Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
Speciale elezioni
SPD mit historisch schlechtem Ergebnis bei der Bundestagswahl 2025 – SPD con risultato storicamente basso alle elezioni federali 2025.
Le elezioni anticipate per il Bundestag del 23 febbraio 2025 vedono una netta vittoria dell’Unione CDU/CSU, ma soprattutto segnano un tracollo storico per l’SPD. I socialdemocratici, guidati dal cancelliere uscente Olaf Scholz, ottengono il peggior risultato dal dopoguerra, attestandosi intorno al 16% dei voti. La CDU/CSU, con il candidato cancelliere Friedrich Merz, risulta il primo partito con circa il 28,5%, pur senza raggiungere l’obiettivo dichiarato del 30%. L’AfD di destra radicale raddoppia i consensi rispetto al 2021, diventando la seconda forza politica con oltre il 20% dei voti, uno scenario inedito che scuote il panorama politico. Verdi e FDP, partner della coalizione “semaforo”, subiscono forti perdite: i Verdi calano intorno al 12-13%, mentre i liberali della FDP restano appena sotto la soglia del 5%, rischiando di uscire dal Parlamento.
Il risultato elettorale ridisegna gli equilibri politici in Germania. L’uscente coalizione di centro-sinistra viene severamente punita dagli elettori: SPD e Verdi perdono insieme circa 12 punti percentuali rispetto al 2021. La Linke (sinistra radicale) sorprende con un netto progresso, superando ampiamente lo sbarramento del 5% e tornando nel Bundestag con circa l’8-9%, anche grazie al recupero di voti da SPD e dall’effetto traino della nuova lista scissionista di Sahra Wagenknecht (BSW), che però non supera di poco la soglia. FDP e BSW raccolgono infatti ciascuno circa il 4,9% rimanendo esclusi dal Parlamento, evidenziando l’importanza della soglia di sbarramento. La nuova distribuzione dei seggi vede la CDU/CSU largamente in testa ma senza maggioranza assoluta: per formare un governo stabile, Merz dovrà cercare un’alleanza, con la SPD come partner più probabile nonostante il suo tracollo.
AfD: Triumph mit Beigeschmack – AfD: un trionfo con retrogusto amaro.
L’Alternativa per la Germania (AfD) celebra il suo miglior risultato di sempre, avendo ottenuto circa il 20-21% dei voti e il secondo posto alle elezioni federali. Per il partito populista di destra si tratta di un successo storico: in molte regioni dell’Est è la prima forza e a livello nazionale raddoppia i consensi rispetto al 2021. Tuttavia, questo “trionfo” ha un sapore agrodolce. L’articolo evidenzia che, nonostante la crescita impressionante, l’AfD rimane esclusa da ogni prospettiva di governo. Tutti gli altri partiti hanno ribadito il cordone sanitario attorno ad essa, giudicata in parte estremista e incompatibile con la maggioranza parlamentare. Di conseguenza, l’AfD avrà un’ampia rappresentanza in Bundestag come forza di opposizione, ma nessuna influenza diretta sulle politiche governative.
Un altro elemento dal “retrogusto amaro” è l’isolamento istituzionale in cui il partito si trova malgrado il successo elettorale. La leader Alice Weidel, pur esultando per il “risultato storico” e definendo la performance dell’AfD un chiaro messaggio degli elettori, deve constatare che nessuno la cercherà per colloqui di coalizione. L’articolo sottolinea come l’AfD abbia drenato voti soprattutto dall’SPD e dalla CDU nell’est del Paese, capitalizzando malcontento e timori su temi come l’immigrazione e il caro energia. Ma questo exploit elettorale acuisce il dibattito interno alla Germania: la presenza di un partito di estrema destra così forte rappresenta una sfida per la democrazia, e la “vittoria” dell’AfD potrebbe galvanizzare ulteriormente i suoi sostenitori, pur senza tradursi in partecipazione al potere. In sintesi, è un trionfo politico numerico, ma di fatto sterile sul piano governativo, con implicazioni preoccupanti per la coesione nazionale.
Die Grünen landen hart – I Verdi atterrano bruscamente.
Le elezioni federali segnano un brusco risveglio per i Verdi tedeschi. Dopo essere stati coprotagonisti al governo negli ultimi due anni, i Grünen subiscono una netta flessione, passando da circa il 15% del 2021 a poco più del 12%. L’articolo descrive questo risultato come un “atterraggio duro” per il partito ecologista, che vede infrante le speranze di consolidarsi come seconda forza progressista. La candidatura di Robert Habeck alla cancelleria non ha sfondato: i Verdi hanno perso voti sia verso l’SPD (in elettori di centro-sinistra preoccupati dall’AfD) sia verso partiti più piccoli come la Linke. In alcune grandi città rimangono forti, ma su scala nazionale scivolano al quarto posto.
Le conseguenze sono immediate all’interno del partito. I co-leader Annalena Baerbock e Robert Habeck definiscono il risultato “profondamente deludente” e si assumono la responsabilità politica della sconfitta. In un congresso straordinario convocato a pochi giorni dal voto, entrambi annunciano le dimissioni dalla leadership del partito. Questa decisione segna la fine di una stagione alla guida dei Verdi iniziata con grandi ambizioni di rinnovamento ecologico del Paese. Nel nuovo Bundestag i Verdi saranno relegati all’opposizione, data la probabile grande coalizione CDU-SPD. L’articolo sottolinea come il partito, pur rimanendo impegnato sulle sue battaglie (clima, transizione energetica), dovrà avviare un processo di autocritica e rinnovamento generazionale per recuperare la fiducia di quell’elettorato urbano e giovanile che stavolta ha in parte disertato o votato a sinistra. Il “duro atterraggio” serve da monito: dopo l’euforia governativa, i Verdi dovranno ripartire dall’opposizione per riconquistare consensi.
CDU und SPD nehmen Koalitionsverhandlungen auf – CDU e SPD avviano le trattative di coalizione.
A seguito dell’esito elettorale, i due principali partiti – Unione Cristiano-Democratica e Partito Socialdemocratico – si muovono rapidamente per dare un governo al Paese. Questo articolo descrive l’inizio ufficiale dei colloqui esplorativi tra la squadra di Friedrich Merz (CDU/CSU) e la delegazione SPD guidata dal segretario Lars Klingbeil. Nel primo incontro post-elettorale, avvenuto a Berlino pochi giorni dopo il voto, entrambe le parti sottolineano il senso di responsabilità verso la Germania: l’obiettivo comune dichiarato è formare entro poche settimane una coalizione stabile. Merz ribadisce di voler chiudere un accordo “entro Pasqua”, come promesso, e l’SPD, pur traumatizzata dalla sconfitta, si dichiara pronta a discutere un programma di governo condiviso per il bene del paese.
L’articolo evidenzia i possibili nodi e punti d’incontro. Sul fronte programmatico, CDU e SPD sembrano convergere su alcune priorità: rilancio economico, riduzione dell’inflazione e sicurezza energetica. Differenze permangono su temi come tasse e transizione ecologica, ma i toni restano concilianti. I partecipanti descrivono il clima del primo incontro come “costruttivo e pragmatico”. Dietro le quinte, la SPD deve far digerire alla propria base un accordo che la vedrebbe junior partner di Merz, mentre la CDU/CSU offre concessioni programmatiche per facilitare l’intesa (ad esempio possibili compromessi sul salario minimo o sugli investimenti in digitale). Entrambi i partiti escludono categoricamente qualsiasi coinvolgimento dell’AfD e sottolineano il dovere di assicurare stabilità contro l’estremismo. In definitiva, l’avvio delle trattative CDU-SPD segna il passo formale verso un governo di grande coalizione: se le negoziazioni procederanno speditamente, la Germania potrebbe avere un nuovo esecutivo entro poche settimane dalla tornata elettorale.
„Union siegt – AfD verdoppelt Ergebnis – FDP und BSW nicht im Bundestag“ – “Unione vittoriosa – AfD raddoppia i consensi – FDP e BSW fuori dal Bundestag”
Nel voto federale di febbraio 2025 l’Unione CDU/CSU si afferma nettamente come prima forza politica con il 28,5% dei voti. L’estrema destra dell’AfD ottiene circa il 21%, il suo miglior risultato di sempre, raddoppiando i voti rispetto al 2021. La SPD crolla a un minimo storico, finendo solo terza dietro all’AfD . Anche i Liberali dell’FDP restano fuori dal Parlamento non avendo superato la soglia del 5%, così come la nuova lista di Sahra Wagenknecht (BSW) che non entra nonostante alcuni successi locali. Il leader CDU Friedrich Merz, candidato cancelliere dell’Unione, rivendica la chiara vittoria e annuncia l’intenzione di formare un nuovo governo entro Pasqua.
La netta sconfitta dei partiti dell’uscente coalizione “semaforo” segna un terremoto politico. Olaf Scholz riconosce il risultato e si prepara a lasciare la cancelleria, mentre all’interno della SPD si aprono profonde riflessioni dopo “il peggior risultato dal dopoguerra”. L’AfD, forte del successo soprattutto nelle regioni orientali, reclama il ruolo di principale opposizione. I Verdi mantengono la presenza parlamentare ma perdono influenza. Il voto anticipato – avvenuto a soli tre anni dall’ultima elezione – ha quindi ribaltato gli equilibri: la Germania si avvia verso un possibile governo di grande coalizione guidato dall’Unione, mentre i partiti precedentemente al governo affrontano le conseguenze di un verdetto elettorale severo e inequivocabile.
„Merz will Regierung bis Ostern – SPD sortiert sich“ – “Merz vuole il governo entro Pasqua – L’SPD si riorganizza”
All’indomani del voto, Friedrich Merz ha dichiarato di voler avviare rapidamente colloqui con l’SPD per formare una nuova coalizione di governo, con l’obiettivo di chiudere l’accordo “all’incirca entro Pasqua”. Il leader della CDU, forte del suo Wahlsieg (vittoria elettorale), si è detto determinato a condurre trattative costruttive e rapide con i Socialdemocratici, individuando tre temi prioritari per il futuro esecutivo: la politica migratoria, la politica economica e la politica estera e di sicurezza. Merz ha sottolineato di voler dare un cambio di rotta dopo i difficili anni di stagnazione economica, augurandosi che una “grande coalizione” possa offrire stabilità e rilancio al Paese. Contestualmente, l’Unione esclude qualsiasi collaborazione con l’AfD nonostante il suo forte risultato, confermando la “linea rossa” verso l’estrema destra.
Dall’altro lato, la SPD si mostra cauta e divisa sul da farsi. Il segretario Lars Klingbeil frena gli entusiasmi di Merz, dichiarando che “non è affatto deciso” se i Socialdemocratici parteciperanno al governo. La leadership dell’SPD, indebolita dal risultato disastroso (il peggiore del dopoguerra), intende consultare la base: sarà infatti iscritta un’eventuale adesione alla coalizione al voto degli iscritti del partito. Nel frattempo i vertici SPD cercano di riorganizzarsi: Klingbeil annuncia di voler restare segretario e candidarsi anche a capogruppo parlamentare, mentre la co-presidente Saskia Esken dichiara di voler mantenere la sua posizione per guidare la difficile fase di ripartenza. L’SPD, dunque, pur consapevole della “responsabilità” verso la stabilità del Paese, pone condizioni e riflette su sé stessa prima di impegnarsi in una nuova Große Koalition.
„Die Lehren aus der Wahl“ – “Le lezioni del voto”
In un’analisi a caldo dei risultati elettorali, la stampa tedesca evidenzia i principali insegnamenti emersi dalle urne. Primo, Friedrich Merz e la CDU/CSU hanno vinto la sfida ma ora “il vincitore deve dimostrare di saper governare” e mantenere le promesse: l’Unione torna al potere in tempi record dopo soli tre anni all’opposizione, ma con un risultato non esaltante che impone prudenza. Merz “non può cantare vittoria completa” – la sua coalizione ha perso consensi rispetto alle attese – e dovrà mostrare capacità di mediazione per formare un esecutivo stabile. Secondo, la SPD esce lacerata dal voto e “davanti a prove di tenuta”: il crollo di consensi innesca tensioni interne e apre la strada a dibattiti profondi sulla linea politica e la leadership. Il partito socialdemocratico, punito dagli elettori, è chiamato a rinnovarsi per evitare ulteriori spaccature e riguadagnare credibilità.
Terzo, l’exploit dell’AfD – che “trionfa” con un risultato record – conferma un preoccupante spostamento del voto popolare, soprattutto nelle regioni dell’est e tra i ceti popolari. L’estrema destra viene ormai percepita da molti elettori come la voce della protesta sociale e raccoglie consensi tra lavoratori e disoccupati scontenti. Quarto, la débâcle della FDP (fuori dal Bundestag) pone interrogativi sulla leadership liberale: il partito di Christian Lindner dovrà probabilmente rinnovare i vertici dopo il fallimento elettorale. Complessivamente, l’analisi sottolinea come il voto segnali un desiderio di cambiamento ma anche rischi di frammentazione: il nuovo governo dovrà riconquistare la fiducia di un elettorato volatile, affrontando i nodi che hanno portato a questo esito, dal malcontento economico all’insicurezza sociale.
„In Rekord-Geschwindigkeit zurück an die Macht“ – “Tornati al potere in tempo record”
Friedrich Merz si appresta a diventare il prossimo Cancelliere, riportando l’Unione CDU/CSU al governo dopo soli tre anni all’opposizione. Il leader cristiano-democratico, visibilmente soddisfatto la notte elettorale, ha dichiarato di “stentare a credere alla propria fortuna”, consapevole di aver raggiunto un obiettivo inseguito a lungo. La vittoria, tuttavia, non è stata così ampia come la CDU sperava: Merz ha mancato la soglia psicologica del 30% e ora “comincia il grande tremore”. L’espressione suggerisce la cautela con cui l’Unione guarda ai prossimi passi: la formazione del governo potrebbe rivelarsi insidiosa e il margine di maggioranza risicato rende il futuro esecutivo potenzialmente fragile.
Nei retroscena del quartier generale CDU la sera del voto, l’euforia per la riconquista della Cancelleria era mescolata a un certo sollievo: fino alle prime ore del mattino, infatti, i vincitori hanno temuto che la nuova formazione di sinistra (BSW) potesse superare lo sbarramento, il che avrebbe complicato la distribuzione dei seggi. Solo a scrutinio ultimato Merz ha potuto tirare un sospiro di sollievo e rivendicare la “missione compiuta”: dopo l’esperienza all’opposizione, la CDU/CSU torna al timone del Paese. Ora però inizia la parte più difficile. Con una maggioranza non larghissima e partner di coalizione riluttanti, Merz dovrà dimostrare di saper tradurre la vittoria in governabilità, bilanciando le richieste dell’alleato e mantenendo unito il proprio campo. La rapidità del suo ritorno al potere è da record, ma lo saranno anche le sfide che attendono il nuovo Cancelliere.
„SPD mit historisch schlechtem Ergebnis – Opposition als Chance?“ – “SPD al minimo storico – l’opposizione come chance?”
Per la SPD le elezioni del febbraio 2025 sono state uno choc: con meno del 20% dei voti, i Socialdemocratici hanno registrato il peggior risultato della loro storia. Superata perfino dall’AfD, la SPD si ritrova umiliata e costretta a un profondo esame di coscienza. Molti osservatori e dirigenti locali ritengono che il partito “debba assolutamente tornare all’opposizione” per rigenerarsi. L’idea è che solo staccandosi dal potere e facendo una dura autocritica la SPD possa riconquistare la fiducia di quel tradizionale elettorato popolare che questa volta l’ha abbandonata in massa. La base e i giovani del partito spingono in questa direzione, vedendo nell’opposizione l’opportunità di rinnovare volti e programma senza i compromessi di governo. Tuttavia, la “grande coalizione di necessità” prospettata da Merz pone la SPD di fronte a un dilemma: anteporre la stabilità del Paese o la propria rigenerazione interna?
Nei vertici socialdemocratici c’è consapevolezza che restare al governo sarebbe una scelta dettata più dal senso di responsabilità che dall’entusiasmo. “Non ne abbiamo alcuna voglia”, avrebbe confidato un esponente SPD commentando l’idea di allearsi con Merz. Del resto, durante la campagna elettorale, Merz ha spesso attaccato duramente la SPD, incrinando i rapporti. Ora le “trincee scavate da questa campagna” devono prima essere colmate per poter anche solo ipotizzare un accordo. Molti nella SPD pensano che aderire a un governo Merz, dopo essere stati puniti dagli elettori, rischi di approfondire la crisi d’identità del partito. D’altro canto, rifiutare significherebbe forse nuove elezioni o un governo di minoranza, scenari delicati. La SPD si trova quindi di fronte a un bivio storico: se scegliere la via dell’opposizione, malgrado gli appelli alla responsabilità, per provare a risollevarsi da una sconfitta epocale.
„Berlin: Muss ja“ – “Berlino: Deve pur farsi”
Il titolo ironico allude alla situazione obbligata che si è creata a Berlino dopo il voto: “si deve fare” questo governo, che piaccia o no ai protagonisti. Merz ha vinto le elezioni, ma – come osserva la Süddeutsche Zeitung – ha fatto molto per rendere l’SPD restia a qualsiasi alleanza con lui. Durante la campagna ha attaccato ripetutamente i socialdemocratici definendoli incapaci e ideologici, creando un clima di sfiducia. Ora, però, le due parti potrebbero dover governare insieme e occorre seppellire l’ascia di guerra: “vanno riempiti in fretta i fossati” che questo duro confronto elettorale ha aperto. In altre parole, Merz e l’SPD devono rapidamente appianare le divisioni e trovare un terreno comune, per evitare il protrarsi di uno stallo politico pericoloso.
L’editoriale mette in luce il paradosso di una Große Koalition nuovamente all’orizzonte: nessuno la desidera davvero, ma sembra l’unica soluzione praticabile. La SPD, pur “senza alcuna voglia” di governare con Merz, riconosce di non poter lasciare il Paese ingovernabile. D’altro canto Merz – che pure aveva escluso intese “con chi ha governato così male” – ora deve corteggiare proprio i suoi ex avversari. L’atmosfera è tesa e fredda: “non è un matrimonio d’amore ma di necessità”, commentano gli analisti. Eppure, “muss ja”: tocca farlo. Per il bene della stabilità, i protagonisti dovranno ingoiare rospi e mostrarsi pragmatici. Berlino si prepara dunque a una grande coalizione priva di entusiasmo, in cui la sfida principale sarà ricostruire fiducia reciproca e credibilità agli occhi dei cittadini.
„Neues Wahlrecht: Diese Politiker sind direkt gewählt, kommen aber nicht in den Bundestag“ – “Nuova legge elettorale: questi eletti uninominali restano fuori dal Bundestag”
Una delle sorprese di queste elezioni è legata alla riforma del sistema elettorale tedesco approvata nel 2023. La nuova legge, pensata per ridurre il numero dei deputati, ha abolito alcuni meccanismi precedenti e ha creato situazioni inedite: oltre 20 candidati che hanno vinto nel proprio collegio uninominale non potranno entrare in Parlamento. In base alle regole attuali, infatti, ottenere un seggio diretto non garantisce più l’elezione se il proprio partito non supera lo sbarramento del 5% nazionale o se ha già esaurito i seggi assegnati con i voti di lista. Ciò ha colpito soprattutto alcune regioni e partiti minori. Per esempio, una candidata della CDU in Assia ha strappato per la prima volta un collegio storicamente socialdemocratico, ma paradossalmente non avrà il seggio, mentre il suo avversario SPD – pur sconfitto nel collegio – entrerà in Bundestag grazie alla lista del suo partito.
Due Lander in particolare risultano “colpiti duramente” da questa novità, con diversi deputati eletti localmente che rimarranno esclusi. Di fatto, il nuovo sistema elimina i cosiddetti “mandati eccedentari” e penalizza i partiti che vincono molti collegi ma hanno pochi voti proporzionali. Casi eclatanti riguardano candidati della CSU in Baviera e di formazioni minori come la sinistra Wagenknecht-Bündnis che, pur arrivando primi nei loro distretti, restano fuori senza rappresentanza parlamentare. Questa conseguenza “della legge elettorale più restrittiva” sta suscitando dibattito: alcuni la giudicano verheerend (disastrosa) perché altera il rapporto diretto eletto-elettori, altri ritengono che fosse un compromesso necessario per evitare un Bundestag ipertrofico. In ogni caso, l’esito evidenzia un effetto collaterale significativo della riforma, destinato a far discutere sulla rappresentatività del nuovo parlamento.
Analisi e commenti
„Gerade-so-Ko“ darf nicht scheitern – La “coalizione risicata” non deve fallire.
In questo commento della Süddeutsche Zeitung, l’editorialista riflette sulla probabile nuova alleanza di governo tra CDU/CSU e SPD, definendola una “Gerade-so-Koalition” ovvero una “coalizione per il rotto della cuffia”. L’autore sottolinea che, dati i numeri usciti dalle urne, quella tra Unione e socialdemocratici non sarebbe una vera “Große Koalition” di forze quasi pari, bensì un’alleanza di necessità in cui la CDU di Merz è nettamente dominante e l’SPD è ridotta al ruolo di junior partner. Ciò nonostante, su queste due forze principali grava ora una responsabilità enorme: restituire agli elettori fiducia nella stabilità democratica e arginare la crescita dell’AfD. Il commento argomenta che una coalizione CDU-SPD, sebbene nata da un risultato elettorale deludente (un “debole successo” per Merz), rappresenta l’unica opzione di centro in grado di governare e quindi va fatta funzionare a tutti i costi.
L’editorialista mette in guardia: il peggiore scenario sarebbe quello di un fallimento di questa “Gerade-so-Ko”, perché porterebbe l’intero sistema politico tedesco in acque pericolose. Si cita l’esempio austriaco come monito: governi di grande coalizione deboli e litigiosi hanno spianato la strada, in Austria, a instabilità e avanzate ancora maggiori dell’estrema destra. Per evitare che la Germania imbocchi quel percorso, Merz e i suoi dovranno governare in modo efficace ma anche “silenzioso”, evitando liti e ponendo chiare priorità di politica concreta. La sfida principale per la nuova coalizione sarà riconquistare il centro dell’elettorato che ha perso fiducia durante gli anni turbolenti dell’“Ampel”. In conclusione, il commento sostiene che questa insolita coalizione “appena sufficiente” dovrà dimostrare che la democratica e moderata gestione del potere può funzionare – pena un ulteriore indebolimento della fiducia nella democrazia e nella sicurezza interna del Paese.
Ein schwacher Sieg für Friedrich Merz – das Schlimmste wären jetzt österreichische Verhältnisse – Una vittoria debole per Friedrich Merz – lo scenario peggiore sarebbe “come in Austria”.
Questo articolo di commento analizza la posizione di Friedrich Merz all’indomani delle elezioni. Pur avendo vinto, Merz si ritrova con un mandato non pienamente convincente – una vittoria “debole” in quanto l’Unione non ha sfondato oltre il 30% – e con la necessità di coinvolgere l’SPD per governare. Il commentatore osserva che Merz ha di fronte una sfida simile a quella che affrontò l’ex cancelliera Angela Merkel nelle sue ultime elezioni: governare con un partner riluttante e indebolito. Il pericolo maggiore, secondo l’analisi, sarebbe scivolare verso una situazione di instabilità cronica come avvenuto in Austria, dove ripetute coalizioni poco coese e scandali hanno portato a un clima politico esasperato e all’ascesa durevole dell’estrema destra al potere regionale e nazionale. L’autore quindi afferma che Merz deve fare di tutto per evitare che la Germania segua quella traiettoria, mettendo al primo posto la stabilità e la ricostruzione della fiducia dei cittadini.
Nel concreto, il commento suggerisce che Merz dovrebbe assumere un approccio conciliante e inclusivo nella formazione del governo. Il riferimento agli “österreichische Verhältnisse” (condizioni austriache) è un monito: in Austria le grandi coalizioni fra popolari e socialdemocratici si sono logorate al punto da alimentare frustrazione nell’elettorato, aprendo la porta a governi con l’FPÖ di estrema destra. Per evitare questo in Germania, Merz deve usare la sua vittoria – pur debole – con umiltà e pragmatismo. Ciò implica concedere spazio all’SPD nel programma di governo e nelle cariche, pur essendo l’SPD il perdente. L’editoriale evidenzia anche come Merz dovrà tenere a bada le ali più conservatrici della CDU che potrebbero spingerlo a politiche dure (specialmente sull’immigrazione): un governo troppo sbilanciato a destra potrebbe rafforzare ancora di più l’AfD all’opposizione. In conclusione, il commentatore ribadisce che la situazione di partenza di Merz non è trionfale ma precaria; il suo successo come cancelliere dipenderà dalla capacità di imparare dagli errori visti all’estero e di mantenere coesa la “coalizione per il bene del Paese” senza indulgere in conflitti ideologici sterili.
„Jetzt müssen die anderen Parteien den Beweis erbringen, dass es diese AfD nicht braucht“ – “Ora gli altri partiti devono provare che l’AfD non serve”.
Questo commento analizza l’ascesa dell’AfD e lancia un appello alle forze democratiche tradizionali. Il fortissimo voto di protesta che ha portato l’AfD oltre il 20% rappresenta, secondo l’autore, un segnale d’allarme che i partiti di governo non possono più ignorare. La frase chiave – “dimostrare che non c’è bisogno di questa AfD” – significa che CDU, SPD, Verdi e gli altri partiti costituzionali devono recuperare concretezza e vicinanza ai cittadini, affrontando efficacemente i problemi che hanno alimentato il consenso verso l’estrema destra (). L’AfD ha saputo sfruttare paure e scontento (su temi quali immigrazione, sicurezza, costi dell’energia) ma non offre soluzioni praticabili; sta ora ai partiti di governo provare con i fatti di poter rispondere a quelle istanze meglio dell’AfD, togliendo così terreno al partito populista.
L’editorialista elenca alcune aree in cui i governi precedenti hanno deluso molti elettori e dove occorre un cambio di passo: la gestione dell’immigrazione irregolare, il controllo della criminalità e delle zone degradate, il sostegno alle aree rurali dell’Est e alle fasce più deboli della popolazione. Questi vuoti di azione hanno dato all’AfD l’occasione di presentarsi come l’unica voce di protesta. Per invertire la tendenza, il nuovo governo (presumibilmente CDU-SPD) dovrà mettere in campo misure tangibili in tempi rapidi – ad esempio riforme per accelerare le espulsioni degli immigrati irregolari, un freno all’aumento degli affitti, investimenti visibili nelle infrastrutture delle regioni dell’ex DDR. Il commento sottolinea che non basterà delegittimare l’AfD a parole: bisogna riconquistare la fiducia di quei cittadini che l’hanno votata. Solo risultati concreti – crescita economica equa, sicurezza percepita, efficacia amministrativa – potranno far capire all’elettorato che l’AfD è superflua e dannosa. In chiusura, il commentatore avverte: se i partiti tradizionali non coglieranno questa opportunità di riscatto e lasceranno che l’AfD continui a incarnare il malcontento, la democrazia tedesca rischia una deriva molto più grave nelle prossime tornate elettorali.
Friedrich Merz und der steinige Weg zu Schwarz-Rot bis Ostern – Friedrich Merz e la strada irta verso la coalizione nero-rosso entro Pasqua.
Questo approfondimento della Frankfurter Allgemeine Zeitung analizza in maniera dettagliata le difficoltà che attendono Friedrich Merz nel formare una coalizione di governo con l’SPD. La metafora della “strada irta di ostacoli” riassume le sfide che il leader della CDU dovrà superare nelle settimane di negoziati che ha frettolosamente programmato di concludere entro Pasqua. Pur uscito vincitore dalle urne, Merz deve affrontare una SPD demoralizzata e diffidente: i socialdemocratici, reduci da una sconfitta storica, temono di essere ulteriormente marginalizzati in un governo a guida Merz. L’articolo evidenzia alcuni potenziali punti di attrito nei colloqui di coalizione. Ad esempio, la CDU vorrebbe una svolta netta nelle politiche migratorie e fiscali rispetto all’era Scholz, mentre l’SPD cercherà di preservare almeno alcuni traguardi sociali raggiunti (come l’aumento del salario minimo e il tetto alle bollette energetiche).
Il resoconto svela retroscena del dietro le quinte: Merz, nel discorso della notte elettorale, ha già lanciato messaggi all’SPD invitandola alla responsabilità e garantendo che intende formare un governo stabile e duraturo “con una solida maggioranza parlamentare”. All’indomani del voto, i primi contatti informali tra emissari dei due partiti delineano i contorni di un possibile accordo: Merz offre alla SPD alcuni ministeri chiave (Interno o Lavoro) e l’impegno a portare avanti parte dell’agenda sociale per mitigare l’impatto sulle fasce deboli. Dal canto suo, l’SPD – che inizialmente aveva escluso di partecipare a un governo con Merz – si rende conto di non avere alternative praticabili se vuole evitare nuove elezioni o lasciare l’AfD come unica opposizione. Il “percorso” resta comunque accidentato: le rispettive basi partitiche devono essere convince. L’articolo conclude che Merz dovrà impiegare tutte le sue abilità negoziali e la sua esperienza manageriale per smussare le differenze e mettere nero su bianco un contratto di coalizione entro la scadenza autoimposta. Ogni passo falso potrebbe allungare i tempi o far deragliare i colloqui – un lusso che la Germania, di fronte alle pressanti questioni economiche e geopolitiche, non può permettersi, come lo stesso Merz ha avvertito fin da subito.
Die AfD ist jetzt die Partei der Arbeiter – und Arbeitslosen – L’AfD è ormai il partito degli operai – e dei disoccupati.
Questa analisi sociopolitica, pubblicata sulla FAZ, esamina la composizione dell’elettorato dell’AfD dopo il clamoroso risultato elettorale. I dati delle ricerche post-voto indicano che Alternativa per la Germania ha conquistato ampi consensi tra i ceti popolari: operai, lavoratori manuali e disoccupati hanno votato in massa per il partito di destra radicale, facendo sì che l’AfD possa essere definita paradossalmente “il partito dei lavoratori” della Germania odierna. È un ribaltamento storico: un tempo questo ruolo apparteneva all’SPD, che nasceva proprio come partito della classe operaia. L’articolo sottolinea come l’AfD sia riuscita a intercettare la rabbia e la frustrazione di molti cittadini a basso reddito, in particolare nell’ex Germania Est ma anche in aree depresse dell’Ovest. Temi come la sicurezza economica, l’aumento dei prezzi e il timore della concorrenza degli immigrati nel mondo del lavoro hanno spinto queste fasce a sostenere l’AfD, percepita come l’unica forza “anti-sistema” capace di dare voce al loro disagio.
Vengono citati alcuni numeri emblematici: nei distretti ad alta disoccupazione dell’Est, l’AfD ha superato il 30-35% diventando la prima scelta tra chi è senza lavoro o svolge impieghi precari. Tra gli operai dell’industria manifatturiera, tradizionale zoccolo duro socialdemocratico, l’AfD ha ottenuto percentuali doppie rispetto all’SPD. L’analisi evidenzia che questo successo dell’AfD tra i lavoratori è frutto di una campagna focalizzata su slogan semplici contro “le élite di Berlino” e su promesse di protezionismo economico. Tuttavia, nota l’autore, si tratta di un consenso volatile e fondato più sulla protesta che sull’adesione a un programma organico: l’AfD attrae questi elettori perché percepita come l’unico strumento per “dare uno schiaffo” ai partiti di governo, colpevoli ai loro occhi di averli dimenticati. In conclusione, l’articolo suggerisce che per riconquistare gli operai e i disoccupati, i partiti tradizionali dovranno prendere molto sul serio le istanze sociali di base – salari, casa, sicurezza del posto di lavoro – che l’AfD ha cavalcato. Diversamente, l’AfD rischia di radicarsi stabilmente come nuovo “partito dei lavoratori” in Germania, modificando radicalmente il panorama politico del Paese.
Wie sich die Geschichte der FDP wiederholt – Come la storia dell’FDP si ripete.
In questo pezzo di analisi politica, un editorialista del Handelsblatt mette in parallelo la disfatta elettorale del Partito Liberale (FDP) nel 2025 con un episodio passato, sostenendo che la storia si è ripetuta. Proprio come avvenne nel 2013, quando l’FDP mancò clamorosamente l’ingresso in Parlamento, anche stavolta i liberali finiscono fuori dal Bundestag dopo essere stati al governo. L’articolo ricorda che già nel 2013 la partecipazione dell’FDP a un governo di centrodestra finì con un elettorato esausto e deluso che punì il partito (allora guidato da Philipp Rösler) facendolo crollare sotto il 5%. Nel 2025 Christian Lindner, che aveva riportato l’FDP al potere nel 2021 entrando nella coalizione “semaforo”, ha preteso una brusca correzione di rotta su molte politiche durante il governo Scholz – dalla spesa pubblica al clima – nel tentativo di affermare l’identità liberale. Questa strategia aggressiva è andata “clamorosamente storta”, portando alla rottura dell’alleanza e infine a elezioni anticipate disastrose per gli stessi liberali.
L’analisi fa notare le somiglianze inquietanti: l’FDP al governo, in entrambe le occasioni, ha privilegiato la propria agenda ideologica (nel 2010-2013 tagli fiscali, nel 2021-2024 rigore di bilancio e stop alle politiche verdi) scontrandosi con gli alleati e deludendo al contempo molti elettori centristi. Risultato: perdita di consenso e uscita dal Bundestag. L’autore suggerisce che c’è un “meccanismo fatale” nella storia recente dei liberali tedeschi: quando cercano di “forzare” una svolta politica nella coalizione di cui fanno parte, finiscono per essere puniti dagli elettori per aver causato instabilità. Questa volta Lindner ha perfino ottenuto un breve distacco dall’odiata coalizione semaforo (uscendo dal governo Scholz mesi prima del voto), ma neanche il tempo all’opposizione è bastato a recuperare voti – “tre mesi scarsi di distanza non hanno ricaricato abbastanza le batterie”, commenta ironicamente l’autore. In conclusione, il pezzo si chiede se questa ennesima debacle possa essere definitiva per l’FDP. Il partito liberale è già risorto una volta, nel 2017, ma ora dovrà affrontare di nuovo un lungo periodo extra-parlamentare. L’editoriale avverte infine la nuova coalizione nero-rossa: la vicenda dell’FDP insegna che rompere una coalizione per cercare vantaggi di parte può portare all’autodistruzione – un monito utile a CDU e SPD per trovare compromessi invece di conflitti frontali nel futuro governo.
Kanzlerprofil: Führen zwischen Imperialisten – Profilo del cancelliere: guidare tra gli imperialisti.
In questo editoriale del Handelsblatt, il commentatore Martin Knobbe traccia il profilo ideale del nuovo cancelliere tedesco (Friedrich Merz) nel contesto geopolitico attuale. L’articolo afferma che Merz dovrà diventare un “forte cancelliere europeo” e assumere una leadership decisa in un mondo dominato da potenze imperiali come Russia e Stati Uniti. Si sottolinea come l’Europa – e in particolare la Germania – non possa più permettersi di restare politicamente assente o divisa sulla scena mondiale. Con gli Stati Uniti sempre più imprevedibili e focalizzati su sé stessi (specie sotto la presidenza Trump) e con la minaccia di potenze autoritarie come la Russia di Putin, spetta a Merz il compito di rafforzare l’Unione Europea e darle voce e peso internazionale.
Knobbe auspica che il nuovo cancelliere tedesco guidi l’UE in una “nuova era” di assertività e unità. La Germania, terza economia mondiale, deve secondo lui riempire il vuoto politico lasciato da anni di esitazioni e litigi interni all’UE. Merz è chiamato a lavorare a stretto contatto con partner come il presidente francese Macron per costruire un’Europa più autonoma militarmente ed economicamente, così che il continente non venga “stritolato tra gli imperialisti Vladimir Putin e Donald Trump”. Il testo elogia l’intenzione di Merz di recarsi subito a Parigi e a Bruxelles, interpretandola come un segnale positivo di rinnovata centralità del rapporto franco-tedesco e della dimensione europea. Tuttavia, avverte anche che Merz dovrà dimostrare coerenza tra retorica e azione: per guidare davvero l’Europa, Berlino dovrà fare scelte coraggiose, ad esempio aumentare significativamente la spesa per la difesa comune, ridurre la dipendenza energetica e commerciale da regimi autoritari e spingere per una politica estera europea coesa. In conclusione, il commento esprime la speranza che la Germania sotto Merz abbandoni la linea attendista degli ultimi anni e si assuma finalmente quel ruolo di guida europea che “tutti in Europa stanno aspettando” , per il bene della stabilità e dell’indipendenza del continente.
Sicherheitspolitik: Merz muss umdenken – Politica di sicurezza: Merz deve cambiare approccio.
Questo editoriale del Handelsblatt si concentra sulle sfide di politica estera e di difesa che attendono il futuro cancelliere Friedrich Merz e sostiene la necessità di un ripensamento strategico. L’assunto di partenza è che lo scenario internazionale è profondamente mutato e l’Europa non può più fare affidamento come in passato sul tradizionale ombrello protettivo statunitense. Con gli Stati Uniti orientati verso un isolazionismo imprevedibile sotto la nuova amministrazione Trump, la Germania e l’Europa devono assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Il commentatore afferma che Merz, da convinto atlantista qual è, deve tuttavia “cambiare mentalità” (“umdenken”) e rendersi conto che l’epoca della totale fiducia nel fratello maggiore americano è finita.
In concreto, l’articolo suggerisce alcune direttrici di questo cambio di approccio. Primo, un deciso potenziamento delle capacità di difesa europee: ciò significa investire seriamente nell’esercito tedesco (Bundeswehr) e promuovere iniziative comuni UE/NATO per la difesa del continente. Secondo, sviluppare un dialogo più autonomo con potenze come la Russia e la Cina, senza attendere passivamente la linea di Washington. Terzo, rafforzare i partenariati europei, in particolare con la Francia, per presentare un fronte unito. Il commento richiama una frase emblematica trapelata da ambienti diplomatici: “sul nucleare USA non si può più fare affidamento”, a sottolineare che persino la deterrenza nucleare americana non è più considerata certa come prima. Merz dovrà quindi spingere per sviluppare le capacità europee di deterrenza (anche attraverso il discusso progetto di “ombrello nucleare” europeo con la Francia). L’autore riconosce che questo rappresenta quasi un tabù da superare per la tradizione politica conservatrice tedesca, sempre molto filo-americana; ma insiste che i nuovi tempi lo impongono. La conclusione è che solo adattandosi rapidamente – quindi “cambiando approccio” in materia di sicurezza – la Germania di Merz potrà garantire la protezione e gli interessi del Paese e dell’Europa in un mondo dove i vecchi punti fermi si stanno sgretolando.
Wahlsieger Union: Ist Merz ein China-Freund? – L’Unione vincitrice: Merz è un amico della Cina?.
Quest’analisi della FAZ affronta una domanda centrale di politica estera ed economica riguardo a Friedrich Merz: quale sarà il suo atteggiamento verso la Cina. Il background è che Merz proviene dal mondo dell’economia e in passato, da dirigente finanziario, ha avuto posizioni favorevoli al business con la Cina. L’articolo ricapitola i legami e le dichiarazioni passate di Merz in merito: noto per la sua vicinanza agli ambienti industriali, Merz aveva criticato negli ultimi anni alcune scelte del governo Scholz considerate troppo caute o ostili verso Pechino, ad esempio esprimendo perplessità sul restringimento della cooperazione tecnologica con la Cina. Ci si chiede dunque se come cancelliere Merz adotterà una linea “China-friendly”, privilegiando gli interessi economici, o se invece, alla luce del nuovo contesto geopolitico, indurirà la posizione tedesca.
L’analisi suggerisce che la vittoria elettorale potrebbe aver portato Merz a riconsiderare alcune posizioni. Da un lato, molti nel suo partito (CDU) e nella probabile coalizione di governo spingono per un atteggiamento più duro verso la Cina in tema di diritti umani, sicurezza informatica e riduzione delle dipendenze strategiche (si pensi al 5G, ai porti, ecc.). Dall’altro lato, Merz sa che l’economia tedesca – trainata dall’export – ha nella Cina un partner commerciale cruciale. L’articolo cita fonti vicine al futuro cancelliere secondo cui Merz cercherà un equilibrio pragmatico: non vuole essere percepito come “amico della Cina” in senso ingenuo o sottomesso, ma nemmeno rompere i ponti in modo controproducente. Probabilmente, ipotizza l’autore, vedremo una politica che combinerà fermezza su alcune linee rosse (ad esempio Merz potrebbe bloccare partecipazioni cinesi in infrastrutture critiche tedesche, seguendo la linea già tracciata dall’ultimo governo Merkel-Scholz) con disponibilità al dialogo e agli affari in altri campi (permettendo alle aziende tedesche di continuare ad investire in Cina e viceversa, ma con maggiori cautele). In conclusione, l’analisi non fornisce una risposta univoca se Merz sarà o meno un “China-Freund”, ma evidenzia che la sua capacità di bilanciare interesse nazionale e valori occidentali sul dossier cinese sarà uno dei primi e più delicati banchi di prova della sua cancelleria.
„Zu wenig für Rambo Zambo“ – “Risultato troppo magro per il ‘Rambo Zambo’”
In un commento tagliente sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’editorialista Berthold Kohler giudica la vittoria di Friedrich Merz meno brillante di quanto il leader CDU sperasse. L’ironico riferimento a “Rambo Zambo” allude a un motto usato da Merz in campagna elettorale: prometteva di fare “piazza pulita” con decisione nel caso di vittoria. Kohler osserva che il risultato ottenuto è “troppo modesto per scatenare davvero il Rambo Zambo” nel quartier generale CDU. In altri termini, Merz non ha raggiunto un margine tale da poter governare in modo spavaldo o unilateralmente. Anzi, fino all’ultimo la CDU/CSU ha tremato per l’incognita di un’eventuale entrata in Parlamento del nuovo partito di sinistra (BSW), evenienza che avrebbe rovinato la festa e reso più complicato il ritorno al potere. Solo quando quella minaccia è sfumata, i cristiano-democratici hanno potuto esultare per il ritorno al governo dopo soli tre anni di opposizione.
Il commento sottolinea inoltre che, nonostante la vittoria, per Merz non si tratta di un trionfo pieno. L’Unione torna sì alla Cancelleria, ma con uno dei suoi risultati più bassi storicamente. Kohler avverte che Merz dovrà “riflettere bene quali conclusioni trarre” da questo esito per evitare errori di rotta. Parallelamente, anche la SPD dovrà interrogarsi profondamente: dopo una sconfitta così cocente, il partito deve capire come riconquistare i suoi elettori tradizionali e quale ruolo giocare nella nuova legislatura. Dalle scelte dei Socialdemocratici dipenderanno molte cose, incluso l’equilibrio politico del Paese. In conclusione, l’editoriale dipinge una vittoria agrodolce per Merz e indica che sia per la CDU/CSU sia per la SPD è il momento di analisi lucide e decisioni ponderate, poiché dal loro operato “dipende molto” per il futuro.
„Die AfD ist jetzt die Partei der Arbeiter – und Arbeitslosen“ – “L’AfD è ormai il partito degli operai – e dei disoccupati”
Un’analisi approfondita (FAZ) del voto mette in luce il cambiamento sociologico nell’elettorato tedesco: l’AfD, un tempo forza di protesta marginale, è diventata il partito preferito da molti operai, impiegati a basso reddito e disoccupati. Il consenso record del 21% ottenuto dall’AfD è in gran parte dovuto all’erosione della base tradizionale della SPD e della sinistra: ceti popolari e lavoratori manuali che si sono sentiti trascurati dai partiti di governo e hanno cercato una voce alternativa. L’AfD ha saputo catalizzare rabbia e frustrazione, presentandosi come l’unica forza anti-sistema capace di difendere “il popolo dimenticato”. L’analisi evidenzia dati significativi: in molti distretti operai dell’est la AfD è risultata primo partito e anche nelle periferie dell’ovest ha surclassato la SPD in sezioni un tempo rosse.
Il fenomeno segna una svolta storica nella politica tedesca. La “partei der kleinen Leute” (partito della gente comune) non è più la socialdemocrazia ma l’estrema destra nazional-populista. Il commento sottolinea come AfD abbia modulato abilmente il messaggio: meno enfasi sui temi estremisti tradizionali e più attenzione a salari, costo della vita, sicurezza e critiche all’immigrazione incontrollata – questioni sentite dalle classi popolari. Parallelamente, la SPD e la Linke hanno perso il contatto emotivo con questi elettori, risultando agli occhi di molti troppo prese da temi élitari o minoritari. Questo spostamento allarma gli osservatori: un partito radicale ha conquistato il cuore dell’elettorato operaio e precario, un campo che storicamente costituiva la spina dorsale della democrazia sociale tedesca. L’analisi conclude che per contrastare tale tendenza i partiti tradizionali dovranno seriamente riconsiderare le loro politiche sociali ed economiche, altrimenti l’AfD consoliderà questa nuova identità di “partito dei lavoratori”, con profonde implicazioni per il futuro politico e la coesione sociale del Paese.
„Merz muss Gräben zuschütten“ – “Merz deve colmare i fossati”
Questo commento – pubblicato sulla stampa regionale ma emblematico di molti editoriali – suggerisce che la prima sfida per Friedrich Merz sarà sanare le divisioni create durante la campagna elettorale. Secondo l’analisi, Merz ha vinto ma non dispone di una maggioranza confortevole né di alleati entusiasti: per costruire un governo solido dovrà mostrarsi conciliatore e “colmare i fossati” che separano il suo campo da quello avversario. In particolare, dovrà moderare i toni e cercare il dialogo con l’SPD – partito che ha attaccato duramente in campagna – se davvero intende cooptarlo in una coalizione. Già nelle ore successive al voto, esponenti SPD hanno dichiarato che Merz dovrà “cambiare nettamente registro e tono” se vuole sperare in un accordo di governo. Ciò significa che il leader CDU dovrà abbandonare la retorica divisiva e fare concessioni programmatiche significative.
Il commentatore osserva che Merz, pur essendo un politico di principi saldi, ha finora mostrato poca inclinazione al compromesso con i suoi avversari politici. Ora però le circostanze lo costringono a un ruolo nuovo: quello di tessitore di alleanze. Deve dimostrare di avere “la statura per costruire coalizioni”, mettendo da parte l’atteggiamento da combattente e diventando un mediatore credibile. Non sarà facile, perché la diffidenza è elevata – soprattutto dopo che Merz ha definito “Spinner” (svitati) alcuni attivisti di sinistra e verdi negli ultimi comizi. Tuttavia, se vuole davvero governare, Merz non ha scelta: dovrà convincere gli ex avversari che può essere un partner affidabile e rispettoso. In sintesi, il successo del suo mandato dipenderà dalla capacità di evolvere da fiero oppositore a “Kanzler unificatore”. Solo “riempiendo i fossati” e costruendo ponti politici Merz potrà dare stabilità al nuovo esecutivo e attuare il cambiamento promesso in campagna elettorale.
„Kompliziertes Wahlergebnis: Die SPD muss dringend in die Opposition…“ – “Un esito complicato: l’SPD deve assolutamente andare all’opposizione…”
Un commento apparso su un quotidiano nazionale (ripreso in sintesi da vari media) sostiene con forza che, dopo il disastro elettorale, la SPD dovrebbe evitare di tornare al governo e scegliere invece il rinnovamento all’opposizione. L’editorialista argomenta che i Socialdemocratici si trovano in un dilemma: da un lato sentono la responsabilità di garantire una maggioranza di governo contro l’avanzata dell’AfD, dall’altro la base elettorale ha chiaramente punito la loro partecipazione al potere negli ultimi anni, ed entrar di nuovo in una Große Koalition rischierebbe di “renderli mortalmente vulnerabili”. La democrazia tedesca stessa – avverte il commento – si è esposta a critiche letali con questo risultato elettorale, perché priva gli elettori di un’alternativa di centro-sinistra credibile se la SPD si accodasse ancora all’Unione.
Secondo l’analisi, l’SPD è “davanti a un bivio esistenziale”. Il partito appare smarrito e non ha compreso il messaggio degli elettori, cosa che comporta grandi pericoli. Continuare a governare “per senso del dovere” assieme a Merz, senza un chiaro mandato popolare, potrebbe rafforzare ulteriormente i partiti antisistema. L’opposizione, invece, darebbe alla SPD tempo e spazio per rigenerarsi, ricostruire un’identità progressista e tornare a parlare ai lavoratori e ai ceti medi senza i vincoli delle larghe intese. Tuttavia – riconosce il commento – la scelta non è semplice: “non può, ma deve” (Muss ja) entrare in coalizione, sembrano dire le circostanze, benché il cuore del partito dica il contrario. La conclusione è quasi rassegnata: la democrazia tedesca ha un problema strutturale se il principale partito di centro-sinistra è costretto a governare controvoglia per arginare l’estrema destra. “Esattamente questo è il problema della nostra democrazia”, chiosa amaramente l’editoriale): un sistema in cui l’SPD non può permettersi la cura dell’opposizione si espone a lungo termine a rischi ancora maggiori.
Politica estera e di sicurezza
Friedrich Merz bei Emmanuel Macron: Diese Agenda wurde schon umrissen – Friedrich Merz da Emmanuel Macron: delineata un’agenda comune.
Subito dopo le elezioni, il cancelliere in pectore Friedrich Merz si è recato a Parigi per incontrare il presidente francese Emmanuel Macron. L’articolo riferisce che già la sera stessa della vittoria elettorale, Macron ha invitato Merz all’Eliseo, a sottolineare l’importanza cruciale dell’asse franco-tedesco. Durante un colloquio di oltre tre ore, definito da entrambe le parti “molto cordiale e costruttivo”, Merz e Macron hanno concordato di rilanciare la cooperazione bilaterale aprendo un “nuovo capitolo” nelle relazioni tra i due Paesi. Si parla di un vero e proprio “Neustart” (nuovo inizio) dei rapporti franco-tedeschi, dopo che negli ultimi anni alcune divergenze (su difesa comune, energia nucleare, regole fiscali UE) avevano creato attriti. I due leader hanno gettato le basi di un’agenda condivisa: rafforzare la difesa europea e l’autonomia strategica dell’UE, coordinare le politiche industriali (dall’auto elettrica all’idrogeno) e presentare fronti uniti nei confronti di USA, Cina e Russia.
Merz ha descritto l’incontro con Macron come “ancora più in sintonia del previsto”, segnale che la sintonia personale tra i due potrebbe facilitare progetti comuni. Fra i temi trattati c’è stata la sicurezza: Merz ha assicurato che la Germania intende onorare gli impegni NATO aumentando le spese militari e contribuendo attivamente alla difesa europea (ad esempio con il sistema anti-missile congiunto). Macron ha apprezzato questo impegno e si è detto pronto a lavorare con Merz per una UE più unita di fronte alle sfide globali. Si è discusso inoltre di politica verso gli USA: Merz nei prossimi giorni volerà a Washington, e Macron gli ha raccomandato di insistere con il presidente Trump sull’importanza di consultare gli alleati europei riguardo a Russia e Cina. L’articolo sottolinea che questo primo viaggio all’estero di Merz – destinazione Parigi – ha un forte valore simbolico: rimette la partnership franco-tedesca al centro della politica estera tedesca. La “tabella di marcia” tracciata a Parigi comprende anche un incontro a tre con l’Italia per rinsaldare il triangolo fondatore UE. In definitiva, l’ottimismo espresso dai due leader fa ben sperare che dopo un periodo di “disallineamento” il motore franco-tedesco torni a funzionare a pieno regime, guidando l’Unione Europea in un momento storico di grandi cambiamenti.
„Zuflucht unter Frankreichs Atomschirm?“ – “Rifugiarsi sotto lo scudo atomico francese?”
Con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e il suo atteggiamento ostile verso Kiev, in Europa nulla sembra più garantito, nemmeno la protezione nucleare americana (). Un’approfondita analisi della Süddeutsche Zeitung discute la possibilità che la Germania e l’Europa debbano cercare sicurezza “sotto l’ombrello atomico francese”. Il cancelliere in pectore Friedrich Merz ha già dichiarato di volere una “soluzione europea” per la deterrenza nucleare, nel caso in cui la fiducia nell’impegno degli Stati Uniti venga meno (). Ciò potrebbe tradursi – secondo indiscrezioni raccolte a Parigi – in una condivisione degli armamenti nucleari francesi con altri partner UE, Germania in primis, per assicurare la difesa del continente. Perfino il Regno Unito potrebbe partecipare a uno schema del genere. Si tratta di un dibattito epocale: romperebbe tabù radicati dal dopoguerra, ma le “crescenti divergenze transatlantiche” sotto l’amministrazione Trump stanno costringendo i leader europei a considerare scenari finora impensabili.
L’articolo spiega che in passato la proposta di un deterrente nucleare europeo congiunto è sempre naufragata di fronte alla questione del controllo: Berlino avrebbe voluto condividere le decisioni sull’arsenale francese, cosa che Parigi ha regolarmente rifiutato. Ora però le circostanze sono cambiate: Trump ha compiuto atti ostili verso l’Europa – dalle minacce surreali come l’annessione della Groenlandia, all’esclusione dell’UE dai negoziati sull’Ucraina, fino al sostegno di movimenti euroscettici. Questo “attacco” politico da Washington sta spingendo l’UE a prendere posizioni insolitamente critiche verso gli USA, ad esempio nelle votazioni all’ONU sulla guerra in Ucraina. Sul tavolo c’è persino l’ipotesi di un nuovo maxi-fondo tedesco da 200 miliardi di euro per riarmare autonomamente la Bundeswehr. In sintesi, l’Europa si sente “stretta fra due pressioni”: da una parte l’aggressione russa, dall’altra l’inaffidabilità americana. La SZ conclude che, pur restando incerto se si arriverà davvero a un accordo sul nucleare europeo, il solo fatto che se ne discuta seriamente segna un cambiamento strategico di portata storica.
„Trump stürzt uns alle ins Verderben“ – “Trump ci precipita tutti in rovina”
Questo titolo, tratto da un reportage del Handelsblatt, è una citazione disperata raccolta in Ucraina: “Trump ci manda tutti in malora”. L’articolo dà voce allo sconcerto e al terrore con cui il popolo ucraino e i paesi dell’Europa orientale guardano al nuovo corso americano. Il Presidente Trump, infatti, non solo ha tagliato gli aiuti militari a Kiev, ma incolpa pubblicamente l’Ucraina per la guerra e abbraccia le tesi di Vladimir Putin. La popolazione ucraina è “attonita” di fronte a queste dichiarazioni: dopo tre anni di resistenza strenua contro l’invasore russo, sentirsi accusare dalla principale potenza occidentale suona come un tradimento insopportabile. Molti a Kiev temono che, se gli Stati Uniti voltano le spalle, “all’Ucraina potrebbe non restare più nulla da fare se non arrendersi” – da qui l’idea che Trump li stia condannando alla rovina.
Il pezzo descrive l’atmosfera plumbea a Kyiv durante il terzo anniversario dell’invasione russa. Le speranze di una vittoria si affievoliscono mentre l’Armata russa continua ad avanzare sul campo. L’intervento di Trump ha gettato ulteriore sale sulle ferite: “l’approccio brutale di Trump non rende sicuri né l’Ucraina né l’Europa”, afferma il commentatore, anzi le espone a rischi maggiori. Ci si chiede quanta speranza resti agli ucraini: alcuni parlano di destino segnato, altri confidano in un incremento del sostegno europeo per compensare la defezione americana. In Europa centrale e orientale cresce il senso di vulnerabilità: senza la protezione USA, paesi come Polonia e Stati baltici si interrogano se potrebbero essere i prossimi. L’eloquente citazione “Trump ci sta portando alla rovina” riflette dunque un sentimento diffuso: l’idea che la scelta degli elettori americani rischi di avere conseguenze devastanti per la sicurezza collettiva occidentale.
„Drei Jahre Krieg in der Ukraine: Die Ukraine könnte alles verlieren“ – “Tre anni di guerra in Ucraina: l’Ucraina potrebbe perdere tutto”
A tre anni dall’inizio dell’invasione russa (24 febbraio 2022), un’analisi cupa sulle pagine del Handelsblatt avverte che l’Ucraina è in pericolo esistenziale di sconfitta. Con il drastico cambio di postura degli Stati Uniti – passati da principale sostenitore a interlocutore ambiguo – la situazione sul campo volge al peggio per Kyiv. “La brutale condotta di Trump non rende l’Ucraina né l’Europa più sicure”, anzi mina il fronte occidentale. L’articolo sottolinea che la Russia ormai controlla circa il 20% del territorio ucraino e continua ad avanzare militarmente. Nel frattempo, l’UE e vari alleati occidentali cercano di correre ai ripari: nel terzo anniversario del conflitto, a Kiev sono giunti leader come Ursula von der Leyen e il premier canadese Trudeau per promettere nuovi aiuti finanziari e militari. L’Europa anticiperà 3,5 miliardi di euro di aiuti a marzo e altri paesi hanno annunciato contributi per arrivare a un pacchetto complessivo di 10 miliardi di euro di supporto.
Nonostante queste promesse, il tono generale è pessimista. Il presidente ucraino Zelensky e il ministro della difesa Umjerow, citati nell’articolo, lodano il “combattimento eroico” delle forze ucraine e chiedono di non perdere la speranza. Ma la realtà sul terreno è durissima: le truppe di Mosca, seppur logorate, hanno ancora superiorità di mezzi, e soprattutto il venir meno dell’appoggio pieno americano potrebbe privare Kyiv delle armi avanzate e dell’influenza diplomatica necessarie a ribaltare le sorti del conflitto. L’analisi conclude che, senza un rapido cambio di scenario – ad esempio un ravvedimento dell’amministrazione USA o un drastico aumento dell’impegno europeo – “l’Ucraina rischia di perdere tutto”. Questa frase estrema riassume il timore che la resistenza, finora eroica, possa essere vanificata lasciando campo libero alle mire di Putin. Per evitarlo, l’articolo invoca un sussulto di unità e decisione da parte dell’Europa e di quel che resta del fronte occidentale, prima che sia troppo tardi.
„USA unter Trump: Deutschland hofft auf europäische Sicherheitsinitiative“ – “USA con Trump: la Germania spera in un’iniziativa di sicurezza europea”
Nei giorni successivi all’elezione americana di Trump, in Germania monta la consapevolezza che occorre rafforzare in proprio la sicurezza del continente. La delusione per la drammatica svolta della politica estera USA – definita “la più radicale degli ultimi decenni” – spinge Berlino e Parigi a discutere piani finora ritenuti secondari. Fra questi, come rivelano fonti diplomatiche citate sui media tedeschi, vi è la proposta francese di creare un deposito strategico europeo di armamenti come garanzia di sicurezza comune . L’idea, avanzata da Parigi e appoggiata da Varsavia, prevede di mettere in comune munizioni e armi pesanti in un grande magazzino europeo per poter rifornire rapidamente eventuali fronti caldi (come l’Ucraina) indipendentemente dagli USA. Questa mossa – simbolica e pratica allo stesso tempo – segnala la volontà europea di prendere in mano il proprio destino di sicurezza.
Parallelamente, il governo tedesco uscente (con la ministra degli Esteri Baerbock) aveva già iniziato a ventilare un piano di difesa UE da 700 miliardi di euro per sostenere l’Ucraina e potenziare le proprie capacità militari. Anche se l’annuncio è trapelato accidentalmente, esso indica la scala dell’ambizione europea: un pacchetto colossale, discusso a margine della Conferenza di Monaco, per incrementare la spesa difensiva collettiva. Alla luce di ciò, quotidiani come la Frankfurter Allgemeine notano come l’UE stia assumendo una posizione più assertiva contro Washington su alcuni dossier, votando in sede ONU in modo divergente dagli USA per sottolineare la propria autonomia. In sostanza, di fronte a un alleato americano imprevedibile, la Germania e i partner UE sperano di costruire una “colonna vertebrale europea” della sicurezza: integrazione delle difese, cooperazione industriale nel settore bellico e, se necessario, nuove dottrine (fino al dibattito sull’ombrello nucleare europeo). Si tratta di uno sviluppo inedito, ancora in embrione, ma che riflette la determinazione europea a non farsi trovare impreparata in un mondo in cui l’America di Trump appare pronta a “gettare a mare il consenso transatlantico” di decenni.
„Münchner Sicherheitskonferenz 2025: Zeichen der Zeitenwende“ – “Conferenza sulla Sicurezza di Monaco 2025: i segni di una svolta epocale”
La Conferenza sulla Sicurezza di Monaco (MSC) del febbraio 2025 è stata dominata dall’ombra del nuovo corso statunitense e dalla guerra in Ucraina in stallo. I commentatori tedeschi parlano apertamente di Zeitenwende, una “svolta dei tempi”, nelle relazioni internazionali. Durante l’MSC, gli alleati europei hanno dovuto incassare le posizioni del vice-presidente USA J.D. Vance, che ha ribadito la linea trumpiana chiedendo in sostanza concessioni a Mosca come via per la pace – un approccio “amara pillola” per l’Europa. In diverse sessioni, rappresentanti tedeschi ed europei hanno espresso preoccupazione e dissenso: la ministra Baerbock, ad esempio, ha enfatizzato che “la pace in Europa non si ottiene cedendo, ma resistendo all’aggressione”, sottolineando il rischio di abbandonare l’Ucraina.
Un clima di franchezza ha caratterizzato i dibattiti: molti partecipanti europei hanno ammonito che “non ci si può più affidare ciecamente agli Stati Uniti” e che l’Europa deve considerare strategie autonome. Questo sentimento, serpeggiante già dall’anno precedente, è emerso con forza nelle dichiarazioni pubbliche a Monaco. Funzionari tedeschi hanno ventilato l’ipotesi di progetti comuni europei, come un eventuale sistema missilistico condiviso o investimenti congiunti nella difesa aerea continentale. La presenza ridotta della delegazione americana (notata con disappunto dagli organizzatori) ha accentuato la percezione di un vuoto di leadership occidentale. In definitiva, la MSC 2025 ha testimoniato una consapevolezza crescente: l’ordine di sicurezza europeo post-1945 è in fase di riorganizzazione forzata. La “svolta epocale” consiste nel fatto che la Germania e gli altri alleati europei stanno iniziando ad assumersi responsabilità che prima delegavano a Washington, dalla difesa militare alla gestione delle crisi ai confini orientali. Si tratta di un processo ancora iniziale, ma che Monaco 2025 ha reso visibile nei suoi “segni premonitori”, segnando probabilmente l’inizio di un nuovo capitolo per la sicurezza europea.
Questioni militari
Merz erwägt schnelles Rüstungs-Sondervermögen – Merz considera un fondo speciale rapido per gli armamenti.
Il probabile futuro governo guidato da Friedrich Merz intende dare un forte impulso al rafforzamento delle forze armate tedesche. Secondo fonti politiche, Merz sta valutando l’istituzione di un secondo fondo speciale per la difesa, aggiuntivo rispetto a quello da 100 miliardi di euro varato nel 2022. Questo “Sondervermögen” verrebbe approvato in via straordinaria per finanziare più rapidamente programmi di riarmo e modernizzazione della Bundeswehr. L’idea nasce dalla constatazione che il primo fondo non è ancora sufficiente a colmare tutte le lacune e che i tempi di spesa sono stati lenti; Merz vuole invece un’accelerazione. Il nuovo fondo potrebbe ammontare a decine di miliardi di euro e verrebbe impiegato in particolare per acquistare grandi quantità di munizioni – area in cui la Germania ha carenze critiche – e per completare ordini di sistemi d’arma avanzati (droni armati, difese antiaeree e missilistiche, mezzi corazzati). L’intenzione è di raggiungere quanto prima gli standard NATO e mettere la Bundeswehr in condizione di difendere il Paese e contribuire credibilmente alla deterrenza sul fianco est dell’Alleanza.
L’articolo evidenzia che l’operazione non è priva di difficoltà: sul piano finanziario bisognerà eventualmente scavalcare le rigide regole del “freno all’indebitamento” inserendo il fondo fuori dal bilancio ordinario, come già fatto in passato. Politicamente, Merz dovrà ottenere il sostegno dell’SPD – che condivide la preoccupazione per la sicurezza ma è guardinga su ulteriori debiti – e isolare le critiche delle opposizioni di sinistra contrarie al riarmo. Già durante la campagna elettorale Merz aveva promesso di invertire la rotta del declino militare tedesco, lamentando che gran parte degli equipaggiamenti è vetusto o inefficiente. Ora, con la crisi ucraina come catalizzatore, sembra disposto a investire massicciamente. I tempi prospettati sono rapidi: il nuovo fondo speciale potrebbe essere approvato entro i primi 100 giorni di governo, inviando anche un segnale forte agli alleati (USA in primis) dell’impegno tedesco. In conclusione, l’autore nota una svolta di atteggiamento: la Germania post-2022 sta abbandonando la tradizionale prudenza in campo militare per affrontare la realtà di un’Europa più pericolosa, e sotto la guida di Merz ciò potrebbe tradursi in una disponibilità di risorse senza precedenti recenti per l’esercito tedesco.
Weiter erhebliche Munitionsengpässe bei der Bundeswehr – Persistono gravi carenze di munizioni nella Bundeswehr.
Un rapporto riservato sulle capacità della Bundeswehr rivela che nonostante gli sforzi dell’ultimo anno, le scorte di munizioni dell’esercito tedesco rimangono drammaticamente insufficienti. L’articolo, basato su fonti interne al Ministero della Difesa, spiega che la Germania dispone attualmente solo di una frazione delle munizioni necessarie per sostenere operazioni prolungate. Secondo gli standard NATO, ogni paese dovrebbe avere scorte per almeno 30 giorni di combattimento intenso; la Bundeswehr invece avrebbe munizioni appena per pochi giorni in vari settori critici (ad esempio proiettili d’artiglieria, razzi per lanciarazzi multipli, munizioni per carri armati). Questa situazione, definita “inaccettabile” anche dal nuovo ispettore generale delle forze armate, è frutto di anni di tagli e mancate ordinazioni.
La guerra in Ucraina ha messo in luce il problema in modo eclatante: Kiev brucia in un giorno più proiettili di quanti la Germania ne abbia disponibili per esercitazioni in un anno. Berlino ha promesso di aumentare la produzione nazionale di munizioni (coinvolgendo aziende come Rheinmetall) e di acquistarne in grandi quantitativi all’estero, ma sorgono difficoltà. Da un lato la capacità produttiva europea è satura – molti paesi NATO stanno rifacendo le proprie scorte e inviando aiuti all’Ucraina – dall’altro questioni burocratiche e contrattuali in Germania rallentano gli acquisti. L’articolo porta esempi concreti: per le munizioni calibro 155 mm da artiglieria, indispensabili per i Panzerhaubitze 2000 tedeschi, l’ordine di decine di migliaia di colpi è stato firmato solo di recente e la consegna avverrà scaglionata in un paio d’anni. Intanto, i depositi restano semivuoti. Anche per armi leggere, come i proiettili di fucile, si segnala penuria al punto che l’addestramento dei soldati è stato contingentato in alcuni casi. La situazione crea imbarazzo politico: la Germania, pur con uno dei bilanci della difesa più alti d’Europa, appare impreparata. Per rimediare, il ministero sta allestendo un “task force” per le munizioni, con poteri speciali per bypassare iter di gara troppo lenti. In conclusione, il pezzo avverte che rifornire in modo adeguato la Bundeswehr sarà una corsa contro il tempo e richiederà investimenti notevoli: si stimano oltre 20 miliardi di euro necessari solo per avvicinarsi agli stock richiesti. Il governo Merz dovrà quindi dare priorità assoluta a questo dossier per rendere l’esercito realmente operativo in caso di crisi.
Bundeswehr beklagt Ausrüstungsmängel trotz Sondervermögen – La Bundeswehr lamenta carenze di equipaggiamento nonostante il fondo speciale.
A un anno dall’istituzione del “fondo speciale” da 100 miliardi per la difesa, i risultati tardano a manifestarsi e all’interno delle forze armate cresce il malumore. L’articolo riferisce di un documento interno dell’Esercito (Heer) in cui i comandanti elencano i persistenti deficit di mezzi e materiali: molti sistemi d’arma sono ancora in attesa di aggiornamento o sostituzione e le nuove acquisizioni procedono con lentezza. Ad esempio, gli obici semoventi Panzerhaubitze 2000 hanno problemi cronici di manutenzione e alcuni restano fuori servizio per mancanza di pezzi di ricambio; i carri armati Leopard 2 necessitano di modernizzazioni elettroniche che non sono ancora partite; le unità di fanteria meccanizzata dispongono di pochi veicoli Puma o Boxer di ultima generazione e continuano ad usare mezzi più vecchi.
La delusione è palpabile tra i soldati, perché il Sondervermögen aveva acceso grandi speranze di un rapido ammodernamento. Invece, finora solo una minima parte dei fondi è stata effettivamente impegnata: complici la burocrazia negli appalti e i tempi di produzione dell’industria, in dodici mesi si è visto poco di concreto. Il Ministro della Difesa uscente Pistorius aveva promesso bandi “più veloci e semplici”, ma la macchina statale tedesca, molto procedurale, non si cambia dall’oggi al domani. Intanto, la Bundeswehr continua a fare i conti con equipaggiamenti logorati da decenni di sottofinanziamento. L’articolo cita le parole amare di un ufficiale: “Abbiamo dei soldi sulla carta, ma sul campo i nostri soldati non hanno ancora i giubbotti antiproiettile moderni o i visori notturni che servono”. Anche la flotta aerea sconta ritardi: i primi elicotteri Chinook, acquistati per sostituire i vecchi CH-53, non arriveranno prima del 2026, e i jet F-35 per la componente nucleare saranno operativi solo tra vari anni. Il nuovo governo Merz eredita dunque questa situazione critica. Il pezzo fa notare come SPD e Verdi (ex partner di Scholz) abbiano anch’essi interesse a vedere utilizzato bene quel fondo straordinario, per giustificarlo agli occhi del proprio elettorato. Ci si aspetta quindi che Merz e il suo ministro della Difesa rafforzino ulteriormente la governance dei progetti, magari nominando commissari con pieni poteri per le principali commesse. In conclusione, l’articolo sottolinea che il personale militare tedesco è motivato e pronto a fare la sua parte, ma ha bisogno urgentemente degli strumenti adatti: “non si può fare la Zeitenwende con i mezzi della Guerra Fredda” è la chiosa lapidaria di un analista citato.
Koalition schließt Rückkehr zur Wehrpflicht aus – La coalizione esclude il ritorno alla leva obbligatoria.
Nel dibattito pubblico tedesco era riemersa, complice la guerra in Ucraina e la penuria di personale militare, l’idea di reintrodurre la coscrizione obbligatoria. Tuttavia, la nuova coalizione di governo (CDU-SPD) ha chiarito ufficialmente che la Wehrpflicht non verrà ripristinata. L’articolo riporta le dichiarazioni congiunte di esponenti di primo piano dei due partiti: tanto Merz quanto il leader SPD Klingbeil hanno escluso categoricamente un ritorno alla leva. La coscrizione in Germania è sospesa dal 2011 e rimane un tema controverso. La CDU, durante la campagna elettorale, aveva lasciato intendere di voler ampliare il servizio civile/militare volontario dei giovani, ma non di volerli obbligare. Ora al governo, i partner ribadiscono che rafforzare la Bundeswehr deve avvenire su base professionale e volontaria, migliorando le condizioni e l’attrattività della carriera militare, non mediante costrizione.
Questa presa di posizione arriva dopo che alcuni politici conservatori avevano suggerito di discutere la questione, guardando anche al modello di paesi vicini come la Norvegia o la Finlandia, dove esiste ancora una qualche forma di leva. Ma l’SPD era nettamente contraria, e anche molti nella CDU temono l’impopolarità di una misura del genere. L’articolo ricorda che reintrodurre la leva significherebbe notevoli costi (caserme, istruttori, equipaggiamento per decine di migliaia di giovani ogni anno) e solleverebbe questioni di equità (chi verrebbe arruolato? uomini e donne?) e di efficacia operativa. Gli esperti militari infatti sottolineano che un esercito moderno ha bisogno di soldati altamente specializzati e motivati per lungo tempo, cosa difficile da ottenere con coscritti che servono solo pochi mesi. La coalizione quindi preferisce potenziare il reclutamento volontario: si parla di incentivi maggiori, campagne promozionali, e forse dell’espansione dell’“anno sociale” volontario con possibilità anche in ambito militare, ma senza obblighi. Viene inoltre menzionata l’idea di sviluppare una riserva attiva più ampia, invitando ex militari e civili con competenze utili a partecipare periodicamente ad addestramenti, in modo da avere un bacino mobilitabile in caso di crisi. In sintesi, la notizia è che la Germania non tornerà alla leva obbligatoria, scegliendo di investire sulla via professionale. Questa decisione chiude almeno temporaneamente una discussione che aveva diviso l’opinione pubblica: molti giovani tirano un sospiro di sollievo, mentre altri – specie una parte di popolazione più anziana – si chiedono come colmare allora il vuoto di organico nelle forze armate. La risposta del governo è chiara: con migliori mezzi e migliori condizioni, sperando di rendere il mestiere delle armi di nuovo abbastanza attraente.
Merz stellt Lieferung von Taurus-Raketen an Ukraine in Aussicht – Merz apre alla fornitura di missili Taurus all’Ucraina.
In un segnale di svolta rispetto alle esitazioni del precedente governo Scholz, il cancelliere in pectore Friedrich Merz si è detto disposto a inviare missili da crociera Taurus all’Ucraina. L’articolo descrive come, durante un’intervista televisiva, Merz abbia affermato che “se il contesto lo richiede” la Germania prenderà in considerazione la consegna di questi sistemi d’arma avanzati a Kiev. I missili Taurus sono ordigni aria-terra a lungo raggio (oltre 500 km) con testata penetrante, in grado di colpire bunker e obiettivi strategici nemici con alta precisione. Finora Berlino aveva evitato di fornirli per timore di provocare Mosca – essi infatti potrebbero raggiungere anche territori russi – e per questioni tecniche di integrazione sugli aerei ucraini. Ma Merz sembra pronto a rivedere la linea: ha dichiarato che “l’Ucraina deve poter difendere la propria sovranità su tutto il territorio” e che non intende porre veti pregiudiziali su alcun tipo di armamento occidentale, finché questo aiuta Kiev a respingere l’aggressione.
Dietro questa apertura c’è probabilmente il pressing degli alleati: il Regno Unito e la Francia hanno già fornito missili simili (Storm Shadow e SCALP) e l’Ucraina ne ha fatto ottimo uso colpendo depositi e centri di comando russi lontano dal fronte. La Germania possiede un certo numero di Taurus inutilizzati che potrebbero essere decisivi per mantenere la pressione logistica sull’esercito russo. L’articolo riporta che i tecnici tedeschi stanno studiando come adattare questi missili ai caccia ucraini (forse i Su-24). Sul piano politico interno, Merz dovrà comunque consultarsi con l’SPD: una parte del suo partner di coalizione è ancora prudente nel timore di escalation. Ma l’orientamento generale pro-Kiev dell’opinione pubblica tedesca rende la mossa fattibile, specie se coordinata con Washington e Parigi. Qualora si proceda, la Germania porrebbe probabilmente condizioni d’uso (ad esempio chiedendo di non impiegare i Taurus per colpire obiettivi in territorio russo all’interno dei suoi confini pre-2014, per evitare l’accusa di co-belligeranza diretta). Kiev ha rassicurato in passato su questo punto. In conclusione, l’articolo sottolinea che l’eventuale invio dei Taurus rappresenterebbe un forte segnale di determinazione occidentale: un’arma sofisticata tedesca per aiutare l’Ucraina a vincere evidenzierebbe il cambio di passo della nuova leadership di Berlino sul supporto militare, passando da riluttante a proattiva.
Rheinmetall meldet Rekordauftragsbestand dank Bundeswehr-Aufrüstung – Rheinmetall registra un portafoglio ordini record grazie al riarmo della Bundeswehr.
Il colosso dell’industria bellica tedesca Rheinmetall annuncia risultati senza precedenti: il suo carnet ordini ha raggiunto livelli record, trainato in gran parte dalle commesse provenienti dal governo tedesco per l’ammodernamento delle forze armate. In una conferenza con gli investitori, l’amministratore delegato Armin Papperger ha illustrato come l’azienda abbia beneficiato dell’aumento della spesa militare deciso con la Zeitenwende. Sono in corso di esecuzione contratti importanti per fornire alla Bundeswehr nuovi veicoli corazzati (inclusi i moderni mezzi da combattimento Puma e Boxer), munizioni di vario calibro e componenti per sistemi d’arma avanzati. In particolare, Rheinmetall ha ricevuto ordini significativi per la produzione di munizionamento di artiglieria e per l’aggiornamento di carri armati Leopard 2 in collaborazione con Krauss-Maffei Wegmann.
Il pezzo evidenzia alcuni numeri: il portafoglio ordini dell’azienda ha superato i 30 miliardi di euro, un massimo storico, garantendo anni di lavoro alle sue fabbriche. Questo boom ha effetti anche sull’occupazione: Rheinmetall sta assumendo personale e investendo nell’espansione di impianti produttivi in Germania (ad esempio impianti per proiettili in Sassonia e nello Schleswig-Holstein) e all’estero. Il conflitto in Ucraina e la necessità di rifornire anche gli alleati dell’Est Europa hanno creato ulteriori opportunità: recentemente Rheinmetall ha venduto autoblindo e vecchi Leopard rigenerati a paesi come Repubblica Ceca e Slovacchia come parte degli accordi di scambio per aiutare l’Ucraina. Tutto ciò si riflette anche in borsa, con il titolo Rheinmetall salito notevolmente nell’ultimo anno. L’articolo segnala però che questa forte domanda pone anche delle sfide: l’azienda deve evitare colli di bottiglia nelle forniture (ad esempio di polveri da sparo o acciaio speciale) e garantire tempi di consegna rapidi come richiesto dalla politica. Inoltre, i costi delle materie prime e dell’energia – sebbene in discesa – possono influenzare i margini. Papperger si dice fiducioso di poter rispettare gli impegni e addirittura di aumentare la capacità produttiva, eventualmente costruendo impianti in nuovi paesi (cita una possibile fabbrica di munizioni in Ungheria). In conclusione, la situazione descritta dall’articolo mostra come la corsa al riarmo tedesca ed europea stia ridisegnando l’industria della difesa: Rheinmetall, tradizionale pilastro del settore, sta vivendo un’inedita stagione di crescita, diventando uno dei simboli della nuova attenzione della Germania verso le proprie forze armate.
Bundesregierung gibt weitere Leopard-Panzer im Ringtausch frei – Il governo federale libera altri carri Leopard per il “ringtausch”.
La Germania continua nella sua strategia del “ringtausch” (scambio a rotazione) per aiutare indirettamente l’Ucraina a ottenere equipaggiamento militare. L’articolo comunica che Berlino ha approvato la consegna di ulteriori carri armati Leopard 2A4 alle forze armate slovacche e ceche, nell’ambito di accordi di compensazione: Slovacchia e Repubblica Ceca avevano inviato in precedenza decine di vecchi carri di fabbricazione sovietica T-72 dalle proprie scorte all’Ucraina; in cambio, la Germania si era impegnata a rimpiazzarli con più moderni Leopard 2 di sua produzione. Ora il governo tedesco ha sbloccato un secondo lotto di questi Leopard, che saranno consegnati nei prossimi mesi a Bratislava e Praga. Ciò serve sia a mantenere le capacità difensive di quei paesi, sia a premiare la loro solidarietà verso Kiev.
I Leopard destinati al ringtausch provengono dalle riserve dell’esercito tedesco e da mezzi ricondizionati da Rheinmetall. L’articolo precisa che la Germania, pur avendo deciso di fornire direttamente alcuni Leopard 2 all’Ucraina (nel primo trimestre 2025 sono giunti 18 Leopard 2A6 alle forze ucraine), continua parallelamente con questo sistema di scambi triangolari per coinvolgere gli alleati dell’Est Europa e velocizzare l’afflusso di mezzi. Il vantaggio è duplice: l’Ucraina ha subito potuto impiegare i T-72 donati (già noti ai suoi carristi), e i paesi donatori migliorano la loro dotazione passando a carri occidentali più performanti. L’articolo nota che la cooperazione sta funzionando bene: i carristi slovacchi addestrati in Germania sui Leopard hanno espresso grande soddisfazione per il salto di qualità. Resta però il nodo del rimpiazzo a lungo termine: i Leopard 2A4 forniti sono di una versione meno avanzata, e si discute se in futuro la Germania aiuterà questi paesi ad acquisire Leopard di nuova generazione o componenti di upgrade. Intanto però, sottolinea il testo, la politica del ringtausch ha rafforzato i legami tra Berlino e i partner del fianco est della NATO, inizialmente critici della prudenza tedesca. Col tempo, la Germania ha saputo mediare e intensificare il proprio ruolo di “hub” per armare indirettamente l’Ucraina. Questo annuncio di ulteriori carri scambiati ribadisce l’impegno tedesco nel sostenere lo sforzo bellico ucraino senza ridurre oltre misura la prontezza dei propri alleati. Nel complesso, il ringtausch si conferma uno strumento diplomatico-militare efficace e flessibile in questo conflitto europeo.
Bundeswehr nimmt erstmals bewaffnete Drohnen in Betrieb – La Bundeswehr mette in servizio per la prima volta droni armati.
Dopo anni di dibattiti politici e preparativi, l’esercito tedesco ha ufficialmente attivato i suoi primi droni armati. L’articolo riferisce che alcuni velivoli a pilotaggio remoto Heron TP, forniti da Israele e ora equipaggiati per l’impiego di missili, sono operativi sotto il controllo dell’Aeronautica militare tedesca. Questa è una novità assoluta: finora la Germania utilizzava droni solo per ricognizione, ma non li aveva mai dotati di armamenti letali a causa di riserve etiche e politiche. Il Parlamento tedesco aveva approvato l’armamento dei droni solamente nel 2022, nel contesto della Zeitenwende, superando l’opposizione iniziale soprattutto dei partiti di sinistra. Ora, i reparti della Luftwaffe di stanza in Israele per l’addestramento hanno completato i test: i droni Heron TP, che hanno apertura alare simile a un piccolo aereo, possono lanciare missili di precisione contro bersagli al suolo.
La Bundeswehr sottolinea che l’impiego di questi sistemi avverrà seguendo rigorose regole d’ingaggio e nel rispetto del diritto internazionale umanitario. I droni armati danno ai militari tedeschi nuove capacità: ad esempio, nelle missioni all’estero (come il Mali, dove la Germania è stata presente fino a poco fa) possono proteggere le truppe da imboscate o neutralizzare minacce terroristiche in modo rapido, senza rischiare piloti. Il passaggio ai droni d’attacco viene visto come necessario per colmare un gap tecnologico con altri eserciti NATO che da tempo li utilizzano (USA, Francia, Italia). L’articolo spiega la dottrina d’uso: i droni verranno controllati da stazioni a terra lontane centinaia o migliaia di km, i soldati operatori avranno la facoltà di identificare e colpire bersagli in tempo reale, dopo l’autorizzazione della catena di comando. Questo riduce la latenza tra scoperta e ingaggio del bersaglio. Naturalmente permangono anche questioni etiche: alcuni critici temono una “banalizzazione” della decisione di uccidere se fatta tramite uno schermo remoto, e chiedono trasparenza su come verranno minimizzati i danni collaterali. La Difesa risponde che i droni armati saranno usati con estrema prudenza e solo quando strettamente necessario, e anzi grazie ai loro sensori precisi possono ridurre i rischi per i civili rispetto a bombe sganciate da caccia tradizionali. In definitiva, l’ingresso in servizio dei droni armati segna una modernizzazione importante della Bundeswehr. La Germania entra nel club dei paesi dotati di questa capacità, colmando un ritardo e dotandosi di uno strumento che nelle future operazioni – nazionali o NATO – sarà sempre più richiesto per la superiorità informativa e offensiva sul campo di battaglia moderno.
Tre anni di guerra in Ucraina: bilancio e nuovi aiuti – “Drei Jahre Krieg: Ukraine erhält Milliardenhilfen und kämpft”
Il 24 febbraio 2025 ha segnato il terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. In questa ricorrenza, l’Ucraina ha ricevuto importanti promesse di aiuto dall’Occidente, accompagnate da visite di alto profilo a Kiev. La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, in missione nella capitale ucraina, ha dichiarato che “l’Europa è qui per rafforzare l’Ucraina in questo momento decisivo”. Bruxelles ha annunciato l’anticipo a marzo di una tranche da 3,5 miliardi di euro di aiuti finanziari all’Ucraina, fondi che saranno erogati sotto forma di prestito agevolato e garantiti dagli interessi sui beni russi congelati. Anche vari Stati alleati – Canada, Spagna, Norvegia, Finlandia e altri – hanno comunicato nuovi contributi economici per un totale stimato in circa 10 miliardi di euro di supporto aggiuntivo. Queste cifre testimoniano la volontà occidentale di sostenere Kiev sul lungo periodo, non solo militarmente ma anche sul piano finanziario per tenere in piedi l’economia e lo sforzo bellico del paese aggredito.
Parallelamente, la leadership ucraina ha voluto rimarcare la determinazione del proprio esercito e popolo a resistere. Il Presidente Volodymyr Zelensky e il Ministro della Difesa Rustem Umerov hanno lodato “l’eroica lotta difensiva” portata avanti giorno dopo giorno, ribadendo che l’Ucraina non si piegherà nonostante le enormi difficoltà. E le difficoltà restano enormi: in tre anni di guerra, la Russia ha occupato stabilmente circa il 20% del territorio ucraino, includendo la Crimea e ampie zone del Donbass, e continua a condurre offensive. Il conflitto rimane la crisi più grave e determinante per il futuro dell’Europa – come ha sottolineato von der Leyen a Kiev – e non se ne vede ancora la fine. Le nuove promesse di armi e denaro dall’Occidente sono quindi vitali per tenere viva la resistenza ucraina. Tuttavia, con gli Stati Uniti che mostrano segnali di disimpegno, il peso dell’aiuto grava sempre più sulle spalle europee. La ricorrenza dei tre anni di guerra è stata celebrata dall’Ucraina con fierezza e dolore, ma anche con il timore che il tempo giochi a sfavore: per questo Kiev spinge per un ulteriore incremento delle forniture di armi moderne, ritenendo essenziale ribaltare l’inerzia militare prima che la stanchezza affligga definitivamente i sostenitori occidentali.
Industria della difesa: l’Europa deve riarmarsi – “Europa muss aufrüsten – Wohlstand durch Verteidigung”
La nuova situazione geopolitica ha innescato in Europa un massiccio ripensamento delle politiche di difesa, con riflessi importanti sull’industria militare. Analisi economiche apparse sulla stampa tedesca sottolineano che le spese militari non sono più viste solo come un costo, ma anche come un investimento strategico che potrebbe persino portare benefici economici. Si parla di “benessere attraverso la difesa”, evidenziando come i piani di riarmo di Germania e UE – se attuati – mobiliterebbero centinaia di miliardi, con ricadute positive su tecnologia, occupazione e crescita. Le aziende europee del settore bellico attendono infatti enormi commesse: ad esempio l’industria tedesca dei carri armati, dell’artiglieria e dei sistemi antiaerei prevede una domanda in forte aumento, tanto per rifornire gli arsenali nazionali quanto per sostenere gli alleati (Ucraina in primis). Già ora, valori di borsa e ordinativi ne danno un assaggio: le azioni delle imprese della difesa sono schizzate verso l’alto subito dopo l’elezione di Merz, in previsione di maggiori spese militari con il nuovo governo. Il quadro europeo complessivo è ancora più ambizioso: si discute di un “pacchetto difesa” da 700 miliardi di euro a livello UE.
Questo riarmo su larga scala non è privo di controversie, ma viene presentato come necessario per la sicurezza e potenzialmente utile per l’economia continentale. Gli esperti notano che l’Europa, liberata in parte dal vincolo di bilancio del passato, può cercare di recuperare terreno rispetto agli USA nel campo militare, generando al contempo innovazioni tecnologiche che avranno applicazioni civili (droni, satelliti, cyber-sicurezza). Certo, rimangono sfide: evitare duplicazioni, sviluppare progetti comuni europei e non disperdere le risorse in iniziative nazionali scoordinate. Una “difesa europea efficiente” richiede coordinamento politico e industriale. In Germania, intanto, il dibattito pubblico si sta spostando: dal pacifismo radicato del dopoguerra si passa ora a parlare di Zeitenwende, una svolta in cui aumentare gli armamenti diventa accettabile e persino doveroso. Alcuni commentatori enfatizzano che la prosperità e la pace future dipenderanno dalla capacità di “difendersi da soli”. La formula “Wohlstand durch Verteidigung” riassume questa visione: investire in difesa è investire nel futuro benessere, perché garantisce stabilità geopolitica e può dare slancio a settori hi-tech chiave.
Bundeswehr: nuove risorse e “cambio di passo” – “Zeitenwende in der Bundeswehr: 200-Milliarden Programm”
All’indomani delle elezioni, emergono indiscrezioni su un possibile nuovo Sondervermögen (fondo speciale) da 200 miliardi di euro per la Bundeswehr, voluto da Friedrich Merz per rafforzare drasticamente le forze armate tedesche. Questo fondo, se confermato, raddoppierebbe quello da 100 miliardi già stanziato nel 2022, segnalando la volontà di Merz di rendere la Germania militarmente più autonoma dagli Stati Uniti. Secondo le anticipazioni trapelate, le risorse servirebbero a colmare le lacune in praticamente tutti i settori: munizioni (che scarseggiano dopo gli aiuti massicci a Kiev), sistemi di difesa aerea, modernizzazione dell’esercito di terra e potenziamento della Marina. L’obiettivo strategico dichiarato da Merz sarebbe raggiungere in pochi anni una “Indipendenza dagli USA” nelle capacità di difesa europea. Questo rappresenta un deciso cambio di dottrina rispetto al passato, innescato dalle “crescenti divergenze transatlantiche” sotto l’era Trump.
Nel frattempo, rapporti interni rivelano che la Bundeswehr soffre ancora pesanti carenze strutturali. Malgrado il Zeitenwende annunciato dall’ex cancelliere Scholz nel 2022, molte riforme sono rimaste lente: i generali lamentano procedure di appalto troppo farraginose e ritardi nelle consegne di equipaggiamenti. Ad esempio, solo di recente ha avuto luce verde l’acquisto di nuovi jet F-35 per sostituire i Tornado, ma la piena operatività è lontana. Analogamente, i progetti per potenziare le scorte di munizioni e pezzi di ricambio avanzano a rilento. Merz vuole imprimere un’accelerazione: tra le prime misure discusse vi sarebbe una semplificazione delle norme per le forniture militari e un ruolo più centrale affidato all’industria bellica nazionale. I cantieri navali tedeschi, i produttori di mezzi corazzati come Rheinmetall e gli sviluppatori di sistemi elettronici potrebbero trovarsi di fronte ad ordinativi senza precedenti. Tuttavia, gli osservatori avvertono: spendere di più non basta, serve spendere meglio e avere una strategia chiara. L’auspicio è che questo “cambio di passo” – dal budget record all’eliminazione dei colli di bottiglia burocratici – trasformi la Bundeswehr in uno strumento moderno e credibile di difesa, all’altezza delle sfide di sicurezza attuali.
Conflitto e diplomazia: iniziative europee per la pace – “Europa sondiert Friedensplan ohne USA”
Con gli Stati Uniti meno coinvolti, le nazioni europee provano a intensificare gli sforzi diplomatici per risolvere la guerra in Ucraina. Secondo fonti di stampa, la Francia e la Germania starebbero esplorando – dietro le quinte – la possibilità di un cessate il fuoco mediato direttamente dall’Europa, senza il protagonismo americano. Ciò avviene “dopo che Washington ha escluso l’UE dai colloqui” preliminari con la Russia. Parigi avrebbe suggerito un formato che includa anche Cina e Turchia come garanti, nel tentativo di costruire un negoziato multilaterale credibile. Sebbene il governo tedesco sia estremamente cauto nel parlarne pubblicamente, alcune dichiarazioni di esponenti vicini a Merz indicano apertura: “qualsiasi strada verso il silenzio delle armi merita di essere esplorata”, ha detto un membro CDU delle commissioni esteri.
Allo stesso tempo, la prudenza è d’obbligo: un “cattivo accordo” che sancisca conquiste russe potrebbe equivalere a una sconfitta inaccettabile, e su questo Berlino e Varsavia sono allineate. Eppure la pressione per mostrare risultati diplomatici aumenta, specie in vista delle elezioni europee del 2025. L’articolo evidenzia che l’Europa deve bilanciare due esigenze: mantenere ferma la condanna all’aggressione russa e insieme evitare un conflitto permanente e incontrollabile nel cuore del continente. In quest’ottica, si registra un intensificarsi dei contatti europei con attori globali: la Cina, ad esempio, viene coinvolta per spingere Mosca a maggiore realismo, mentre paesi emergenti come India e Brasile sono consultati per eventuali missioni di pace ONU. Non è chiaro se queste mosse porteranno frutti, ma rappresentano un attivismo europeo inedito. In definitiva, concludono gli analisti, l’Europa di fine inverno 2025 cerca di prendere in mano anche il dossier diplomatico: se “il nuovo sceriffo a Washington” non vuole più occuparsene, allora tocca agli europei tentare di gettare ponti – per quanto fragili – verso una pace giusta, o quantomeno verso una tregua che salvi vite e guadagni tempo.
Caso Musk e teorie complottiste sull’oro USA – “Die Posse vom Gold in Fort Knox”
Un curioso caso transatlantico sta facendo discutere esperti di sicurezza e finanza: secondo notizie riportate dal Handelsblatt, Donald Trump e il suo consigliere speciale Elon Musk avrebbero sollevato dubbi infondati sulle riserve auree statunitensi custodite a Fort Knox. In quella che viene definita una “posse” (farsa), si racconta che Trump e Musk temano che i leggendari forzieri possano essere vuoti, ipotizzando – senza prove – che le barre d’oro siano sparite o siano state spostate segretamente. Questa teoria complottista ha suscitato reazioni perplesse e preoccupate. Da un lato viene liquidata come un’ennesima trovata di Musk sui social media e come fake news amplificata dallo stesso Trump; dall’altro alimenta tensioni istituzionali: la Federal Reserve e il Tesoro USA hanno smentito duramente, assicurando che le riserve auree americane (oltre 8.000 tonnellate, le più grandi al mondo) sono intatte e regolarmente inventariate.
L’episodio, per quanto grottesco, non è privo di implicazioni di sicurezza. Intanto denota l’influenza anomala che Elon Musk – personaggio privato e imprenditore tecnologico – esercita sul Presidente Trump, inserendosi persino in questioni di strategica importanza nazionale. In secondo luogo, questa diceria sull’oro potrebbe indebolire la fiducia internazionale nella stabilità finanziaria degli Stati Uniti: alcuni analisti notano che se tali voci prendessero piede, i mercati dell’oro e del dollaro potrebbero reagire con volatilità. La Cina e la Russia, da tempo accumulatrici di oro, potrebbero sfruttare propagandisticamente la cosa per promuovere alternative al dollaro. Per ora siamo nel campo del pettegolezzo bizzarro, ma il Handelsblatt sottolinea come “anche queste farse rientrino nel quadro di incertezza” generato dall’amministrazione Trump. In Europa l’episodio viene guardato con un misto di incredulità e allarme: riflette un clima politico in cui perfino asset tradizionalmente sicuri come l’oro diventano oggetto di polemica e disinformazione ai più alti livelli.
Politica interna e questioni sociali
CDU/CSU fordern strengere Asylpolitik nach der Wahl – L’Unione CDU/CSU chiede una politica d’asilo più rigida dopo le elezioni.
Rinfrancata dalla vittoria elettorale, l’Unione cristiano-democratica e cristiano-sociale spinge per un giro di vite in materia di immigrazione e asilo. Esponenti di primo piano del partito di Merz hanno dichiarato che il forte voto all’AfD evidenzia la preoccupazione dei cittadini su questi temi e che il nuovo governo dovrà dare risposte ferme. L’articolo riporta le parole ad esempio di Alexander Dobrindt (CSU) e Thorsten Frei (CDU): entrambi sostengono che occorre ridurre drasticamente l’immigrazione irregolare e accelerare le espulsioni di chi non ha diritto a restare. Tra le proposte sul tavolo c’è l’inasprimento dei controlli alle frontiere interne dell’UE (reintroducendo temporaneamente i controlli ai confini con Paesi come Polonia e Repubblica Ceca, già attuati per periodi limitati negli ultimi mesi) e la negoziazione a livello europeo di accordi più efficaci con i paesi di origine per il rimpatrio dei migranti respinti.
La CDU/CSU vuole inoltre rivedere alcune misure varate dal precedente governo “semaforo” considerate troppo indulgenti. In particolare, mira a restringere l’uso delle cosiddette “Duldung” (permessi di tolleranza temporanea) ed evitare che situazioni di soggiorno provvisorio si trascinino per anni diventando di fatto permanenti. Si discute anche di abbassare i sussidi per i richiedenti asilo, per diminuire l’attrattività economica della Germania rispetto ad altri paesi UE. Il partito propone poi di classificare ulteriori paesi come “Paesi d’origine sicuri” per rendere più facile il rifiuto delle domande di asilo provenienti da lì (ad esempio Tunisia, Algeria, India potrebbero essere aggiunti alla lista). L’articolo osserva che queste richieste trovano sponda anche in parte dell’SPD, che dopo lo shock elettorale è consapevole di dover riconquistare elettori preoccupati dall’immigrazione incontrollata. Tuttavia, l’ala sinistra socialdemocratica e i Verdi all’opposizione contestano questo approccio, sostenendo che serve sì gestione, ma senza sacrificare i diritti umani. Sullo sfondo c’è la pressione sui comuni tedeschi, che lamentano di non riuscire a gestire l’accoglienza per l’alto numero di arrivi. Merz, nel suo discorso post-vittoria, aveva citato la necessità di “regolare e ridurre l’immigrazione illegale” come priorità. L’articolo conclude notando che sul tema migratorio ci sarà probabilmente rapido accordo tra CDU e SPD nel contratto di coalizione: entrambe sanno di dover rispondere a un’esigenza sentita dall’elettorato. La nuova linea sarà quindi più restrittiva rispetto a quella dell’ultimo governo, e cercherà di recuperare consensi sottratti dall’AfD dimostrando capacità di controllo e rigore nelle politiche d’asilo.
Warnstreiks legen Flughäfen München und Hamburg zeitweise lahm – Scioperi di avvertimento bloccano temporaneamente gli aeroporti di Monaco e Amburgo.
La stagione delle rivendicazioni sindacali continua a farsi sentire in Germania. In questo articolo si riferisce di uno sciopero di avvertimento (Warnstreik) indetto dal personale di terra negli aeroporti di Monaco di Baviera e di Amburgo, che ha causato la sospensione quasi totale delle attività aeroportuali per alcune ore. I lavoratori – addetti alla sicurezza, ai controlli bagagli e ai servizi di assistenza a terra – protestano per il rinnovo del contratto collettivo, chiedendo aumenti salariali in linea con l’inflazione e migliori condizioni di lavoro (turni meno gravosi, più assunzioni per ridurre i carichi). Lo sciopero, organizzato dal sindacato Ver.di, è durato un’intera mattinata e ha portato alla cancellazione o al forte ritardo di decine di voli in entrambi gli scali, con migliaia di passeggeri coinvolti.
L’articolo descrive le scene negli aeroporti: sale d’attesa affollate, passeggeri in coda per riprogrammare il viaggio, annunci costanti sui voli cancellati. Molti viaggiatori sono rimasti frustrati, soprattutto perché questo è l’ennesimo sciopero nel settore trasporti nel corso dell’anno (si ricordano i precedenti alle ferrovie e negli stessi aeroporti in primavera). I sindacati replicano che la colpa è delle controparti datoriali che non vogliono concedere adeguamenti salariali dopo anni di stipendi stagnanti. La direzione degli aeroporti ha criticato la scelta di colpire nel mezzo delle vacanze scolastiche in alcuni Länder, definendo lo sciopero “sproporzionato” e dannoso per l’economia (una giornata di blocco causa perdite notevoli e danneggia l’immagine degli hub). Tuttavia, l’articolo rileva che proprio la visibilità e il danno generato dal blocco temporaneo fanno parte della tattica di pressione: essendo “scioperi di avvertimento”, servono a far capire la determinazione dei lavoratori senza però per ora estendersi a oltranza. Ver.di ha già segnalato di essere pronto a nuovi scioperi anche più lunghi se le trattative non porteranno a risultati. Sul tavolo, le richieste riguardano aumenti di circa il 10% per alcune categorie di salari medio-bassi negli aeroporti, in linea con l’aumento del costo della vita. Il pezzo conclude indicando che il governo guarda con preoccupazione a queste tensioni settoriali diffuse: pur riconoscendo il diritto di sciopero, auspica rapidi accordi per evitare di paralizzare la mobilità nel Paese e alimentare malcontento. Intanto, i passeggeri tedeschi imparano loro malgrado a convivere con questi disagi, ormai diventati frequenti e quasi “programmati” nell’ambito delle lotte sindacali annuali.
Lauterbach fordert Länderzustimmung zur Krankenhausreform – Lauterbach sollecita l’ok dei Länder alla riforma degli ospedali.
Il ministro federale della Salute uscente, Karl Lauterbach (SPD), spinge affinché la grande riforma del sistema ospedaliero, da lui elaborata, venga approvata al più presto anche dai governi regionali. L’articolo illustra i punti cardine di questa riforma e le resistenze che sta incontrando. Lauterbach ha proposto di riorganizzare la rete degli ospedali tedeschi per migliorarne efficienza e qualità: ciò include concentrare le specializzazioni in centri di riferimento (Hub) e ridurre la frammentazione di reparti costosi in piccoli ospedali; introdurre un nuovo sistema di finanziamento che superi l’attuale modello basato sui casi trattati (DRG) per evitare incentivi ai ricoveri inutili; investire massicciamente nella digitalizzazione e collegare in rete le strutture.
I governi dei Länder (competenti per la sanità regionale) però hanno prerogative sulla pianificazione ospedaliera e temono che la riforma porti a chiusure di strutture e perdite di servizi locali. In particolare alcuni stati come la Baviera e il Nord Reno-Westfalia hanno criticato la proposta, sostenendo che rischia di penalizzare le aree rurali o di montagna. Lauterbach, che è medico di formazione, ribatte che l’intento non è tagliare i servizi essenziali, bensì razionalizzare: ad esempio, è meglio avere pochi reparti di alta qualità per chirurgia complessa piuttosto che molti piccoli ospedali che non raggiungono volumi sufficienti e mettono a rischio la sicurezza del paziente. Egli chiede dunque ai Länder un “atto di coraggio” e di visione: la riforma sarebbe finanziata adeguatamente dal governo federale (che ha stanziato miliardi per la transizione) e permetterebbe di salvare il sistema sanitario da un collasso economico, aumentando nel contempo le cure di qualità. L’articolo sottolinea che i costi del personale e dell’energia stanno mettendo in crisi molti ospedali pubblici, e la riforma includerebbe anche misure per stabilizzare il loro finanziamento. Alcuni Länder hanno aperto al dialogo: la Conferenza dei ministri della Sanità regionali sta discutendo intensamente e potrebbe chiedere aggiustamenti ma dare via libera. Lauterbach, avendo i giorni contati da ministro (con la formazione del nuovo governo cederà l’incarico), vuole consegnare questa riforma come eredità fondamentale del suo mandato. Il pezzo conclude che la palla è nelle mani dei governatori regionali: se l’accordo politico arriva, il Bundestag potrà approvare la riforma entro pochi mesi, e da lì partirebbe la fase attuativa pluriennale. In caso contrario, un’iniziativa così importante rischia di arenarsi, lasciando irrisolti problemi di sostenibilità e di distribuzione delle cure nel sistema sanitario tedesco.
Bahn verfehlt Pünktlichkeitsziel erneut deutlich – Le ferrovie mancano di nuovo nettamente l’obiettivo di puntualità.
La Deutsche Bahn (DB) continua a registrare performance insoddisfacenti sul fronte della puntualità dei treni. Secondo gli ultimi dati trimestrali, solo attorno al 65% dei treni a lunga percorrenza (ICE, IC) è arrivato entro i 6 minuti dall’orario previsto – ben al di sotto dell’obiettivo dichiarato dell’80%. L’articolo, citando questi numeri, evidenzia che si tratta di un peggioramento rispetto all’anno precedente e di uno dei peggiori risultati degli ultimi tempi. Anche i treni regionali e suburbani mostrano ritardi frequenti, pur leggermente più puntuali dei convogli a lunga distanza.
La DB motiva queste mancanze con diversi fattori: lavori infrastrutturali diffusi sulla rete (per ammodernamento e riparazione, dopo anni di sottoinvestimenti) che causano rallentamenti e colli di bottiglia; carenza di personale, soprattutto macchinisti e tecnici di manutenzione, che costringe a soppressioni improvvise; guasti a materiale rotabile e alla rete (come vecchi scambi e sistemi di segnalamento non ancora digitalizzati) che impattano la regolarità del servizio. I vertici delle ferrovie assicurano che si sta facendo il massimo per invertire la tendenza: la DB sta reclutando migliaia di nuovi dipendenti e il governo federale ha destinato fondi record per rinnovare la rete nei prossimi anni. Tuttavia, riconoscono che nel breve termine i cantieri aggiuntivi paradossalmente peggiorano la situazione, con la promessa però di un netto miglioramento a medio termine. L’articolo riporta la frustrazione degli utenti: associazioni di consumatori e pendolari lamentano da tempo ritardi cronici e vagoni sovraffollati. Sui social network la DB è bersaglio quotidiano di ironie e proteste per i disservizi. Sul piano politico, il nuovo governo dovrà affrontare la questione: Merz e i suoi alleati hanno criticato la gestione DB definendola inefficiente, e potrebbero considerare riforme della governance (ad esempio la separazione della gestione rete dall’operatore, o maggiori penali per la DB in caso di ritardi). Alcuni suggeriscono anche di limitare temporaneamente il traffico per concentrare lavori su tratte chiave, implementando un “orario ridotto” per un paio d’anni, ma è una scelta impopolare. In conclusione, l’articolo indica che la puntualità dei treni sta diventando un nodo di credibilità per la mobilità sostenibile in Germania: se la ferrovia vuole convincere più persone a lasciare l’auto, deve migliorare le sue prestazioni. Per ora, l’obiettivo dell’80% sembra distante e la DB ha molto lavoro da fare per riguadagnare la fiducia dei viaggiatori.
Mieterbund fordert Milliardenprogramm für sozialen Wohnungsbau – L’Unione Inquilini chiede un programma miliardario per l’edilizia sociale.
Di fronte all’aggravarsi della crisi abitativa in molte città tedesche, il Deutscher Mieterbund (l’associazione nazionale degli inquilini) lancia un appello al nuovo governo affinché adotti misure straordinarie. In particolare, il Mieterbund propone un piano di investimenti pubblici dell’ordine di parecchi miliardi di euro per costruire alloggi popolari e a prezzi calmierati. L’articolo riporta le parole del presidente dell’associazione, il quale sottolinea che l’offerta di case a canone accessibile è drammaticamente inferiore alla domanda: famiglie a basso e medio reddito faticano a trovare appartamenti in affitto nelle aree metropolitane, dove i costi sono lievitati di oltre il 30% nell’ultima decade. Attualmente, la Germania costruisce troppo pochi alloggi sociali – meno di 20.000 l’anno – mentre ne servirebbero almeno il triplo per colmare il fabbisogno.
Il Mieterbund chiede quindi di stanziare fondi federali aggiuntivi per sostenere i Länder e i comuni nella realizzazione di edilizia residenziale pubblica. Suggerisce inoltre di incentivare cooperative e fondazioni a costruire case non speculative, magari tramite agevolazioni fiscali e cessione di terreni statali a basso costo. Un altro punto sollevato è la tutela degli inquilini esistenti: l’associazione vorrebbe un rafforzamento dei limiti agli aumenti dei canoni nelle zone tensionate (Mietpreisbremse), e misure contro la perdita di alloggi sociali esistenti (ogni anno molte case escono dal regime calmierato perché scade il vincolo). La situazione è resa più acuta dall’inflazione: con il caro bollette e alimentari, sempre più persone rischiano di non poter pagare affitti elevati. Il Mieterbund teme un aumento degli sfratti per morosità e chiede quindi anche un rafforzamento dei contributi pubblici all’affitto (Wohngeld) per le fasce vulnerabili. L’articolo rileva che questi temi saranno al centro della politica interna: la SPD, in particolare, vuole recuperare consenso urbano proprio combattendo l’emergenza abitativa. Nel contratto di coalizione CDU-SPD si parla già di obiettivo 400.000 nuove case l’anno (come nel governo precedente, che però non l’ha raggiunto) e di iniziative per sbloccare piani regolatori e permessi edilizi. Finora, però, l’edilizia sociale è spesso rimasta indietro. L’appello del Mieterbund serve anche a mantenere la pressione sul governo nascente affinché non trascuri l’agenda sociale per concentrarsi solo su macroeconomia e sicurezza. In conclusione, l’articolo sottolinea che l’indice degli affitti e il numero di senza fissa dimora sono indicatori cruciali di coesione sociale: se il nuovo esecutivo non porrà rimedio alla carenza di case popolari, potrebbe trovarsi presto ad affrontare tensioni sociali nelle grandi città, con manifestazioni e proteste dei cosiddetti “ceto medio urbano impoverito”.
Unionspolitiker fordern Verbot gendergerechter Sprache in Behörden – Politici dell’Unione chiedono il divieto del linguaggio inclusivo nelle amministrazioni.
Esponenti conservatori della CDU/CSU hanno rilanciato la polemica sul cosiddetto “linguaggio gender neutral” (o inclusivo) proponendo di proibirne l’uso negli atti e comunicazioni ufficiali dello Stato. In particolare, alcuni deputati dell’Unione intendono presentare una mozione per vietare a ministeri, enti pubblici e scuole di utilizzare il cosiddetto Gendersternchen (asterisco di genere) o altre forme inclusive (come “Bürger*innen” al posto di “Bürger” per indicare cittadini di tutti i generi). Secondo questi politici, il linguaggio amministrativo deve restare chiaro e comprensibile a tutti, senza innovazioni che considerano ideologiche. Ritengono che l’uso di termini come “Student:innen” (studenti e studentesse) complichi inutilmente i testi e li renda meno leggibili, e sostengono che la maggioranza della popolazione non desidera queste forzature linguistiche.
L’articolo spiega il contesto: il dibattito sul gendergerechte Sprache è acceso in Germania da anni. I sostenitori affermano che è importante non usare sempre il maschile generico perché invisibilizza le donne e le persone non binarie, mentre gli oppositori lo vedono come eccesso di zelo del politicamente corretto. Alcuni Länder governati dall’Unione, come la Sassonia o lo Schleswig-Holstein, hanno già emanato direttive interne che sconsigliano l’uso di asterischi e simili nei documenti ufficiali. La proposta ora è di uniformare a livello federale: ad esempio, tornare a scrivere “Bürger” includendo implicitamente entrambi i generi, oppure usare forme doppie canoniche (“Bürger und Bürgerinnen”) se proprio necessario, ma senza segni speciali. Gli esponenti SPD e Verdi hanno reagito negativamente all’idea di un divieto per legge, definendolo un attacco simbolico che non risolve problemi reali. Alcuni giuristi notano che imporre per legge uno stile linguistico sarebbe quantomeno insolito e forse difficilmente attuabile. L’articolo cita anche un recente sondaggio secondo il quale una maggioranza dei tedeschi trova il linguaggio inclusivo “fastidioso” o “esagerato”, sebbene le nuove generazioni siano più aperte. Quindi i proponenti cavalcano un tema popolare tra parte dell’elettorato conservatore. Tuttavia, la questione rischia di creare tensioni nella neonata coalizione: la CDU potrebbe insistere su un provvedimento del genere per segnare identitariamente il suo governo, mentre l’SPD – più favorevole alla sensibilità di genere – sarebbe contraria a un bando totale. In conclusione, l’articolo suggerisce che il “Kulturkampf” sul linguaggio potrebbe continuare: al di là dell’esito di questa proposta, riflette la spaccatura culturale su questioni di inclusività e tradizione, spaccatura che i partiti talvolta amplificano per ragioni di consenso.
Studie: Anstieg bei politisch motivierter Kriminalität registriert – Studio: registrato un aumento dei reati di matrice politica.
Un nuovo rapporto dell’Ufficio federale di Polizia criminale (BKA) indica un preoccupante incremento dei reati riconducibili a motivazioni politiche nel 2024. L’articolo ne riassume i dati salienti: complessivamente, i cosiddetti reati politicamente motivati (PMK) sono cresciuti di circa il 10% rispetto all’anno precedente. In particolare, aumentano gli atti di estremismo di destra – come propaganda neonazista, aggressioni a persone di origine straniera o danneggiamenti a proprietà di politici e giornalisti – e crescono anche gli episodi legati all’estremismo di sinistra (ad esempio vandalismi contro uffici dell’AfD o scontri durante manifestazioni). Un balzo notevole si registra inoltre nei reati di odio online: insulti, minacce e incitamento all’odio via social network, spesso a sfondo razzista o antisemita, che ormai rappresentano una fetta ampia del PMK.
Gli analisti del BKA collegano queste tendenze a vari fattori. Da un lato, le tensioni sociali ed economiche (pandemia, inflazione, crisi energetica) hanno alimentato polarizzazione e teorie del complotto, terreno su cui l’estremismo di destra ha reclutato nuovi seguaci (si pensi al movimento dei “Reichsbürger” o ai no-vax radicalizzati). Dall’altro lato, anche i movimenti di sinistra radicale hanno intensificato l’attività, specie contro quello che percepiscono come avanzata della destra (ad esempio i successi dell’AfD nell’est del paese). Il report segnala pure un aumento dei reati a sfondo antisemitico, spesso legati tanto all’estrema destra quanto all’islamismo, e di quelli anti-islamici. Il ministro dell’Interno definisce questi dati “allarmanti” e richiama l’importanza di rafforzare la sicurezza interna. Si promettono misure sia repressive (maggior sorveglianza dei gruppi estremisti, potenziamento delle unità di cyber-polizia per tracciare l’odio online) sia preventive (programmi educativi nelle scuole contro l’estremismo, dialogo con le comunità). L’articolo sottolinea un dato: i reati violenti a sfondo politico sono relativamente pochi in termini assoluti, ma ciascuno ha un forte impatto emotivo sulla società, alimentando un clima di paura e sfiducia. In conclusione, lo studio funge da monito: la democrazia tedesca sta affrontando una fase in cui gli estremismi rialzano la testa e vanno contrastati con determinazione, evitando però di polarizzare ulteriormente. Il nuovo governo, con SPD e CDU insieme, potrà forse affrontare unito questa sfida, con un fronte comune repubblicano contro chi cerca di destabilizzare l’ordine democratico.
Scioperi paralizzano trasporti e servizi pubblici – “Warnstreiks legen Münchener Flughafen lahm”
A fine febbraio 2025 si sono intensificati gli scioperi nel settore pubblico tedesco, nel pieno delle difficili trattative salariali tra sindacati e datori di lavoro pubblici. Il 27 febbraio un Warnstreik (sciopero di avvertimento) di due giorni indetto dal sindacato ver.di ha quasi azzerato l’operatività dell’aeroporto di Monaco di Baviera, il secondo del paese. Le compagnie aeree sono state costrette a cancellare circa l’80% dei voli previsti per giovedì e venerdì, vale a dire oltre 1300 decolli e atterraggi. Già dalla sera del 26 febbraio decine di voli erano stati annullati in via preventiva. Lo sciopero ha coinvolto il personale di terra aeroportuale – addetti alla manutenzione, all’IT, ai servizi di sicurezza e al handling bagagli – paralizzando di fatto lo scalo. Ai passeggeri è stato consigliato di presentarsi con largo anticipo e viaggiare solo con bagaglio a mano, ma la maggior parte dei collegamenti è stata comunque soppressa o ritardata in modo significativo.
Le agitazioni non si sono limitate a Monaco: in contemporanea, ver.di ha fermato molti servizi pubblici in varie città. Ad Amburgo, ad esempio, la mattina del 27 le linee di traghetti urbani non hanno effettuato corse – “non naviga nessuna nave”, ha dichiarato un portavoce del sindacato – e il traffico marittimo sul fiume Elba è stato sospeso. Nella stessa Amburgo sono scesi in sciopero anche i lavoratori della nettezza urbana (la cui astensione proseguirà fino al lunedì successivo, accumulando rifiuti per strada), oltre a personale di porti, teatri civici, uffici comunali e agenzie federali in città. Scioperi e disagi simili si sono registrati a Essen (rifiuti), Erfurt (ospedali) e in altri centri. Nel complesso, queste azioni di protesta – che coinvolgono migliaia di lavoratori – mirano a sostenere la richiesta sindacale di un aumento salariale dell’8% (minimo 350 euro mensili in più) per far fronte all’inflazione e al caro vita. Le trattative con governo federale ed enti locali sono in stallo, e i sindacati minacciano escalation se non arriveranno offerte migliori. I cittadini intanto fanno i conti con trasporti pubblici ridotti, uffici comunali chiusi e lunghe attese: un “assaggio” di quello che potrebbe succedere su scala più ampia se la vertenza non troverà soluzione.
Proteste a Amburgo: traghetti fermi e voli cancellati – “Warnstreik in Hamburg – Keine Fähre fährt, Flüge fallen aus”
Il 27 febbraio la città di Amburgo si è svegliata pressoché bloccata a causa di uno sciopero generale del pubblico impiego. Gli effetti sono stati visibili sin dalle prime ore: “non naviga nessun traghetto” – ha annunciato ver.di – con riferimento alle linee di battelli che attraversano il porto e collegano i quartieri sulla Elba. Il servizio di traghetti urbani è rimasto sospeso per l’intera giornata, isolando di fatto alcune zone e costringendo pendolari e turisti a ripiegare su percorsi alternativi. Anche il traffico aereo ha risentito dello sciopero: all’aeroporto di Amburgo vari voli in partenza sono stati cancellati o hanno subito ritardi, sebbene l’impatto sia stato meno grave che a Monaco poiché lo scalo anseatico operava con servizi minimi garantiti. La maggior parte delle cancellazioni riguardava i voli da/per Monaco, dove lo sciopero parallelo aveva già chiuso lo scalo bavarese. I passeggeri ad Amburgo sono stati invitati a informarsi in anticipo sui propri voli e a viaggiare leggeri; l’aeroporto ha consigliato di presentarsi molto prima del solito per gestire eventuali code ai controlli.
Lo sciopero ha interessato numerosi altri settori pubblici in città. La società di nettezza urbana di Amburgo ha comunicato che la raccolta rifiuti sarebbe rimasta ferma fino a lunedì incluso, con possibili accumuli di immondizia nelle strade per diversi giorni. Ver.di ha inoltre chiamato all’astensione dal lavoro i dipendenti dell’Autorità Portuale di Amburgo, del servizio teatri, degli uffici circoscrizionali e di varie agenzie statali e comunali per l’intera giornata . Un corteo di lavoratori in sciopero si è svolto nel centro, con centinaia di persone che hanno sfilato dal vecchio tunnel dell’Elba portando striscioni sulle richieste salariali. La protesta fa parte dell’ondata di scioperi nazionali del pubblico impiego: la trattativa per il rinnovo contrattuale coinvolge circa 2,5 milioni di lavoratori a livello federale e locale. Ad Amburgo, come altrove, i cittadini hanno vissuto disagi ma anche mostrato una certa solidarietà verso i lavoratori in piazza, consapevoli che l’inflazione elevata sta erodendo il potere d’acquisto di molti. Le autorità cittadine hanno invitato le parti a trovare un accordo rapidamente, poiché un protrarsi di questi blocchi penalizzerebbe la vita economica e sociale della metropoli.
L’SPD dice no al tetto sui rifugiati – “Mützenich lehnt jährliche Obergrenze für Flüchtlinge ab”
Dopo le elezioni, il tema immigrazione è tornato immediatamente al centro del dibattito politico tedesco. Friedrich Merz, da tempo critico della gestione “troppo permissiva” dei flussi migratori, ha proposto di introdurre un’obergrenze – un tetto massimo – di 100.000 ingressi di richiedenti asilo all’anno. A suo dire, “il Paese è al collasso” per l’accoglienza e serve una misura drastica. La reazione dei Socialdemocratici è stata però netta: il capogruppo uscente Rolf Mützenich ha dichiarato che l’SPD rifiuta categoricamente l’idea di una quota annuale fissa. Secondo Mützenich e altri esponenti SPD, una rigida soglia numerica violerebbe i principi costituzionali e il diritto d’asilo individuale garantito dalla Legge fondamentale tedesca. Inoltre, essi sostengono che la proposta di Merz manca di indicare come attuarla concretamente: “chiede un tetto di 100.000 senza nominare un solo provvedimento efficace per raggiungerlo”, ha commentato polemicamente un parlamentare SPD.
La diatriba riflette la distanza programmatica tra CDU e SPD sul dossier migratorio. Mentre l’unione di centro-destra sposa da tempo l’idea di un freno quantitativo – sostenuta anche da alcuni governatori come Michael Kretschmer (Sassonia), favorevoli a una soglia e a respingimenti ai confini – i socialdemocratici e i Verdi rimangono contrari, puntando piuttosto su redistribuzione europea e accordi con i paesi d’origine. Nelle discussioni esplorative per la grande coalizione, questa divergenza è emersa come uno dei “nodi critici”. L’SPD ha ribadito che non entrerà in nessun governo che metta in discussione il diritto d’asilo individuale: “accogliere chi fugge da guerra e persecuzioni non è negoziabile”, ha detto Mützenich in un’intervista radiofonica. Dall’altro lato, la CDU insiste sulla percezione diffusa tra i cittadini di insicurezza e sovraccarico dei comuni: ad esempio, Merz ha menzionato fatti di cronaca come un recente accoltellamento ad Aschaffenburg commesso da un richiedente asilo, per giustificare la linea dura. In definitiva, la questione migratoria si preannuncia un terreno di confronto acceso nel nuovo parlamento. La richiesta di Merz di un cambio di rotta radicale (“Zurückweisung an der Grenze”, respingimenti di massa) ha sì il favore di una parte dell’elettorato (secondo sondaggi, la maggioranza è favorevole a politiche più rigide), ma incontra l’ostacolo dei vincoli giuridici e della contrarietà del probabile partner di governo SPD.
Cittadini sfiduciati verso la politica: un autoesame necessario – “Viele Deutsche haben kein Vertrauen mehr in die Politik – aber machen es sich oft zu einfach”
Un commento pubblicato sulla Süddeutsche Zeitung affronta un tema di fondo emerso col voto: la crescente sfiducia dei cittadini tedeschi verso la politica e le istituzioni. Secondo l’editorialista, “molti tedeschi non si aspettano più nulla dai governanti” e provano disillusione verso i partiti tradizionali (). Il calo di affluenza e il successo di partiti antisistema sarebbero sintomi di questa disaffezione. Tuttavia – avverte il commento – scaricare tutta la colpa sui politici è un approccio “troppo semplicistico” da parte dei cittadini delusi (). L’articolo invita i cittadini stessi a una presa di coscienza: in una democrazia matura anche gli elettori hanno doveri e responsabilità, non solo diritti di lamentela. La tesi è che la crisi di fiducia sia bidirezionale e vada affrontata con onestà: da un lato la classe politica deve fare ammenda per promesse mancate, comunicazione elitaria e scandali che ne hanno minato la credibilità; dall’altro, i cittadini dovrebbero impegnarsi di più attivamente, partecipando al dibattito pubblico e informandosi in modo critico, anziché rifugiarsi nell’astensionismo o nel voto di protesta facile.
L’editoriale cita esempi concreti: molti tedeschi manifestano rabbia per problemi reali – inflazione, carenza di medici, burocrazia lenta – ma al contempo spesso pretendono soluzioni immediate e semplici che nella realtà non esistono. Il ruolo dei social media e delle fake news viene menzionato come un fattore che ha “semplificato e incattivito” il discorso pubblico, alimentando narrazioni complottiste o capri espiatori semplicistici. Il pezzo sostiene che riconquistare la fiducia richiederà uno sforzo congiunto: la politica dovrà essere più trasparente e mantenere gli impegni (ad esempio sugli investimenti promessi nella sanità e nel clima), mentre la società civile dovrà tornare a un confronto più costruttivo, magari riscoprendo il valore del compromesso e della pazienza nel valutare i risultati. “La democrazia non è uno spettacolo per spettatori passivi”, ammonisce la SZ, “è un lavoro che coinvolge tutti noi”. In conclusione, il messaggio è che la crisi di fiducia può essere superata solo se cittadini e politici riconoscono le proprie responsabilità reciproche: semplificare e scaricare le colpe solo sull’altra parte è seducente, ma non porterà a soluzioni durature.
Un tedesco su cinque a rischio povertà – “Ein Fünftel der Menschen in Deutschland arm”
Un rapporto sulla povertà diffuso a fine febbraio lancia l’allarme: circa il 20% della popolazione in Germania vive in condizioni di povertà o forte deprivazione. Si tratta di oltre 16 milioni di persone, tra cui più di 4 milioni di minori, secondo il Schattenbericht 2025 pubblicato dalla rete nazionale contro la povertà. La cosiddetta Armutsquote – la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà relativa – rimane su livelli storicamente elevati, attorno al 17%, pressoché invariata rispetto all’anno precedente. Ma se si considerano anche coloro che pur sopra la soglia faticano ad arrivare a fine mese, si arriva appunto a un tedesco su cinque in situazioni critiche. Particolarmente colpiti sono gli anziani soli (quasi il 20% degli over 65 è armutsgefährdet, a rischio povertà) e le famiglie monoparentali, nonché i bambini in famiglie numerose a basso reddito. Geograficamente, permane un divario: i Laender dell’est e alcune aree urbane dell’ovest registrano le quote più alte di povertà.
Il rapporto evidenzia che la forte inflazione degli ultimi due anni ha peggiorato il potere d’acquisto dei ceti medio-bassi, annullando in parte gli aumenti di salari e pensioni. Nonostante l’introduzione del Bürgergeld (il nuovo reddito di cittadinanza) e l’aumento del salario minimo a 12 euro/ora, molte persone continuano a lottare con spese di affitto, bollette energetiche e costi alimentari in crescita. Le associazioni caritative segnalano un aumento dell’affluenza alle Tafeln (mense e distribuzioni alimentari per bisognosi). Di fronte a questi dati, i commenti sui media chiedono un rafforzamento delle misure di contrasto: dalla richiesta di un incremento ulteriore del salario minimo, a maggiori aiuti per i bambini poveri (implementando pienamente la Kindergrundsicherung, assegno unico per minori), fino a investimenti in formazione e alloggi popolari. Il governo entrante sarà giudicato anche su questo fronte: i partiti della vecchia coalizione “semaforo” avevano promesso progressi che però sono stati percepiti come insufficienti. In un paese tradizionalmente orgoglioso del proprio stato sociale, l’idea che un quinto dei cittadini sia povero è vista come un campanello d’allarme grave: “la povertà rimane ostinatamente alta”, avverte il rapporto 2024 del Paritätische Wohlfahrtsverband, e senza interventi decisi rischia di cronicizzarsi, minando la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.
Riforma dell’assicurazione di cura: “cambiare per non fallire” – “Pflegeversicherung vor Finanzdesaster – Systemreform gefordert”
La sostenibilità del sistema di assicurazione per la non autosufficienza (Pflegeversicherung) è al centro di un acceso dibattito. Esperti di welfare e associazioni, come riportato su vari media (Spiegel, Zeit, Frankfurter Rundschau), avvertono che senza una riforma strutturale la Pflegeversicherung affronterà un “disastro contributivo” nei prossimi anni. I costi dell’assistenza agli anziani e ai disabili stanno infatti salendo rapidamente a causa dell’invecchiamento demografico, mentre il numero di contribuenti diminuisce. Già oggi un terzo dei bisognosi di cure deve ricorrere al sostegno sociale perché le prestazioni standard non coprono le spese delle case di riposo. Un gruppo di studio indipendente ha presentato un rapporto definito una “rivoluzione del sistema”: la proposta chiave è introdurre una Pflege-Bürgerversicherung, un’assicurazione universale di cura che includa tutti i cittadini – dipendenti, autonomi e anche funzionari sinora esentati – per allargare la base contributiva. Questa “assicurazione per la cura universale”, secondo uno studio dell’Università di Brema, sarebbe realizzabile con costi aggiuntivi contenuti per i cittadini e garantirebbe nel lungo termine la sostenibilità finanziaria del sistema.
Il ministro competente del governo uscente aveva già incrementato leggermente i contributi previdenziali per la cura, ma ciò non basta. I costi per beneficiario continuano a crescere e il numero di persone bisognose di assistenza (attualmente circa 5 milioni) aumenterà ancora. Le proposte emerse nel dibattito includono anche l’aumento della quota a carico dello Stato mediante la fiscalità generale, oppure un modello a capitalizzazione per le giovani generazioni. Tuttavia, l’idea della Bürgerversicherung sembra raccogliere ampio consenso tra esperti e sindacati, in quanto equa e relativamente semplice da implementare. La potente associazione dei privati (PKV) è contraria, temendo la fine delle assicurazioni private integrative. Il nuovo governo dovrà comunque affrontare presto il nodo: uno dei primi provvedimenti potrebbe essere un contributo aggiuntivo straordinario o la copertura fiscale di alcune prestazioni (ad esempio per i casi di demenza), per tamponare l’emergenza. Ma tutti concordano che serva una visione di lungo periodo. “Non possiamo permettere che la Germania diventi il paese dei posti di cura introvabili e insostenibili”, ha dichiarato un portavoce dell’associazione dei datori di lavoro del settore. Tradotto in misure, questo significa investire in più posti letto, più personale (anche semplificando l’immigrazione di infermieri) e in un meccanismo finanziario più solido e solidale. La Zeitenwende invocata per la difesa sembra necessaria anche nel welfare: cambiare ora per evitare il collasso domani.
Bürgergeld sotto attacco: “non è troppo alto, anzi” – “Ist das Bürgergeld zu hoch? – Warum das ein Trugschluss ist”
L’introduzione del Bürgergeld – il nuovo sussidio di disoccupazione che ha sostituito il vecchio Hartz IV – continua a suscitare dibattito. Alcuni politici conservatori e commentatori di destra hanno sostenuto che l’aumento degli importi del Bürgergeld (circa 502 euro mensili per un single, +50€ rispetto al passato) renderebbe “poco conveniente lavorare” e sarebbe troppo generoso. Tuttavia, un’analisi apparsa sulla Frankfurter Rundschau confuta questa tesi, definendola “un errore di valutazione”. Il pezzo spiega che la polemica sul Bürgergeld “troppo alto” non tiene conto di vari fattori: innanzitutto, i beneficiari del Bürgergeld non ricevono solo la somma in denaro ma devono rispettare determinate condizioni (piani di formazione, colloqui, disponibilità al lavoro). In secondo luogo, chi lavora percepisce comunque, a parità di situazione familiare, un reddito netto significativamente superiore grazie a integrazioni come il Wohngeld (assegno affitto) e altre agevolazioni se a basso reddito. L’idea che convenga non lavorare è dunque definita un Trugschluss, un abbaglio, alimentato da semplicismi e aneddoti.
L’articolo porta inoltre evidenze statistiche: il rischio povertà tra i disoccupati rimane altissimo e il Bürgergeld copre appena il minimo vitale, non certo un tenore di vita confortevole. Anche dopo l’aumento, i 502 euro mensili sono ben al di sotto della soglia di povertà relativa calcolata in Germania (circa 1250 euro mensili per una famiglia monoparentale con un figlio). La maggior parte dei disoccupati spende l’80-90% del sussidio in beni essenziali e bollette. Si cita poi uno studio secondo cui l’aumento del Bürgergeld non ha causato alcuna “fuga dal lavoro”: i tassi di occupazione sono condizionati piuttosto dalla situazione economica generale. Semmai, l’assegno un po’ più alto ha alleviato le difficoltà di tante famiglie povere in un periodo di inflazione pesante. L’analisi FR conclude auspicando di archiviare le “sterili diatribe ideologiche” sul Bürgergeld e concentrarsi invece su misure per favorire veramente l’occupazione: investimenti in formazione professionale, salari dignitosi e programmi per aiutare i disoccupati di lunga durata ad accedere al mercato del lavoro. “Il vero paradosso”, chiosa l’articolo, “è dover constatare che in un paese ricco molti lavori pagano così poco da costringere chi li svolge a chiedere integrazioni pubbliche”. Il Bürgergeld non è troppo alto; semmai, sono alcuni stipendi ad essere troppo bassi.
Violenza sulle donne: una priorità dimenticata – “Schutz von Frauen: Nicht im Wahlkampf?”
Un osservatore ha fatto notare criticamente come durante la recente campagna elettorale tedesca il tema della violenza di genere e della protezione delle donne sia stato praticamente assente dal dibattito pubblico. In un servizio televisivo (WDR Monitor) ripreso da testate nazionali, ci si chiede polemicamente: “la protezione delle donne non è forse un tema da campagna elettorale?”. Si evidenzia che, nonostante in Germania si registrino ancora numeri preoccupanti di femminicidi e aggressioni domestiche – una donna muore mediamente ogni tre giorni per mano del partner o ex partner – nessuno dei principali partiti ha posto la questione al centro delle proprie proposte. La tanto attesa riforma del Gewaltschutzgesetz (legge per la protezione contro la violenza domestica) è rimasta lettera morta nella scorsa legislatura, e nel confronto elettorale è stata oscurata da altri temi.
Le associazioni femminili e i centri antiviolenza hanno espresso delusione: sottolineano che i rifugi per donne maltrattate sono cronicamente sottofinanziati e spesso saturi. Migliaia di richieste di aiuto non trovano posto nelle case rifugio per mancanza di letti. Eppure, osserva il servizio, di questo si è parlato poco o nulla. Anche il confronto sul cosiddetto “femminicidio” – termine non giuridico ma ormai diffuso – stenta a emergere, quasi fosse un argomento scomodo. Nel nuovo Parlamento ci si aspetta un cambio di passo: diversi deputati, soprattutto dei Verdi e della Linke, chiedono di inserire la lotta alla violenza di genere tra le priorità del governo nascente. Ciò includerebbe finanziare meglio i programmi di prevenzione ed educazione al rispetto nelle scuole, rafforzare gli sportelli di denuncia e ampliare significativamente i posti nei centri antiviolenza. Anche la magistratura viene chiamata in causa: i reati di violenza domestica spesso languono nei tribunali, e servirebbero sezioni specializzate e formazione specifica per giudici e polizia.
L’articolo di Monitor sottolinea come questo tema tocchi direttamente la vita di milioni di cittadine, eppure non offra guadagni elettorali immediati, motivo per cui viene trascurato. “Non dovrebbe servire un titolo di cronaca nera per parlarne”, ammonisce il servizio, riferendosi a casi efferati finiti sui giornali. In conclusione, la speranza è che il nuovo esecutivo, magari sollecitato da una società civile attiva, recuperi il terreno perduto. Inserire la protezione delle donne nell’agenda politica significherebbe dare voce a tante vittime silenziose e affermare che il diritto alla sicurezza appartiene a tutti, dentro e fuori le mura domestiche.
Base SPD in fermento: decisione ai membri sulla Große Koalition – “SPD lässt Mitglieder über Koalition abstimmen”
All’indomani della sconfitta elettorale, la SPD ha deciso di coinvolgere profondamente la propria base nelle scelte cruciali. In particolare, la leadership socialdemocratica ha annunciato che qualora i negoziati con la CDU/CSU portino a un accordo di coalizione, questo sarà sottoposto al voto degli iscritti al partito prima di essere accettato definitivamente. Si tratterebbe di una consultazione interna su scala nazionale, analogamente a quanto avvenne nel 2013 e nel 2018 quando la SPD interpellò la base sulla partecipazione al governo Merkel. Lars Klingbeil, segretario SPD, ha spiegato che è “una decisione troppo importante perché sia presa solo dai vertici” e che la direzione vuole avere la legittimazione dal basso per un passo così delicato. La mossa è anche un tentativo di contenere il malcontento interno: la sinistra del partito e i Giovani SPD (Jusos) premono per stare all’opposizione e guardano con sospetto a un nuovo governo con i conservatori.
Nei prossimi giorni, dunque, la SPD avvierà un dibattito interno molto intenso. I circoli locali organizzeranno assemblee per discutere i pro e contro della Große Koalition proposta. Personaggi di peso come l’ex leader Saskia Esken e il capo dei Jusos Jessica Rosenthal probabilmente faranno campagna per il “no”, sostenendo che il partito ha bisogno di rinnovarsi fuori dal governo. Altri, come l’ex ministro-presidente Manuela Schwesig o lo stesso Klingbeil, illustreranno ai membri le “responsabilità verso il Paese” e i risultati negoziali ottenuti (ad esempio eventuali misure sociali nel contratto di coalizione) per convincerli a dire sì. Nel 2018, ricordano i giornali, circa due terzi degli iscritti SPD votarono a favore della coalizione con la Merkel, ma allora la situazione interna era meno tesa di oggi. Ora con la SPD “a pezzi” dopo un risultato sotto il 20%, l’esito è meno prevedibile. In ogni caso, questa consultazione di base è un esercizio di democrazia interna non comune nei grandi partiti europei. Se la maggioranza dei circa 400.000 iscritti SPD bocciasse l’accordo, la Germania si troverebbe in una situazione di impasse politica. La CDU osserva la vicenda con attenzione: Merz ha dichiarato di “rispettare il processo interno SPD” ma ha anche fatto capire che i tempi non dovranno dilungarsi troppo. I prossimi due mesi saranno dunque decisivi: la parola, raramente come ora, passa agli iscritti di un partito, il cui voto potrebbe determinare il futuro governo o portare addirittura a nuove elezioni anticipate. La Basis SPD si prepara a scegliere, consapevole del peso storico della propria decisione.
Affitti alle stelle: l’emergenza abitativa continua – “Mieten steigen erneut deutlich – Kaufpreise stabil”
Un recente studio dell’Istituto tedesco di economia (IW) sul mercato immobiliare ha confermato ciò che molti inquilini percepiscono da tempo: gli affitti in Germania stanno continuando a salire in modo marcato. Nell’ultimo trimestre del 2024, i canoni di affitto per i nuovi contratti sono aumentati in media del +4,7% rispetto all’anno precedente. Città come Berlino, già in passato teatro di impennate, hanno visto gli incrementi più alti a livello nazionale. Anche in centri come Lipsia e Düsseldorf si registrano aumenti sopra la media, segno che il rincaro non riguarda solo le metropoli tradizionalmente care ma si estende a molte zone urbane. Parallelamente, i prezzi di acquisto delle case sembrano essersi stabilizzati dopo un periodo di flessione: l’IW-Wohnindex indica che i valori di compravendita sono quasi fermi (+0,9% sul trimestre precedente). Ciò è attribuito all’aumento dei tassi d’interesse sui mutui, che ha raffreddato la domanda di acquisto, mentre la domanda di affitto rimane altissima.
Le cause della Mietsteigerung sono note: la carenza cronica di alloggi nelle grandi città, l’aumento dei costi di costruzione e ristrutturazione, e l’afflusso costante di nuovi residenti nelle aree urbane (compresi rifugiati e immigrati interni). Le politiche pubbliche, come il tetto agli affitti (Mietendeckel) tentato a Berlino e poi bocciato, o i freni alle aumenti annuali, hanno avuto effetti limitati o temporanei. Gli esperti avvertono che il 2025 potrebbe aggravare la situazione: il numero di nuovi appartamenti costruiti scenderà probabilmente sotto le 230.000 unità, ben lontano dall’obiettivo governativo di 400.000 annue. Il calo dell’attività edilizia – dovuto a costi elevati dei materiali e carenza di manodopera – fa temere un “hammer” (stangata) per gli inquilini: Focus titola che “il 2025 minaccia di portare aumenti record degli affitti – ecco chi sarà colpito”.
Sul piano politico, il nuovo governo dovrà affrontare il tema con urgenza. La SPD e i Verdi spingono per potenziare gli strumenti di calmierazione: estendere i Mietspiegel (indici comunali di affitto medio) per limitare gli aumenti nei rinnovi, incentivare con sgravi fiscali la costruzione di case popolari e bloccare temporaneamente gli sfratti in caso di emergenza sociale. La CDU/CSU è più orientata a stimoli al mercato: snellire le norme edilizie, liberare terreni federali per nuove costruzioni e premiare i privati che affittano a canoni calmierati. Intanto però, milioni di famiglie soprattutto nelle grandi città dedicano ormai una quota elevatissima del reddito all’affitto, spesso oltre il 40%. A soffrire di più sono i giovani e le famiglie monoparentali, costretti a cercare casa in periferie lontane. L’emergenza casa – definita da molti “la principale questione sociale” attuale – continua senza soluzione: gli affitti corrono, i salari inseguono a fatica. Senza una svolta nelle politiche abitative, concludono gli esperti, la Mietkrise rischia di erodere ulteriormente il ceto medio e alimentare tensioni sociali nelle città tedesche.
Questioni economiche e tecnologiche
La reazione dei mercati al voto: sollievo moderato – “Wie die Wirtschaft auf das Wahlergebnis reagiert”
All’indomani delle elezioni federali, gli ambienti economici tedeschi hanno accolto con un certo sollievo il risultato, pur mantenendo qualche cautela. In apertura di contrattazioni lunedì mattina, la Borsa di Francoforte ha reagito positivamente: l’indice DAX è salito di circa lo 0,8%, sfiorando quota 22.500 punti. Gli investitori si sono detti rassicurati dal fatto che dal voto sia emersa la possibilità di una coalizione a due (Unione e SPD), evitando scenari più frammentati o instabili. In particolare, i titoli delle aziende della difesa hanno registrato i maggiori guadagni: società come Rheinmetall (produzione di armamenti) hanno visto balzi consistenti, trainate dall’aspettativa di un aumento delle spese militari sotto un governo guidato da Merz. Storicamente, inoltre, l’indice azionario tedesco tende a performare bene durante le Große Koalition (CDU+SPD): un’analisi mostra che dal 1960 il DAX è andato meglio della media globale proprio nei periodi di larghe intese, segno che i mercati apprezzano la stabilità e prevedibilità di tali governi.
Le associazioni imprenditoriali hanno espresso soddisfazione per la sconfitta dell’ala sinistra – SPD indebolita, Linke marginale – e sperano in un “cambio di rotta favorevole alle imprese”. La BDI (Federazione dell’Industria Tedesca) ha auspicato misure rapide per rilanciare la crescita: taglio della burocrazia, accelerazione dei progetti infrastrutturali, riduzione dei costi energetici e incentivi all’innovazione. Anche se Merz dovrà probabilmente governare con l’SPD, il mondo economico confida che l’influenza dei socialdemocratici (tradizionalmente più orientati alla redistribuzione e alla regolazione) sarà mitigata dal ruolo centrale della CDU. Alcuni settori specifici hanno reazioni miste: l’industria automobilistica vede di buon occhio un possibile allentamento delle politiche ambientali più stringenti, mentre il comparto delle energie rinnovabili teme uno stop alle iniziative verdi lanciate dalla precedente coalizione semaforo. I sindacati, dal canto loro, hanno inviato un messaggio chiaro al nuovo governo: chiedono investimenti per far ripartire l’economia reale e accordi salariali equi per contrastare l’inflazione, evitando un approccio esclusivamente business-friendly.
In sintesi, l’economia ha “tirato un sospiro di sollievo” per l’esito elettorale – niente impasse politica, niente ingresso dell’estrema destra al governo – ma resta “con i piedi per terra” in attesa di vedere le concrete scelte della nuova coalizione. La crescita in Germania è stata negativa per due anni consecutivi e la disoccupazione è tornata a salire: “Serve un cambio di rotta economico il prima possibile”, dicono gli imprenditori. Il governo Merz-SPD sarà giudicato dalla capacità di rispondere a questa richiesta di rilancio, muovendosi in un delicato equilibrio tra le aspettative del mondo produttivo e quelle del partner di coalizione socialdemocratico.
Stipendi netti 2025: sorpresa amara per i lavoratori – “Warum das Nettogehalt 2025 schmaler ausfällt”
Nuove proiezioni finanziarie mostrano che nel 2025 la maggior parte dei lavoratori dipendenti in Germania porterà a casa uno stipendio netto inferiore rispetto all’anno precedente, nonostante eventuali aumenti lordi. Secondo i calcoli diffusi dalla Süddeutsche Zeitung, quasi tutti i contribuenti vedranno il proprio Netto vom Brutto ridursi per una combinazione di fattori (). In primo luogo, l’aliquota contributiva per l’assicurazione di disoccupazione tornerà ai livelli pre-pandemia, aumentando leggermente le trattenute. Inoltre, l’inflazione del 2024 – che è stata elevata – ha spinto molti lavoratori in scaglioni fiscali superiori (fenomeno del “cold progression”), erodendo parte dei benefici degli adeguamenti salariali avuti. Ad esempio, un impiegato medio che nel 2024 guadagnava 3.500 € lordi mensili e ha ottenuto un incremento contrattuale del 4% si ritroverà nel 2025 con quasi lo stesso netto di prima, se non addirittura qualche euro in meno, a causa del prelievo fiscale più alto e dei contributi aumentati.
La SZ sottolinea che questa situazione rischia di deludere i lavoratori in un momento di forte pressione sul costo della vita. Molti dipendenti contavano su consistenti aumenti nominali per recuperare potere d’acquisto dopo l’inflazione record del 2022-2023, ma scopriranno che al netto in tasca resta poco. Per alcune categorie – come i single senza figli con reddito medio-alto – la differenza di netto potrebbe essere di diverse centinaia di euro annue in meno. Va meglio solo ai redditi molto bassi, che beneficiano dell’aumento delle soglie di esenzione e del Bürgergeld, e alle famiglie numerose grazie a piccoli incrementi delle detrazioni per i figli. Questa dinamica riaccende il dibattito sulla riforma fiscale: sindacati e associazioni di consumatori chiedono di intervenire per compensare la “progressione a freddo”, magari indicizzando gli scaglioni IRPEF all’inflazione. Anche la soglia di reddito per il contributo di solidarietà (Soli) potrebbe essere rivista per alleggerire il ceto medio.
Per ora, però, il risultato è un “bitterer Beigeschmack” (retrogusto amaro): dopo aver negoziato duramente aumenti salariali per far fronte ai prezzi crescenti, i lavoratori scoprono che il fisco e i contributi ne assorbono una parte significativa. L’articolo conclude invitando il nuovo ministro delle Finanze a considerare misure correttive – come riduzioni mirate delle imposte sul reddito – per evitare che la perdita di reddito disponibile freni ulteriormente i consumi e la crescita economica nel 2025. In altre parole: garantire che “aumenti lordi più alti si traducano davvero in buste paga più pesanti” è non solo questione di equità, ma anche di buon senso economico.
Fallisce di nuovo il sogno del taxi volante tedesco – “Flugtaxi-Entwickler Lilium ist wieder insolvent”
La startup aeronautica Lilium, nota per il suo ambizioso progetto di aerotaxi elettrico, ha dovuto nuovamente dichiarare insolvenza. Come riportato dalla FAZ, l’azienda con sede in Baviera – considerata un tempo un pioniere nel settore dei “taxi volanti” elettrici – ha presentato in tribunale la seconda richiesta di procedura fallimentare nel giro di pochi mesi. I 750 dipendenti di Lilium attendevano invano una cospicua iniezione di capitale promessa da un investitore privato, il magnate slovacco Marian Bocek, il quale avrebbe dovuto versare oltre 150 milioni di euro entro metà febbraio. Bocek aveva addirittura rassicurato pubblicamente una settimana prima che i fondi sarebbero arrivati a breve. Tuttavia, il denaro non è mai giunto e l’amministratore delegato di Lilium, Severin Tatarczyk, non ha avuto altra scelta che avviare la procedura concorsuale il 21 febbraio.
Si tratta di un colpo durissimo per una delle startup più celebrate dell’ondata tech tedesca degli ultimi anni. Fondata nel 2015, Lilium aveva raccolto complessivamente circa 1,5 miliardi di euro di investimenti da fondi e investitori famosi (tra cui l’imprenditore Frank Thelen). Il suo velivolo Lilium Jet – una sorta di eVTOL (decollo e atterraggio verticale elettrico) – aveva suscitato enorme interesse come possibile rivoluzione del trasporto urbano, promettendo di portare passeggeri in volo sulle città. Ma lo sviluppo si è rivelato più complesso del previsto: costi lievitati, ritardi tecnici e normative stringenti hanno frenato il progetto. Già a fine ottobre 2024 Lilium era ricorsa a una prima insolvenza, poi revocata grazie all’annuncio di un rescue deal da 200 milioni (di cui Bocek era principale finanziatore). Ora però, con il ritiro di Bocek all’ultimo momento, quell’accordo è saltato.
Gli osservatori parlano di “cronaca di un fallimento annunciato”: Lilium bruciava cassa a ritmo elevato senza avere un prodotto pronto sul mercato. L’ennesimo rinvio dei test di volo e la forte concorrenza internazionale (colossi come Airbus e startup americane) hanno scoraggiato nuovi investitori. La vicenda Lilium solleva interrogativi più ampi sull’industria emergente dei taxi volanti: il sogno futuristico è tecnologicamente affascinante, ma economicamente rischioso. Molte startup simili faticano a raccogliere fondi ora che l’euforia iniziale è passata. Nel caso di Lilium, la speranza è che durante la procedura fallimentare si faccia avanti un acquirente o un partner disposto a rilevarne asset e know-how, per non disperdere completamente gli sforzi. Tuttavia, il morale è a terra: “le grandi speranze riposte nel Lilium Jet si sono infrante”, scrive amaramente la FAZ. Per i dipendenti e i creditori si prospetta un periodo incerto. E per la Germania, Lilium rappresenta un monito sull’ecosistema startup: anche idee innovative e molti capitali non garantiscono il successo se mancano basi finanziarie solide fino all’arrivo sul mercato.
Concorrenza cinese minaccia le aziende della transizione energetica – “Chinas Konkurrenz verdrängt deutsche Energiewende-Firmen”
Un’inchiesta del Handelsblatt mette in guardia sul destino delle imprese tedesche dell’energia verde di fronte all’agguerrita concorrenza della Cina. Nel settore cruciale delle tecnologie per la Energiewende (transizione energetica) – come pannelli solari, turbine eoliche, batterie e pompe di calore – le aziende cinesi stanno conquistando fette di mercato sempre più grandi, spesso soppiantando i produttori tedeschi ed europei. Il caso emblematico citato è quello del fotovoltaico: un decennio fa la Germania era leader mondiale nella produzione di pannelli solari, con aziende come SolarWorld. Oggi oltre il 70% dei moduli solari installati in Germania proviene dalla Cina, e numerose imprese locali sono fallite o ridotte ai minimi termini.
Insider del settore evidenziano che la competitività cinese si basa su economie di scala enormi, filiere integrate e spesso su sussidi statali massicci. “Le aziende cinesi della green economy stanno per spazzare via le prossime imprese tedesche della transizione”, afferma preoccupato un addetto ai lavori. Nel campo delle pompe di calore (essenziali per il riscaldamento ecologico degli edifici), marchi cinesi come Midea e Haier stanno entrando in forze nel mercato europeo con prodotti più economici, mettendo in difficoltà produttori storici tedeschi e scandinavi. Similmente, nella filiera delle auto elettriche – dalle batterie alle colonnine di ricarica – la supremazia tecnologica e produttiva cinese è palpabile.
La situazione non dipende solo da fattori esterni: gli insider citati dal Handelsblatt ammettono che alcune aziende tedesche hanno commesso errori o non hanno innovato abbastanza rapidamente. Si parla, ad esempio, di produttori eolici rimasti indietro nell’efficienza delle turbine rispetto ai rivali. Ma ciò non toglie che l’ondata cinese rischi di travolgere interi comparti: dopo il fotovoltaico, ci si chiede se batterie, eolico e pompe di calore faranno la stessa fine. Il governo tedesco sta cercando di correre ai ripari: il ministero dell’economia valuta incentivi per impianti di produzione di pannelli e batterie in Germania, e l’UE discute dazi anti-dumping sulle importazioni e misure per il reshoring industriale. Tuttavia, colmare il divario creatosi è complicato. I produttori cinesi sono già avanti nella prossima generazione di tecnologie verdi (ad esempio, nel solare perovskite o nelle batterie al litio-ferro).
Gli analisti avvertono che perdere la partita industriale della transizione energetica non è solo un problema economico, ma anche strategico: l’Europa rischia di dipendere dalla Cina per le forniture chiave della propria svolta green, esattamente come in passato dipendeva dal petrolio mediorientale o dal gas russo. Il Handelsblatt invita ad agire ora: “servono strategie urgenti” per ridare competitività alle imprese tedesche, investendo in innovazione, alleanze europee e forse accettando che alcune catene del valore vadano protette. In assenza di ciò, concludono gli esperti, la Energiewende in Germania potrebbe realizzarsi sì, ma con tecnologie Made in China – un paradosso amaro per il paese che ambiva a guidare la rivoluzione energetica globale.