Produttori terzi e comunità come aggregatore: un nuovo modello di funzionamento delle CER
Stroncature ha rielaborato in chiave divulgativa i contenuti dello studio, intitolato Le incentivate comunità energetiche rinnovabili e il loro atto costitutivo e scaricabile da www.notariato.it, redatto da Emanuele Cusa, professore associato di Diritto commerciale presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia (Di.SEA.DE) dell’Università di Milano-Bicocca. L’iniziativa si inserisce nell’ambito della partnership per la Terza Missione tra Stroncature e il Di.SEA.DE, con l’obiettivo di favorire la diffusione e la comprensione, anche al di fuori dei contesti accademici, di un tema di crescente importanza: le regole giuridiche da rispettare per costituire comunità energetiche rinnovabili che ambiscano a ricevere tutti gli incentivi pubblici previsti a sostegno di queste realtà.
Le comunità energetiche rinnovabili sono state inizialmente immaginate come gruppi di cittadini, enti locali e imprese che si uniscono per produrre e consumare insieme energia pulita, installando e gestendo direttamente gli impianti di produzione. Questa visione originaria, tuttavia, si è progressivamente ampliata grazie agli sviluppi normativi e alle esigenze pratiche emerse nei territori. Oggi, una CER non deve necessariamente possedere in proprio gli impianti per poter funzionare e beneficiare degli incentivi: può operare anche come un vero e proprio aggregatore, coordinando consumi e produzioni di energia provenienti da fonti diverse. In questo modello, la comunità diventa un soggetto che non gestisce direttamente pannelli fotovoltaici o altre tecnologie, ma che organizza e valorizza l’energia condivisa tra i suoi membri, facendo da hub amministrativo e contrattuale. Questa evoluzione amplia le possibilità di adesione, perché consente anche a chi non ha spazi o possibilità di installare un impianto di partecipare e ottenere vantaggi dalla condivisione.
Il concetto di comunità come aggregatore significa che la CER può esistere e funzionare anche senza possedere direttamente gli impianti di produzione. La sua funzione principale diventa quella di raccogliere i dati di consumo e di produzione dei membri, trasmetterli al Gestore dei Servizi Energetici e ricevere gli incentivi calcolati sulla base dell’energia condivisa. In pratica, la comunità gestisce il flusso economico derivante dalla condivisione, coordinando rapporti che coinvolgono i produttori, i consumatori e il GSE. L’attività caratteristica non è quindi la gestione fisica degli impianti, ma l’organizzazione della condivisione e la distribuzione dei benefici secondo le regole statutarie. Questo modello è particolarmente rilevante in contesti urbani, dove molti cittadini non hanno la possibilità di installare un impianto sul proprio tetto, ma possono comunque entrare a far parte della comunità e beneficiare degli incentivi grazie al ruolo aggregativo svolto dalla CER.
In questo quadro si inserisce la figura dei produttori terzi. La normativa consente infatti che impianti di produzione rinnovabile siano messi a disposizione della comunità anche da soggetti che non ne fanno parte come membri. Questi produttori terzi non partecipano alla governance della CER, non hanno diritto di voto né incidono sulle decisioni interne, ma permettono alla comunità di disporre di energia da condividere. Si tratta di un meccanismo che amplia le possibilità operative delle CER, perché consente loro di accedere a impianti senza doverne sostenere direttamente i costi di realizzazione. I produttori terzi stipulano accordi con la comunità per conferire l’energia prodotta, e in cambio possono ottenere forme di valorizzazione concordate. In questo modo, anche soggetti esterni contribuiscono al funzionamento della comunità, senza però snaturarne la natura collettiva e mutualistica.
È importante distinguere tra produttori membri e produttori terzi. I primi sono soggetti che, oltre a possedere impianti di produzione, partecipano alla comunità come membri a pieno titolo, con diritti e doveri previsti dallo statuto, compresa la possibilità di voto. I secondi, invece, restano esterni alla governance della comunità: mettono a disposizione gli impianti, ma non partecipano alle decisioni. Questa differenza è decisiva per evitare che la comunità perda il suo equilibrio interno. Se i produttori terzi avessero diritto di voto, potrebbero assumere un ruolo dominante, snaturando il modello. La normativa, quindi, permette il loro contributo tecnico, ma ne limita l’influenza sulla governance, preservando la democraticità e l’autonomia dei membri effettivi. Per i cittadini e le imprese, questo significa poter contare sull’apporto di energia proveniente da impianti esterni, senza rischiare che i produttori professionali prendano il controllo della comunità.
Dal punto di vista giuridico e contrattuale, la configurazione con produttori terzi richiede accordi chiari. La comunità deve regolare le condizioni di utilizzo dell’impianto, le modalità di conferimento dell’energia e i corrispettivi eventualmente riconosciuti al produttore. Questi rapporti devono essere costruiti in modo da rispettare le regole fissate dal decreto ministeriale e dal TIAD, che subordinano l’accesso agli incentivi al fatto che la titolarità dei crediti resti sempre in capo alla CER. Ciò significa che il produttore terzo non può ricevere direttamente gli incentivi dal GSE, ma solo eventuali compensazioni economiche definite contrattualmente con la comunità. Dal punto di vista pratico, si tratta di stabilire un equilibrio che consenta al produttore terzo di trovare convenienza nell’accordo, senza però violare la regola fondamentale per cui i proventi incentivanti spettano alla comunità e non a soggetti esterni.
Un altro profilo importante riguarda le conseguenze fiscali e amministrative. Una comunità che agisce come aggregatore e che non possiede impianti propri non è qualificata come officina elettrica e non è quindi soggetta agli obblighi fiscali e amministrativi legati a questa qualifica, come la gestione delle accise sull’energia. Questo semplifica notevolmente la sua operatività, perché la comunità non deve affrontare la complessità burocratica di un produttore energetico tradizionale. Allo stesso tempo, i rapporti con i produttori terzi devono essere regolati in modo da garantire la corretta imputazione delle responsabilità fiscali e amministrative. In sostanza, il modello aggregatore permette di alleggerire il carico burocratico sulle comunità, mantenendo al contempo la trasparenza necessaria nei flussi economici e nella gestione degli incentivi.
Questo modello è particolarmente rilevante per i territori e per i cittadini che non dispongono di impianti propri. Pensiamo, ad esempio, a chi vive in un condominio senza possibilità di installare pannelli sul tetto, o a chi non ha le risorse per realizzare un impianto individuale. Grazie alla comunità-aggregatore, queste persone possono comunque partecipare alla condivisione, beneficiando degli incentivi senza dover essere produttori diretti. Lo stesso vale per piccoli comuni o enti locali che non hanno impianti sufficienti ma possono entrare in comunità che si avvalgono dell’apporto di produttori terzi. Questo rende il modello più inclusivo e capace di estendere i benefici della transizione energetica a fasce più ampie della popolazione. Inoltre, favorisce la creazione di reti territoriali più solide, in cui anche i soggetti senza capacità tecnica o finanziaria diretta trovano spazio e opportunità.
In conclusione, il ruolo dei produttori terzi e la possibilità per le comunità di agire come aggregatori segnano un’evoluzione importante nel modello delle CER. Grazie a queste regole, le comunità non sono più limitate a chi possiede un impianto, ma diventano hub capaci di coordinare energia e consumi anche attraverso contributi esterni. Ciò rafforza la loro funzione sociale ed economica, trasformandole in attori stabili e credibili del mercato energetico locale. Per cittadini, enti locali e imprese, significa avere a disposizione un modello flessibile, che valorizza le risorse disponibili senza escludere nessuno. Per i produttori terzi, significa poter collaborare con le comunità in un quadro giuridico chiaro, che riconosce il loro contributo ma preserva l’autonomia e la democraticità della CER. È in questo equilibrio tra apertura e protezione che si coglie la vera innovazione del modello aggregatore: fare delle comunità energetiche un hub diffuso della transizione ecologica, capace di connettere soggetti diversi in un progetto condiviso di sostenibilità.


