Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
Sintesi. I temi più importanti della settimana
Il dibattito politico in Germania è stato dominato dall’affermazione dell’AfD nelle elezioni federali e dalle reazioni della classe politica tradizionale, divisa tra allarme e ricerca di un approccio più pragmatico. La crescita dell’AfD è attribuita alla crisi di fiducia nei partiti tradizionali e alla percezione di abbandono in aree segnate dal declino economico, come Kaiserslautern. Parallelamente, si discute della fragilità della Große Koalition CDU-SPD, priva di un vero mandato popolare, mentre il futuro dell’FDP, escluso dal Bundestag, è incerto. Sul piano internazionale, il vertice UE ha confermato il crescente distacco tra Europa e Stati Uniti: Trump ha sospeso gli aiuti militari all’Ucraina, spingendo gli europei a valutare una maggiore autonomia strategica, incluso un possibile ruolo dell’ombrello nucleare francese. La Germania è chiamata a decidere se rafforzare la propria deterrenza o restare vincolata alla dottrina NATO, con un dibattito sulla necessità di aumentare le spese per la difesa senza compromettere il welfare.
Sul fronte economico, il governo si confronta con un deficit di bilancio tra 130 e 150 miliardi di euro, che impone scelte difficili su debito e investimenti. La BCE ha tagliato i tassi d’interesse di un quarto di punto per stimolare la crescita, ma persistono timori legati all’inflazione e alle tensioni geopolitiche. Sul versante industriale, le vendite di auto elettriche sono in crisi, con richieste di revisione delle normative UE, mentre la transizione energetica avanza con nuovi impianti di stoccaggio. Nel settore tecnologico, OpenAI ha lanciato in Europa il sistema di IA per video Sora, mentre Siemens Energy collabora con Rolls-Royce per lo sviluppo di mini-reattori nucleari, segnando un ritorno indiretto della Germania nel settore nucleare.
Analisi e commenti
Nach AfD-Rekordergebnis: Eine neue „Letzte Generation“?
Dopo il risultato record dell'AfD: Una nuova “Ultima Generazione”?
Questo commento di Daniel Deckers (FAZ) riflette sul clima politico in Germania all’indomani delle elezioni federali, che hanno visto l’estrema destra AfD ottenere un risultato storico. Deckers nota che molti esponenti dei partiti tradizionali si comportano come se fossero l’“ultima generazione” di difensori della democrazia, “incollati” mentalmente a una posizione anti-destra. Il tono dei dibattiti politici si è fatto drammatico, a tratti apocalittico, quasi che il prossimo governo fosse l’ultimo baluardo contro una deriva autoritaria. Questa “rigidità mentale” nel fronteggiare l’AfD – suggerisce l’autore – limita la capacità di movimento intellettuale dei politici moderati. In sostanza, Deckers invita a evitare isterie e a recuperare lucidità: pur riconoscendo la pericolosità dell’estrema destra, occorre affrontarla con sangue freddo e pragmatismo, senza cadere nella narrativa dell’“ultima occasione” per salvare il Paese. Tale approccio più equilibrato permetterebbe di abbassare i toni apocalittici e di governare con maggiore efficacia anche su altri fronti.
Was machen Netzwerk Recherche, Correctiv und Co?
Cosa fanno Netzwerk Recherche, Correctiv e simili?
In questo commento sul Feuilleton della FAZ, Michael Hanfeld esamina una Kleine Anfrage (interrogazione parlamentare) presentata dal gruppo CDU/CSU riguardo al finanziamento pubblico di varie ONG attive nel campo dei media e del fact-checking. L’interrogazione – tutt’altro che “piccola”, come osserva ironicamente l’autore – contiene ben 551 domande rivolte al governo, chiedendo chiarimenti sul sostegno statale a organizzazioni come Netzwerk Recherche, Correctiv o Neue Deutsche Medienmacherinnen*, che si definiscono “non governative” ma ricevono fondi pubblici. Hanfeld spiega che queste associazioni beneficiano dello status di enti di pubblica utilità, godendo di vantaggi fiscali e, in alcuni casi, di sovvenzioni da parte di Stato e Länder. La CDU/CSU insinua dunque il dubbio di un possibile “Deep State” – un intreccio opaco tra governo e tali ONG, come suggerito dalla foto a corredo in cui si vede un gruppo di “Nonne contro la Destra” in protesta. Il commentatore adotta un tono critico e si chiede esplicitamente: che cosa fanno concretamente queste organizzazioni giornalistiche e quanti soldi pubblici ricevono per farlo? La sottesa questione è se sia legittimo finanziare con fondi statali soggetti che dovrebbero essere indipendenti. Hanfeld lascia intendere che un chiarimento è necessario: la trasparenza sul ruolo e sui finanziamenti di queste ONG è indispensabile per fugare i sospetti o correggere eventuali storture.
AfD-Erfolg in Kaiserslautern: Schaut auf diese Stadt!
Successo dell’AfD a Kaiserslautern: guardate questa città!
Questo è un gastbeitrag (contributo esterno) sulla FAZ a firma di Christian Baron, originario di Kaiserslautern. L’autore analizza perché, nel collegio elettorale di questa città della Renania-Palatinato, l’AfD abbia raggiunto la sua percentuale più alta nell’Ovest della Germania. Baron invita a “guardare a questa città” come caso emblematico per capire l’affermazione dell’ultradestra. Nel pezzo egli racconta il contesto sociale ed economico di Kaiserslautern: un territorio segnato da declino industriale e disillusione, terreno fertile per le promesse radicali dell’AfD. L’autore spiega che qui molti cittadini si sentono abbandonati dai partiti tradizionali e dalla politica centrale, accumulando rabbia e paura per il futuro. In questo vuoto si inserisce l’AfD, che ha saputo canalizzare il malcontento presentandosi come l’ultima difesa dei “tedeschi dimenticati”. Baron sottolinea inoltre come la retorica estremista trovi terreno fertile in una regione con scarse prospettive per i giovani e un senso diffuso di ingiustizia sociale. Il suo monito – “schaut auf diese Stadt” – significa che Kaiserslautern è un campanello d’allarme nazionale: per arginare l’AfD non basta demonizzarla, ma bisogna rispondere ai problemi reali delle comunità in difficoltà, altrimenti il successo visto qui rischia di ripetersi altrove. (Baron conclude che comprendere e affrontare queste cause profonde è fondamentale se i partiti democratici vogliono riconquistare la fiducia degli elettori delusi.)
Verrat auf offener Bühne
“Tradimento a scena aperta”
Un’analisi di Heinrich August Winkler sulla frattura nella comunità occidentale causata dalla nuova presidenza Trump. L’autore sostiene che l’eclatante scontro tra Trump e Selenskyj alla Casa Bianca ha reso visibile a tutti il crollo della fiducia transatlantica. Trump e i suoi collaboratori perseguono una “realpolitik” che divide il mondo in sfere d’influenza, riconoscendo come pari solo la Cina di Xi e la Russia di Putin. L’obiettivo appare quello di neutralizzare o attirare la Russia in vista di un possibile conflitto con la Cina, il che equivarrebbe a un “rovesciamento delle alleanze” a spese dell’Europa. Winkler ricorda il patrimonio comune dell’Occidente e nota che il 2025 rischia di diventare la cesura più profonda dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Di fronte a questo “tradimento” americano, l’Europa deve prendere in mano il proprio destino formando una nuova alleanza difensiva autonoma. In particolare, Winkler suggerisce la necessità di una maggiore integrazione europea in materia di sicurezza e difesa, perché non si può più fare affidamento sugli Stati Uniti come un tempo. L’analisi conclude che l’Europa, e in primis la Germania, devono rispondere a questa svolta storica con unità e decisione, per salvaguardare i valori occidentali e la propria sicurezza collettiva.
Ohne nukleare Abschreckung wächst Europas Erpressbarkeit
Senza deterrenza nucleare cresce il rischio di ricatto per l'Europa
Il presidente francese Macron ha proposto di estendere l'ombrello nucleare francese ai paesi alleati europei, un'offerta che non è stata gradita dal Cremlino. La proposta arriva in un momento in cui Washington mostra sempre meno interesse per la sicurezza europea, compromettendo la credibilità della "deterrenza estesa" che costituisce la spina dorsale della politica di difesa tedesca. La Russia, come potenza nucleare, sta dimostrando in Ucraina come tratta gli stati privi di armi nucleari, utilizzando minacce nucleari velate per alimentare la paura dell'escalation in Occidente e impedire la consegna di armi a Kiev che avrebbero potuto esercitare maggiore pressione su Mosca e forse spingerla ai negoziati.
L'offerta di Macron alla Germania, fatta già anni fa, è stata inizialmente raccolta da Friedrich Merz e, visto il rapido allontanamento di Trump dall'Europa, il nuovo governo tedesco dovrebbe discutere immediatamente con Parigi sulla questione nucleare. Ci sono molti aspetti da considerare: la Francia sarebbe disposta a schierare armi nucleari in Germania e a permettere a Berlino la "condivisione nucleare" come attualmente garantito dagli Stati Uniti? La "Force de Frappe", che dispone solo di una frazione dell'arsenale americano e russo, dovrebbe essere ampliata, anche con sistemi di lancio aggiuntivi? In che misura può rimanere valida la strategia nucleare della "deterrenza minima"? La maggior parte di queste domande dovrà essere risolta da Parigi, poiché in Germania il dibattito sulla bomba è tabù da decenni, mentre il contributo tedesco potrebbe essere principalmente finanziario.
“Amerika ist nicht mehr zu trauen”
“L’America non è più da considerare affidabile”
Un commento di Nikolas Busse, editorialista di politica estera della FAZ, all’indomani di un vertice UE, in cui esprime la tesi che l’Europa debba emanciparsi militarmente dagli Stati Uniti. Busse parte da un fatto concreto: Donald Trump ha sospeso gli aiuti militari a un alleato nel pieno di una guerra, l’Ucraina. Un gesto del genere dimostra che “su chi blocca l’aiuto militare a un partner in guerra non si può più fare affidamento”. Dunque, secondo l’editoriale, la “nuova realtà” è che l’Europa non dovrebbe più acquistare armamenti negli USA, per evitare ulteriori dipendenze. L’analisi prosegue osservando che Ursula von der Leyen può annunciare cifre imponenti a Bruxelles, ma il riarmo europeo dipenderà dalle decisioni delle capitali nazionali. Paesi più vicini alla minaccia russa saranno più disposti a investire nella difesa; chi ha meno debito pubblico potrà indebitarsi di più. In ogni caso, “il denaro pubblico non è gratuito” – i nuovi fondi difesa comporteranno sacrifici altrove nei bilanci. Busse ammonisce a non creare burocrazie inutili a livello UE: potenziare la difesa europea non deve diventare un carrozzone di Bruxelles, data l’esistenza di strutture NATO funzionanti che vanno semmai integrate. In sintesi, il commentatore afferma che l’Europa deve trarre le conseguenze dell’inaffidabilità americana investendo di più nella propria sicurezza, coordinandosi ma senza duplicare la NATO. È un appello a una Zeitenwende (svolta epocale) anche mentale: l’alleato d’oltreoceano non è più un garante sicuro, dunque serve più autonomia strategica europea.
Wie die FDP wieder von den Toten auferstehen kann
Traduzione: “Come può risorgere dai morti il Partito Liberale (FDP)”
Un’analisi apparsa sulla FAZ (a firma di Heike Göbel e Manfred Schäfers) che riflette sulla crisi del Partito Liberal-Democratico (FDP) e sulle strategie per il suo rilancio. Dopo le ultime elezioni, l’FDP è rimasto di nuovo fuori dal Bundestag – un trauma che il partito aveva già vissuto nel 2013. Gli autori passano in rassegna errori e debolezze: l’FDP al governo ha diluito il proprio profilo liberale, facendo compromessi poco comprensibili ai suoi elettori. Su temi chiave come tasse, burocrazia e digitale, i liberali non sono riusciti a imporre una chiara impronta, venendo oscurati dai partner di coalizione. Inoltre, la comunicazione è risultata elitaria e lontana dalle preoccupazioni quotidiane (ad esempio concentrata sul freno al debito, tema astratto per molti cittadini). Per “risorgere” politicamente, l’analisi suggerisce all’FDP di ritornare alle sue istanze tradizionali: difesa delle libertà civili, alleggerimento fiscale per il ceto medio produttivo, supporto all’innovazione e all’imprenditoria. Deve presentarsi come “avvocato delle piccole e medie imprese” e dei professionisti, segmenti oggi tentati dall’astensione o da altri partiti. Importante anche rinnovare i volti dirigenti e l’immagine: servirebbe una leadership capace di empatia e chiarezza, che sappia riconquistare la fiducia perduta mostrando coerenza fra promesse e risultati. Solo attraverso un profondo esame di coscienza e un ritorno credibile ai valori liberali – con toni meno arroganti – l’FDP potrà sperare di “risuscitare” e rientrare in Parlamento nelle prossime elezioni.
Deutschland, eine Gesellschaft der Neider
Traduzione: “Germania, una società di invidiosi”
Link:
Un’approfondita analisi di Ralph Bollmann (FAZ) sul clima sociale e politico in Germania emerso dalle recenti sondierungen (colloqui esplorativi) per formare un nuovo governo federale. Bollmann dipinge un paese in cui “tutti si sentono trattati ingiustamente” – un diffuso senso di frustrazione e invidia sociale attraversa classi e regioni. Questo sentimento collettivo di vittimismo comparativo è definito come un problema serio per il futuro governo. Nell’articolo si evidenzia come, durante le trattative per la Grosse Koalition in gestazione (CDU/CSU e SPD), le richieste di spesa siano lievitate per accontentare ogni categoria: centinaia di miliardi di nuovo debito per difesa e infrastrutture, spinti dalla situazione geopolitica eccezionale, ma anche per placare rivendicazioni interne. Bollmann nota una contraddizione: questa disponibilità a spendere senza precedenti – “debito aperto verso l’alto per i militari, mezzo trilione per le infrastrutture” – segue in parte la logica dell’emergenza internazionale (la Zeitenwende dovuta alla guerra e al Trump-bis), ma risponde anche a una logica interna. Quest’ultima è quella di una società insoddisfatta, in cui ciascun gruppo (dai Länder alle categorie professionali) percepisce di aver avuto meno di altri e reclama la sua parte. Il rischio, avverte l’analisi, è che la nuova coalizione nasca “sotto il segno della spesa facile” per tamponare conflitti sociali immediati, senza però affrontare riforme di struttura. Bollmann suggerisce che servirebbe invece ricomporre il patto sociale, spiegare con onestà che non tutto può essere finanziato e che occorre equilibrio tra investimenti e rigore. Se “tutti si sentono vittime”, governare diventa arduo, perché manca la fiducia reciproca nel corpo sociale. Il pezzo conclude auspicando che il nuovo governo avvii un dialogo per ricostruire coesione e fiducia nelle istituzioni, così da spezzare questa pericolosa “spirale dell’invidia” che minaccia la stabilità politica tedesca.
Politica estera, europea e di sicurezza
Trump dreht Selenskyj die Daumenschrauben zu
Trump mette alle strette Selenskyj
Il commento di Berthold Kohler (FAZ) analizza il drammatico scontro avvenuto alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Selenskyj. Kohler descrive come il presidente USA abbia “avvitato i pollici” al leader ucraino – metaforicamente, gli ha fatto pressione spietata. Dopo un incontro burrascoso sfociato in un eclat pubblico (con Trump che avrebbe cacciato Selenskyj dallo Studio Ovale), Trump ha di fatto intimato a Kiev di piegarsi alle condizioni di Mosca per un accordo di pace. L’autore evidenzia la strategia di Trump: sfruttare l’episodio per sospendere gli aiuti militari all’Ucraina e costringere Selenskyj a “strisciare” – ovvero ad accettare un cessate-il-fuoco svantaggioso pur di riottenere il sostegno USA. Kohler avverte che Trump mira a un “deal” con Putin: far terminare la guerra alle condizioni del Cremlino, presentandolo come un dono di Washington a Mosca. In questo scenario, l’Europa resterebbe isolata e vulnerabile. Il commento sottolinea infatti che se Trump blocca le armi a Kiev, gli europei da soli non riuscirebbero a colmare il vuoto in termini di forniture belliche. Kohler esorta dunque gli alleati UE a prepararsi al peggio: l’Europa deve aumentare rapidamente la propria capacità di difesa e non lasciarsi dividere dai “friends of Moscow” interni. In conclusione, l’editorialista richiama la necessità di una risposta unitaria e decisa dell’Europa, sia per sostenere l’Ucraina malgrado l’atteggiamento ostile di Trump, sia per potenziare la propria sicurezza davanti a un’America inaffidabile.
Gleich nach dem Eklat öffnet Trump Selenskyj eine Hintertür
Subito dopo lo scontro, Trump apre a Selenskyj una porta sul retro
In questo approfondimento di Die Welt (Stefanie Bolzen e Gregor Schwung), si racconta la sequenza degli eventi successivi al clamoroso litigio tra Trump e Selenskyj. Dopo aver platealmente cacciato il presidente ucraino dalla Casa Bianca durante l’incontro, Trump – quasi a sorpresa – gli tende immediatamente una “Hintertür”, un’uscita di sicurezza per rientrare nelle sue grazie . Gli autori spiegano che pochi istanti dopo l’escalation, Trump ha chiarito pubblicamente cosa Selenskyj dovrebbe fare per tornare nelle sue grazie. In pratica, il presidente USA ha indicato le condizioni per un “come-back” ucraino: presumibilmente, la disponibilità di Kiev ad un accordo di pace rapido con la Russia. L’articolo riferisce inoltre che Selenskyj, da parte sua, ha colto questa chance: il leader ucraino ha subito concesso un’intervista all’emittente Fox News – notoriamente vicina a Trump – cambiando registro comunicativo. In quell’intervista, Selenskyj ha utilizzato una strategia diversa (“ha giocato un’altra carta” viene detto): probabilmente moderando i toni e cercando di parlare al pubblico conservatore americano per recuperare terreno. Bolzen e Schwung descrivono dunque un rapido susseguirsi di mossa e contromossa: la messa in scena dell’eclat (utile a Trump per mostrarsi duro) e poi l’apertura di uno spiraglio (un messaggio a Kiev su come “redimersi”), a cui Selenskyj risponde con un gesto conciliatorio mediatico. L’analisi conclude che, al di là del teatrino, Trump sta dettando il gioco: l’Ucraina dovrà adattarsi abilmente se vuole mantenere il supporto USA, e l’Europa osserva preoccupata questo braccio di ferro.
Wie wehrhaft Europa ohne die USA wirklich ist
Gli europei si preparano a un mondo senza la protezione degli USA
Secondo un’analisi riportata dal Handelsblatt, in Europa sta maturando la consapevolezza che non ci si può più affidare allo scudo militare americano. L’inasprirsi dei rapporti transatlantici – in particolare dopo lo scontro Trump-Selenskyj – ha reso evidente che l’era del “America first” di Trump potrebbe lasciare l’Europa sola di fronte alle minacce. Nelle trattative per il nuovo governo tedesco, infatti, CDU e SPD hanno già tratto conclusioni storiche: rompere tabù di bilancio pur di rafforzare la difesa europea (come descritto più avanti). Gli esperti citati dal Handelsblatt sostengono che l’Europa è “costretta a investire centinaia di miliardi di euro aggiuntivi nella difesa del continente”. Ciò significa potenziare gli eserciti nazionali, coordinare meglio la sicurezza collettiva UE e magari creare autonome capacità strategiche. “Was sich seit Monaten anbahnte, ist nun Gewissheit” – ciò che da mesi si preannunciava è ora realtà, scrive il giornale: l’Europa deve contare sulle proprie forze militari. Il pezzo enfatizza come la rottura di fiducia con Washington obblighi i paesi europei a un salto di qualità: aumentare le spese per la difesa, sviluppare armamenti congiunti e predisporre una deterrenza credibile senza l’ombrello USA. Questa “Europa della difesa” era finora rimasta sulla carta; adesso i leader europei ne discutono concretamente nei vertici d’emergenza convocati dopo l’incidente alla Casa Bianca . L’analisi conclude evidenziando un paradosso: l’atteggiamento di Trump – volto a indebolire l’Ucraina e ad avvicinarsi a Putin – potrebbe finire per compattare l’Europa come mai prima d’ora, spronandola a fare il necessario “whatever it takes” (costi quel che costi) per la propria sicurezza.
Europa muss jetzt viel Geld bereitstellen
Adesso l’Europa deve mettere sul piatto molti soldi
Questo è il succo del commento di Bernd Pickert (taz) sul dopo-Trump/Selenskyj. Pickert sostiene che l’eclat di Washington sia stato orchestrato: Trump ha provocato intenzionalmente la rottura per costringere Selenskyj a “kriechen”, a strisciare ai suoi piedi . Ma il presidente ucraino ha resistito all’umiliazione, rifiutandosi di cedere. Ora, scrive l’autore, la palla passa all’Europa: dopo il “crac” nei rapporti USA-Ucraina, spetta ai paesi europei farsi carico del sostegno a Kiev. In concreto, significa che l’Europa dovrà mettere mano al portafoglio e impegnare risorse enormi per compensare il venir meno dell’aiuto americano. “Europa muss jetzt viel Geld bereitstellen” – l’UE deve preparare un pacchetto di aiuti finanziari e militari su larga scala, perché l’Ucraina non cada. Nel commento si riconosce che questo scenario implica costi enormi: armi, munizioni, supporto economico e umanitario a Kiev dovranno essere finanziati principalmente dalle capitali europee. Pickert rileva anche come l’unità europea sia messa alla prova: alcuni governi esitano di fronte alle spese e ai rischi, ma di fronte alla “ritirata” americana non c’è alternativa. Infine, l’analisi taz contesta la narrativa filo-russa secondo cui l’incidente al Vertice fosse una messinscena orchestrata da Trump come grande stratega. Al contrario – suggerisce Pickert – è frutto dell’arroganza di Trump e del suo vice Vance, e l’effetto è di aver spaventato definitivamente l’Europa. Il risultato: l’UE dovrà “metterci i soldi” e accelerare verso un’autonomia strategica, pagando il prezzo di due decenni di dipendenza dalla protezione USA.
Britischer Botschafter: Deutschland ist der offensichtlichste Partner für Großbritannien
Traduzione: “L’ambasciatore britannico: la Germania è il partner più naturale per il Regno Unito”
In un’intervista rilasciata alla FAZ, il nuovo ambasciatore britannico in Germania sostiene che “la partnership anglo-tedesca ha un potenziale enorme” e che, alla luce delle crisi globali, essa è “più necessaria che mai”. L’ambasciatore sottolinea come, dopo la Brexit, Londra veda Berlino come il principale interlocutore in Europa su molte questioni: dalla sicurezza in Europa orientale alla lotta al cambiamento climatico. Il diplomatico evidenzia convergenze importanti: ad esempio, Germania e Regno Unito cooperano strettamente sul sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa. Inoltre, entrambi i paesi condividono l’obiettivo di rafforzare la NATO e di sviluppare capacità militari europee complementari all’Alleanza. L’ambasciatore riferisce di aver notato “grande pragmatismo” nei rapporti bilaterali: nonostante le divergenze passate su Brexit, ora si lavora insieme su commercio, innovazione tecnologica (come l’idrogeno verde) e difesa. Berlino è considerata da Londra il partner europeo “ovvio” e privilegiato, anche più della Francia in alcuni campi, per affinità economiche e peso politico. Ciò non significa escludere Parigi, ma la tesi è che un forte asse Berlino-Londra può trainare progetti europei inclusivi. In conclusione, il messaggio dall’ambasciata britannica è chiaro: Regno Unito e Germania dovrebbero intensificare il loro rapporto bilaterale come pilastro per affrontare insieme le sfide attuali – che si tratti di sicurezza continentale, stabilità in Africa o difesa dell’ordine internazionale – nell’interesse reciproco e dell’Europa tutta.
Nach dem Eklat im Weißen Haus: Rückhalt für Selenskyj aus Europa
Traduzione: “Dopo l’incidente alla Casa Bianca: l’Europa fa quadrato intorno a Zelensky”
All’indomani del clamoroso scontro pubblico tra Donald Trump e Volodymyr Selenskyj durante la loro conferenza stampa a Washington, in Europa prevalgono shock e solidarietà verso il presidente ucraino. Diverse cancellerie hanno espresso “sgomento” per l’accaduto, giudicato senza precedenti nelle relazioni transatlantiche, ma hanno subito rivolto lo sguardo in avanti. Il presidente francese Emmanuel Macron, che ha parlato con Selenskyj subito dopo l’episodio, ha respinto le accuse mosse da Trump all’Ucraina: “Se qualcuno rischia la Terza guerra mondiale, quello è Vladimir Putin”, ha dichiarato seccamente Macron da Lisbona, difendendo Zelensky. Macron ha definito l’alterco alla Casa Bianca “una conferenza stampa andata storta”, auspicando un ritorno alla calma e al rispetto reciproco con Washington, perché la posta in gioco – la pace in Europa – è troppo alta per permettere rotture durature. Allo stesso tempo il leader francese si è detto convinto che, “a lungo termine, gli Stati Uniti non avranno altra scelta che continuare a sostenere l’Ucraina” – sottolineando che l’impegno finora mostrato dagli USA in linea di principio rientra nella loro tradizione diplomatica e militare. Anche da Berlino e altre capitali UE sono arrivati messaggi di pieno appoggio a Zelensky: l’Europa riafferma la sua unità a fianco dell’Ucraina, malgrado l’atteggiamento di Trump. Tuttavia, in alcune capitali (soprattutto dell’Europa occidentale) si levano anche voci pragmatiche che invitano a non rompere il dialogo con Washington: pur criticando Trump, si ritiene importante tenere aperto il canale con gli Stati Uniti e “ricondurre la discussione su binari costruttivi”. In sintesi, l’episodio ha creato sconcerto ma i paesi europei, Germania in testa, mantengono saldo il sostegno a Kiev e cercano di fare da “cuscinetto diplomatico” per superare la crisi transatlantica.
Europa mit eigenem Friedensplan – die „Koalition der Willigen“
Traduzione: “L’Europa tenta un proprio piano di pace – la ‘coalizione dei volenterosi’”
Link: (Handelsblatt, 05.03.2025, sintesi dell’articolo)
Secondo un’analisi pubblicata sul Handelsblatt, lo shock dell’incidente diplomatico fra Trump e Zelensky ha spinto i principali leader europei a valutare una iniziativa autonoma di pace per l’Ucraina. In occasione di un vertice straordinario a Bruxelles, Francia e Germania avrebbero sondato la formazione di una “coalizione dei volenterosi” in Europa: un gruppo di paesi UE disposti a farsi promotori di colloqui diplomatici con tutte le parti in conflitto – inclusa eventualmente la Cina – per esplorare percorsi di soluzione. L’articolo spiega che, dopo l’uscita degli Stati Uniti dal ruolo di mediatore imparziale, l’Europa sente la responsabilità di prevenire un conflitto prolungato o un’escalation incontrollata. Il cancelliere tedesco Scholz e il presidente francese Macron, in stretto coordinamento, starebbero preparando una piattaforma di negoziato che includa garanzie di sicurezza per l’Ucraina e allo stesso tempo rassicurazioni alla Russia su certi punti (ad esempio sul non ingresso immediato dell’Ucraina nella NATO). Questo piano europeo “parallelo” non mira a scavalcare gli Stati Uniti, ma a tener vivo il dialogo mentre Washington e Kiev attraversano tensioni. Si parla di coinvolgere attivamente anche l’Italia, la Spagna e la Polonia, affinché l’iniziativa abbia ampia legittimità europea. La cosiddetta “Koalition der Willigen” punterebbe anche a includere attori extraeuropei come l’India o il Brasile, per dare al tentativo un profilo internazionale più equilibrato. Il Handelsblatt sottolinea però che le divisioni in seno alla UE non mancano: alcuni paesi dell’Est sono scettici e temono un “piano di pace” che faccia troppe concessioni a Mosca. Nonostante ciò, l’articolo conclude che l’Europa non può restare immobile: un suo sforzo diplomatico, per quanto difficile, è diventato imprescindibile per cercare di avvicinare la fine della guerra, anche solo costruendo fiducia e canali di comunicazione indipendenti dall’altalenante politica USA.
Europa sollte neue Waffen nicht in den USA kaufen
Traduzione: “L’Europa non dovrebbe comprare nuove armi dagli Stati Uniti”
Questo commento su Handelsblatt – dal taglio schiettamente critico – parte dalle conclusioni di un recente vertice UE per lanciare un messaggio forte: “Fa parte della nuova realtà che l’Europa ora eviti di comprare armi dagli USA”. L’autore argomenta che la decisione di Trump di sospendere gli aiuti all’Ucraina dimostra come “non ci si possa più fidare” pienamente di Washington. Di conseguenza, quando si tratta dei grandi programmi di riarmo lanciati in Europa, sarebbe prudente investire nell’industria di difesa europea anziché ordinare equipaggiamenti oltreoceano. Busse sottolinea che Ursula von der Leyen può anche sbandierare cifre miliardarie, ma poi “a decidere sul riarmo saranno le capitali nazionali” – e qui entra in gioco la differenza di prospettive: i paesi più esposti alla minaccia russa (es. Polonia, Paesi Baltici) saranno disposti a spendere di più e subito, altri più lontani o indebitati (es. Spagna, Italia) saranno più cauti. In ogni caso, anche con regole UE sul deficit più flessibili, nuovi debiti per la difesa non sono gratis: aumenteranno il carico di interessi e imporranno tagli altrove. L’editoriale invita a non creare duplicati inutili: rafforzare la difesa europea sì, ma senza inventare costose strutture parallele a quelle NATO già esistenti. Ad esempio, invece di lanciare nuovi standard o comandi UE da zero, meglio integrare quelli atlantici. La raccomandazione centrale rimane comunque quella iniziale: puntare il più possibile su forniture europee (armi franco-tedesche, etc.) sia per ragioni industriali sia, soprattutto, per non dipendere da un alleato americano diventato incostante. In sintesi, Busse dipinge un’Europa che deve imparare la lezione dell’ultimo vertice: l’era dell’affidabilità garantita degli USA è finita, dunque ogni euro investito in difesa europea andrebbe speso “in casa nostra”, per il bene della nostra autonomia e sicurezza di lungo periodo.
Union und SPD planen Milliardenkredite
Traduzione: “Unione e SPD pianificano crediti miliardari (per difesa e infrastrutture)”
Diversi media tedeschi, tra cui Manager Magazin, hanno riferito che i negoziati riservati tra CDU/CSU (Union) e SPD per formare un nuovo governo hanno portato a un accordo di principio su due “fondi speciali” da centinaia di miliardi di euro. Il piano prevederebbe uno stanziamento straordinario fino a 300 miliardi per la difesa e un altro di simile entità per investimenti in infrastrutture. Questa svolta rappresenta un cambiamento radicale: la CDU, che fino a poco tempo fa difendeva strenuamente il freno all’indebitamento, accetta ora di indebitarsi massicciamente – una contraddizione evidenziata dagli osservatori (“prima hanno fatto causa all’Ampel per 60 mld di debito, ora ne vogliono cinque volte tanto”, nota ironicamente l’economista Maurice Höfgen). La motivazione ufficiale è duplice: colmare urgentemente le lacune dell’esercito tedesco (dopo anni di sottofinanziamento, acuiti dalla crisi ucraina) e ammodernare le reti di trasporto ed energia ormai al collasso (ferrovie lente, carenza di infrastrutture digitali). Il dibattito pubblico è acceso: critiche arrivano dai liberali della FDP e dai Verdi esclusi dall’accordo, che parlano di “ipocrisia” della CDU. D’altro canto, economisti come Monika Schnitzer (presidente del Consiglio degli Esperti) giudicano positiva l’apertura di credito ma avvertono: “servirà molto più di 300 miliardi” per colmare il gap accumulato. Il servizio evidenzia inoltre che formalmente non si abolirebbe la Schuldenbremse in Costituzione: questi fondi speciali verrebbero creati analogamente a quello da 100 mld per la difesa varato nel 2022, quindi al di fuori del bilancio ordinario. Ciò però solleva dubbi di trasparenza e sostenibilità finanziaria a lungo termine. In definitiva, la notizia segnala una Zeitwende anche in politica fiscale tedesca: di fronte alle sfide straordinarie – guerra in Europa e transizione infrastrutturale – persino i conservatori accettano la necessità di “rompere il salvadanaio” e investire somme mai viste dal dopoguerra.
Questioni militari
Für langes Sondieren ist jetzt keine Zeit
Alla Bundeswehr serve subito un secondo fondo speciale
Questo commento di Jasper von Altenbockum (FAZ) affronta il tema del finanziamento delle forze armate tedesche. A due anni dallo stanziamento dello Sondervermögen da 100 miliardi per la Bundeswehr (varato nel 2022 durante la “Zeitenwende”), l’autore sostiene che quelle risorse stanno per esaurirsi e che l’attuale situazione richiede un nuovo intervento massiccio. Altenbockum afferma chiaramente che non c’è tempo per lunghe riflessioni: la Germania deve predisporre al più presto un secondo fondo speciale straordinario per la difesa. L’urgenza è motivata dall’aggravarsi del contesto internazionale – in particolare la crisi nei rapporti con gli Stati Uniti di Trump e la guerra in Ucraina ancora in corso. Il commento mette in guardia: senza nuovi investimenti, l’esercito tedesco non potrà far fronte né agli impegni verso la NATO né alla difesa nazionale. Altenbockum critica inoltre eventuali tentennamenti politici sul rispetto della Schuldenbremse (il freno all’indebitamento): di fronte alle necessità della sicurezza, le regole di bilancio devono essere adattate. Proprio questo, del resto, stanno discutendo CDU e SPD nelle loro trattative – come si vedrà poi realizzato. L’appello è netto: bisogna agire subito, pianificando un nuovo pacchetto di decine di miliardi per modernizzare armamenti, munizioni e infrastrutture della Bundeswehr. Ogni ritardo – conclude l’autore – esporrebbe la Germania e l’Europa a gravi rischi strategici in un momento in cui la deterrenza e la capacità bellica occidentale devono essere rafforzate, non indebolite.
Die Bundeswehr gehört in die Öffentlichkeit
La Bundeswehr deve stare sotto i riflettori pubblici
In questo commento di Reinhard Müller (FAZ) si discute un aspetto spesso trascurato: la percezione pubblica dell’esercito tedesco. Müller sostiene che la Bundeswehr “appartiene alla sfera pubblica” e non deve più essere tenuta ai margini della società. Egli ricorda come per decenni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Germania abbia prevalso una certa ritrosia nel mostrare l’esercito: poche parate, caserme appartate, scarsa visibilità mediatica. Ma ora i tempi sono cambiati. Secondo Müller, rendere la Bundeswehr più visibile e integrata nella vita civile è fondamentale per vari motivi: 1) aumentare l’apprezzamento e rispetto verso i soldati, specialmente mentre viene chiesto loro di affrontare nuove sfide (la deterrenza verso la Russia, il supporto all’Ucraina, etc.); 2) favorire il reclutamento di giovani leve in un momento di carenza di personale (tema caldo: si discute addirittura di reintrodurre la leva); 3) rinsaldare il legame democratico tra Forze Armate e cittadinanza, in linea con la tradizione del “cittadino in uniforme”. Müller argomenta che i militari tedeschi, ben formati e leali alla Costituzione, non vanno nascosti: al contrario, presentare le loro missioni e il loro contributo alla sicurezza può solo giovare alla coesione nazionale. In pratica, l’autore auspica più eventi pubblici con la Bundeswehr protagonista, più trasparenza nelle operazioni e un dialogo aperto con la società. Ciò contribuirebbe anche a combattere stereotipi e diffidenze. In conclusione, il commento lancia un messaggio quasi simbolico: riportare la Bundeswehr “alla luce del sole” significa riconoscere che la difesa è affare di tutti in una democrazia, e che soprattutto in questi tempi turbolenti l’esercito deve avere un posto d’onore agli occhi del pubblico .
Gegensätzliche Forderungen zu neuer Wehrpflicht
Il grande dibattito sulla leva obbligatoria in Germania
All’indomani delle elezioni e della svolta in tema di difesa, in Germania è riesplosa la discussione sul servizio militare obbligatorio. Diversi esponenti dell’Unione (CDU/CSU) – cavalcando il tema della sicurezza – chiedono di valutare una reintroduzione rapida della Wehrpflicht, sospesa dal 2011. Secondo un reportage del Tagesspiegel, i sostenitori sostengono che mancano all’appello circa 20.000 soldati l’anno per colmare i vuoti negli organici delle forze armate. Personalità come il capo dell’Associazione riservisti insistono che senza un obbligo di leva sarà “quasi impossibile” reclutare abbastanza personale qualificato. Anche esponenti dell’AfD, come Alice Weidel, hanno provocatoriamente proposto due anni di leva per tutti – mossa che ha generato ulteriori polemiche. Dall’altro lato, il Ministro della Difesa (SPD), Boris Pistorius, e molti analisti frenano: un ritorno alla leva “non si può fare dall’oggi al domani” e rischia di essere inefficace . Come riporta l’MDR, Pistorius ha evidenziato che riattivare il servizio di leva richiederebbe infrastrutture (caserme, istruttori, equipaggiamenti) che la Bundeswehr oggi non ha più in scala sufficiente. Inoltre, costringere migliaia di giovani potrebbe rivelarsi impopolare e controproducente. Commentatori (ad es. Der Spiegel) definiscono l’idea “una cattiva idea”: invece di inseguire nostalgicamente il passato, servono incentivi per il volontariato e la carriera militare professionale. Il dibattito comunque infuria: la “Zeitenwende” inaugurata dal cancelliere Scholz nel 2022 sul riarmo tedesco ora sembra coinvolgere anche la società. La domanda di fondo è se, di fronte alle nuove minacce, ogni cittadino debba di nuovo contribuire direttamente alla difesa (tramite leva o servizi civili alternativi) oppure se puntare su un esercito di volontari ben pagati e motivati. In attesa di decisioni politiche, il tema spacca l’opinione pubblica: è una scelta tra efficacia militare e impegno civile diffuso, e definirà il rapporto futuro tra società tedesca e Bundeswehr.
Baden-Württembergs Finanzminister Bayaz fordert 300-Milliarden-Sondervermögen für Bundeswehr und innere Sicherheit
Il ministro delle finanze del Baden-Württemberg Bayaz chiede 300 miliardi di euro di fondi speciali per la Bundeswehr e la sicurezza interna
Un editoriale della FAZ esamina la proposta di creare nuovo debito pubblico esclusivamente per potenziare le forze armate tedesche. Dopo il Zeitenwende-Fonds da 100 miliardi di euro del 2022, ora nei colloqui CDU-SPD si parla di un fondo molto più grande (fino a 300 miliardi) destinato a colmare tutte le carenze della Bundeswehr. L’articolo innanzitutto riconosce che ulteriori crediti straordinari per la difesa sono urgentemente necessari – le minacce odierne lo rendono evidente. Al tempo stesso, l’autore rassicura che una tale misura non equivarrebbe a sospendere il freno al debito: l’idea è di usare meccanismi speciali (come già fatto nel 2022) che rispettino formalmente la legge pur liberando risorse. Tuttavia, si sottolinea che non basta aprire i cordoni della borsa: occorre spendere meglio. L’articolo suggerisce che il fondo andrebbe vincolato a riforme strutturali nella difesa: ad esempio, snellire le procedure di appalto, ridurre la burocrazia militare e investire in progetti mirati invece di spargere soldi a pioggia. “Più debiti, sì, ma solo per la Bundeswehr” è lo slogan provocatorio: si eviterebbe così che altri settori approfittino per fare nuove spese, concentrando ogni euro aggiuntivo sul recupero della prontezza militare. In conclusione, l’editoriale appoggia con cautela la creazione del super-fondo: la situazione strategica la impone, ma invita politici e opinione pubblica a capire che quei debiti dovranno essere ripagati e dunque ogni spesa va ponderata. L’auspicio è che i miliardi extra non siano un semplice assegno in bianco al Ministero della Difesa, bensì l’occasione per modernizzare davvero le forze armate, perché solo allora si potrà giustificare di aver derogato ai dogmi di bilancio per la sicurezza nazionale.
Schnitzer will “viel mehr” als 300 Milliarden Euro für Verteidigung
Schnitzer vuole “molto di più” di 300 miliardi di euro per la difesa
Monika Schnitzer, presidente del Consiglio degli Esperti Economici (i “5 saggi” che consigliano il governo tedesco), ha dichiarato in un’intervista che il livello di investimento ipotizzato di 300 miliardi di euro per la difesa potrebbe non essere sufficiente. Secondo Schnitzer, la minaccia posta dalla Russia e le nuove esigenze della NATO richiederebbero “molto di più” per riportare le forze armate tedesche al livello adeguato (). L’economista riconosce che una cifra del genere – pari a quasi 4 volte il bilancio annuale della difesa – appare enorme, ma va considerata su più anni e in rapporto al PIL tedesco. “La sicurezza ha un prezzo, e ignorarlo sarebbe più costoso in futuro”, afferma. Gli esperti propongono di spalmare la spesa extra in un decennio, finanziandola in parte con debito e in parte riallocando spese da settori meno strategici. Schnitzer sottolinea che l’economia tedesca può reggere un tale sforzo se accompagnato da riforme: ad esempio, una parte di questi fondi potrebbe stimolare l’industria nazionale (cantieri navali, aerospazio, cyber-tech), creando crescita e posti di lavoro qualificati. Inoltre, invita a considerare la spesa militare come investimento produttivo: rafforzare la difesa oggi riduce rischi di conflitti devastanti domani, con beneficio anche economico. La presidente del consiglio degli esperti mette in guardia però da uno scenario: se l’economia dovesse rallentare, finanziare 300+ miliardi extra diventerebbe arduo senza tagli altrove o tasse. In sintesi, gli “economisti saggi” appoggiano un riarmo sostanziale, ma raccomandano di pianificarlo con lungimiranza: non un assegno in bianco immediato, bensì un programma pluriennale ben scaglionato che modernizzi la Bundeswehr senza destabilizzare le finanze pubbliche.
Politica interna e questioni sociali
Nehmt der SPD das Arbeitsministerium weg!
Togliete il Ministero del Lavoro all’SPD!
Con questo titolo provocatorio, il commentatore Dietrich Creutzburg (FAZ) reagisce al pessimo risultato elettorale della SPD, proponendo un cambio di rotta nella formazione del nuovo governo. Creutzburg argomenta che i socialdemocratici hanno gestito troppo a lungo il Ministero del Lavoro e degli Affari sociali, utilizzandolo per espandere il welfare in modo elettoralistico. I “Genossen” (compagni SPD) – scrive con tono critico – negli ultimi anni non hanno fatto altro che introdurre nuove prestazioni sociali (Kindergrundsicherung, Bürgergeld, ecc.), aumentando la spesa senza risolvere i problemi strutturali. I numeri del resto parlano chiaro: tre milioni di disoccupati (di cui un milione di disoccupati di lungo periodo) gravano ancora sul Paese. Di fronte a questi dati, secondo l’autore, la Germania non ha bisogno di una nuova “coalizione del progresso” che continui sulla linea assistenziale, bensì di politiche del lavoro più efficaci e orientate all’efficienza. Creutzburg suggerisce quindi che, nelle trattative per la Große Koalition CDU-SPD, il dicastero del Lavoro venga affidato all’Unione (CDU/CSU) invece che restare alla SPD. Solo così – è la tesi – si potrà imprimere un cambio di paradigma: “Schluss mit Klientelpolitik”, basta politiche per la propria base elettorale, servono soluzioni pragmatiche e realistiche. L’autore cita la “infelice” Kindergrundsicherung (assegno unico figli) come esempio di misure che abbelliscono il programma politico ma non affrontano il nocciolo dei problemi. Allargando lo sguardo, Creutzburg collega la necessità di concretezza anche ad altri ambiti: oltre al mercato del lavoro e al welfare, anche la politica estera e di sicurezza richiedono “realitätssinn” – senso della realtà – e scelte incisive. In sintesi, il commento auspica che nel nuovo governo la SPD venga ridimensionata nei settori chiave: dopo il peggior risultato della sua storia, i socialdemocratici dovrebbero fare un passo indietro e lasciare che altri portino avanti le riforme necessarie. Solo così la Germania potrà affrontare efficacemente le sfide economiche e sociali dei prossimi anni.
Die Illusion der „Großen“ Koalition
L’illusione della “Grande” coalizione
In un pungente editoriale su Die Welt, Andreas Rosenfelder mette in dubbio che l’eventuale governo CDU-SPD possa davvero definirsi una Große Koalition. Egli osserva che richiamarsi al modello delle larghe intese del passato è una illusione nostalgica: “quello che funzionava nella Vecchia Repubblica Federale, oggi è solo un miraggio”, scrive. Rosenfelder nota che un tempo l’unione tra cristiano-democratici e socialdemocratici riusciva a colmare i “fossati politici” del Paese; oggi invece i fossati – ovvero le polarizzazioni della nostra epoca – sono ben più profondi e non basterà una semplice alleanza CDU-SPD per superarli. Il commento suggerisce che la vera “Grande Coalizione” necessaria sarebbe un’altra: un patto ben più ampio che includa forze diverse per contrastare l’avanzata dell’estrema destra. Rosenfelder allude al fatto che attualmente l’unico fronte maggioritario “grande” in senso numerico sarebbe quello che accomuna tutti i partiti democratici contro l’AfD – ma una tale alleanza è politicamente impraticabile. Dunque, definire “grande” la coalizione nero-rossa è fuorviante: in realtà essa rappresenta una maggioranza risicata (come conferma la SZ) e soprattutto non rispecchia più la volontà della maggioranza sociale, che si è frammentata. L’autore conclude con un riferimento a Friedrich Merz: per il leader cristiano-democratico, capire questa realtà “può significare solo una cosa” . Sebbene il testo non lo espliciti, tra le righe si legge un suggerimento radicale: Merz dovrebbe riconoscere che per governare stabilmente e affrontare i problemi odierni (dalle fratture sociali alla sicurezza) potrebbe aver bisogno di aprirsi ad “un altro tipo di alleanza”. Rosenfelder sembra alludere – con una punta provocatoria – all’idea che l’Unione guardi verso destra (all’AfD) per una vera maggioranza “ampia”. Ma essendo ciò tabù, resta un’impasse. In definitiva, l’articolo smaschera l’autoinganno di chiamare “grande” una coalizione che è in realtà nient’altro che un matrimonio di necessità, privo dello slancio e del consenso che caratterizzavano le grosse koalition del passato.
Nach der Bundestagswahl: Jetzt kommt es auf den Kanzler an
Dopo le elezioni federali: ora tutto dipende dal cancelliere
Sul quotidiano taz, il commentatore Stefan Reinecke traccia tre considerazioni a freddo sull’esito elettorale e le sue conseguenze politiche. Anzitutto, “un Rechtsruck così duro non c’era mai stato dal 1949”: le elezioni 2025 rappresentano uno spostamento a destra storico, con l’AfD che diventa per la prima volta il secondo partito a livello federale. La società tedesca appare estremamente polarizzata – nota Reinecke – e l’affermazione dell’estrema destra ne è la prova tangibile. In secondo luogo, sottolinea con amarezza che la SPD, pur avendo perso rovinosamente consensi, “deve purtroppo governare”: il destino la costringe a negoziare una coalizione con la CDU di Merz, perché nessun altro schema di governo è numericamente possibile senza coinvolgerla. È un paradosso: gli elettori hanno punito i socialdemocratici, eppure il partito dovrà prendersi la responsabilità di co-governare per evitare il caos o un governo con l’AfD. Infine, “Merz hoffentlich wird erwachsen” – Merz, si spera, diventerà adulto: il leader dell’Unione, celebrato come vincitore, dovrà dimostrare maturità nello svolgere il ruolo di cancelliere. Reinecke spiega questa affermazione caustica ripercorrendo i mesi precedenti: Christian Lindner (FDP), ad esempio, ha fatto crollare governo e suo partito “in sei mesi” per ego e inettitudine, e i leader dell’Ampel (Scholz e Habeck) ne escono politicamente distrutti . Ora tocca a Merz: la speranza espressa è che abbandoni il populismo frenetico visto in campagna elettorale e, una volta alla Cancelleria, governi con serietà e moderazione. Il pezzo dipinge Merz come un politico abile nel risorto “gioco della destra” (ha ad esempio, indirettamente, aiutato la Linke di Wagenknecht a rinascere per indebolire AfD), ma ora deve dimostrare statura da statista. In conclusione, secondo taz, la stabilità futura dipende dalla condotta di Merz: se saprà “togliersi la casacca da macho del populismo” e agire da leader responsabile, l’estremismo potrà forse essere contenuto. Diversamente, l’enorme spostamento a destra segnalato da queste elezioni rischia di consolidarsi in modo permanente, cambiando in peggio il volto della Repubblica.
Söder schließt schwarz-grüne Regierung aus
Traduzione: “Söder esclude un governo nero-verde”
Markus Söder, leader della CSU bavarese, ha dichiarato esplicitamente che esclude una futura coalizione di governo con i Verdi a livello federale. In un’intervista riportata da n-tv il 28 febbraio, Söder ha affermato: “L’Ampel (coalizione semaforo) va assolutamente rimpiazzata – e i Verdi non devono far parte del prossimo governo”. Questa presa di posizione netta (“Grün ist raus!”, “i Verdi sono fuori!”, avrebbe ribadito durante il tradizionale comizio del Mercoledì delle Ceneri) segna una linea politica chiara in vista delle elezioni federali previste per l’autunno 2025. Söder, che aspira a tornare al potere assieme alla CDU, punta invece a un governo nero-rosso (Unione e forse SPD) o nero-giallo (Unione-FDP), escludendo compromessi con i Verdi, che accusa di aver portato il paese su una cattiva strada durante l’attuale governo. Egli critica in particolare le politiche ambientali “ideologiche” e le restrizioni per cittadini e imprese imputate ai Verdi. Questa posizione riflette anche il calcolo elettorale in Baviera e in tutto il sud: una parte dell’elettorato conservatore è ostile ai Verdi, e Söder mira a recuperare voti persi a destra (verso AfD) mostrando intransigenza. D’altro canto, alcuni osservatori notano che tale chiusura potrebbe limitare le opzioni post-elettorali dell’Unione, specie se l’SPD dovesse risultare indisponibile a un’alleanza. Per ora però la strategia di Söder è tracciare un confine netto: nessuna intesa con i Verdi a Berlino. Questo rituale “tiro al Verde” del leader CSU serve anche a compattare la base e a differenziarsi dalla CDU di Merz, che invece mantiene toni più prudenti. In definitiva, nel campo conservatore si consolida l’orientamento anti-Verdi come parte centrale della campagna per il 2025, il che avrà implicazioni sulle possibili geometrie di coalizione dopo il voto.
AfD-Hochburgen Kaiserslautern und Gelsenkirchen - was haben sie gemeinsam?
Kaiserslautern e Gelsenkirchen, roccaforti dell'AfD: cosa hanno in comune?
Un approfondimento della SWR (emittente pubblica regionale) indaga perché l’AfD sia diventata così forte anche in alcune aree dell’ovest tedesco, tradizionalmente meno favorevoli all’estrema destra. Il caso emblematico è Kaiserslautern (Renania-Palatinato) – unico collegio occidentale vinto dall’AfD nelle ultime elezioni – e Gelsenkirchen (Renania settentrionale) dove l’AfD ha superato il 20%. Gli esperti intervistati individuano fattori socio-economici simili a quelli dell’est: deindustrializzazione, perdita d’importanza economica e demografica, e conseguente frustrazione verso “il sistema”. Kaiserslautern, ex città guarnigione americana e un tempo sede di industrie, ha visto un declino: oggi resta la squadra di calcio (1. FC Kaiserslautern) come identità, ma essa stessa è scesa di categoria, alimentando il sentimento di marginalità. Gelsenkirchen, nel cuore della Ruhr, soffre la fine dell’era industriale (miniere e acciaio) con tassi di disoccupazione sopra la media. In queste comunità molti elettori si sentono abbandonati dai partiti tradizionali, percepiti come attenti solo alle metropoli vincenti (Monaco, Amburgo, ecc.). L’AfD sfrutta abilmente temi come la sicurezza, l’immigrazione e il carovita, canalizzando rabbia e paura. Un elemento curioso – rileva SWR – è l’assenza di una valvola di sfogo localista: in Baviera, ad esempio, chi è scontento vota CSU o Freie Wähler invece che AfD, mentre a Kaiserslautern o Gelsenkirchen non esiste un forte partito locale di protesta. Così l’AfD riempie quel vuoto. L’analisi conclude che per arginare l’AfD in questi contesti servirebbero politiche mirate di sviluppo regionale e inclusione sociale: investimenti per creare lavoro, presenza visibile dello Stato, dialogo costante con i cittadini delusi. Ignorare il fenomeno come se fosse confinato all’Est sarebbe un errore: “Schaut auf diese Stadt!” – guardate questa città – diceva un analista a Kaiserslautern: il segnale va preso sul serio in tutta la Germania ovest.
Oskar Lafontaine: „Wer wahnsinnig aufrüstet, kürzt soziale Leistungen“
Traduzione: “Oskar Lafontaine: ‘Chi riarma follemente, taglia le prestazioni sociali’”
In un’intervista pubblicata sul magazine Tabula Rasa, Oskar Lafontaine – storico esponente della sinistra tedesca – critica duramente la svolta verso il riarmo e mette in guardia dalle conseguenze sullo stato sociale. Lafontaine afferma: “Chi intraprende una corsa al riarmo folle, finisce per tagliare la spesa sociale”. Secondo l’ex leader della Linke, gli enormi fondi che CDU e SPD vogliono dedicare alla difesa (si parla di centinaia di miliardi) dovranno venire da qualche parte, e teme che a farne le spese saranno pensioni, sanità e welfare. “I soldi non cadono dal cielo”, dice, quindi aumentare vertiginosamente il budget militare significherà minori risorse per asili, scuole, ospedali e per i ceti deboli. Lafontaine – che fu ministro delle Finanze negli anni ’90 – sostiene che la storia insegna questo: già negli anni ’80 con la corsa agli armamenti di Reagan e Kohl si dovettero poi fare manovre lacrime e sangue. Egli contesta anche la necessità stessa di riarmare a quel livello: “La Russia non attaccherà la Germania perché stiamo fornendo qualche carro all’Ucraina; questa paura è irrazionale.” Invece, invoca iniziative diplomatiche: “Servirebbe una conferenza di pace europea, ma nessuno ne parla – si pensa solo alle armi”. Lafontaine teme che la SPD, accettando la logica del riarmo della CDU, tradisca la sua vocazione sociale. “Togliere ai poveri per dare ai generali” – così sintetizza provocatoriamente il rischio. L’intervistatore gli chiede se ciò potrebbe alimentare ulteriormente l’AfD: Lafontaine concorda, dicendo che “se i prezzi salgono e lo Stato taglia i sussidi perché spende in carri armati, la rabbia popolare crescerà”. In conclusione, l’ex leader della sinistra avverte che la politica di bilancio è un gioco a somma zero: “Se si mette tutto sulla difesa, qualcosa d’altro verrà sacrificato. E temo che saranno le conquiste sociali degli ultimi decenni a essere sacrificate sull’altare del riarmo.” Questa voce critica evidenzia la tensione in Germania tra le esigenze della sicurezza e quelle della giustizia sociale, in un momento in cui il governo cerca di conciliarle entrambe.
Questioni economiche e finanziarie
Haushaltslücke des Bundes beträgt mindestens 130 Milliarden Euro
Il buco di bilancio federale ammonta ad almeno 130 miliardi di euro
Un’inchiesta del Handelsblatt – ripresa dai media nazionali – rivela la gravità della situazione finanziaria che il nuovo governo tedesco dovrà affrontare. Nella pianificazione di bilancio da qui al 2028 si aprirebbe una voragine tra 130 e 150 miliardi di euro. Secondo il rapporto, durante la prima riunione di sondaggio tra CDU e SPD, il Ministro delle Finanze uscente Jörg Kukies (SPD) ha messo sul tavolo queste cifre allarmanti. Ciò significa che, mantenendo l’attuale traiettoria di entrate e uscite, mancheranno all’appello fino a 150 miliardi per coprire le spese programmate dello Stato federale. Questo scenario da “Abgrund” finanziario (baratro finanziario) ha fatto scattare il campanello d’allarme tra i negoziatori di governo. Infatti, come spiega l’analisi, la combinazione di fattori straordinari sta mettendo a dura prova i conti pubblici: da un lato il rallentamento economico e la diminuzione del gettito fiscale, dall’altro la necessità di aumentare drasticamente le spese per difesa e infrastrutture (la cosiddetta Doppelwumms difesa-infrastrutture). Proprio queste priorità – difesa e investimenti – hanno portato CDU e SPD a concordare misure eccezionali (vedi infra). Il Handelsblatt riferisce che Kukies, con i numeri in mano, ha spinto i politici a prendere atto che la Schuldenbremse va ripensata: seguendo le regole attuali sul freno al debito, non sarebbe possibile colmare un gap di tale entità. Già durante la campagna elettorale Merz aveva parlato di un imminente “Kassensturz” (fare i conti) post-voto, ma probabilmente nemmeno lui immaginava cifre così alte. La conclusione dell’inchiesta è che la futura coalizione si troverà davanti a decisioni difficilissime: tagliare spese non è politicamente facile, alzare tasse nemmeno, quindi l’unica via realistica sarà sospendere la rigidità della Schuldenbremse e ricorrere a nuovo debito straordinario. Questa rivelazione – scrive la testata – ha di fatto preparato il terreno all’accordo politico che si delineerà in seguito, ossia quello di escludere le spese per difesa dal calcolo del deficit e creare un maxi-fondo per le infrastrutture. In sintesi, il messaggio del Handelsblatt è chiaro: i partner di coalizione dovranno confrontarsi con un’eredità finanziaria pesantissima e adottare soluzioni non convenzionali per evitare voragini di bilancio.
Die EZB senkt die Leitzinsen um einen Viertelprozentpunkt
La BCE taglia i tassi d’interesse di un quarto di punto
La notizia economica della settimana è la decisione della Banca Centrale Europea di abbassare nuovamente il costo del denaro. Come riferisce Christian Siedenbiedel sulla FAZ, il Consiglio direttivo della BCE, riunitosi il 6 marzo, ha annunciato una riduzione di 0,25 punti per tutti e tre i principali tassi di interesse di riferimento. In particolare, il tasso sui depositi (deposit facility) – cruciale per i rendimenti di conti deposito e pronti contro termine – scende dal 2,75% al 2,5%. Questo segna la sesta riduzione consecutiva dei tassi dalla scorsa estate, quando la BCE ha invertito la rotta di politica monetaria di fronte al calo dell’inflazione. L’istituto guidato da Christine Lagarde, spiega l’articolo, mantiene dunque il suo piano di allentamento nonostante le turbolenze geopolitiche: “la banca centrale resta fedele ai suoi programmi di taglio dei tassi malgrado tutti gli sviluppi di politica mondiale”. L’obiettivo è sostenere la congiuntura europea, che mostra segnali di rallentamento. Infatti, aggiunge la FAZ, le ultime previsioni interne della BCE stimano per il 2025 una crescita del PIL nell’Eurozona di appena +0,9%, in ulteriore ribasso rispetto all’1,1% previsto in precedenza. Sul fronte dei prezzi, la “buona notizia” è che l’ondata inflattiva seguita alla guerra in Ucraina è considerata ormai spezzata: l’inflazione media nell’Eurozona, dal picco del 10,7% dell’ottobre 2022, è scesa al 2,4% medio nel 2024. La BCE confida di centrare il suo target del 2,0% nel medio termine. Tuttavia – si segnala – permangono rischi: salari in aumento e nuova spesa pubblica (specie se la Germania sforerà il deficit per difesa e investimenti) potrebbero frenare il calo dell’inflazione. Inoltre, viene citato il timore di possibili guerre commerciali con gli USA di Trump: eventuali dazi e controdazi potrebbero ridare fiato all’inflazione importata. Alcuni falchi (come Clemens Fuest dell’Ifo) avvertono che ulteriori tagli di tasso potrebbero essere controproducenti in questo contesto. In ogni caso, per ora la reazione dei mercati è moderata: il taglio era ampiamente previsto e già prezzato nelle curve dei tassi. I risparmiatori però vedranno probabilmente calare ancora i rendimenti dei depositi – nota Siedenbiedel – mentre chi cerca un mutuo non avrà benefici immediati poiché i tassi a lungo erano già scesi in attesa di questa mossa. In definitiva, la BCE procede con cautela nella sua opera di sostegno all’economia, ma dovrà monitorare attentamente i prossimi sviluppi (soprattutto politici e fiscali) per capire fino a che punto proseguire nei tagli o fermarsi.
“Whatever it takes”: la miliardaria svolta di CDU e SPD
“Costi quel che costi”: la svolta miliardaria di CDU e SPD
L’espressione resa celebre da Mario Draghi – whatever it takes – viene ripresa dal Zeit Online per descrivere la portata dell’accordo finanziario raggiunto dai negoziatori di CDU e SPD. In un approfondimento a cura di Mark Schieritz, si evidenzia che i due futuri partner di governo hanno deciso di mettere da parte precedenti cautele di bilancio e impegnare somme finora inimmaginabili in nuovo debito, con l’obiettivo di garantire la sicurezza nazionale ed europea. La Zeit sottolinea che questa decisione epocale – la sospensione di fatto della Schuldenbremse – solleva però molte domande ancora senza risposta. In primo luogo, l’accordo prevede la creazione di un fondo da 500 miliardi per le infrastrutture e l’esclusione delle spese per la difesa dal vincolo costituzionale sul debito. Ma Schieritz si chiede: dove precisamente verranno allocati questi soldi e come verranno gestiti? Ci sarà sufficiente capacità amministrativa per spendere efficacemente tali cifre colossali nei prossimi anni? E ancora: quali progetti infrastrutturali avranno la priorità – digitalizzazione, ferrovie, energia verde? Sul fronte difesa, inoltre, destinare più fondi non risolve automaticamente i problemi di approvvigionamento e lentezza burocratica negli appalti militari: serviranno riforme gestionali per far sì che i soldi extra si traducano in equipaggiamenti reali per la Bundeswehr. Il commento su Zeit Online nota poi che, sebbene l’accordo indichi unità di intenti tra CDU e SPD (il che è positivo per la stabilità), restano nodi politici aperti: ad esempio, come reagiranno i liberali della FDP (ora all’opposizione) a questo scardinamento della loro cara Schuldenbremse? E i Länder, dovendo magari cofinanziare progetti, saranno d’accordo? In sostanza, la Zeit saluta la fine dell’austerità come un passo necessario – “finalmente la Germania investe sul serio in difesa e futuro” è l’idea di fondo – ma avverte che il vero lavoro comincia ora. L’implementazione pratica di questa svolta richiederà chiarezza e trasparenza (per evitare sprechi o abusi) e uno stretto coordinamento con gli alleati europei, poiché la mossa tedesca avrà impatto sull’intera UE (ad esempio sul dibattito sul Patto di Stabilità). Conclude Schieritz: l’atteggiamento “whatever it takes” denota una volontà politica forte di proteggere il Paese ad ogni costo, una determinazione che ricorda in positivo la frase di Draghi per salvare l’euro. Ora però bisogna tradurre quella volontà in azioni concrete e ben congegnate, altrimenti si rischia di sprecare un’occasione storica.
Deutsche Post DHL streicht 8000 Stellen
Traduzione: “Deutsche Post DHL taglierà 8000 posti di lavoro”
La notizia finanziaria più rilevante della settimana è la decisione di Deutsche Post DHL di ridurre il proprio organico in Germania di circa 8000 unità nel 2025. Lo riferisce Reuters a commento dei risultati annuali del colosso logistico. Nel 2024 il profitto operativo di DHL è calato del 7,2% rispetto all’anno precedente, spingendo il management a varare un piano di tagli dei costi da oltre 1 miliardo di euro entro il 2027. I tagli di personale – concentrati soprattutto nel settore nazionale pacchi e corrispondenza – avverranno tramite prepensionamenti e mancato rinnovo di contratti a tempo determinato, cercando di evitare licenziamenti diretti. La mossa segue di pochi mesi un annuncio simile del concorrente statunitense UPS, segno che l’intero settore dei corrieri sta affrontando una fase di assestamento post-pandemia. Dopo il boom di volumi legato all’e-commerce durante il Covid, nel 2023-24 si è registrato un rallentamento e l’aumento dei costi (carburanti, personale) ha eroso i margini. I sindacati tedeschi (ver.di) hanno reagito con preoccupazione, chiedendo il coinvolgimento nelle misure per attenuare l’impatto sociale. Dal canto suo, il CEO di Deutsche Post, Tobias Meyer, ha assicurato che la società investirà parallelamente in automazione e nuove tecnologie per migliorare l’efficienza e creare in futuro nuove opportunità. Gli analisti notano che, nonostante il calo, DHL rimane altamente redditizia (utile operativo annuo intorno ai 7 miliardi €) e leader globale; i tagli mirano a mantenere competitività e finanziare innovazioni (come la flotta di furgoni elettrici e magazzini robotizzati). Il governo federale, per voce del ministro del Lavoro Heil, ha espresso rammarico per i posti persi ma fiducia nel fatto che “l’economia robusta della logistica potrà riassorbire la forza lavoro qualificata”. In sintesi, DHL avvia una ristrutturazione significativa per adattarsi al nuovo contesto di mercato, un segnale delle sfide che attendono il settore logistico dopo gli anni di crescita eccezionale.
SAP-Vergütung: Lohn der Börse
Traduzione: “La retribuzione in SAP: il premio della Borsa”
La FAZ riporta i compensi record dell’amministratore delegato di SAP, Christian Klein, che nel 2024 ha guadagnato circa 19 milioni di euro. Gran parte di questa cifra deriva da un bonus pluriennale legato al prezzo azionario: l’ottima performance di SAP in Borsa ha fatto scattare l’assegnazione di azioni e opzioni a favore del CEO, portando il suo stipendio a livelli molto elevati. Klein, 43 anni, alla guida del colosso del software dal 2020, ha beneficiato del successo della strategia cloud di SAP: nell’ultimo anno il titolo è salito di oltre il 30%, grazie a ricavi record nel cloud computing e a margini in ripresa. L’articolo osserva che “il bonus a lungo termine agganciato al corso azionario fa decollare la sua paga”, ma sottolinea anche che molti altri dipendenti SAP ne beneficiano: i piani azionari dell’azienda infatti coinvolgono migliaia di quadri e impiegati chiave, i quali hanno visto crescere il valore delle proprie stock options. Tuttavia, il caso riapre il dibattito sulle retribuzioni dei top manager in Germania. SAP è nota per paghe sostanziose ai vertici, ma 19 milioni superano di gran lunga, ad esempio, lo stipendio del CEO di Volkswagen o Deutsche Bank. Gli azionisti piccoli e grandi in genere accettano tali cifre se correlate ai risultati: e in effetti SAP ha incrementato utili e quotazione, quindi “il mercato premia” il management. Ci sono però critiche dal fronte sindacale e politico: alcuni parlamentari (specie della sinistra) invocano limiti alla differenza tra stipendio più alto e salario medio aziendale. SAP replica che la trasparenza è garantita (i dati sono pubblici) e che la struttura di pagamento è votata dagli azionisti stessi in assemblea. In definitiva, l’articolo definisce gli emolumenti di Klein “il salario della Borsa”: legittimati dai successi di mercato, ma pur sempre cifra che alimenta discussioni sull’equità retributiva nel mondo corporate tedesco.
Elliott & Co.: Attacke der Anleger
Traduzione: “Elliott & Co.: l’attacco degli investitori”
Un articolo della FAZ analizza la crescente pressione che gli investitori attivisti internazionali stanno esercitando sulle grandi aziende tedesche. “Attacke der Anleger” è il titolo che richiama i blitz di fondi come Elliott Management (del finanziere Paul Singer) e altri, che prendono partecipazioni in società quotate per forzarne cambiamenti strategici e migliorare i rendimenti a breve termine. Negli ultimi mesi, diversi CEO in Germania hanno dovuto affrontare richieste aggressive: ad esempio Elliott avrebbe messo nel mirino alcune aziende storiche, spingendo per scorpori o cessioni di divisioni. Si cita il caso di Bayer, dove l’azione di investitori attivisti contribuì l’anno scorso alla sostituzione del CEO e all’annuncio dello spin-off della divisione agricola. Altre situazioni riguardano conglomerati come Thyssenkrupp e Siemens Energy, anch’essi sotto pressione a “creare valore per gli azionisti” con ristrutturazioni radicali. L’articolo spiega che questi fondi usano tattiche spesso spregiudicate: campagne mediatiche, alleanze con investitori istituzionali, e minacce di scalate ostili per ottenere seggi in consiglio di sorveglianza. Fenomeni un tempo rari in Germania (dove prevaleva un capitalismo più “ristretto”) ora si verificano “sempre più spesso – e costano il posto a diversi CEO”. Ciò è dovuto anche alla trasformazione dei mercati: molti conglomerati tedeschi trattano con multipli di Borsa bassi rispetto ai pari internazionali, diventando prede per chi mira a liberare valore latente (ad esempio scorporando le parti più redditizie). Di fronte a questa ondata, alcune aziende stanno adottando contromisure: dialogo proattivo con gli azionisti, rafforzamento delle difese statutarie, piani industriali più focalizzati per anticipare le richieste degli attivisti. In conclusione, la FAZ rileva che la presenza degli investitori attivisti è diventata una realtà del mercato tedesco, simbolo di una finanziarizzazione globale da cui neanche le imprese teutoniche sono immuni. Per i manager tedeschi il messaggio è chiaro: se non migliorate i ritorni, qualcuno lo imporrà dall’esterno.
Siemens Energy beliefert Rolls-Royce für Mini-Atomreaktoren
Traduzione: “Siemens Energy fornirà componenti a Rolls-Royce per mini-reattori nucleari”
La FAZ riporta che Siemens Energy ha siglato un accordo con Rolls-Royce per la fornitura di componenti chiave destinati ai piccoli reattori nucleari modulari (SMR) che la società britannica sta sviluppando. In particolare Siemens Energy, erede del ramo energia di Siemens, fornirà turbine a vapore e sistemi di controllo per questi mini-reattori. “Britannia, Tschechien und Polen treiben derzeit die Entwicklung von sehr kleinen Reaktoren voran”, scrive l’articolo: Regno Unito, Repubblica Ceca e Polonia puntano molto sugli SMR per il futuro energetico. Rolls-Royce SMR, la divisione ad hoc creata dal colosso inglese, mira a costruire reattori modulari da ~470 MW, molto più piccoli e standardizzati di una centrale tradizionale, con l’obiettivo di ridurre costi e tempi di realizzazione. La collaborazione con Siemens Energy garantisce tecnologia tedesca all’avanguardia per la parte di conversione dell’energia termica in elettricità. Ciò può includere turbine basate sul design delle SST-900 (usate in centrali convenzionali) opportunamente adattate agli SMR, e le infrastrutture digitali per la sicurezza e il controllo. L’accordo è significativo anche politicamente: nonostante la Germania abbia abbandonato il nucleare, un’azienda tedesca di prim’ordine partecipa a un progetto nucleare innovativo oltre confine. Questo solleva qualche dibattito: i critici in patria accusano di incoerenza (esportiamo tecnologia nucleare pur avendola bandita internamente), ma Siemens Energy risponde che gli SMR possono contribuire alla decarbonizzazione globale e che l’azienda fornisce componenti, non costruisce reattori in Germania. UK, Polonia e altri vedono gli SMR come integrativi alle rinnovabili per garantire energia stabile e a zero emissioni di CO2. Siemens Energy, dal canto suo, è interessata a diversificare le proprie commesse in un momento difficile (l’azienda ha registrato perdite nel settore turbine gas e eolico). In sintesi, questa partnership evidenzia come la Germania resti un attore tecnologico nel nucleare globale indirettamente, e come i mini-reattori nucleari stiano diventando un business in cui convergono competenze internazionali.
Tecnologia, impresa e innovazione
E-Autos zünden nicht: Eine verfahrene Situation
Le auto elettriche non decollano: una situazione in stallo
Holger Appel, responsabile della sezione Technik & Motor della FAZ, analizza in questo commento la crisi di vendite e di strategia che colpisce l’industria dell’auto elettrica in Germania. Il titolo stesso – “verfahrende Situation” – gioca sul doppio senso di verfahren (incartarsi, trovarsi in un vicolo cieco) e “fahr” (andare): le e-car sono “impantanate”. Appel nota che, al momento, i produttori tedeschi faticano a vendere i loro modelli elettrici: la domanda è sotto le aspettative e per piazzarle devono o sovvenzionarle internamente (vendendole sottocosto e compensando con utili di altri modelli) oppure acquistare crediti CO₂. Questa situazione non è sostenibile a lungo. L’autore individua la causa principale in scelte politiche ed economiche discutibili: l’UE ha imposto obiettivi ambientali molto stringenti (come lo stop ai motori a combustione dal 2035) senza però assicurarsi che la transizione fosse fattibile nei tempi previsti. Il risultato è che “così com’è, la situazione non può restare” . Appel invoca un intervento deciso della nuova coalizione di governo a Bruxelles, “preferibilmente insieme a Francia e Italia”, per rivedere la strategia sulla mobilità elettrica. In pratica, suggerisce di correggere il tiro sulle normative UE: forse allungare i tempi, introdurre flessibilità o incentivi più efficaci. Nel frattempo, bisogna affrontare nodi concreti: l’infrastruttura di ricarica è ancora insufficiente e disomogenea, i costi delle batterie restano alti, e i clienti – specie nelle aree rurali – diffidano per ragioni pratiche (autonomia limitata, tempi di ricarica). La “nuova Bundesregierung”, scrive Appel, avrà le mani piene di lavoro (dalla difesa alla burocrazia, cita una serie di priorità) e dovrà muoversi veloce su tutti i fronti. Ma tra questi fronti c’è certamente la politica industriale dell’auto: l’autore fa capire che il governo non può ignorare il problema, perché l’automotive è spina dorsale dell’economia tedesca. Se le elettriche non decollano, occorre pensare a misure correttive prima che sia troppo tardi (ad esempio incentivi mirati per i consumatori, investimenti nella rete di ricarica, o un rilassamento temporaneo dei limiti emissivi per dare respiro alle case automobilistiche). In conclusione, Appel dipinge il quadro di un settore in difficoltà a causa di scelte politiche idealistiche ma poco realistiche. Serve un approccio più pragmatico: “come la si pensi sull’elettromobilità, così non può funzionare” – e quindi è tempo che Berlino e Bruxelles correggano la rotta per salvare sia il clima sia l’industria .
Open AI bringt Video-KI Sora nach Europa
Traduzione: “OpenAI porta la sua IA video ‘Sora’ in Europa”
La FAZ annuncia che da fine febbraio gli utenti europei possono accedere a “Sora”, la nuova tecnologia di intelligenza artificiale generativa per video sviluppata da OpenAI (la stessa azienda di ChatGPT). Finora Sora era disponibile solo in Nord America per test professionali, ma adesso viene aperta al mercato europeo attraverso il sito sora.com. Sora consente di generare brevi video realistici a partire da semplici comandi di testo, analogamente a come ChatGPT genera testi o DALL-E immagini . Ad esempio, digitando una sceneggiatura sintetica (“un mammut cammina nella neve”), l’IA produce un clip di alcuni secondi che mostra un mammut animato in modo sorprendentemente verosimile. L’articolo ricorda che i primi video creati con Sora un anno fa fecero sensazione online per il loro fotorealismo, pur presentando ancora artefatti se osservati attentamente. OpenAI ha inizialmente limitato l’accesso a pochi esperti e artisti per migliorare il sistema. Ora Sora arriva in Europa con un modello commerciale: è disponibile solo per gli abbonati a ChatGPT Plus e Pro (20$ o 200$ al mese). Gli utenti ChatGPT Plus potranno generare fino a 50 video al mese di 5 secondi in HD720p, mentre con l’abbonamento Pro (200$) si ottiene fino a 500 video mensili, durata 20 secondi, risoluzione 1080p e modalità “relaxed” illimitata (video generati con più calma). Inoltre Sora offre una funzione “Storyboard”: si possono concatenare più clip sulla sua timeline, ottenendo montaggi più lunghi e transizioni fluide definendo l’ultimo frame di un segmento come primo del successivo. La notizia è rilevante anche perché mostra la corsa delle Big Tech sull’AI generativa multimediale: dopo testi e immagini, ora i video. Ciò pone però nuove sfide etiche e legali: la FAZ accenna alla necessità di distinguere questi video sintetici dalla realtà, per evitare deepfake ingannevoli. In ogni caso, l’arrivo di Sora in Europa segna un passo importante: gli utenti europei possono sperimentare in prima persona la potenza di questa IA creativa per video, aprendo scenari inediti per il settore dei media, della pubblicità e dell’intrattenimento.
Energiewende: Die Megabatterien kommen
Traduzione: “Transizione energetica: arrivano le mega-batterie”
Un reportage sul supplemento economico FAZ illustra come in Germania stiano entrando in funzione le prime mega-batterie stazionarie per lo stoccaggio di energia su larga scala. Questi giganteschi accumulatori, con capacità di decine o centinaia di MWh, sono considerati cruciali per la riuscita della Energiewende (transizione energetica) perché compensano l’intermittenza di eolico e solare. L’articolo descrive ad esempio l’impianto di Jemgum in Bassa Sassonia: un sistema di batterie agli ioni di litio con capacità di 50 MWh, integrato in una sottostazione elettrica, che può erogare potenza nelle ore di picco serale utilizzando l’energia immagazzinata durante il giorno dal surplus fotovoltaico. Progetti simili sono in cantiere in Brandeburgo e Baviera, anche con tecnologie diverse: oltre al litio, si stanno testando batterie a flusso redox (vanadio) e batterie al sodio-zolfo, più adatte per stoccaggi stazionari di lunga durata. Secondo il servizio, queste mega-batterie permetteranno di ridurre la dipendenza dai generatori di riserva a gas, abbattendo le emissioni e i costi di bilanciamento della rete. Un dirigente di Tesla Energy (che fornisce i Megapack per alcuni siti) afferma che “la stabilità della rete tedesca nei prossimi anni sarà garantita anche da batterie giganti invisibili al pubblico”. Vengono però evidenziate delle sfide: la fornitura di materie prime critiche (litio, vanadio) e il riciclo a fine vita delle celle, che dev’essere pianificato fin d’ora per evitare problemi ambientali futuri. Il governo sta incentivando questi impianti attraverso aste di capacità e adeguamenti normativi. In conclusione, il pezzo sottolinea che nel giro di 5-10 anni le mega-batterie diventeranno parte integrante del paesaggio energetico tedesco, come lo sono oggi i parchi eolici: un segnale di come la transizione verde non riguardi solo la generazione ma anche l’innovazione nell’accumulo, settore in cui la Germania vuole diventare leader.