Da Rimini alla Toscana, dal Trentino alle Tremiti, i dati sugli ombrelloni vuoti, sulle vacanze mordi e fuggi, spesso un fine settimana, a volte il tempo di un bagno al mare in giornata, senza nemmeno aspettare che il costume si asciughi, si moltiplicano. Studi recenti non ce ne sono, nè qualcuno ha certificato una correlazione, ma a chi scrive l’idea che le nuove ondate tecnologiche c’entrino in qualche modo, inizia a ronzare in testa con una certa frequenza. Per dirla in modo diretto, il dubbio che i processi di automazione (più o meno intelligenti) stiano impattando sempre più sui posti di lavoro e sulla loro remunerazione e quindi sul tenore di vita delle persone, è forte. Parafrasando Samuelson i numeri dell’intelligenza artificiale forse non si vedono nei dati delle produttività, ma nel numero di ombrelloni vuoti sì.
Chi segue Stroncature, ricorderà che già ci si è cosparsi il capo di cenere una volta. L’intelligenza artificiale non potrà avere, come si era sperato per un momento, il ruolo che la catena di montaggio ha avuto nel passaggio da una società agricola ad una industriale, traghettando verso un livello di maggiore progresso e sviluppo, milioni di persone che non possedevano le conoscenze tecniche per costruire una automobile da zero, ma che erano in grado di imparare singole, brevi fasi della produzione.
Quella, la catena di montaggio, era una tecnologia che qualcuno aveva organizzato perchè l’essere umano potesse avere una funzione ed un valore, anche se non in possesso di conoscenza tecniche. L’Intelligenza artificiale invece è una tecnologie che se applicata elimina la necessità di esseri umani che non hanno le competenza tecniche per usarla. E qui, ovviamente, si pone la domanda: quali sono le competenze tecniche necessarie per usarla? Il guaio è che quelle competenze sono tutto tranne che tecniche, codificate, facilmente trasferibili. Proviamo a fare qualche ragionamento