seleucia. Come l'Elam, come il dominio degli achemenidi, la Parthia resterà un dominio politico di tipo “policentrico”, forse, impropriamente, definito da qualcuno come “feudale” ante litteram. Alcune grandi famiglie aiutarono la dinastia regnante, apparentemente considerata prima inter pares rispetto a queste grandi casate, ciascuna delle quali disponeva di proprie basi di potere, terre e, possiamo immaginare, cariche semi-ereditarie. Sappiamo che almeno una delle grandi famiglie partiche, i Suren, era già molto importante nel primo secolo a.C., quando uno dei suoi membri aveva comandato l'esercito che annientò nel 53 a.C. a Carrhae (l’odierna Harran, Turchia) le legioni di Crasso. Molte di queste grandi famiglie saranno in seguito denominate semplicemente partiche, in medio-persiano pahlav/pahlavi, parola che in persiano moderno, poi, significherà nobile e glorioso e in questa accezione sarà adottata nel 1927 come nome dinastico degli ultimi re, che intendevano, così, richiamare l’eredità antica di una nazione iranica unita attorno a una monarchia centralizzata. Grazie soprattutto alla documentazione numismatica e agli storici greci e romani, si è riusciti ad essere più o meno consapevoli delle principali vicende dinastiche dei Parti e possiamo ricostruire, a grandi linee, l'estensione territoriale e l'organizzazione interna dello stato. La discreta quantità di dati archeologici, non riesce, tuttavia a fornirci un quadro sufficientemente completo, ed è, quindi, difficile stabilire se, e in che misura, fosse esistita, sotto quella dinastia, una qualche forma l’idea di una “iranicità” che si contrapponesse alla tradizione ellenistica o alla cultura romana. Il nome della lingua letteraria medio-persiana, pahlavi, fa pensare a una consolidata tradizione amministrativa e letteraria che ci è stata trasmessa, però, soprattutto in epoca successiva, e nel primo periodo islamico.
Poco prima del 200 d.C., Settimio Severo incorporerà entro i confini di Roma il regno siriaco dell'Osroene, appena un quarto di secolo prima che il regno collassasse dall'interno, per far posto a una nuova dinastia, i sasanidi.
I Sasanidi (226 d.C.- 651 d.C.)
È solo nel III secolo d.C., che il termine Ērān, appare con un significato geografico e geo-politico, specie nella forma Ērānshar, letteralmente “paese degli Ēr”, ovvero gli Arya. Con questo nome i sasanidi, saliti al potere nel 224 d.C. dopo la sconfitta e la morte dell'ultimo re dei re arsacidi Artabano, definiscono i territori del proprio dominio politico. All'Ērān corrisponde e si contrappone l’Anērān: tutto ciò che Ērān non è, in primo luogo l'impero romano, e Turan, l'Asia centrale dominata da comunità nomadiche. La formazione politico-imperiale sasanide, sempre considerata come uno Stato fortemente accentratore e assoluto e più vicino al modello occidentale-romano, aveva, forse, delle caratteristiche un po’ diverse. Originaria della Persia, la dinastia proveniva da Istakhr, a 6 km. in linea d’aria da Persepoli, dove il loro eponimo Sasan, era stato sacerdote del tempio di Anāhitā, una divinità femminile, forse assimilabile a Venere. La capitale rimane, tuttavia, Ctesifonte e la base del potere e il principale orizzonte geopolitico è rivolto verso ovest, al grande nemico romano. È in Mesopotamia e nel sud-ovest dell'Iran, l'antico Elam e Anshan, che si concentreranno, invece, i loro sforzi di urbanizzazione, con la fondazione di nuove insediamenti “regi”, spesso accompagnati di un numero considerevole di rilievi rupestri.
Il nord e l'est resteranno in mano alle grandi famiglie pahlav, il confine occidentale corre a est dell'Eufrate, e risulta non molto diverso da quello stabilito dai Severi e non molto lontano da quello disegnato nel 1920 dalle potenze europee per distinguere la Siria dall’Iraq, argomento, come sappiamo di aggiornatissima attualità considerando i recentissimi avvenimenti in Siria. Roma, la Nuova Roma di Costantino e la Persia collaborano contro la comune minaccia dei nomadi delle steppe; si rispettano e si riconoscono a vicenda, come se avessero avuto in dono il compito storico di governare il mondo civilizzato di allora. Se i sasanidi, o perlomeno alcuni dei loro re, perseguiranno una strategia politica più accentratrice dei loro predecessori, questo va interpretato, comunque, come certamente “imperiale”, e non “nazionale”. Il termine Ērānshar non indica, infatti, una nazione, ma un ideale con precise intenzionalità “universalistiche” corrispondenti, in qualche modo, e in competizione con quelle romane. Esplicito è il richiamo alla gloria antica degli achemenidi, mentre il ricordo della dinastia precedente, quella degli arsacidi, passa decisamente in secondo piano. Nell'ultima guerra romano-sasanide, che durerà dal 602 al 628 i persiani riusciranno ad assediare Costantinopoli, e i romani d'Oriente minacceranno da vicino Ctesifonte. In Arabia, intanto, un mercante della tribù dei Qurays preannuncerà una nuova era, il suo nome è Muḥammad e alla corte di Ctesifonte le grandi casate sembreranno distinguersi in due fazioni, i pahlav e i parsig che cercheranno di porre sul trono dei fantocci, tra cui due donne della famiglia sasanide. Di una, Buran Dubt resta il ricordo leggendario, forse col nome travisato, nella storia favolosa di Turandot. L’ultimo re sasanide, Yazdegerd III è costretto a fronteggiare l’avanzata araba, sperando fino all’ultimo in un aiuto dalla Cina, che però, non arrivò mai. In una prima fase i Sasanidi sconfiggeranno gli arabi, ma tre anni dopo, gli arabi conquisteranno Ctesifonte dopo un prolungato assedio; i sasanidi cercarono di respingere gli invasori, ma il tentativo fallì e vennero sconfitti nella battaglia di Nihawānd (Iran, regione di Hamadan) nel 642. Gran parte del territorio sasanide venne acquisito dal califfato e con l’assassinio di Yazdgerd III a Merv (Turkmenistan meridionale) nel 651 si conclude definitivamente l’epopea dei Sasanidi.
Gli Arabi
A questo punto comincia il lungo e tortuoso processo delle conquiste arabe verso oriente dopo la predicazione di Muḥammad; alcune casate partiche, sopravvissute al periodo sasanide, scendono presto a patti con i nuovi conquistatori, conservando parte dei loro privilegi e, soprattutto, provando a mantenere una memoria culturale del passato “iranico” che non tarderà a riemergere, anche se in una veste religiosa diversa, e con testi che cominceranno sempre di più a essere scritti in un alfabeto diverso, l’arabo. La frontiera che separava la Mezzaluna Fertile, in una iranica e in una romana scomparirà; dal Mediterraneo all'Indo, dall'Indo all'Atlantico e fino in Cina, si estenderà una singola completamente nuova realtà politica, religiosamente “islamica” e con un carattere politico ancora una volta “imperiale”: il califfato. Un secolo dopo la morte dell’ultimo imperatore sasanide, a circa vent'anni dall'inizio delle conquiste arabe, la stessa regione si solleverà contro la dinastia califfale araba degli omayyadi. Un esercito misto di arabi e iranici marcia verso occidente in nome dei diritti a governare degli eredi della famiglia del Profeta, e in particolare, dei discendenti di suo zio al-'Abbas, donde il nome della futura dinastia califfale degli Abbasidi. I quali, divenuti i capi della comunità islamica e degli enormi territori fino a quel momento conquistati fonderanno una nuova capitale: Baghdad sul Tigri, poco lontano da Ctesifonte. In questi anni la letteratura in lingua persiana/pahlavi comincia a essere tradotta in arabo, tra cui manuali di etichetta, di scacchi, raccolte di favole, parti delle opere di Aristotele, e in seguito la storiografia di corte sasanide; lo Shahnameh (il Libro dei Re) la versione in versi dei quali verrà poi scritta nel X secolo dal grande poeta Ferdousi da Tūs dalla provincia iraniana del Razavi Khorasan, nel nord-est dell’Iran. Il nuovo impero arabo-musulmano degli abbasidi assumerà di nuovo un carattere “universalistico” e, in qualche modo, “pluralistico”. Con il nuovo califfato il riferimento culturale sarà, però, la corte persiana e il pensiero greco come un’eredità culturale del mondo persiano che, a sua volta, gradualmente si sta ormai islamizzando. Il mondo iranico comincerà così ad integrarsi sempre di più nel contesto culturale arabo-islamico, e, al tempo, stesso si rinnoverà profondamente. La profondità e spessore del mondo iranico sarà in grado, dall'XI secolo in poi, di assorbire l’aggressiva dimensione culturale turca, mentre il neo-persiano diventerà la principale lingua amministrativa, e l'Islam la religione dominante delle dinastie che si avvicenderanno sull'altopiano nella prima metà del secondo millennio d.C. Dopo il declino abbaside tornerà una certa instabilità e decentramento che porteranno, comunque, la ricca vita “cittadina”, ad uno sviluppo mai visto prima, piena di commerci e artigianato e una variegata cultura, che non è più semplicemente “persiana” ma che ha, però, nella lingua persiana il veicolo principale dell'espressione letteraria di prestigio.
Islam (dal 651 d.C.)
Si può sostenere che la storia dell’Iran moderno possa risalire all’epoca della fine dell’impero Sasanide nella metà del VII secolo d.C., anche se su questo non tutti sono pienamente d’accordo; si tratta, come si può vedere, di prospettive interpretative storiche diverse. Certamente nella sua prima fase l’espansione araba, spinta da un forte afflato religioso e la speranza concreta di saccheggi e relativo guadagno, si svilupperà soprattutto verso la Mesopotamia, la Siria e la Palestina, e l’Egitto. Solo successivamente gli arabi si lanceranno nella direzione del Caucaso e verso est, entrando in Persia. Lo scontro decisivo avverrà a Qādisiyya in Iraq nel 637/634, dove l’esercito persiano fu sconfitto, e successivamente le armate arabe avanzeranno verso nord e verso est, occupando Ahwāz e tutta la provincia attuale del Khūzestān nel 639, conquistando Ctesifonte (l’odierna al-Madain) e aprendosi, così, la strada verso Isfahan e l’Iran centrale.
L'invasione arabo-islamica dell'Iran fu un evento “epocale”, e da qualcuno visto come un accadimento tragico con enormi conseguenze geopolitiche, uno sconvolgimento dell'antico ordine e uno spostamento dell'asse geopolitico verso occidente. Nel millennio precedente alla conquista araba, l'altopiano iranico aveva, comunque, esercitato un ruolo di barriera nei confronti di popolazioni in movimento da est verso ovest, specialmente nomadiche, l'ultimo clan a penetrare l'Iran da oriente e a conquistarlo era stato, molto verosimilmente, proprio quello fondato da Istaspe progenitore di Dario I nel VI secolo a.C.
Gli arabi adesso risulteranno, per diverse ragioni, invincibili e abbatteranno quella barriera eretta dagli achemenidi e mantenuta in piedi per secoli dai seleucidi, dai parti e dai sasanidi, oltrepassando la Transoxiana (l’area collocata al di là del fiume Oxus, l’odierno Amudarya, in Uzbekistan) giungendo nelle aree collocate ai confini politico-culturali della Cina. È a questo punto che si producono altrettante profonde e nuove dinamiche geopolitiche, le cui conseguenze possono trovare esiti geopolitici ancora oggi
Ad una spinta verso oriente degli arabi corrispose, infatti, una spinta verso occidente della dinastia cinese dei Tang (618-907), che avevano da poco riconquistato le oasi del Turkestan orientale (l’attuale regione più occidentale autonoma cinese dello Xinijang, abitata oggi dagli Uiguri, turcofoni e musulmani). Spodestato il sovrano turco di Tashkent dai cinesi, i turchi si ribelleranno e chiameranno in loro soccorso gli arabi, che coglieranno subito l'occasione, e si dirigeranno verso le sponde del fiume Talas nell’odierna città di omonima di Talas, nel Kirghisistan settentrionale al confine con il Kazakhistan o, secondo altre ipotesi, verso la città di Taras a un’ottantina di km. dalla prima in Kazakhistan sud orientale, sempre sul fiume Talas. Qui nel 751 avverrà una delle battaglie più importanti che videro confrontarsi l’occidente (in questo caso rappresentato dalle truppe arabo-turche) e un oriente (rappresentato da quelle cinesi). Il tempestivo intervento di diverse tribù turche insediate tra il lago di Balkash e il fiume Irtish, rovesceranno le sorti della battaglia che sembrava persa in partenza; le truppe cinesi saranno costrette a un'umiliante e disastrosa ritirata e la dinastia Tang entrerà da quel momento in poi in una fase di crisi dalla quale non si riprenderà più. Con la battaglia di Talas/Taras, l'Asia centrale diventerà definitivamente turca e musulmana e i confini tradizionali dell’epoca sasanide verranno definitivamente abbattuti. Come già detto, nei secoli successivi l'Iran sarà ciclicamente travolto da diverse invasioni provenienti sempre da oriente.
I Turchi
In Iran e nella sua periferia a nord est, in Asia Centrale cominceranno, formalmente in nome degli abbasidi, a governare diverse famiglie dinastiche, tra le quali quella buyide (metà X secolo-metà XI secolo d.C.) ad ovest, quelle saffaride (metà IX-metà XV secolo) e samanide (dal’819 al 1005) (di origine iraniche) sul Khorasan e Transoxiana che ebbe Bukhara per capitale, ad est, e poi quelle, di origini turche, dei ghaznavidi (998-1191) e dei selgiuchidi (ad oriente, in Afghanistan e India) e dei khwarezmshahi (1077-1231). A queste seguiranno i mongoli, che distruggeranno il califfato abbaside, ma che manterranno una struttura pluralista del potere sull'altopiano, sotto l'egida del khan supremo nella lontana Pechino e quella più prossima dell'il khan insediato a Tabriz, nell'Azerbaigian iraniano, ormai turchizzato. Altri gruppi turco-mongoli, assimilati più o meno alle tradizioni culturali iranico-islamiche, attraverseranno l'altopiano muovendosi altrove: a est nell'India settentrionale e a ovest nell'Asia Minore e oltre; il sultanato di Delhi, l'impero Mogul (“mongolo”) e quello ottomano avranno tutti una cultura di corte fortemente influenzata dalla tradizione “persiana”, nei modi letterari, negli stili calligrafici e pittorici, nella mistica, nell'architettura e nella stessa lingua amministrativa. É difficile, tuttavia, poter dare a questo insieme di imperi “nomadici”, città poliglotte di un iranismo linguistico-culturale, di identità geopolitiche prevalentemente locali e identità religiose universalizzanti, una caratterizzazione “nazionale” o anche solo “statale”.
Selgiuchidi (1037-1153)
La prima dinastia turca da menzionare è quella dei selgiuchidi, clan di pastori nomadi che avevano prestato servizio alla corte dei Kazari, turchi verosimilmente convertiti all'ebraismo. I nipoti del fondatore di nome Seljuq di quella dinastia, Tugrul e Çagn riescono a riunificare l'Iran, per la prima volta dall'epoca dell’invasione araba; nel 1040 l'esercito selgiuchide sbaraglierà, infatti, quello ghaznavide a Dāndanqān, a 53 km a sud-ovest da Merv e nel 1258 sarà definitivamente conquistata Baghdad. Nell'altopiano risorge, in qualche modo, quindi, l'impero, che non è un “impero persiano”, ma è, invece, “turco” che si approprierà della tradizione persiana. Ciò, come abbiamo già visto, era accaduto con Ciro il Grande quando si impose nello spazio vuoto lasciato dall’Elam, distrutto dagli Assiri nel VI secolo a.C. con il nome del regno di Parsa. Questa sintesi politico-culturale turco-persiana teoricamente molto improbabile, invece, praticamente funzionerà abbastanza bene in quanto i turchi riusciranno a conservare la millenaria tradizione di Ciro, e nel 1059 Tugrul stabilirà la capitale a Isfahan, nel cuore della Persia. Tuttavia questo nuovo impero persiano si è completamente trasformato, in quanto le antiche geografie imperiali achemenide e sasanide si sono ormai mescolate con il mondo arabo. Tutto lo spazio compreso tra gli Zagros e il Mediterraneo verrà colonizzato dagli eredi di Maometto, e dopo il 651, costruire un impero persiano non poteva che necessariamente significare governare gli arabi; far risorgere l'impero achemenide come si proponeva il sasanide re Shapur II voleva, allora, dire creare un impero arabo e, allo stesso tempo, turco. Conseguenza dell'invasione araba dell'Iran era, infatti, stato il dilagare ampio e ripetuto di popolazioni turche sull'altopiano e le sue periferie strategiche, dall'Anatolia all'Asia caspica, dal Caucaso al Khorasan, l’oriente persiano e al subcontinente indiano. E l'elemento turco diventerà da allora in poi, così, un fattore decisivo della rigenerazione della tradizione imperiale persiana.
La memoria imperiale persiana terrà ben presente, però, cosa rappresentavano gli arabi e cosa i turchi. In tutta la sua storia la Persia aveva subito solo due invasioni che avevano minacciato la scomparsa definitiva della tradizione statuale e imperiale di Ciro: quella di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C., e quella araba alla metà del VII secolo d.C. All'epoca in cui Ferdousi (940-1020) scrive lo Shahnameh, il persiano classico è scomparso, e il poeta nazionale dell’Iran, come è ancora oggi considerato, tra gli altri grandi poeti Omar Khayam (1048-1131), Saadi (1210-1291), e Hafez (1315-1390), è costretto a codificare una nuova lingua, il farsi (o neopersiano). Ai selgiuchidi “la cultura” persiana piace, la adottano, e la conservano, per poi diffonderla, innestando un periodo incredibile di grande fioritura. Nel suo celebre libro, il rifondatore della cultura persiana, Ferdousi fa sforzi incredibili per riabilitare e, in qualche modo, “persianizzare” la figura di Alessandro. Riesce anche ad inventarsi una leggenda per la quale Alessandro sarebbe stato il frutto dell'unione tra Darab, figlio di Dario e una figlia di Filippo il Macedone. Viene messo al mondo Alessandro, e, dunque, suo erede legittimo: Alessandro era persiano. In questa visione, l’ultima battaglia di Gaugamela (331 a.C.) di Alessandro contro Dario III (Iraq, approssimativamente tra Erbil e Mossul) non costituisce più, la catastrofe che aveva distrutto l'impero achemenide, ma diventa un evento inaspettato che riorganizzerà, in qualche modo, un’incidente dinastico. Ferdousi vuole mettere in evidenza non le vicende di Alessandro, ma quelle degli arabi e il macedone viene riabilitato per poter considerare definitivamente nemico “l'arabo”. Per Ferdousi, la conquista araba fu un vero accadimento negativo, apocalittico, nel corso della lunga e gloriosa storia della Persia. Per screditare definitivamente gli arabi e il loro valore negativo è costretto a ridimensionare l’invasione da parte dei macedoni trasformandola in un fatto positivo e nello Shahnameh c'è un solo nemico: “l'arabo invasore”.
Il farsi diventa, così, la lingua di corte del ramo anatolico - meglio, romano - della famiglia selgiuchide, con capitale a Iconio (Konya), nell'Anatolia profonda. La passione dei turchi per la tradizione culturale persiana è tale che ancora nel XVII secolo i poeti ottomani comporranno i loro versi nella lingua di Ferdousi. E anche sotto il profilo territoriale i selgiuchidi rigenerano la tradizione imperiale persiana, espandendosi progressivamente nello stesso spazio che era stato quello achemenide, in Anatolia, Mesopotamia, e il Levante. Resteranno, tuttavia consapevoli che dal fiume Oxus (l’attuale Amudarya) proverranno le future minacce che travolgeranno nuovamente l'Iran. La minaccia si manifesterà, infatti, con le orde dei turchi oguz che rovesceranno i selgiuchidi, per essere poi spodestati, a loro volta. Il nipote di Gengis Khan, Hulàgù fonderà in Persia l'Il’khanato (1256-1357), il cui sgretolamento degli Il’khanidi frantumerà l'Iran in una miriade di principati. Poi arriverà Tamerlano, ancora più distruttivo dei mongoli, il cui l'impero, però, avrà vita breve, e il vuoto, ancora una volta sarà riempito da un'altra popolazione turca, i turcomanni. La realizzazione di un’identità iranico-persiana dopo l'invasione arabo-islamica non poteva risolversi solo con l'adozione del farsi e lo sviluppo di una cultura letteraria in neopersiano, nei due secoli successivi alla morte dell'ultimo re sasanide Yazdegerd III; i persiani si erano infatti convertiti all'islam, abbandonando le credenze religiose iraniche pre-islamiche. Questo accadde un po' per la violenta pressione degli arabi, un po' perché i persiani avevano presto realizzato che restare fuori dal contesto islamico - quando anche i nomadi a oriente dell'altopiano iranico si erano convertiti alla religione musulmana, era praticamente impossibile.
Safavidi (1501-1736)
Ancora una volta quando sembra che la tradizione culturale persiana possa nuovamente soccombere, ad Ardabil - nell'odierno Azerbaigian orientale iraniano - nascerà Ismail che cambierà la storia dell'Eurasia, quando nel 1501, all’età di 14 anni, conquisterà Tabriz. Ismail ha natali nobili, è nipote dell'akkoyunlu Uzun Hasan, del sovrano bizantino di Trebisonda Alessio IV, di Alessandro I di Georgia e suo padre Haydar era gran maestro della confraternita religiosa militante di fede sciita, la Safaviyya. Il suo avvento produce sull'Iran un impatto analogo a quello generato da Ciro, Alessandro e Tugrul il selgiuchide, poiché ha un'idea molto particolare, non vuole fondare un altro impero turco in Iran, ma vuole rifondare, da turco, l'impero persiano.
Con il nipote di Tahmasp (1524-1576), 'Abbas il Grande (1587-1629), si compirà la rivoluzione immaginata da Ismail, con l’ennesima rinascita di un imperialismo persiano. La sovranità della dinastia si estenderà all'Afghanistan, al Caucaso, alla Mesopotamia, e l'Iran riesce, così, a realizzare ancora una volta un impero.
I re safavidi, conquisteranno l'altopiano, proclamandosi anch'essi re dei re e promuovendo, come già detto, lo sciismo duodecimano (che prevede l’esistenza di dodici imam, una figura, in qualche modo, intermedia tra Dio e l’uomo, e assimilabili ai nostri “santi”, di cui l’ultimo scomparso nel X secolo, ricomparirà alla fine dei tempi!) tra la gran parte della popolazione (fino ad allora a maggioranza sunnita), segnando, così, tra l'Iran e la gran parte del resto del mondo musulmano quella frattura religiosa significativa ancora pienamente in corso, aggravata dalla lunga rivalità con il più centralizzato impero ottomano, erede, se non altro in senso territoriale della Roma d'Oriente. Sarebbe assai intrigante sostenere che i circa tre secoli di conflitto turco-persiano, che si prolungherà oltre la stessa durata della dinastia, riproporranno negli stessi termini i quasi sette secoli di confronto romano-iranico delle epoche precedenti. La frattura geopolitica che dividerà le due potenze vicino-orientali è, ora, infatti, molto diversa: gli imperi iranici avevano affrontato Roma sull'Eufrate o nell'alta Mesopotamia. Gli ottomani e i safavidi, al contrario, se lo contendono, con i primi solitamente in posizione di forza, lasciando Baghdad come provincia di confine di un impero che ha per capitale Istanbul, la Nuova Roma. L'Iraq, linguisticamente arabo, e geo-politicamente “iranico” viene riportato in una Mezzaluna Fertile che gli ottomani, come i primi conquistatori arabi, di nuovo, riunificano, ma senza l'Iran.
Bisognerà attendere il trattato di Qasr-e Sirin (Iran, regione di Kermanshah al confine con l’Iraq), firmato nel 1639 tra gli imperi persiano-safavide e turco-ottomano perché la separazione tra la Mesopotamia e le alte terre torni a essere geo-politicamente più o meno permanente. A grandi linee, il confine che oggi separa l'Iran dall'Iraq (e dalla Turchia) è ancora quello definito a Qasr-e Sirin. Le frontiere settentrionali e orientali dell'Iran odierno, invece sono state definite, a spese dell'Iran, nel corso del Grande Gioco ottocentesco tra Gran Bretagna e Russia.
Pur nella loro ostilità nei confronti degli arabi, ma con la necessità di preservare la propria specificità identitaria, i persiani non si convertirono, tuttavia, alla versione ortodossa dell'Islam, il sunnismo, ma seguiranno una particolare variante come già detto, lo sciismo duodecimano. Lo sciismo promosso dai Safavidi, diviene, dunque, componente fondamentale di un'identità iranica in grado di accomunare le diverse popolazioni che abitano l'altopiano. È in questa fase che la Persia inizia a diventare Iran, anche se il cambiamento toponomastico sarà ufficializzato solo nel 1935 dallo scià Reza Pahlavi.
L'impero safavide cesserà di essere, però un impero abbastanza presto. Rispetto ai grandi imperi dell'epoca, alla fine del XVII secolo quello fondato da Ismail è poco più di un principato. E di lì a poco smetterà anche di essere persiano. La maledizione del 651 continuerà a colpire i discendenti di Ciro. Lo Stato safavide si frantumerà e l'Iran tornerà a essere dominato dai turchi. Prima dagli afsharidi (1736 e il 1750) del controverso Nadir scià, poi dai Qajar.
I Qajar (dal 1794 al 1925)
Un decennio dopo la morte di 'Abbas - nel 1638 - l'ottomano Murad IV si riprenderà Baghdad e la Mesopotamia. I safavidi crolleranno nel XVIII secolo sotto i colpi degli afghani, “iranici” ma non persiani, rimasti sunniti. La forza dello Stato, dominato e conteso da gruppi seminomadi, turchi d'origine, e da grandi famiglie latifondiste legate alla debole amministrazione statale, progressivamente si sfalda. Tra questi gruppi trionferanno i turchi Qajar, originari anche essi del Nord-Est. Saranno loro a stabilire la capitale a Teheran, nei paraggi dell'antichissima città protostorica di Rayy, dove rimarrà fino ad oggi. Lo Stato Qajar resterà, comunque, debole, non più impero, perché stretto tra potenze imperiali di ben maggiore forza; e non ancora nazione, perché suddiviso in realtà locali unite da poco altro che dal comune riconoscimento dell'autorità remota e non sempre effettiva della corte, e in molti luoghi da una comune fede maggioritaria sciita e dalla lingua letteraria persiana. Ben poco resterà delle antiche pretese universalistiche o integratrici. Il paese entra nel XX secolo con un governo debole, circondato dalle mire di controllo di Londra e Pietroburgo, la cui incompatibilità è probabilmente la causa prima della sopravvivenza dell'Iran (allora chiamato dagli europei “Persia”) come Stato indipendente in questa fase. E però anche i timidi tentativi di modernizzazione creeranno l'embrione di una “nazione”: un'opinione pubblica urbana e istruita, affiancata a un clero sciita economicamente autonomo, che si ritengono portavoce del “popolo” verso lo “Stato” (e dunque di un popolo da definirsi in relazione allo Stato).
I Pahlavi (1925-1979)
Attraverso una fase estremamente conflittuale e una parziale occupazione anglo-russa durante la prima guerra mondiale, saranno i rappresentanti della “nazione” iraniana a tentare di controllare lo Stato e trasformarlo e ad adattarlo secondo dei parametri più moderni. Reza Khan si impossessa della macchina statale al culmine della crisi di questo tentativo nazionale. L'opera di Reza Shah tra le due guerre e, in qualche misura, quella di suo figlio saranno marcate da un progetto di modernizzazione, intesa in primo luogo come rafforzamento dello Stato. Un progetto segnato, però, a livello ideologico dalle aspirazioni imperiali necessarie a radicare la “nazione” iraniana (“Iran” è scelto come nome ufficiale nel 1935, ma di certo non si tratta di una innovazione inventata) in un passato che, è tutt'altro che “nazionale”.
Ed è nei pressi della restaurata sala delle udienze a Persepoli, l’Apadana, nel 1971, che Mohammed Reza Pahlavi celebrò i duemilacinquecento anni dell’impero persiano, intendendo in essi, tuttavia, un senso molto diverso da quello rappresentato dai rilievi della stessa sala. Lo scià celebrava infatti la gloria dell'Iran, della sua unità, concordia e potenza come Stato nazionale il cui popolo è guidato dal monarca. Gloria monarchica che in pochi anni si sarebbe rivelata illusoria. Solo l'anno prima si era tenuto nel vicino Iraq un ciclo di lezioni di Ruhollah Khomeini sulla natura del governo islamico. L'ayatollah non avrebbe mancato di condannare il fasto e lo sperpero dei festeggiamenti regali di Persepoli.
Non credo sia utile soffermarsi, a questo punto, sulla Rivoluzione Khomeinista del 1979, argomento ampiamente discusso negli ultimi trent’anni ed ancora oggetto di aspro dibattito geopolitico. Basti qui solo dire che alla fine degli anni settanta del secolo scorso si gettarono in Iran le basi per una nuova “nazione” che, in nome della fede sciita, alla fine riuscì a rovesciare la dinastia Pahlavi. Che cosa accadrà in futuro è difficile dire, i cambiamenti sono all’ordine del giorno ed ogni prospettiva, anche diversa l’una dall’altra, per il futuro è sempre possibile. Questo testo è stato scritto p. es. prima della recentissima crisi politico-militare in Siria e, quindi, non ha potuto tenere conto dei possibili sviluppi della crisi mediorientali a seguito di quegli avvenimenti, di cui riusciremo a comprendere qualcosa solo tra mesi e forse anni.
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Grandissimo articolo, grazie molto.