Nel pensiero moderno l’intenzione ha svolto un ruolo centrale nella valutazione delle azioni. In ambito giuridico, morale e politico, ciò che conta è spesso ciò che si voleva fare, non ciò che si è prodotto. Questo primato dell’intenzione ha fondato categorie come la responsabilità soggettiva, la buona fede, l’autenticità dell’agire. Tuttavia, in sistemi complessi, l’intenzione smette di essere una variabile sufficiente. Le azioni intenzionali generano esiti che sfuggono al controllo dell’agente e si distribuiscono nel tempo e nello spazio secondo logiche non lineari. Per questa ragione, l’intelligenza sistemica sposta il focus: ciò che conta davvero sono le conseguenze, non le intenzioni.
In un sistema complesso, nessuna azione produce effetti isolati. Ogni intervento si diffonde attraverso una rete di relazioni, generando reazioni, adattamenti, retroazioni. La causalità non è più lineare ma distribuita. Le intenzioni contano, ma non bastano per spiegare cosa accade. Quando un governo introduce un incentivo per stimolare l’economia, ad esempio, può creare effetti opposti: aumento di disuguaglianze, distorsione dei comportamenti, rigidità nel lungo periodo. In questi casi, analizzare l’intenzione originaria non spiega il risultato. Serve un’altra logica: serve osservare come il sistema ha reagito.
Questo approccio ha una lunga tradizione nella teoria sociale. Già nel XVIII secolo, Adam Smith osservava come l’azione economica individuale producesse effetti collettivi non intenzionali. Friedrich Hayek, un secolo dopo, formalizzerà questa intuizione nel concetto di ordine spontaneo: le istituzioni e le strutture sociali emergono da interazioni non coordinate tra agenti che perseguono obiettivi propri, spesso incompatibili tra loro. Karl Popper, da parte sua, ha mostrato come anche le politiche pubbliche ben intenzionate possano generare effetti perversi, proprio perché agiscono su realtà che non sono mai stabili, ma reattive. A questi autori è comune l’idea che nelle società complesse il controllo pieno sugli esiti sia una finzione teorica.
In ambito ambientale, gli esempi sono numerosi. Le politiche di compensazione della CO₂ tramite riforestazione hanno generato, in alcuni contesti, un peggioramento delle condizioni socio-economiche locali, favorendo monoculture non sostenibili e processi di espropriazione. Anche in questo caso, le intenzioni erano legittime, ma i risultati hanno mostrato l’asimmetria tra causa e conseguenza in un sistema aperto. L’intelligenza sistemica serve proprio a questo: leggere queste asimmetrie, collegare ambiti diversi, tenere conto delle retroazioni che modificano il sistema mentre l’azione è ancora in corso.
L’intelligenza sistemica parte da qui. Non elimina l’incertezza, ma cerca di comprenderla. Non costruisce modelli chiusi, ma mappe aperte di relazioni. L’attenzione si sposta dagli obiettivi dichiarati agli effetti osservabili, dalla logica del controllo a quella della responsabilità. Ogni azione va letta non solo per ciò che voleva produrre, ma per ciò che ha effettivamente generato nel tempo. Concetti come retroazione, adattamento e dipendenza dal percorso (path dependence) diventano strumenti fondamentali per interpretare i fenomeni.
Questo approccio ha anche implicazioni etiche. Nei sistemi complessi, la responsabilità non si esaurisce nell’intenzione. Come ha sostenuto Hans Jonas, siamo chiamati a prevedere – per quanto possibile – anche gli effetti indiretti delle nostre azioni. Non possiamo limitarci a dichiarare buone intenzioni: dobbiamo interrogarci sugli impatti reali. In questo senso, la responsabilità diventa una forma di attenzione alle conseguenze non visibili, spesso differite nel tempo e distribuite nello spazio.
Infine, il ruolo dell’analisi diventa decisivo. Analizzare non significa più confermare tesi preesistenti o dimostrare intenzioni coerenti, ma ricostruire ciò che è accaduto al di là di ciò che si voleva fare. L’intelligenza sistemica richiede lentezza, metodo, confronto tra discipline. È uno strumento cognitivo che permette di evitare il riduzionismo, di orientarsi in ambienti complessi e di agire senza alimentare nuove semplificazioni. In un’epoca dominata dalla velocità e dalla reattività, questo è un cambiamento di prospettiva tanto necessario quanto urgente.
Grazie per questo articolo, che sintetizza ottimamente un concetto fondamentale.
Suggerisco a chi è interessato ad approfondire la lettura di P.Battiston, "La responsabilità di rete", il Mulino, 2021. Suggerisco alla redazione, se interessata a portare avanti questa riflessione, di organizzare un evento con la partecipazione dell'autore.
Gentilissimi, per il mio dottorato sto studiando proprio questo tema. Vorrei confrontarmi con l'autore dell'articolo, per complimentarmi per la chiarezza con cui ha descritto il fenomeno dell'intelligenza sistemica e chiedere quali sono stati i suoi riferimenti bibliografici.
Grazie mille
Francesca Fecoli
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