Rassegna della stampa tedesca #129
Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
Analisi e commenti
La formulazione di Merz sull’Iran: “Non si parla così di una guerra in cui muoiono innocenti da entrambe le parti”
Merz’ Wortwahl zu Iran: „So redet man nicht über einen Krieg, bei dem auf beiden Seiten unschuldige Menschen sterben“
Il cancelliere Friedrich Merz è finito sotto accusa per aver dichiarato che Israele stava facendo il “lavoro sporco” per l’Occidente nella guerra contro l’Iran. Esponenti dei Verdi e della Linke, e persino del suo partner SPD, hanno giudicato la sua frase insensibile, affermando che un capo di governo non dovrebbe esprimersi in tal modo su un conflitto in cui da entrambe le parti perdono la vita civili innocenti. Anche all’interno della sua coalizione di governo nero-rossa sono emerse critiche per quella che viene vista come una scelta infelice di parole da parte di Merz. Mentre l’ambasciatore israeliano in Germania lo ha difeso, sottolineando la gravità della minaccia iraniana, l’opinione pubblica e parte della stampa hanno ritenuto la dichiarazione poco degna del suo ruolo istituzionale. Merz ha successivamente chiarito di voler esprimere riconoscimento per l’azione di Israele contro il regime di Teheran, ma il dibattito sollevato dalla sua “Drecksarbeit”-Aussage ha evidenziato le delicate implicazioni diplomatiche e morali delle parole di un cancelliere in tempo di guerra.
“Mai più” significa adesso!
Israel und Iran: Nie wieder heißt jetzt!
L’editorialista Henryk M. Broder sulla Welt richiama la comunità internazionale alle proprie responsabilità di fronte al conflitto in Medio Oriente. Secondo Broder, lo slogan storico “mai più” – riferito alla volontà di impedire nuovi genocidi dopo la Shoah – deve tradursi in azione immediata a sostegno di Israele. Egli osserva con sgomento che, mentre il regime iraniano lancia missili su Tel Aviv e Israele combatte per la propria sopravvivenza, in Europa si sono viste manifestazioni non di solidarietà con Israele, bensì a favore di Hamas. Broder denuncia questa “inversione morale”, giudicando ipocrita e pericolosa una parte dell’opinione pubblica occidentale che condanna Israele invece di schierarsi nettamente contro l’aggressione iraniana. A suo avviso, “mai più” non può restare un mantra vuoto del passato, ma dev’essere inteso alla lettera proprio ora, difendendo senza tentennamenti lo Stato ebraico minacciato. L’autore richiama la Germania e l’Europa a trarre le lezioni della storia: di fronte all’antisemitismo islamista di Teheran e dei suoi alleati, occorre agire con decisione e non indulgere in relativismi, perché “Nie wieder ist jetzt” – mai più è adesso.
Con il “Manifesto” la sinistra SPD vuole salvare anche il proprio modello di business: il parassitismo
Mit dem „Manifest“ will die SPD-Linke auch ihr Geschäftsmodell retten: Schnorrertum
In questo commento tagliente, pubblicato sulla Welt, si critica ferocemente il cosiddetto “Manifest” per una politica estera più pacifista promosso dall’ala sinistra della SPD. Secondo l’editorialista, i promotori – ex esponenti di spicco del partito come Schwesig, Stegner e altri – cercano soprattutto di difendere il proprio “modello di business” politico, basato a suo dire sul vivere alle spalle degli alleati e sull’utopia pacifista, definita provocatoriamente “Schnorrertum” (accattonaggio/parassitismo). L’articolo accusa la sinistra socialdemocratica di voler frenare l’aumento delle spese militari tedesche confidando che siano gli altri – in primis gli Stati Uniti – a garantire la sicurezza in Europa. Tale atteggiamento viene bollato come ipocrita e miope: mentre la Germania beneficia del “paracadute” NATO, i firmatari del Manifesto dipingono l’aumento del budget della difesa come un tradimento dei valori pacifisti, rifiutando di riconoscere la realtà delle nuove minacce. Il commentatore parla di “idealismo cieco” misto a egoismo politico, sostenendo che la SPD-Altlinke (la vecchia guardia di sinistra SPD) cerchi con questa mossa di ritagliarsi visibilità e consenso tra gli elettori pacifisti, a costo però di mettere in pericolo la credibilità internazionale della Germania. Il tono è fortemente polemico: il Manifesto viene definito un documento retrogrado, che riflette l’ostinazione di una corrente incapace di accettare la svolta (Zeitenwende) necessaria di fronte all’aggressività della Russia di Putin e alle nuove sfide geopolitiche.
“Profetessa di un delirio secolare”
Prophetin eines säkularen Wahns
La Welt dedica questo commento critico alla figura di Greta Thunberg e al movimento climatico globale, usando toni volutamente provocatori. L’autore descrive la giovane attivista svedese come una “profetessa di un’illusione laica”, sostenendo che attorno a lei si sia creata una sorta di culto quasi religioso. Secondo l’articolo, l’ambientalismo radicale di Greta e dei suoi seguaci assumerebbe i tratti di una fede secolare – con dogmi, prediche apocalittiche e scarso spazio per il dissenso – configurando una visione fanatica e irrazionale delle politiche climatiche. Vengono citati in tono critico i frequenti allarmi lanciati da Thunberg sul destino del pianeta, considerati espressione di un pensiero catastrofista che non ammette repliche. Nel definirla ironicamente “Profetessa di un delirio”, il commentatore insinua che l’ideologia green di Greta sia divenuta una sorta di delirio collettivo, un Wahn appunto, capace di sedurre le masse occidentali in cerca di una nuova religione civile. Il pezzo sottolinea come questa “religione climatica” ignori volontariamente le complessità economiche e tecnologiche della transizione ecologica, preferendo soluzioni semplicistiche e sacrifici purificatori. Pur riconoscendo l’importanza di contrastare il cambiamento climatico, l’autore critica l’approccio di Thunberg come moralista e manicheo, che divide il mondo in colpevoli e vittime senza offrire percorsi pragmatici. In conclusione, l’articolo mette in guardia dal conferire a Greta Thunberg un’infallibilità profetica, invitando a riportare il dibattito sul clima su binari razionali e scientifici, lontano da ogni fanatismo.
“In estasi di miliardi – il riarmo spacca la SPD”
Im Rausch der Milliarden – Aufrüstung spaltet SPD
La taz offre spazio a un acceso dibattito interno alla SPD sul tema del riarmo della Germania, innescato da un “Manifesto” firmato dall’ala sinistra del partito che critica la linea di politica estera e di sicurezza della leadership. Nell’articolo vengono riportate posizioni diametralmente opposte espresse sulle pagine del quotidiano stesso. Da un lato, una commentatrice della taz ha bollato il Manifesto come “una negazione della realtà”, spingendosi a definirlo un “cinico manifesto filo-Putin” che mette in dubbio la politica estera del governo tedesco e della dirigenza SPD. Questa voce molto critica accusa i firmatari (tra cui ex leader come Mützenich e Stegner) di offendere le vittime ucraine e mettere a rischio la sicurezza della Germania e dell’Europa, ignorando la necessità di fermare ad ogni costo l’imperialismo aggressivo di Putin. Dall’altro lato, la taz dà conto delle reazioni indignate di numerosi lettori e di un altro commento del giornale, di segno opposto, intitolato “La critica non è tradimento”. In questa visione alternativa, i promotori del Manifesto vengono difesi come coraggiosi nel richiamare la SPD alle sue tradizioni pacifiste e nel tenere vivo l’ideale della pace in un dibattito oggi dominato dal riarmo. Secondo questi interventi, pur sostenendo l’Ucraina contro l’aggressione russa e rafforzando la difesa, la Germania deve cercare vie di de-escalation e diplomazia per il futuro, poiché affidarsi solo alle armi rischia di alimentare un circolo vizioso. La sezione “Wortwechsel” (botta e risposta) della taz evidenzia dunque come il riarmo da 100 miliardi di euro deciso con la “Zeitenwende” abbia spaccato la SPD, tra una leadership che – offesa dal Manifesto – evita un dibattito di fondo e una base (e alcuni veterani del partito) preoccupata dai costi umani ed economici di una nuova corsa agli armamenti. L’articolo riflette la volontà del giornale di presentare entrambe le prospettive: da un lato il timore che le posizioni pacifiste tradizionali vengano tacciate di disfattismo o addirittura tradimento filorusso, dall’altro la critica verso chi, secondo i sostenitori del riarmo, rifiuta di vedere la realtà di un’Europa più pericolosa e si trincera dietro slogan del passato. In definitiva, la taz mostra come all’interno della SPD “la pace” e “la sicurezza” siano diventate parole in conflitto, specchio di un più ampio dibattito nella società tedesca sulla giusta risposta alla guerra in Ucraina e alle nuove minacce globali.
Politica estera e sicurezza
Accesso alle risorse minerarie: perché la Cina investe nelle ferrovie africane
Zugang zu Bodenschätzen: Warum China in afrikanische Eisenbahnen investiert
La Frankfurter Allgemeine Zeitung analizza la strategia cinese in Africa, evidenziando come Pechino continui a finanziare linee ferroviarie sul continente nonostante una maggiore attenzione ai costi interni. Il motivo di queste ingenti opere infrastrutturali è chiaro: garantire alla Cina l’accesso privilegiato ai ricchi giacimenti di materie prime africane. L’articolo spiega che, pur con risorse finanziarie meno abbondanti rispetto al passato, il governo di Xi Jinping considera queste spese un investimento strategico: costruendo ferrovie e collegando miniere e porti, la Cina assicura il trasporto dei minerali chiave (rame, cobalto, terre rare, ecc.) verso i propri impianti industriali, mettendo un’ipoteca sulle risorse africane. Ciò avviene in diretta competizione con l’Occidente: nel nuovo “grande gioco” in Africa, Pechino sfida l’Europa e gli Stati Uniti offrendo ai Paesi africani infrastrutture in cambio di forniture garantite di materie prime. L’analisi sottolinea come questa politica abbia risvolti geopolitici di rilievo: rafforzando la propria presenza economica (e indirettamente politica) in Africa, la Cina si rende meno vulnerabile alle pressioni occidentali e consolida la propria influenza nel Sud globale. D’altro canto, alcuni progetti ferroviari cinesi, spesso finanziati con prestiti ingenti, sollevano timori sulla sostenibilità del debito per i partner africani e sul rischio di dipendenza dalle logiche di Pechino. La conclusione è che la Cina, pur avendo rallentato alcuni investimenti interni, non rinuncia alla Belt and Road Initiative in Africa, perché il controllo dei corridoi ferroviari è visto come un tassello fondamentale nella competizione per le risorse naturali del XXI secolo.
La Guida Suprema iraniana: ha consolidato il potere con la forza bruta
Irans Oberster Führer: Mit roher Gewalt festigte Khamenei seine Macht
In piena guerra Iran-Israele, la FAZ traccia un profilo dettagliato dell’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran da oltre tre decenni. L’articolo ricorda che da più di 30 anni Khamenei determina il destino della Repubblica Islamica e ne sottolinea il metodo di governo: un potere consolidato attraverso la repressione spietata e la violenza. Il leader iraniano, succeduto a Khomeini nel 1989, ha eliminato o ridimensionato sistematicamente ogni potenziale rivale e ha portato il Paese sull’orlo dell’abisso, soffocando sul nascere qualsiasi istanza riformista. Il pezzo evidenzia come sotto Khamenei l’Iran abbia perseguito una politica estera aggressiva – dal programma nucleare al sostegno di milizie in Medio Oriente – che ora ha provocato una drammatica reazione: Israele e gli Stati Uniti (col presidente Trump) minacciano apertamente di eliminarlo. L’analisi descrive Khamenei come un uomo che, pur anziano (oltre 85 anni), mantiene una presa ferrea sul potere grazie ai Pasdaran e all’apparato di sicurezza, e che ha represso nel sangue proteste popolari (come quelle del 2019 e del 2022). La FAZ sottolinea inoltre l’aspetto ideologico: Khamenei incarna l’ala più oltranzista del clero sciita al potere, predicando l’odio verso Israele e la sfida costante all’Occidente. In conclusione, si evidenzia come la sopravvivenza politica del regime di Khamenei sia ora messa in discussione dalla guerra in corso: con Israele che bombarda obiettivi iraniani e minaccia la leadership a Teheran, e un’economia interna al collasso, la Guida Suprema affronta forse la prova più dura del suo lungo dominio. La domanda implicita è se il potere costruito “con la forza bruta” resisterà ai contraccolpi di questo conflitto senza precedenti.
Guerra in Medio Oriente: Israele si avvia a diventare la potenza regionale dominante
Krieg in Nahost: Israel ist auf dem Weg, die regionale Vormacht zu werden
Dal Tel Aviv, l’inviato speciale della Süddeutsche Zeitung offre un’analisi approfondita sul conflitto in atto tra Israele e Iran e sulle sue implicazioni geopolitiche. L’articolo esordisce notando che l’Iran si trova ora militarmente con le spalle al muro, incalzato dalle conseguenze della propria politica distruttiva. Il regime islamista di Teheran, dopo decenni di retorica aggressiva e interventi destabilizzanti nella regione, deve fronteggiare un attacco diretto e inaspettato: Israele, con i suoi raid aerei sul suolo iraniano, ha aperto un nuovo fronte che mette in crisi la capacità di risposta di Teheran. L’analista sottolinea come l’Iran paghi il prezzo di 45 anni di regime repressivo e inefficiente: la popolazione non ha beneficiato né di libertà né di prosperità, e chi protesta rischia il patibolo – un indice chiaro della natura del sistema. In questo contesto, Israele sta “trionfando” sul suo acerrimo nemico, sfruttando la superiorità tecnologica e l’appoggio (anche se prudente) degli Stati Uniti. Tuttavia, l’articolo avverte che questa situazione porta con sé nuovi pericoli. Con l’annientamento del potenziale nucleare iraniano e il possibile indebolimento del regime degli ayatollah, Israele emergerebbe come incontrastata potenza regionale – un ruolo che Gerusalemme ha cercato a lungo, ma che ora potrebbe diventare realtà. Ciò però potrebbe alimentare ulteriori tensioni: altri attori nell’area (come la Turchia o l’Arabia Saudita) potrebbero vedere con preoccupazione l’egemonia israeliana e cercare di bilanciarla. Inoltre, la posizione dominante di Israele potrebbe spingerla a mosse azzardate, contando su un supporto internazionale che non è scontato nel lungo termine. L’analisi conclude che, se è vero che l’Iran ha sopravvalutato la propria forza (come dimostra il collasso di fronte agli attacchi israeliani), la vittoria strategica di Israele nel conflitto attuale non garantisce automaticamente una pace duratura. La trasformazione degli equilibri di potere in Medio Oriente – con Israele potenza egemone – apre uno scenario inedito, in cui nuovi conflitti latenti potrebbero emergere e la comunità internazionale dovrà ridefinire le proprie alleanze e strategie.
La NATO verso il 3,5% del PIL per la difesa entro il 2032
Nato-Generalsekretär: 3,5 Prozent des BIP für Verteidigung ab 2032
Nel dibattito sulle spese militari degli alleati occidentali emerso durante la guerra in Ucraina e le nuove crisi internazionali, la NATO si appresta a fissare obiettivi di spesa ancora più ambiziosi. Die Zeit riporta che il Segretario generale dell’Alleanza, l’olandese Mark Rutte, ha proposto ai partner di raggiungere entro il 2032 una spesa per la difesa pari ad almeno il 3,5% del PIL. Questa richiesta – che supera di gran lunga il precedente target del 2% fissato per il 2024 – tiene conto delle accresciute esigenze di sicurezza seguite all’invasione russa dell’Ucraina e alla destabilizzazione operata dall’Iran in Medio Oriente. L’articolo spiega che Germania e altri Paesi europei si troverebbero a dover aumentare drasticamente i propri bilanci militari nei prossimi anni per rispettare tale impegno. Attualmente Berlino, pur avendo creato un fondo speciale da 100 miliardi per la Bundeswehr, è ancora lontana dal 3,5% (che per l’economia tedesca equivarrebbe a oltre 150 miliardi di euro l’anno, più del doppio della spesa attuale). La proposta di Rutte ha l’obiettivo di rafforzare la deterrenza della NATO di fronte a minacce molteplici: non solo la Russia in Europa orientale, ma anche la crescente assertività cinese e la sfida iraniana in Medio Oriente. Tuttavia, nell’establishment politico tedesco la questione è controversa. Esponenti come il leader SPD Lars Klingbeil avvertono di non ridurre la discussione a una gara di percentuali, definendo “improduttivo mettersi a contare punti di PIL” e insistendo che la sicurezza si garantisce anche con investimenti in cyberdifesa e resilienza civile. L’articolo evidenzia quindi un delicato equilibrio: da un lato la pressione NATO (sostenuta dagli Stati Uniti di Trump) per un forte riarmo europeo, dall’altro le resistenze interne in Paesi come la Germania dove parte dell’opinione pubblica e della classe politica teme una nuova corsa al riarmo a scapito di altre priorità. La decisione finale potrebbe essere presa al vertice NATO dell’Aia: se il 3,5% venisse accolto come nuovo riferimento, segnerebbe una svolta storica nelle politiche di difesa europee, con la Germania chiamata a un ruolo di primo piano – finanziario e militare – nella sicurezza dell’alleanza atlantica.
L’equilibrismo di Merz prima del G7: come il cancelliere sostiene Israele e al contempo invoca la diplomazia
Merz’ Drahtseilakt vor dem G7-Gipfel: Wie der Kanzler Israel stützt und zugleich Diplomatie fordert
Il Tagesspiegel analizza la delicata posizione assunta dal cancelliere Friedrich Merz in vista del vertice G7 in Canada, a pochi giorni dallo scoppio della guerra aperta tra Israele e Iran. Secondo il reportage, il conflitto in Medio Oriente ha colto di sorpresa il governo tedesco, che ha un’influenza limitata sulle parti in causa. Merz ha cercato fin da subito un difficile equilibrio: sostenere con fermezza il diritto di Israele all’autodifesa e alla sicurezza, ribadendo la Staatsräson tedesca a fianco di Israele, ma allo stesso tempo sollecitare sforzi diplomatici per prevenire un’escalation regionale fuori controllo. Al G7, il cancelliere – in stretto coordinamento con Francia e Regno Unito – ha promosso una linea comune occidentale che coniughi solidarietà verso Israele e pressione internazionale sull’Iran per un cessate il fuoco. Il Tagesspiegel sottolinea come Merz abbia usato toni insolitamente duri verso Teheran (definendo il regime iraniano una minaccia globale e appoggiando nuove sanzioni qualora non fermasse le ostilità), ma parallelamente abbia insistito sulla necessità di canali negoziali aperti con attori come la Turchia e le monarchie del Golfo per evitare un allargamento della guerra. All’interno, Merz deve anche bilanciare posizioni politiche differenti: l’ala più atlantista della CDU e l’opinione pubblica conservatrice gli chiedono di mostrarsi inflessibile verso l’Iran, mentre i partner della SPD (tradizionalmente più dialoganti) lo incalzano a cercare soluzioni negoziate. “Uniti verso l’esterno, critici all’interno” sintetizza il Tagesspiegel: ufficialmente la Germania e gli alleati G7 si mostrano compatti nel difendere Israele, ma dietro le quinte Merz affronta dubbi e critiche su come bilanciare principi e realpolitik. L’articolo evidenzia che al vertice G7 Merz ha ottenuto un successo nel far inserire un riferimento esplicito al diritto di Israele a difendersi, ma ha dovuto accettare anche un appello collettivo alla “massima moderazione” e alla protezione dei civili per mantenere l’unità del gruppo. L’abilità politica di Merz nel procedere su questo filo teso – da qui il termine Drahtseilakt, esercizio sul filo – viene messa alla prova di fronte alla prima grande crisi di politica estera del suo cancellierato. Finora è riuscito a evitare strappi sia con Washington (dalla linea durissima di Trump) sia con Parigi (più aperta al dialogo), ritagliando per la Germania il ruolo di ponte tra posizioni estreme. Resta da vedere se questa postura doppia – sostegno militare a Israele ma freno sulle escalation – reggerà all’evolversi degli eventi nei prossimi giorni.
Questioni militari
Primo Giorno dei Veterani in Germania: come si intende rendere omaggio ai soldati
Erster Veteranentag in Deutschland: Wie Soldaten Anerkennung gezollt werden soll
Per la prima volta la Germania ha celebrato una Giornata nazionale del veterano, tenutasi il 15 giugno in tutto il Paese. La Frankfurter Allgemeine Zeitung spiega che questo Veteranentag è stato istituito dal Bundestag nel 2024 su iniziativa trasversale di SPD e Unione, con l’intento di onorare il servizio e il coraggio di milioni di militari ed ex-militari tedeschi. In oltre cento eventi locali e con una cerimonia centrale di fronte al Reichstag a Berlino, le istituzioni hanno reso omaggio ai soldati, attivi e in congedo, per il loro impegno nella difesa del Paese. Il nuovo giorno commemorativo nasce anche dalla consapevolezza maturata dopo le missioni all’estero (in particolare in Afghanistan) che i veterani spesso non ricevevano sufficiente riconoscimento pubblico. Durante la cerimonia principale, aperta dalla presidente del Bundestag Julia Klöckner, i vertici dello Stato hanno sottolineato che la Bundeswehr fa parte integrante della società e che i suoi membri meritano rispetto e gratitudine. Non sono mancate tuttavia le voci critiche: alcuni commentatori e militanti pacifisti temono che questa celebrazione segni una “eccessiva glorificazione” dell’ambiente militare e possa essere usata per legittimare futuri interventi armati. D’altro canto, l’articolo FAZ riferisce che la maggioranza della stampa e dell’opinione pubblica ha accolto positivamente l’iniziativa, considerandola “un riconoscimento dovuto e forse fin troppo tardivo” ai sacrifici dei soldati tedeschi. Si ricorda infine che la Germania, per motivi storici, non aveva mai avuto una giornata dedicata ai veterani (a differenza di molti altri Paesi): la sua introduzione viene vista come un segnale di normalizzazione e di maturazione del dibattito sul ruolo delle forze armate nella società tedesca del dopoguerra.
“La situazione della sicurezza ce lo impone”: il dibattito sul ripristino della leva obbligatoria
Debatte über Wehrpflicht: „Die sicherheitspolitische Lage fordert es uns ab“
In Germania si è aperto un intenso dibattito sulla possibile reintroduzione di una qualche forma di servizio di leva obbligatorio, a distanza di 12 anni dalla sospensione della leva nel 2011. In un’intervista pubblicata dalla FAZ, Henning Otte (CDU) – deputato e commissario parlamentare per le forze armate – afferma che lo scenario geopolitico attuale rende necessario affrontare subito il tema. Otte sostiene che, alla luce della guerra in Ucraina e delle accresciute tensioni con la Russia, la Germania debba prepararsi a richiamare i giovani sotto le armi: propone di aggiornare entro l’anno la legge sulla Wehrpflicht (coscrizione) in modo da poter eventualmente effettuare nuovamente chiamate alle armi, qualora la situazione lo richieda. Il governo federale, ora guidato da una “grande coalizione” CDU-SPD, è diviso sulla questione. Nel contratto di coalizione, Unione e socialdemocratici hanno concordato di potenziare il servizio militare volontario anziché reintrodurre subito l’obbligo. Il cancelliere Merz e il ministro della Difesa Pistorius (SPD) negli ultimi discorsi hanno però lasciato intendere apertura verso una futura leva obbligatoria, riconoscendo che per far fronte alle minacce odierne la Bundeswehr avrà bisogno di molti più effettivi. I numeri citati sono imponenti: attualmente le forze armate tedesche contano circa 181.000 soldati, ma servirebbero almeno 240.000 militari attivi e 200.000 riservisti entro il 2029 per soddisfare gli obiettivi di difesa fissati dal ministro Pistorius. Julia Klöckner (CDU), presidente del Bundestag, in occasione del Veteranentag ha dichiarato che “se vogliamo essere presi sul serio come alleati, dobbiamo pensare a richiamare i nostri ragazzi”, auspicando un dibattito sia su un servizio universale (militare o civile) sia sulla riattivazione della leva tradizionale. Di parere diverso molti esponenti della SPD: Falko Droßmann, portavoce difesa del gruppo socialdemocratico, ha frenato sottolineando le “chiare intese di coalizione” e sostenendo che la priorità ora è ammodernare caserme e armamenti: “non posso chiamare centinaia di migliaia di giovani se non ho né alloggi né fucili per loro”, ha dichiarato, annunciando un progetto di legge del governo per accelerare costruzioni e acquisti per la Bundeswehr. La discussione è dunque in pieno fermento: i conservatori spingono per predisporre fin da subito il quadro normativo per una leva, mentre i partner di governo della SPD restano cauti e propongono soluzioni alternative (come incentivi per il volontariato e un **“anno di servizio” su base volontaria). Nel frattempo, dall’opposizione, anche la leader dei Verdi e il FDP (che nella scorsa legislatura avevano sostenuto il servizio volontario) si interrogano su un possibile “servizio obbligatorio di nuova concezione”. L’articolo FAZ evidenzia come l’opinione pubblica tedesca sembri essersi spostata a favore di un ritorno della leva, almeno secondo alcuni sondaggi – complice la percezione di insicurezza alimentata dalla guerra in Ucraina – ma un disegno di legge concreto non è ancora sul tavolo. Henning Otte insiste però che bisogna agire ora, “perché non abbiamo più tempo da aspettare”, e che una legge deve essere pronta e costituzionalmente solida entro fine anno, in modo da poter partire con le chiamate nel 2026 se necessario.
Servizio militare: Lars Klingbeil esclude il ritorno alla vecchia leva
Wehrdienst: Lars Klingbeil lehnt Rückkehr zur alten Wehrpflicht ab
La Zeit riporta le dichiarazioni del co-leader SPD Lars Klingbeil, che si è espresso nettamente contro la reintroduzione della leva obbligatoria tradizionale per tutti i giovani tedeschi. “Non ci sarà un ritorno alla vecchia leva che arruolava ogni giovane uomo di una classe d’età”, ha affermato Klingbeil, ribadendo la posizione ufficiale del suo partito. Il dirigente socialdemocratico – oggi ministro delle Finanze nel governo Merz – riconosce però le sfide di organico della Bundeswehr: secondo le nuove direttive NATO, la Germania deve aggiungere tra 50.000 e 60.000 soldati attivi alle sue forze (attualmente circa 181.000 effettivi). Per colmare questo gap, il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) sta preparando un progetto di “nuovo servizio militare”, che dovrebbe attrarre più volontari e potrebbe includere elementi obbligatori qualora i volontari non bastassero. Klingbeil concorda sulla necessità di iniziare subito a creare le condizioni per eventualmente riattivare chiamate obbligatorie: “bisogna predisporre sin d’ora che si possa nuovamente arruolare in modo obbligatorio” – ha detto – pur specificando che questa sarebbe solo un’extrema ratio se i volontari fossero insufficienti. Il capo SPD spinge soprattutto per rendere la carriera militare più attrattiva per i giovani, ad esempio integrando nell’esercito il conseguimento gratuito della patente di guida. Allo stesso tempo, egli invita a non farsi ossessionare da mere percentuali di spesa militare: con il vertice NATO imminente all’Aia, Klingbeil ha avvertito di non ridurre tutto al raggiungimento delle quote di bilancio difesa, definendo “improduttivo” limitarsi a contare punti percentuali. Questo non significa – precisa – che la Germania non debba fare la sua parte: “Dobbiamo proteggere il Paese dalle minacce odierne – dagli attacchi cyber ai droni – in modo rapido ed efficace”, ha dichiarato, sottolineando l’urgenza di potenziare sia la difesa militare sia quella civile. Nel frattempo, dal fronte conservatore, il capo della Cancelleria Thorsten Frei (CDU) incalza per una decisione chiara entro breve: “non possiamo aspettare il giorno di San Mai una volta” (cioè all’infinito), ha detto, chiedendo di stabilire presto se l’aumento degli effettivi avverrà su base volontaria o tramite leva. Questo dibattito, conclude la Zeit, riflette un più ampio riposizionamento della Germania in materia di difesa: dopo decenni di esercito ridotto, la necessità di incrementare rapidamente le forze – per raggiungere ad esempio l’obiettivo di 230.000–240.000 soldati attivi menzionato dal governo – costringe la politica tedesca a considerare anche misure un tempo impensabili. Per ora la SPD dice no alla leva generalizzata e punta su incentivi e Wehrdienst riformato, ma la porta a un obbligo circoscritto resta socchiusa se le adesioni volontarie non decollassero.
“Preparativi di guerra”: perché l’AfD tentenna sulla leva obbligatoria
Kriegstüchtigkeit: Warum die AfD mit der Wehrpflicht hadert
Mentre CDU/CSU e parte della SPD discutono del possibile ripristino della coscrizione, il partito nazional-populista AfD appare sorprendentemente esitante sul tema. Un’analisi pubblicata dalla FAZ osserva che, in teoria, la destra radicale avrebbe potuto cavalcare la questione leva per mettere in difficoltà il governo, accusandolo di impreparazione sul piano della difesa. Invece l’AfD finora ha esitato e si è divisa internamente sull’argomento. Alcuni suoi esponenti, specie dell’ala più tradizionalista e filomilitare, sarebbero favorevoli al ritorno della leva (anche come strumento di coesione nazionale); tuttavia, altri – vicini alle posizioni “libertarie” del partito – temono che un obbligo generalizzato di servizio possa alienare una parte dei giovani elettori e venga percepito come un’ingerenza dello Stato. L’articolo riferisce che questa incertezza sta rendendo impazienti alcuni membri AfD, i quali vorrebbero sfruttare l’argomento per mettere pressione al governo Merz. Finora però la leadership AfD non ha preso una posizione netta: ufficialmente critica il governo per i buchi negli organici della Bundeswehr, ma evita di chiedere esplicitamente la leva, preferendo parlare di rafforzamento dell’esercito professionale. Le ragioni di questo tentennamento, spiega la FAZ, risiedono anche nell’identità contraddittoria del partito: da un lato l’AfD vuole presentarsi come la vera forza a favore della sicurezza e dell’ordine (e dunque potrebbe essere pro-conscrizione), dall’altro mantiene un elettorato variegato, che include frange giovanili “anti-sistema” poco inclini alla disciplina militare imposta. Inoltre, l’AfD cavalca spesso temi di protesta contro l’establishment: se la Große Koalition dovesse proporre la leva, è probabile che l’AfD per calcolo si opponga, anche solo per contraddire il governo. In sintesi, l’articolo conclude che l’AfD sta mancando l’occasione di dettare l’agenda su un tema potenzialmente popolare, impantanata nelle proprie contraddizioni. Ciò dimostra i limiti del partito nell’evolvere da forza di mera opposizione a partito capace di articolare un coerente programma di governo in materia di difesa e politica estera.
Ex-generale sul Giorno dei Veterani: “Per me personalmente non può guarire nulla”
General a.D. über den Veteranentag: „Für mich persönlich kann er nichts heilen“
In un’intervista al Tagesspiegel, un ex generale della Bundeswehr (oggi in congedo) esprime un punto di vista scettico sul neonato Giorno dei Veterani. “Per me, a livello personale, questa giornata non può guarire nulla”, afferma il generale, alludendo alle ferite fisiche e soprattutto psicologiche che molti reduci si portano dentro. Mentre la politica celebra con enfasi il Veteranentag come segnale di riconciliazione tra società civile ed esercito, il militare in pensione sottolinea che le sofferenze dei soldati tornati dalle missioni non spariranno grazie a una festività annuale. Nell’intervista, il generale riconosce l’importanza simbolica di dedicare un giorno ai veterani – un riconoscimento che in Germania era mancato – ma invita a non considerarlo un punto di arrivo. Molti ex soldati che hanno servito in Afghanistan, nei Balcani o altrove convivono con traumi, stress post-traumatico, problemi di reinserimento nella vita civile, ricorda. Alcuni di loro si sono sentiti dimenticati o poco compresi al ritorno in patria. Un giorno di festa e qualche discorso ufficiale non bastano a risolvere questi problemi, che richiedono invece investimenti seri in assistenza psicologica, programmi di supporto alla carriera post-militare e maggiore sensibilità nell’opinione pubblica. L’ex generale racconta di commilitoni caduti in depressione o finiti ai margini, e ammette che lui stesso ha affrontato momenti difficili dopo il rientro dalle missioni all’estero. “Il Veteranentag può essere un segnale di rispetto”, concede, “ma non cura le cicatrici interiori”. Dal suo punto di vista, l’iniziativa avrà valore solo se accompagnata da misure concrete: ad esempio semplificare l’accesso alle terapie per i reduci, migliorare le procedure di riconoscimento delle invalidità di servizio, e coltivare nella società una cultura sincera della riconoscenza, che duri tutto l’anno e non solo un giorno. L’intervista offre così un contrappunto critico alla retorica celebrativa: il Veteranentag viene accolto con moderato favore, ma resta l’interrogativo se la politica farà seguire i fatti ai simboli, affinché i veterani tedeschi si sentano davvero compresi e sostenuti nel loro percorso di ritorno alla vita civile.
Politica interna e questioni sociali
Dobrindt cerca sostegno per la sua linea sulla migrazione: uniti verso l’esterno, critiche all’interno
„Einig nach außen, kritisch nach innen“: Dobrindt sucht Rückendeckung für seinen Migrationskurs
Il nuovo ministro dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU), insediatosi da poche settimane, ha tenuto la sua prima conferenza con i colleghi dei Länder (Stati federati) a Brema, dedicata all’emergenza migratoria. Pubblicamente, Dobrindt ha definito la riunione “intensa e proficua”, rivendicando un ampio sostegno dai governi regionali alla sua linea di maggior rigore sui flussi migratori. In particolare, il ministro sostiene di aver incassato “un largo consenso” sull’esigenza di ridurre l’immigrazione irregolare e di accelerare le espulsioni dei richiedenti asilo respinti. Tuttavia, il Tagesspiegel rivela che dietro le quinte permangono divergenze significative: diversi Laender governati dalla SPD e dai Verdi hanno espresso riserve sulle misure proposte da Dobrindt – ad esempio l’ipotesi di trattenere più a lungo nei centri di frontiera i migranti in attesa di rimpatrio o di introdurre tetti massimi annuali agli ingressi. Il titolo dell’articolo riassume la situazione: “Uniti verso l’esterno, critici all’interno”. Formalmente tutti i partecipanti si sono detti concordi sulla necessità di soluzioni comuni a livello federale, ma in privato alcuni esponenti hanno criticato Dobrindt per aver irrigidito la posizione di Berlino senza consultazione preventiva, alimentando tensioni con Paesi di primo ingresso come l’Italia e la Polonia. Il ministro, dal canto suo, è determinato a ottenere risultati rapidi per rispondere alle preoccupazioni dell’elettorato conservatore e contenere l’avanzata dell’AfD sul tema migranti. Al termine dell’incontro, Dobrindt ha annunciato un piano in 5 punti, tra cui: accordi bilaterali con Stati di origine per aumentare i rimpatri, intensificazione dei controlli alle frontiere interne (in particolare con Polonia e Cechia) e maggiori fondi federali ai comuni per l’accoglienza. Queste mosse rassicurano l’ala CDU/CSU, ma SPD e Verdi chiedono parallelamente un nuovo Patto europeo sull’asilo e misure di integrazione per chi ha chance di restare. L’articolo nota che la partita politica sulla migrazione è complessa: Dobrindt ha bisogno di mostrarsi inflessibile – anche per differenziarsi dalla precedente ministra Faeser (SPD) – ma non può ignorare le critiche dei partner di coalizione e dei governi locali, pena spaccare il “fronte interno”. Nei prossimi mesi sarà cruciale vedere se otterrà davvero Rückendeckung (copertura, sostegno) oppure se le divergenze riemergeranno apertamente.
Klöckner lamenta la gara di AfD e Linke ai richiami disciplinari
„Sollte nicht als Auszeichnung verstanden werden“: Klöckner beklagt Wettlauf der AfD und Linkspartei um Ordnungsrufe
Julia Klöckner (CDU), presidente del Bundestag da inizio anno, ha rivolto un duro monito ai deputati, denunciando che l’aula parlamentare viene sempre più spesso usata come palcoscenico per provocazioni destinate ai social media. In particolare, Klöckner ha osservato con preoccupazione una sorta di “gara” tra esponenti dell’AfD e della Linke a chi si fa espellere o ammonire per primo in ogni seduta, trasformando i richiami formali (Ordnungsrufe) in una medaglia da esibire. “Non dovrebbe essere motivo di vanto o un distintivo d’onore ricevere un richiamo in Aula”, ha dichiarato. Il Tagesspiegel riporta che dall’inizio della legislatura Klöckner ha già dovuto espellere vari deputati per comportamento oltraggioso, in particolare durante i dibattiti più accesi su politica estera e interna. AfD e Linke – agli antipodi sullo spettro politico, ma accomunate dall’opposizione radicale – sembrano competere in retorica estrema e insulti al governo, sapendo che brevi video delle loro intemperanze diventeranno virali tra i rispettivi sostenitori online. Klöckner, che come presidente dovrebbe garantire l’ordine e il decoro, richiama tutti al rispetto: “Il Bundestag non deve essere degradato a teatro di scene da social media”, ha ammonito. Dietro le quinte, riferisce l’articolo, c’è frustrazione tra i gruppi parlamentari tradizionali (CDU/CSU, SPD, Verdi, FDP) per queste tattiche di sabotaggio del dibattito. La Linke, ridotta a un piccolo gruppo, spesso inscena proteste plateali per guadagnare visibilità; l’AfD, forte di sondaggi in crescita, sfrutta ogni polemica per alimentare la sua narrazione anti-sistema. Klöckner sta valutando di irrigidire ulteriormente il regolamento: sanzioni pecuniarie più elevate e sospensioni prolungate per i recidivi. Ma sa che ogni punizione viene immediatamente sfruttata politicamente dagli interessati che si dipingono come martiri della libertà di parola. L’articolo conclude sottolineando il difficile equilibrio per la presidente del Parlamento: difendere la dignità dell’istituzione senza alimentare il vittimismo degli estremisti. La sua speranza dichiarata è che isolando gli elementi più turbolenti e appellandosi al senso di responsabilità della maggioranza dei deputati, il Bundestag torni a essere percepito come luogo di confronto civile e non arena di insulti da videoclip.
Ragion di Stato contro populismo: la difficile acrobazia di Kretschmer nella lotta all’AfD
Staatsräson trifft Populismus – Kretschmers Gratwanderung im Anti-AfD-Kampf
Il quotidiano Die Welt esamina la complessa posizione del ministro-presidente della Sassonia, Michael Kretschmer (CDU), di fronte all’ascesa dell’AfD nella sua regione. La Sassonia – che andrà al voto regionale nel 2025 – è uno dei Länder dove l’AfD è più forte nei sondaggi, puntando a diventare primo partito. Kretschmer si trova quindi su un terreno scivoloso (Gratwanderung): da un lato, in quanto capo di governo locale e membro della CDU, deve ribadire la Staatsräson democratica, cioè l’impegno a isolare l’AfD considerata estremista e incompatibile con i valori costituzionali. Dall’altro, Kretschmer è consapevole che molti elettori sassoni sono attratti dalla retorica populista e anti-sistema dell’AfD, specie su temi come immigrazione, energia e rapporti con la Russia. L’articolo della Welt sottolinea come Kretschmer abbia adottato una linea ambivalente: in pubblico condanna fermamente ogni ipotesi di collaborazione con l’AfD (definendo il partito “nemico della Sassonia prospera e aperta”), e di recente ha promosso iniziative di “democrazia dialogica” nei paesi per recuperare la fiducia dei cittadini scontenti. Tuttavia, su alcuni temi Kretschmer ha sposato posizioni insolitamente vicine al sentire dell’elettorato AfD, ad esempio criticando le sanzioni alla Russia per il loro impatto sull’industria locale o chiedendo di rallentare l’uscita dal carbone per proteggere i posti di lavoro. Questa “doppia strategia” – di qui il sottotitolo Staatsräson trifft Populismus (la ragion di Stato incontra il populismo) – è rischiosa. La Welt osserva che Kretschmer viene attaccato sia da sinistra sia da destra: i Verdi e la SPD lo accusano di strizzare l’occhio ai populisti normalizzando alcune narrazioni dell’AfD, mentre l’AfD lo dipinge comunque come parte dell’“establishment di Berlino” e non arretra di un passo nei suoi confronti. In pratica, Kretschmer sta cercando di arginare l’AfD rubandole alcuni temi, senza però legittimarla politicamente. Ad esempio, ha istituito una commissione regionale per esaminare le lamentele dei cittadini sulle politiche climatiche ed energetiche decise a Berlino, ammettendo indirettamente che “certe cose sono state fatte male”. Questa tattica, secondo l’analisi, può confondere l’elettorato: il rischio è scontentare i moderati senza riuscire a recuperare chi è già passato all’AfD. Kretschmer insiste che l’obiettivo è “riconquistare la fiducia con la buona governance e l’ascolto attivo”, ma con le elezioni alle porte la sua CDU in Sassonia è data in forte calo. In conclusione, l’articolo evidenzia come la Sassonia sia un laboratorio politico per la Germania orientale: la sfida di Kretschmer – tenere insieme fermezza istituzionale e comprensione per le paure popolari – rappresenta la prova più difficile per la CDU locale. Il risultato elettorale del 2025 dirà se questa Gratwanderung avrà avuto successo o se l’AfD trionferà, mettendo fine a 30 anni di governo democristiano nel Land.
“Obiettivo molto ambizioso” – la ministra dell’Edilizia vuole dimezzare i costi di costruzione
„Sehr ambitioniertes Ziel“ – Bauministerin will Baukosten halbieren
La neo-nominata ministra federale dell’Edilizia Verena Hubertz (SPD) ha annunciato un piano straordinario per affrontare la crisi immobiliare in Germania: dimezzare i costi di costruzione nel medio termine. In un’intervista riportata dalla Welt, Hubertz ammette che “è un obiettivo estremamente ambizioso”, ma sostiene che solo un drastico abbattimento dei costi potrà rilanciare l’edilizia residenziale e raggiungere il target governativo di 400.000 nuove abitazioni all’anno. La ministra punta il dito contro burocrazia, normative troppo stringenti e aumento dei prezzi delle materie prime come cause principali dell’impennata dei costi. Tra le misure allo studio vi sono: snellimento delle procedure autorizzative, standard edilizi più flessibili (ad esempio rivedere alcuni requisiti energetici e antisismici per ridurre le spese), incentivi fiscali e sussidi mirati all’innovazione nel settore delle costruzioni (prefabbricazione modulare, digitalizzazione dei cantieri). Hubertz sottolinea anche la necessità di aumentare la produttività nell’edilizia, un settore dove in Germania i metodi costruttivi sono rimasti molto tradizionali: incoraggerà l’industrializzazione e l’uso di nuovi materiali più economici e sostenibili. Il contesto è urgente: i tassi d’interesse alti e i costi record hanno portato a un crollo dei nuovi cantieri (-27% di permessi nell’ultimo anno), aggravando la carenza di alloggi specialmente nelle città. Molti esperti ritengono irrealistico dimezzare i costi senza compromettere la qualità, e infatti le parole di Hubertz hanno suscitato scetticismo nell’opposizione: la CDU le ha definite “promesse vuote”, ricordando che il governo Scholz non è riuscito a centrare i suoi obiettivi abitativi. Tuttavia, il fatto che la ministra metta pubblicamente un traguardo così ambizioso indica una volontà politica di rompere gli indugi: “Nulla è tabù, dobbiamo pensare in grande” ha dichiarato, facendo appello a tutti gli attori – Stato, Länder, comuni, imprese edili e banche – perché collaborino. Se anche solo parzialmente realizzato, l’abbattimento dei costi potrebbe rendere di nuovo fattibili molti progetti oggi congelati e alleviare la tensione su affitti e prezzi delle case. In definitiva, Hubertz scommette la sua credibilità su questa sfida: ridare ossigeno all’edilizia tedesca abbassando i costi come mai prima. Il percorso si annuncia difficile, ma la ministra insiste che “ambitioniert” non significa impossibile.
“Non ho nulla da nascondere” – Spahn chiede di pubblicare il rapporto sulle mascherine
„Ich habe nichts zu verbergen“ – Spahn plädiert für Veröffentlichung von Masken-Bericht
L’ex ministro della Salute Jens Spahn (CDU) è tornato alla ribalta chiedendo trasparenza sull’operato del governo durante la pandemia. In particolare, Spahn ha dichiarato di voler rendere pubblico il rapporto completo sulle forniture di mascherine acquistate nel 2020, affermando di “non avere nulla da nascondere” riguardo a quelle operazioni. Il riferimento è a un audit interno del Ministero della Salute – ora guidato dalla democristiana Nina Warken – che avrebbe fatto luce su sprechi e irregolarità negli acquisti di mascherine protettive all’inizio della crisi COVID. Durante la prima ondata, sotto la gestione di Spahn, la Germania spese miliardi in mascherine, alcune delle quali poi risultate difettose o pagate a prezzi gonfiati. La pubblicazione del Masken-Bericht era stata finora bloccata per ragioni legali e di riservatezza, ma Spahn ora spinge affinché venga diffuso, sostenendo che i cittadini hanno il diritto di sapere come sono stati spesi i loro soldi e che una trasparenza totale fugherebbe ogni sospetto di cattiva condotta da parte sua. L’opposizione (SPD e Verdi), che era al governo all’epoca ma in altri ministeri, guarda con interesse a questa apertura, pronta a capitalizzare politicamente su eventuali errori di Spahn (oggi capogruppo CDU). Alcune anticipazioni di stampa suggeriscono che il rapporto evidenzi procedure d’urgenza poco trasparenti: ordini diretti senza gara a intermediari, milioni di mascherine mai utilizzate e poi smaltite, forniture pagate anticipatamente e non consegnate. Spahn, nel ribadire la buona fede del suo operato – “agimmo in una situazione eccezionale, privilegiando la rapidità” – sembra voler sfidare i successori a sollevare il velo su quell’episodio controverso. La sua insistenza nel dire “non ho nulla da nascondere” potrebbe essere letta anche come mossa tattica per anticipare possibili accuse e presentarsi come paladino della trasparenza. Dal canto suo, l’attuale ministra Warken ha fatto sapere di essere favorevole alla pubblicazione di una sintesi del rapporto, compatibilmente con le norme. In sintesi, si profila un confronto in Parlamento: la vicenda delle mascherine, emblematico scandalo minore della pandemia, torna d’attualità come terreno di scontro politico tra maggioranza e opposizione, con Spahn pronto a giocare all’attacco per ripulire la propria immagine e magari mettere in difficoltà gli avversari.
Questioni economiche e finanziarie
Indagine sui sussidi: il fiasco Northvolt
Untersuchung zu Subventionen: Das Northvolt-Debakel
La Corte dei Conti federale ha reso noti i risultati di un’indagine sulle massicce sovvenzioni pubbliche concesse al progetto Northvolt, il gigante svedese delle batterie che avrebbe dovuto costruire una mega-fabbrica in Germania. Secondo la FAZ, i revisori hanno concluso che il Ministero dell’Economia – all’epoca guidato da Robert Habeck (Verdi) – ha agito “per lo più secondo il principio della speranza” nel promettere aiuti a fondo perduto per centinaia di milioni a Northvolt. Tale approccio eccessivamente ottimistico, privo di solide garanzie, viene bollato come “Debakel” (fiasco) ora che l’investimento risulta fortemente ridimensionato e in forse. Il rapporto rivela che il governo tedesco ha impegnato circa 500 milioni di euro per attirare l’azienda a costruire uno stabilimento di batterie in Bassa Sassonia, confidando nelle prospettive di creazione di migliaia di posti di lavoro verdi. Tuttavia, l’aumento dei costi energetici e la concorrenza degli incentivi USA (Inflation Reduction Act) hanno portato Northvolt a sospendere il progetto tedesco e privilegiare un impianto negli Stati Uniti, lasciando Berlino in imbarazzo. La FAZ riferisce che per la Corte dei Conti questa vicenda evidenzia carenze nella gestione dei sussidi industriali: il ministero avrebbe dovuto vincolare di più gli aiuti al raggiungimento di risultati concreti, invece di sperare che l’azienda mantenesse gli impegni. Il ministro Habeck, da parte sua, si difende affermando che “in una corsa globale ai nuovi investimenti, bisognava rischiare”, e che senza quell’offerta la Germania non avrebbe avuto neppure una chance. Ma l’articolo nota che ora l’opposizione (CDU/CSU) attacca frontalmente il governo Scholz: il portavoce economico della CDU parla di “fallimento su tutta la linea” e chiede di riesaminare l’intera strategia di elargizione di sussidi. Sullo sfondo c’è preoccupazione per altri progetti analoghi – ad esempio le fabbriche di chip Intel e TSMC – che hanno ottenuto decine di miliardi di aiuti: il rischio di replicare il “Northvolt-Debakel” altrove allarma l’opinione pubblica. Il pezzo conclude che questo caso farà scuola nei rapporti Stato-imprese: d’ora in poi Berlino dovrà essere più prudente e condizionare i finanziamenti pubblici a clausole di garanzia, per evitare di “sovvenzionare cattedrali nel deserto” poi abbandonate. Nel frattempo, la regione interessata dal progetto Northvolt – che già pregustava un rinascimento industriale – resta con un pugno di mosche, esempio doloroso di promesse economiche andate in fumo nonostante la pioggia di denaro pubblico.
Decisione della Fed: la banca centrale USA lascia invariati i tassi
FED-Entscheid: US-Notenbank lässt Leitzinsen stabil
Dopo una sequenza di rialzi che aveva portato il costo del denaro ai massimi da 15 anni, la Federal Reserve ha deciso, nella riunione di metà giugno, di mantenere invariato il tasso d’interesse di riferimento nell’intervallo 4,25%–4,50%. Lo riferisce la FAZ, sottolineando che la scelta di pausa nel ciclo restrittivo era ampiamente attesa dai mercati, dato che l’inflazione USA mostra segnali di rallentamento. Il presidente Jerome Powell ha spiegato che la Fed intende prendersi il tempo di valutare gli effetti cumulativi delle strette precedenti sull’economia reale. Non si tratta necessariamente di fine dei rialzi: la banca centrale ha lasciato intendere di essere pronta a intervenire di nuovo se l’inflazione dovesse restare oltre l’obiettivo del 2%. La decisione tuttavia non è stata unanime: alcuni membri del FOMC avrebbero preferito un altro piccolo aumento per “stare sul sicuro”. Sullo sfondo, la FAZ evidenzia uno scontro a distanza tra la Fed e la Casa Bianca: il presidente Donald Trump, infatti, negli ultimi tempi ha criticato aspramente Powell accusandolo di tenere i tassi “troppo alti” e di ostacolare la crescita. La Fed – formalmente indipendente – ha ignorato le pressioni politiche, ma la pausa attuale viene anche interpretata come un segnale di cautela in vista di potenziali turbolenze geopolitiche (con la guerra in Medio Oriente in corso). I mercati azionari hanno reagito positivamente, vedendo confermata la prospettiva di un graduale allentamento monetario entro fine anno se l’inflazione continuerà a calare. Gli analisti citati notano come la Fed stia tentando un “soft landing” per l’economia USA: frenare l’inflazione senza causare recessione. Finora i dati su occupazione e consumi tengono, ma resta da vedere se l’inasprimento passato dei tassi (passati da quasi zero a oltre 4% in poco più di un anno) non manifesterà effetti ritardati. Per ora, il dollaro è rimasto stabile e Wall Street ha accolto con un moderato ottimismo la notizia di questa prima pausa: segno che la Fed ritiene di essere sulla strada giusta e che l’inflazione, pur ancora sopra il target, sta finalmente tornando sotto controllo.
Nonostante la differenza di reddito, le donne affrontano l’inflazione meglio degli uomini
Trotz Gehaltsunterschieds: Frauen bewältigen Inflation besser als Männer
Uno studio diffuso dall’Ifo Institut di Monaco ha analizzato l’impatto dell’inflazione sui bilanci familiari in Germania, con risultati sorprendenti in ottica di genere. Come riporta la FAZ, le donne riescono mediamente a gestire l’aumento dei prezzi meglio degli uomini, anche se in media guadagnano di meno. L’analisi spiega che l’inflazione dell’ultimo anno (seppur in calo dal picco dell’11% del 2022) si è fatta sentire soprattutto nei beni di consumo quotidiano come alimentari ed energia, e questi rincari pesano in modo diverso sui comportamenti di spesa dei due sessi. Le donne, tradizionalmente, gestiscono una quota maggiore degli acquisti alimentari e domestici: di fronte ai prezzi in crescita, secondo lo studio, hanno adottato più rapidamente strategie di adattamento – ad esempio scegliendo prodotti in offerta, marchi discount o riducendo gli sprechi – riuscendo così a contenere l’impatto sul budget familiare. Gli uomini, invece, tendono a mantenere più a lungo abitudini di consumo stabili (per es. per carburante, tempo libero, elettronica) e hanno sofferto relativamente di più la perdita di potere d’acquisto. Il dato risalta ancor di più considerando che il reddito medio femminile è inferiore (persistono gap salariali attorno al 18% in Germania): una busta paga più alta non garantisce automaticamente una migliore tenuta di fronte all’inflazione, nota la FAZ citando lo studio. Altri fattori considerati sono che le donne – soprattutto se madri – fanno più attenzione alle spese per necessità, mentre gli uomini sarebbero mediamente più inclini a mantenere spese voluttuarie tagliando magari tardi quelle superflue. Lo studio invita comunque a interpretare i risultati con cautela: non si tratta di una “gara” tra sessi, piuttosto di evidenziare come politiche mirate (voucher, sconti mirati sui beni primari) possano alleviare l’onere per chi gestisce la spesa quotidiana, spesso le donne. Inoltre, si rileva che le famiglie monoreddito femminili (madri single) restano tra le più vulnerabili all’inflazione nonostante la capacità di adattamento, perché dispongono di minori risorse. In definitiva, l’Ifo suggerisce al governo di tenere conto di queste differenze di comportamento nella messa a punto di misure anti-inflazione: ad esempio potenziando l’educazione finanziaria al risparmio o modulando gli aiuti considerando le dinamiche intra-familiari di spesa. L’articolo FAZ conclude che, sebbene l’inflazione stia lentamente scendendo (attorno al 4% a metà 2025), resta cruciale capire come diversi gruppi sociali la affrontano per intervenire in modo più mirato e equo.
Gruppo German Property: carcere per il fondatore – ma di 800 milioni nessuna traccia
German Property Group: Haft für GPG-Gründer – doch von 800 Millionen Euro fehlt jede Spur
Si è concluso con una condanna il processo per il colossale scandalo finanziario che ha coinvolto la German Property Group (GPG), società immobiliare tedesca dichiarata fallita nel 2020. Come riferisce la FAZ, il fondatore e amministratore di GPG, Charles Smethurst, è stato giudicato colpevole di frode e condannato a una pena detentiva (parecchi anni di carcere). Smethurst, durante il breve dibattimento, ha ammesso le proprie responsabilità e si è detto pentito, il che ha contribuito a evitare un processo lungo. Tuttavia, scrive la FAZ, dei circa 800 milioni di euro sottratti a migliaia di investitori internazionali non è stata recuperata quasi alcuna traccia. La vicenda GPG – definita dai media “uno schema Ponzi immobiliare” – ha visto la società promettere ai risparmiatori rendimenti elevati tramite la ristrutturazione di immobili di pregio (soprattutto ex edifici storici) in Germania. In realtà, gran parte del denaro raccolto è sparito in operazioni opache all’estero e in spese personali. Il crollo di GPG ha colpito oltre 1800 investitori, dalla Germania ma anche da Asia e Nord America, attirati dall’allettante prospettiva di investire nel mercato immobiliare tedesco. Il tribunale, pur punendo il responsabile principale, ha dovuto constatare l’impossibilità di risarcire i truffati, poiché i fondi sono stati dirottati in una rete intricata di società offshore e conti in paradisi fiscali. Alcuni co-indagati – consulenti e intermediari – risultano irreperibili o sotto inchiesta altrove. Il caso ha messo in luce falle nei controlli: per anni GPG ha continuato a raccogliere denaro nonostante segnali d’allarme. Ora la BaFin (Consob tedesca) e il legislatore stanno valutando norme più stringenti per la vigilanza su società immobiliari non quotate e più trasparenza nella vendita di prodotti d’investimento ad alto rischio. Il giornale riferisce anche la delusione e la rabbia delle vittime presenti in aula: “Smethurst finirà in cella, ma noi abbiamo perso tutto”, ha commentato uno di loro. Molti sono pensionati o famiglie che avevano investito i risparmi di una vita. Nonostante la condanna esemplare, il GPG-Debakel resta dunque un monito amaro: recuperare i proventi di frodi sofisticate è spesso impossibile, e chi cade in queste trappole difficilmente rivede i propri soldi. L’unica consolazione è che la vicenda ha fatto scattare campanelli d’allarme nel settore, spingendo le autorità a intensificare gli sforzi per prevenire future truffe su scala simile.
Nuovi dazi USA all’orizzonte: le imprese tedesche temono costi e incertezze legali
Wie wirken sich die US-Zölle auf internationale Lieferverträge aus? (Deutscher AnwaltSpiegel, FAZ+)
La FAZ avverte che si sta profilando un nuovo conflitto commerciale transatlantico: l’amministrazione Trump, in un’ottica di protezionismo, starebbe preparando ulteriori dazi punitivi su prodotti europei, colpendo potenzialmente settori chiave dell’export tedesco. Le aziende esportatrici tedesche – dalle case automobilistiche ai produttori di macchinari – avvertono una crescente pressione e iniziano a valutare contromisure. L’articolo, rivolto anche ai professionisti legali (Deutscher AnwaltSpiegel), analizza in particolare le implicazioni contrattuali e giuridiche di nuovi dazi: molte forniture internazionali sono regolate da contratti di lungo periodo che non prevedevano tariffe doganali così elevate. Ora le imprese si trovano di fronte a decisioni difficili: assorbire i costi aggiuntivi per non perdere il cliente americano (erodendo i margini), oppure rinegoziare/recidere i contratti invocando cause di forza maggiore o clausole di hardship. Entrambe le opzioni comportano rischi: la prima può mettere in crisi la redditività, la seconda espone a battaglie legali data l’incertezza giuridica su come i dazi straordinari vengano inquadrati nei contratti. Nel frattempo, il governo tedesco e la Commissione UE cercano di disinnescare il conflitto via negoziato, valutando eventualmente controdazi se Washington proseguirà. Ma il clima è teso: Trump, galvanizzato dalla linea dura anche in campagna elettorale, minaccia dazi su auto europee e altri beni per costringere la UE a rivedere accordi commerciali “sbilanciati”. La FAZ riporta che molte imprese hanno già iniziato a diversificare le catene di fornitura, spostando parte della produzione verso gli Stati Uniti o paesi terzi per evitare tariffe. Altre si rivolgono a studi legali specializzati per preparare eventuali arbitrati internazionali. In conclusione, l’articolo sottolinea che il nuovo protezionismo USA sta già avendo un effetto raggelante sul commercio: l’incertezza normativa e il timore di costi doganali imprevedibili inducono le aziende a rimandare investimenti e ordini. Se il conflitto si materializzerà, potrebbe frenare la ripresa economica europea. Viceversa, una soluzione diplomatica (magari nell’ambito di un più ampio accordo commerciale USA-UE) scongiurerebbe il peggio. Al momento, però, le aziende tedesche devono prepararsi al peggio sul fronte dei dazi, e chi opera con gli USA farebbe bene – conclude la FAZ – a controllare i propri contratti e dotarsi di clausole di salvaguardia per navigare in queste acque incerte.
Tecnologia, impresa e innovazione
Mark Zuckerberg offre: 100 milioni di dollari l’anno per i talenti dell’AI
Mark Zuckerberg bietet: 100 Millionen Dollar Jahresgehalt für KI-Toptalente
La FAZ riporta un’indiscrezione clamorosa dal mondo tech: Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook (Meta), sta offrendo stipendi fino a 100 milioni di dollari annui per assumere i migliori esperti di intelligenza artificiale. Questa cifra stratosferica, mai vista prima nel settore, fa parte della strategia di Meta per creare un nuovo team d’élite nell’AI e recuperare terreno rispetto a concorrenti come OpenAI e Google. In particolare, Zuckerberg vuole attrarre scienziati e ingegneri di punta nel campo della Artificial General Intelligence (AGI): persone come Ilya Sutskever o Sam Altman – nomi di spicco citati dall’articolo – potrebbero essere nel mirino. L’offerta di 100 milioni include salario, bonus e opzioni azionarie, ed è talmente alta da aver scosso l’intero settore tech. Persino Sam Altman, CEO di OpenAI, avrebbe commentato con preoccupazione queste mosse, poiché temono un’escalation della “guerra dei talenti” che renderebbe difficilissimo per startup e centri di ricerca competere con i colossi. L’articolo evidenzia che la concorrenza per i migliori cervelli dell’AI è già feroce: Google DeepMind ha pagato decine di milioni in retention bonus per trattenere personale, mentre aziende come Apple e Amazon stanno acquisendo piccole società AI per assorbirne gli ingegneri (acqui-hiring). L’iniziativa di Zuckerberg però fissa un nuovo riferimento: 100 milioni all’anno è una cifra che si vede solo per top manager di Wall Street o stelle dello sport, mai per ricercatori. Meta sta investendo enormemente sull’AI generativa (dietro le quinte del suo metaverso c’è bisogno di avanzamenti AI) e pare disposta a tutto pur di recuperare il vantaggio di OpenAI (ChatGPT) e Google (Bard). Alcuni imprenditori tech temono un “effetto domino”: se un talento vale 100 milioni per Meta, presto altri big potrebbero rilanciare, gonfiando a dismisura i costi di ricerca e accentuando la concentrazione di competenze in poche aziende. Questo potrebbe anche impoverire il mondo accademico, qualora professori e studenti brillanti abbandonino università e laboratori pubblici per stipendi d’oro nell’industria. L’allarme è arrivato fino a Washington, dove si discute se l’AI debba essere regolamentata e se questa corsa sfrenata ai talenti rischi di creare squilibri (tra paesi e tra aziende stesse). Per ora, l’offerta di Zuckerberg ha fatto notizia e l’articolo conclude con una nota quasi ironica: “persino i miliardari della Silicon Valley sono rimasti a bocca aperta” – segno che la rivoluzione dell’AI sta riscrivendo non solo la tecnologia ma anche le regole del lavoro di altissimo profilo.
Gaia-X, parla il CEO Ulrich Ahle: “Dobbiamo fare attenzione che i cinesi non ci sorpassino”
Gaia-X-Chef Ulrich Ahle: „Wir müssen aufpassen, dass uns die Chinesen nicht überholen“
In un’intervista alla FAZ, Ulrich Ahle – amministratore delegato di Gaia-X, il consorzio europeo per l’infrastruttura cloud – lancia un forte appello affinché l’Europa acceleri sul fronte dell’innovazione digitale. Ahle, che ha assunto da poco la guida di Gaia-X, avverte che nell’economia dei dati l’Europa rischia di restare indietro non solo rispetto agli Stati Uniti, ma anche alla Cina. “Dobbiamo stare attenti che i cinesi non ci sorpassino”, dichiara, riferendosi alla rapidità con cui la Cina sta sviluppando proprie soluzioni cloud, intelligenza artificiale e standard tecnologici. Gaia-X è nata proprio con l’obiettivo di creare un ecosistema cloud europeo sicuro e interoperabile, come alternativa ai colossi americani (AWS, Google, Microsoft) e cinesi (Alibaba, Huawei Cloud). Ahle ammette che il progetto inizialmente ha incontrato difficoltà e ritardi – “forse abbiamo discusso troppo su governance e principi, ora è il momento dei fatti” – ma ora Gaia-X ha prototipi funzionanti e oltre 300 aziende coinvolte. La sfida principale è convincere imprese e PA europee a credere nel cloud sovrano europeo, investendo nelle sue architetture invece di rivolgersi ai provider extra-UE più affermati. Ahle sottolinea alcuni punti chiave: Gaia-X garantirà che i dati restino sotto controllo europeo (con il rispetto del GDPR) e promuoverà standard aperti che evitino il lock-in proprietario. Inoltre, si integrerà con progetti di intelligenza artificiale e edge computing europei, creando sinergie nell’ambito del programma “Digital Decade” della UE. L’intervista tocca anche la concorrenza: mentre l’Europa discute, la Cina esporta le sue tecnologie digitali in Africa, Asia e America Latina, imponendo di fatto i propri standard. “Se non corriamo, rischiamo di svegliarci in un mondo digitale dominato da altri”, avverte Ahle. Egli chiede dunque un maggiore sostegno politico e finanziario: “abbiamo bisogno che Bruxelles e i governi nazionali credano in Gaia-X e lo utilizzino loro stessi”. Gli ultimi mesi hanno visto alcuni progressi: ad esempio, il settore automotive tedesco ha aderito a un cloud di dati basato su Gaia-X (per condividere info lungo la filiera), e Francia e Germania hanno annunciato investimenti congiunti sul progetto. Ma per Ahle occorre fare di più e in fretta. La conclusione è un mix di ottimismo e urgenza: Gaia-X può ancora diventare un successo e garantire all’Europa sovranità tecnologica, ma la finestra temporale per farlo si sta restringendo. “Wir müssen aufpassen…” – dobbiamo stare attenti, ripete il CEO – perché nella competizione globale dell’innovazione, chi arriva secondo spesso non ha seconde chance.
Cyberattacco nel dark web: UBS e altre aziende vittime di hacker
Darknet: UBS und weitere Firmen werden Opfer von Cyberangriff
Un nuovo grave episodio di criminalità informatica colpisce la Germania: come riporta la FAZ, un gruppo di hacker ha rubato e pubblicato sul darknet una mole di dati riservati di diverse grandi aziende, tra cui la banca svizzera UBS. Secondo un’inchiesta del settimanale Wirtschaftswoche, i pirati – probabilmente affiliati al noto network ransomware Clop – sono riusciti a violare i sistemi di un fornitore esterno di servizi HR, sottraendo informazioni su decine di migliaia di dipendenti di UBS (nomi, stipendi, recapiti) e dati sensibili di altre società tedesche. La settimana scorsa gli hacker hanno iniziato a diffondere questi dati sul web oscuro, per ricattare le aziende coinvolte. UBS ha confermato l’attacco, precisando che la falla di sicurezza è stata nel software di un partner e non nei sistemi interni, e che ha allertato le autorità. Nel frattempo gli esperti di cyber-sicurezza federali (BSI) hanno lanciato un’allerta: l’attacco a UBS fa parte di una campagna più ampia che ha colpito varie imprese in Europa sfruttando una vulnerabilità zero-day di un diffuso software di trasferimento file (MOVEit). L’articolo riferisce che i criminali hanno richiesto un riscatto in criptovaluta minacciando di pubblicare progressivamente tutti i dati. Alcune aziende avrebbero pagato per evitare la divulgazione, mentre altre – come UBS – si sono rifiutate, confidando nelle indagini di polizia internazionale in corso. L’offensiva sembra ora arginata: la falla è stata corretta e “l’accesso è stato nel frattempo bloccato”. Ma i danni restano: oltre al rischio per la privacy dei dipendenti, c’è timore che tra i dati possano esservi credenziali o informazioni utilizzabili per attacchi futuri. Il caso riaccende il dibattito sulla sicurezza IT delle grandi società e sull’affidabilità della loro supply chain digitale: spesso i punti deboli sono fornitori minori non adeguatamente protetti. Gli esperti invitano a potenziare l’encryption e i controlli sui partner, e a simulare regolarmente scenari di data leak per essere pronti a reagire. La FAZ nota come questo attacco evidenzi una tendenza: il baricentro del cybercrimine si è spostato verso il furto di dati a scopo estorsivo (doxing), oltre ai classici ransomware che bloccano i sistemi. È una sfida in più per le aziende, che devono non solo difendere l’operatività, ma anche tutelare il patrimonio informativo e la fiducia di clienti e dipendenti in un’epoca in cui, come ha commentato un esperto BSI, “nessun sistema è impenetrabile, si tratta di mitigare e reagire velocemente”. L’attacco a UBS è quindi un monito: in un’economia sempre più digitalizzata, la sicurezza informatica dev’essere considerata parte integrante della continuità di business, pena danni finanziari e reputazionali enormi.
ESA, il direttore generale Aschbacher: “Quanta dipendenza vogliamo accettare?”
ESA-Chef im Interview: „Wie viel Abhängigkeit wollen wir akzeptieren?“
A margine del Salone Aerospaziale di Le Bourget, la FAZ ha intervistato Josef Aschbacher, direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che ha delineato i piani per il futuro dell’Europa nello spazio. Aschbacher sottolinea che l’ESA sta avviando un cambio di passo nella politica spaziale europea, puntando a maggiore autonomia: “Dal punto di vista tecnologico, l’Europa è perfettamente in grado di mandare i propri astronauti nello spazio con mezzi propri”, afferma. Finora gli astronauti europei hanno viaggiato su navette russe Soyuz o, più di recente, su capsule SpaceX americane. Aschbacher ritiene questa dipendenza non più accettabile nel lungo termine e lancia la domanda provocatoria: “Quanta dipendenza vogliamo ancora accettare?”. L’ESA sta quindi lavorando a concetti di veicoli spaziali europei abitati: non è semplice né economico, ma è una scelta strategica per garantire all’Europa un accesso indipendente all’orbita bassa e oltre. Il direttore ESA parla anche del programma “Estrangement” (Separazione) avviato dopo l’esclusione della Russia dal progetto ExoMars: l’Europa ha dovuto sviluppare in autonomia componenti che prima erano russe, e questo ha insegnato che investire in capacità proprie paga. Aschbacher cita progressi nell’ambito dei lanciatori: dopo le difficoltà iniziali, il nuovo razzo Ariane 6 è in dirittura d’arrivo e avrà un ruolo chiave per i satelliti europei. Allo stesso tempo, l’ESA guarda a partnership più strette con l’industria privata – sull’onda del modello SpaceX – per innovare e ridurre i costi. Un esempio è la preparazione di missioni lunari: l’Europa fornirà moduli essenziali per il programma Artemis della NASA, ma vuole anche sviluppare propri lander e rover lunari. Riguardo alle esplorazioni, Aschbacher conferma che l’Europa punterà su Marte e sulla difesa planetaria (telescopi spaziali per monitorare asteroidi), settori in cui ha eccellenze scientifiche. Tornando alla questione dell’indipendenza, l’intervista tocca il tema dei satelliti di comunicazione e navigazione: Galileo (navigazione) e Copernicus (osservazione della Terra) sono stati grandi successi, ma ora c’è il progetto IRIS² per una costellazione europea di satelliti per internet sicuro, così da non dipendere dalle reti Starlink americane o cinesi. Aschbacher è chiaro: “Sovranità spaziale” significa poter decidere e agire nello spazio in linea con gli interessi europei, senza dover chiedere il permesso ad altri o essere vulnerabili a esclusioni. In conclusione, l’Europa spaziale si sta svegliando – sostiene – e i prossimi 10 anni saranno cruciali per colmare il gap con USA e Cina. “Le capacità le abbiamo, la volontà politica sta crescendo”, dice Aschbacher: la vera domanda è se i Paesi membri saranno disposti a investire quanto serve per trasformare queste ambizioni in realtà. Perché, come ribadisce, dipendere dall’esterno comporta rischi, e “abbiamo visto con i lanci russi come tutto possa cambiare in fretta”. L’ESA sembra decisa a prendere in mano il proprio destino, chiedendo agli europei: “Quanto vogliamo contare nello spazio di domani?”, a cui implicitamente risponde: molto di più di oggi.