Rassegna della stampa tedesca #144
Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
Analisi e commenti
I tedeschi e il 7 ottobre: È vergognoso quanto sia fragile la solidarietà con Israele
Die Deutschen und der 7. Oktober: Es ist beschämend, wie brüchig die Solidarität mit Israel ist
Tagesspiegel – 7 ottobre 2025
Due anni dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, un commento sul Tagesspiegel denuncia l’introspezione dolorosa che la Germania ha dovuto compiere. L’autrice evidenzia come il dibattito pubblico sia bloccato in un’angusta logica binaria: solidarietà assoluta con Israele contro compassione per i palestinesi, quasi fossero sentimenti inconciliabili. In Germania la solidarietà verso Israele si è rivelata fragile e deludente: dopo l’orrore dei massacri, non vi sono state grandi manifestazioni di vicinanza e i nomi degli ostaggi – persino quelli con cittadinanza tedesca – restano largamente sconosciuti. Al contempo, la sofferenza dei civili palestinesi a Gaza ha catalizzato l’attenzione, spingendo alcuni sedicenti attivisti pro-Palestina a sconfinare nell’antisemitismo, glorificando persino i terroristi di Hamas come “combattenti per la libertà”. Questa deriva, alimentata anche dall’immigrazione da Paesi islamici, ha aggravato un antisemitismo latente che la Germania non ha ancora imparato a contrastare efficacemente. L’editorialista sostiene che la Germania, come nazione, non è stata al fianco di Israele nel suo momento più buio, tradendo persino la proclamata Ragion di Stato filo-israeliana. La “vergognosa” debolezza della solidarietà tedesca verso Israele riflette fratture identitarie profonde: mentre i politici ribadiscono l’impegno speciale verso Israele, larga parte dell’opinione pubblica si mostra indifferente o ostile, offrendosi terreno fertile a chi, sotto le spoglie del “mito palestinese”, legittima l’odio anti-ebraico. Il commento conclude che questa pericolosa deriva va fermamente contrastata: è necessario spezzare l’ambiguità morale ed impegnarsi con più decisione contro ogni forma di antisemitismo mascherato da militanza politica.
Merz evita i nodi: la sua prima dichiarazione di governo elude i veri problemi
Regierungserklärung von Friedrich Merz: Das klärt ihr mal schön selbst
Die Zeit – 16 ottobre 2025
Nel suo discorso programmatico al Bundestag, il cancelliere Friedrich Merz ha sorvolato sulle questioni più critiche che agitano la sua stessa coalizione, preferendo enfatizzare temi europei e internazionali. Un’analisi apparsa su Die Zeit sottolinea come Merz abbia accuratamente evitato di affrontare i “cantieri aperti” della politica interna – dal ripristino della leva militare obbligatoria alla riforma delle pensioni, fino al dibattuto stop ai motori a combustione dal 2035. Di fronte al Parlamento, il cancelliere ha optato per toni generici e autocelebrativi, evidenziando il ruolo della Germania in Europa e la necessità di riforme strutturali, ma senza fornire risposte concrete alle controversie che dividono Unione e SPD. Questa reticenza, nota il commentatore, rende facile il compito alle opposizioni di destra e di sinistra: l’AfD e i Verdi possono attaccare la Grosse Koalition su riforme mancate e incoerenze, mentre Merz appare più concentrato a mantenere l’unità precaria del governo che a proporre visioni coraggiose. Il risultato è una dichiarazione di governo anodina, che non offre soluzioni né sul “Wehrdienst” (dove la maggioranza appare spaccata dopo il veto a sorpresa del ministro Pistorius su un compromesso) né sul nodo pensionistico o sulle politiche climatiche. Secondo l’analisi, questa strategia attendista di Merz – evitare lo scontro interno rimandando le decisioni impopolari – rischia di logorare ulteriormente la credibilità della coalizione. Mentre il cancelliere glissa, emergono le debolezze strutturali: nessuna visione audace per il futuro e un vuoto decisionale che l’opinione pubblica percepisce con crescente disillusione.
Come contrastare l’AfD? L’unità civica locale la tiene fuori dal potere
Umgang mit den Rechtsextremen: Ein Rezept gegen die AfD findet sich in Templin und Duisburg
taz – 18 ottobre 2025
Un editoriale sul quotidiano taz riflette sulle strategie per arginare l’ascesa dell’Alternativa per la Germania (AfD), partito di estrema destra in costante crescita nei consensi. Da anni l’AfD viene tenuta in “quarantena politica”: nessuna forza tradizionale collabora con essa a livello parlamentare, e ai suoi esponenti sono preclusi incarichi istituzionali di prestigio (come vicepresidenze del Bundestag), un isolamento che i sostenitori della Brandmauer reputano necessario data la radicalizzazione del partito. Eppure, questa emarginazione non ne ha arrestato l’avanzata elettorale, anzi – avverte l’analisi – l’AfD sfrutta abilmente il ruolo di paria per accreditarsi presso gli elettori come forza anti-sistema, vittima di un presunto cartello ipocrita dei partiti tradizionali. Alcuni noti esponenti del centro-destra (come l’ex ministro Guttenberg e l’ex segretario CDU Tauber) suggeriscono pertanto di allentare il cordone sanitario, ad esempio governando in minoranza con appoggi variabili esterni, anche taciti, dell’AfD su singoli provvedimenti. Altri, come il leader bavarese Dobrindt, inseguono l’AfD sul terreno estremista – in particolare sul rifiuto dell’immigrazione – credendo di riconquistare così gli elettori delusi. L’editorialista critica entrambe le ricette: né l’imitazione dei temi dell’AfD né l’apertura, anche indiretta, a una sua collaborazione condizionata, garantiscono un argine al fenomeno. L’esperienza suggerisce anzi che gli elettori preferiscono “l’originale” (AfD) alla copia edulcorata, e che un patto di tolleranza romperebbe il tabù politico fornendo al partito estremista il primo vero accesso al potere. L’articolo individua invece nei recenti esempi locali la chiave per neutralizzare l’AfD sul piano del potere concreto: a Templin, come a Duisburg e in altre città, tutte le altre forze politiche e la società civile hanno fatto fronte comune per impedire all’AfD di ottenere sindaci o maggioranze municipali, anche quando il partito era forte elettoralmente. Finché l’“alleanza repubblicana” regge a livello locale e regionale, l’AfD resta isolata e incapace di incidere amministrativamente, malgrado i voti. Certo, riconosce il commento, nessuna strategia è indolore – l’esclusione alimenta la retorica del vittimismo, la competizione sui temi radicali sposta l’agenda a destra – ma la tenuta compatta delle comunità democratiche può togliere all’AfD ciò che cerca davvero: non solo consenso di protesta, ma leve di comando per sovvertire il sistema dall’interno.
Politica estera e sicurezza
Berlino rassicura Kiev: l’Europa aumenterà gli aiuti nonostante le incertezze di Washington
Merz fordert „Friedensplan“: Wie Deutschland die Ukraine jetzt unterstützen könnte
Tagesspiegel – 19 ottobre 2025
Dopo quasi due anni di guerra in Ucraina, la Germania riafferma il suo pieno sostegno a Kiev, soprattutto alla luce di segnali ambigui provenienti dagli Stati Uniti. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è recato a Washington per chiedere a Donald Trump – tornato alla Casa Bianca nel gennaio 2025 – forniture di missili a lungo raggio (Tomahawk) cruciali per la controffensiva contro la Russia. L’esito dell’incontro è stato deludente: Trump non ha dato via libera ai missili, proponendo piuttosto un cessate-il-fuoco immediato lungo le linee attuali (“fermarsi dove si è”). In questo contesto, il cancelliere Merz, parlando a un evento pubblico, ha riconosciuto che “la visita non è andata come Zelensky sperava”, ma ha tratto la conclusione che l’Europa dovrà farsi carico di un aiuto ancora maggiore. Merz ha assicurato a Zelensky il pieno appoggio tedesco ed europeo verso una pace giusta, chiarendo che una resa dell’Ucraina “non è un’opzione” – se Kiev cedesse, la Russia passerebbe al prossimo Paese europeo. Per sostenere questa linea, Merz si è impegnato ad aumentare l’assistenza “finanziaria, politica e ovviamente militare” all’Ucraina, sottolineando che la guerra potrà finire solo con un’Ucraina abbastanza forte da imporre un accordo equo. Già pochi giorni prima, il cancelliere tedesco aveva coordinato una teleconferenza con Zelensky e vari leader UE, in cui i partner europei hanno concordato di intensificare gli sforzi su più fronti: maggior pressione economica su Mosca (inasprendo e aggirando i veti di Paesi riottosi come l’Ungheria), utilizzo dei beni russi congelati per finanziare l’aiuto militare a Kiev, e incremento delle forniture di armi avanzate. In Germania cresce infatti il coro di chi chiede di fare di più: il presidente della commissione Difesa del Bundestag, Thomas Röwekamp (CDU), sollecita di equipaggiare l’Ucraina con missili a lunga gittata (come i tedeschi Taurus e i franco-britannici Storm Shadow/Scalp già richiesti) e di destinare rapidamente i fondi sequestrati a Mosca all’acquisto di armamenti per Kiev. Anche esponenti dei Verdi, come Anton Hofreiter (capo della commissione Affari UE), incalzano il governo perché l’Ucraina “possa comprare più armi grazie ai beni russi congelati” e per sferrare un nuovo pacchetto di sanzioni che colpisca settori finora risparmiati (come il nucleare civile russo) e tagli ogni elusione via Paesi terzi. Hofreiter e altri parlamentari chiedono inoltre un giro di vite contro la “flotta ombra” di petroliere che esportano greggio russo: la Germania, dicono, ha la Marina per bloccare queste navi che violano norme ambientali e finanziano lo sforzo bellico di Putin. Nel dibattito tedesco, dunque, la frustrazione verso la prudenza di Washington sta trasformandosi in determinazione europea: Berlino e gli alleati UE promettono a Zelensky di colmare il vuoto lasciato dagli USA esitanti, convinti che solo tenendo alta la pressione militare e economica su Mosca si potrà arrivare a quel “Piano di pace” su cui Merz insiste. La strategia è duplice: rafforzare l’Ucraina sul campo – perché “la guerra finirà solo se Kiev sarà armata e pronta, non certo se cede” – e contemporaneamente preparare il terreno diplomatico, in vista anche di possibili colloqui futuri in cui l’Europa vuole presentarsi unita e incisiva.
Le proposte di leva militare in Germania dividono la coalizione, ma si avvicina un compromesso
Streitthema Wehrdienst-Reform: Geh nicht über Los
Tagesspiegel – 16 ottobre 2025
La reintroduzione di una forma di servizio militare obbligatorio – sotto forma di un nuovo “Wehrdienst” – è uno dei temi più controversi nell’agenda politica tedesca. In Grosse Koalition tra Unione (CDU/CSU) e SPD sono emerse profonde divergenze sul come procedere: la CDU insiste su un sistema di selezione casuale (un sorteggio di giovani da arruolare qualora i volontari non bastino), mentre la SPD esprime dubbi di costituzionalità e di equità su tale “lotteria”. Dopo mesi di stallo e un aspro scontro culminato con l’annullamento all’ultimo minuto di una conferenza stampa congiunta, il governo ha deciso di trasferire il dibattito in Parlamento. In un commento sul Tagesspiegel si accoglie con favore questa scelta: portare il disegno di legge sul nuovo Wehrdienst alla disciplina del processo parlamentare è visto come l’unico modo per giungere a una soluzione accettabile e condivisa. Nel frattempo, il Presidente federale Steinmeier – garante ultimo delle leggi – ha messo in guardia contro l’ipotesi del sorteggio: dall’alto della sua autorevolezza e competenza giuridica, Steinmeier ha fatto sapere che difficilmente firmerebbe una legge che introducesse la coscrizione per pura fortuna, lasciando intendere dubbi di costituzionalità e opportunità. Questa presa di posizione ha avuto l’effetto di far convergere la maggioranza su un compromesso: niente “pesca a sorte”, ma un sistema graduale. Il disegno di legge ora prevede di investire prima sull’attrattività del servizio volontario (migliori compensi e formazione), mantenendo però una clausola di ultima istanza: se, nonostante incentivi e campagne, gli effettivi risultassero insufficienti, si procederà a chiamare un intero anno di nascita alla visita di leva (“flächendeckende Musterung”) e, in caso di necessità estrema, a un ripristino della coscrizione tradizionale, basato su criteri chiari fissati per legge (non sul caso). L’editorialista Stephan-Andreas Casdorff approva questo impianto, definendo il nuovo Wehrdienst “non un cattivo progetto” e ammonendo piuttosto la coalizione per la gestione caotica della vicenda. Il commento elogia Steinmeier per aver posto paletti etici e giuridici (ringraziandolo esplicitamente per l’“intervento” contro il sorteggio) e sostiene che la soluzione trovata – con un impianto flessibile ma rispettoso del principio di parità di doveri – potrà ottenere l’ampio consenso sia in Parlamento sia nel Paese. Viene ricordato che la posta in gioco è alta: la Germania, nel mutato contesto di sicurezza europeo (aggressione russa in Ucraina), vuole ricostituire capacità difensive credibili. “Dobbiamo poterci difendere per non doverlo mai fare”, ripete Merz, e su questo – conclude il commento – Parlamento e cittadini andranno convinti con serietà e trasparenza, per recuperare fiducia in un servizio che da oltre un decennio era stato sospeso.
Pistorius: “Lo Stato deve entrare nell’industria bellica per garantire sicurezza e posti di lavoro”
Größere Staatsbeteiligung an der Rüstungsindustrie?
Handelsblatt (intervista) – 6 ottobre 2025
In un’intervista rilasciata al quotidiano economico Handelsblatt, il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) argomenta a favore di un maggiore intervento statale nell’industria della difesa tedesca. Secondo Pistorius, lo Stato dovrebbe acquisire partecipazioni in aziende strategiche del settore bellico per assicurare che il know-how tecnologico e i posti di lavoro altamente specializzati restino in Germania. Il ministro cita due casi emblematici sotto osservazione: il costruttore di carri armati KNDS (joint venture tra la tedesca KMW e la francese Nexter) e il cantiere navale ThyssenKrupp Marine Systems, leader nei sottomarini. Per entrambe queste imprese – cruciali per le capacità difensive nazionali – il governo sta valutando ingressi diretti nel capitale, discutendo “quanto grande debba essere la quota statale e con che rapidità procedere”. Pistorius sottolinea che, nel pieno della “congiuntura d’oro” dovuta alla “febbre degli armamenti” (complici gli stanziamenti record per la difesa dopo la Zeitenwende), le aziende del comparto stanno realizzando profitti cospicui. Ciò è positivo per la solidità industriale, ma il ministro avverte: la politica deve vigilare per evitare una “bolla inflazionistica” nei prezzi delle forniture militari – rischio che danneggerebbe sia lo Stato acquirente sia alla lunga le stesse imprese, minando la sostenibilità dei programmi di riarmo. Le parole di Pistorius hanno suscitato immediate reazioni: l’associazione di categoria BDSV (settore sicurezza e difesa) ha accolto con favore l’idea di proteggere le tecnologie chiave nazionali, ma ha messo in guardia dai pericoli di un’eccessiva presenza statale. Gli industriali ricordano che il modello privatistico finora ha funzionato bene, consentendo alle aziende quotate in borsa di investire ed espandere capacità anche negli anni magri grazie all’afflusso di capitali privati – cosa che un azionista pubblico troppo invadente potrebbe scoraggiare. Inoltre, la BDSV sottolinea che nei contratti con la Bundeswehr vige la rigida “formula di Bonn” sul controllo dei margini di profitto: non esistono extraprofitti illimitati nelle commesse militari statali, poiché i prezzi sono regolati per legge e i guadagni contenuti entro limiti prefissati. Mentre il dibattito prosegue, Pistorius deve affrontare intanto due grandi programmi d’armamento che rischiano il fallimento: il caccia europeo di sesta generazione FCAS, impantanato nei dissidi tra partner industriali (Airbus vs Dassault) a tal punto che il ministro minaccia di “staccare la spina” se non si sblocca entro fine anno, e il progetto delle fregate F126 per la Marina, gravato da ritardi “di anni” e seri problemi tecnici al punto da far valutare opzioni drastiche (commissariamento del cantiere o acquisto di navi estere già sul mercato). Pistorius, pur fiducioso in una soluzione, non esclude di cancellare i progetti se non saranno più recuperabili: una decisione clamorosa che evidenzierebbe come, nonostante i miliardi stanziati, la difesa europea resti frenata da rivalità e inefficienze. Anche per questo, conclude il ragionamento del ministro, una presenza diretta dello Stato in aziende cruciali potrebbe aiutare a indirizzare meglio investimenti e governance, garantendo alla Bundeswehr forniture tempestive e a prova di inadempienze industriali.
Rheinmetall si espande in Polonia: alleanza strategica per blindati di supporto europei
Rheinmetall: Partnerschaft mit Polens größtem Rüstungskonzern
Handelsblatt – 13 ottobre 2025
Il gruppo tedesco Rheinmetall, colosso della difesa e della tecnologia militare, ha concluso la sua prima partnership strategica in Polonia con la holding statale Polska Grupa Zbrojeniowa (PGZ), il maggiore conglomerato dell’industria bellica polacca. L’accordo – formalizzato il 12 ottobre – prevede la creazione di una joint venture per sviluppare in Polonia un centro europeo per veicoli corazzati di supporto logistico. In particolare, la collaborazione si concentrerà sulla produzione congiunta di mezzi blindati specializzati: carri recupero (per il traino dei tank danneggiati), veicoli del genio con capacità di sminamento e gettaponti corazzati per superare ostacoli. Questa iniziativa si inserisce in un contesto geopolitico mutato: la minaccia proveniente “da Est” (leggi: Russia) e la lezione della guerra in Ucraina hanno spinto i Paesi europei ad aumentare drasticamente le spese militari e a rafforzare la cooperazione industriale per espandere capacità e ridurre le dipendenze estere. PGZ e Rheinmetall, unendo forze, puntano a creare ridondanze produttive e supply chain continentali robuste, coscienti che la sicurezza europea richiede basi industriali diversificate. Per Rheinmetall – che già opera in Polonia con una filiale locale – l’alleanza apre l’accesso a un mercato in fortissima crescita: Varsavia è oggi il Paese NATO che, in proporzione al PIL, investe di più in difesa e sta conducendo il più vasto programma di riarmo e ammodernamento militare in Europa. PGZ, dal canto suo, potrà beneficiare del know-how tedesco su veicoli cingolati e su ruote (Rheinmetall produce dal carro “Leopard” ai mezzi trasporto truppe “Boxer” e “Fuchs”) per sviluppare una gamma di mezzi di supporto modernissimi da integrare nell’esercito polacco e da proporre anche sul mercato export. L’accordo – salutato come win-win – riveste anche una valenza politica significativa: Germania e Polonia, malgrado rapporti politici a volte tesi, consolidano sul terreno industriale e militare un asse fondamentale per la difesa del fianco orientale della NATO. I dirigenti di Rheinmetall evidenziano come questa partnership apra la porta all’espansione delle capacità produttive polacche per mezzi pesanti, aumentando la resilienza europea e offrendo opportunità economiche a entrambe le parti. Da Varsavia, l’amministratore delegato di PGZ Adam Leszkiewicz sottolinea l’importanza di diversificare i partner internazionali e riconosce in Rheinmetall un “partner collaudato” e un perno dell’industria difensiva europea. L’iniziativa, oltre a creare nuovi posti di lavoro qualificati in Polonia (ad esempio negli stabilimenti di Poznań coinvolti nel progetto), dimostra la volontà di costruire un “potenziale difensivo paneuropeo”: più capacità produttive distribuite, supply chain condivise e standard comuni, così da poter rispondere più rapidamente ed efficacemente a qualsiasi minaccia. Nel complesso, questa alleanza è un ulteriore passo verso un’Europa più autonoma e coordinata nella produzione di armamenti, obiettivo divenuto prioritario dopo il 2022.
Progetto “Uranos KI”: l’IA contro i droni nemici per proteggere il fianco est della NATO
Die Rüstungsindustrie macht sich bereit zur Drohnenjagd
Handelsblatt – ottobre 2025
La Bundeswehr sta sviluppando un ambizioso sistema di sorveglianza militare basato sull’intelligenza artificiale, nome in codice “Uranos KI”, destinato a monitorare estensivamente il fronte orientale dell’Alleanza Atlantica. Questo progetto segreto mira a creare un quartier generale digitale in grado di raccogliere e analizzare in tempo reale dati provenienti da sensori eterogenei: droni da ricognizione, satelliti, radar e telecamere di sorveglianza. L’obiettivo è di fornire allerta precoce su movimenti ostili delle forze russe, fungendo da efficace strumento deterrente e di difesa. Cinque aziende tedesche – tre colossi della difesa (Airbus, Rheinmetall, Hensoldt) e due start-up specializzate in droni e IA (Quantum-Systems e Helsing) – si contendono il contratto in un bando riservato e altamente competitivo. Le proposte presentate variano per qualità e approccio: si parla di favoriti già emersi e di candidati le cui soluzioni paiono insufficienti. In palio c’è un budget iniziale di circa 80 milioni di euro e, soprattutto, la possibilità di posizionarsi all’avanguardia in un settore – l’AI militare – destinato a espandersi. Il sistema Uranos, nelle intenzioni, dovrà integrarsi entro il 2026 con la brigata tedesca dispiegata in Lituania (nell’ambito del rafforzamento NATO): una volta testati due prototipi concorrenti, uno solo verrà adottato e reso operativo per dotare le truppe sul terreno di superiori capacità di comando e controllo. In una prima fase, Uranos fornirà ai comandanti un quadro di situazione integrato e dettagliato, permettendo decisioni rapide con vantaggio informativo sul nemico. In futuro, una seconda fase potrebbe collegare direttamente i dati analizzati dall’IA ai sistemi d’arma difensivi, per esempio attivando contromisure anti-drone o segnalando bersagli alle batterie antiaeree – benché quest’ultimo sviluppo richiederà un ulteriore dibattito etico e giuridico sulle decisioni autonome letali. Gli esperti sottolineano che Uranos KI rappresenta per la Germania un cambio di passo nell’adozione massiccia di tecnologie digitali in ambito difesa: finora il processo di digitalizzazione delle forze armate (il programma “DLBO”) è proceduto lentamente, ma la minaccia russa ha impresso urgenza. Il governo ha destinato parte del Fondo speciale da 100 miliardi proprio a progetti come questo, segno che si riconosce la priorità di dominare lo spazio informativo. L’impiego esteso dell’IA in ambito militare – dalla fusione di dati eterogenei fino al riconoscimento di pattern ostili – è visto come un moltiplicatore di efficacia indispensabile per compensare le carenze numeriche dell’esercito tedesco. Tuttavia non mancano le sfide: addestrare algoritmi su scenari di combattimento reali, garantire la sicurezza cibernetica del sistema e mantenerlo interoperabile con gli alleati. Per le start-up coinvolte, vincere significherebbe un enorme prestigio: in particolare Helsing, giovane azienda di Monaco specializzata in AI di difesa, ambisce a diventare leader europeo del settore e Uranos sarebbe un biglietto da visita straordinario. L’assegnazione finale, prevista a breve, sarà un indicatore di come la Germania intende coniugare l’innovazione delle nuove imprese con l’esperienza dei giganti tradizionali, in quello che si preannuncia come un campo decisivo per la sicurezza: la “caccia ai droni” e il controllo cognitivo del campo di battaglia nel ventunesimo secolo.
Bruxelles concorda un nuovo programma di armamenti – Brüssel einigt sich auf neues Rüstungsprogramm, Frankfurter Allgemeine Zeitung – 17 ottobre 2025.
La Commissione e il Consiglio UE hanno raggiunto un accordo su un nuovo programma europeo per l’industria della difesa, stanziando un finanziamento comunitario di 1,5 miliardi di euro entro il 2027. Tale somma è ben inferiore ai 20 miliardi inizialmente ipotizzati, ma potrà essere incrementata in futuro. Il programma – denominato European Defence Industry Programme (EDIP) – mira a co-finanziare progetti congiunti tra Stati membri per colmare le lacune capacitive e rafforzare la difesa europea. L’intesa, frutto di lunghe trattative tra Parlamento europeo e Consiglio, crea per la prima volta un quadro giuridico che consente all’UE di sostenere finanziariamente lo sviluppo e l’acquisizione comune di armamenti. L’obiettivo è favorire la standardizzazione degli equipaggiamenti e l’interoperabilità tra eserciti europei, riducendo le duplicazioni nazionali. Il provvedimento è parte della risposta europea alle accresciute minacce alla sicurezza, in coordinamento con la NATO. Sebbene l’importo iniziale sia modesto rispetto alle necessità (la proposta originaria prevedeva investimenti molto più consistenti), i funzionari a Bruxelles sottolineano che l’EDIP rappresenta un passo storico: per la prima volta il bilancio UE contribuirà direttamente al potenziamento industriale nel settore militare. Ulteriori fondi potrebbero aggiungersi successivamente, anche in sinergia con gli impegni nazionali, per sostenere progetti di punta quali sistemi di difesa aerea comuni, munizionamento avanzato e tecnologie militari emergenti. L’accordo, salutato positivamente dai vertici comunitari, segna un rafforzamento della cooperazione europea nella difesa in un momento in cui il continente affronta nuove sfide strategiche e punta a ridurre la dipendenza da fornitori esterni.
Pistorius acquista altri caccia F-35 per la Bundeswehr – Boris Pistorius: Weitere F-35 Kampfjets für die Bundeswehr, Süddeutsche Zeitung – 20 ottobre 2025.
Il nuovo ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) ha deciso di potenziare ulteriormente l’aeronautica tedesca acquistando altri 15 cacciabombardieri F-35 di fabbricazione statunitense, per un valore stimato di 2,5 miliardi di euro. Questi velivoli stealth di quinta generazione, aggiuntivi rispetto ai 35 F-35 già ordinati in precedenza, serviranno a sostituire completamente la vecchia flotta di Tornado e a garantire la capacità tedesca di partecipare alla condivisione nucleare NATO, trasportando in caso di conflitto le bombe atomiche stoccate sul territorio nazionale. La notizia, emersa da documenti riservati destinati alla Commissione Bilancio del Bundestag e anticipata dalla stampa, indica che il Governo ha ora maggiori margini finanziari grazie all’aumento strutturale del bilancio della difesa. Oltre agli F-35, la Bundeswehr investirà in modo massiccio anche nelle forze di terra: è previsto l’acquisto di oltre 400 nuovi veicoli corazzati su ruote (tra cui mezzi da ricognizione e trasporto truppe) per un totale di circa 7 miliardi di euro, con consegne iniziali a partire dal 2028. Questi programmi rientrano nell’accelerazione della “Zeitenwende” (svolta epocale) militare tedesca, volta a soddisfare i nuovi requisiti NATO di deterrenza sul fianco orientale dopo l’aggressione russa all’Ucraina. Per velocizzare le forniture, molti contratti verranno conclusi con partner statunitensi (ad esempio General Dynamics per i blindati) e con consorzi europei già esistenti, usando procedure semplificate. Intanto, sul fronte del servizio militare, Pistorius e la coalizione di governo puntano a varare entro fine anno la legge per il nuovo “Wehrdienst” volontario, così da renderla efficace dal 1º gennaio prossimo. Nonostante alcune divergenze recenti all’interno della maggioranza, il ministro si è detto “molto fiducioso” che il Parlamento approverà in tempo la riforma del servizio alla patria. L’obiettivo politico, ribadisce Pistorius, è rafforzare rapidamente la Bundeswehr sia con equipaggiamenti moderni sia con personale adeguato, di fronte a una situazione internazionale definita la più pericolosa degli ultimi decenni.
La “Repubblica dei carri armati”: boom dell’industria bellica tedesca – Die Panzerrepublik, Der Spiegel – 17 ottobre 2025.
Il massiccio programma di riarmo avviato dalla Germania sta innescando un boom senza precedenti nel settore nazionale della difesa, tanto che alcuni osservatori parlano provocatoriamente di una “Panzerrepublik” (repubblica dei carri armati) per descrivere la nuova centralità dell’industria bellica nell’economia tedesca. Come riferisce Der Spiegel, l’attuale clima nel comparto è di euforia: dopo anni di stagnazione, le aziende produttrici di armamenti – grandi gruppi e PMI emergenti – prevedono un’ondata di commesse “come mai vista nel dopoguerra”. Fattore decisivo è la decisione politica, presa dalla nuova maggioranza CDU-SPD con il sostegno dei Verdi, di sospendere parzialmente il rigido vincolo costituzionale del pareggio di bilancio (Schuldenbremse) per consentire investimenti straordinari nella difesa. A ciò si aggiungono le promesse del ministro Pistorius di stanziare almeno 35 miliardi di euro entro il 2030 per programmi ad alta tecnologia (ad esempio la militarizzazione dello spazio e le capacità satellitari di sorveglianza). Con la guerra in Ucraina e le crescenti tensioni globali, i bilanci militari nazionali sono in forte aumento e la Germania intende trasformarsi nella “colonna portante” convenzionale della sicurezza europea. Questo ha acceso speranze sia nella politica che nei vertici industriali: si auspica che il nuovo boom armiero possa fungere da volano anche per l’economia generale tedesca, in un momento di rallentamento in altri settori. Numerose imprese finora estranee al comparto difesa stanno cercando di entrare in questo mercato, fiutando opportunità lucrative: dal settore automobilistico all’elettronica avanzata, cresce il numero di aziende che convertono linee produttive o creano divisioni ad hoc per fornire componenti militari. Tuttavia, il fenomeno solleva anche interrogativi: Der Spiegel evidenzia il rischio di una “Kriegswirtschaftswunder”, un miracolo economico trainato però dalla spesa bellica pubblica, con possibili distorsioni nel lungo periodo. Mentre il governo difende la necessità storica di rafforzare la Bundeswehr dopo anni di sotto-finanziamento, alcuni economisti avvertono che questa improvvisa pioggia di fondi statali potrebbe alimentare una “bolla” degli armamenti e gonfiare i prezzi (un’eventualità che Pistorius stesso vuole scongiurare, monitorando da vicino i listini dei fornitori). Intanto, in Borsa, i titoli dei gruppi della difesa registrano rialzi notevoli da mesi, sostenuti dall’interesse di investitori nazionali e internazionali. In sintesi, la “svolta epocale” tedesca in materia militare sta ridisegnando il panorama industriale del Paese: mai dalla fine della Guerra Fredda l’apparato produttivo bellico aveva avuto prospettive così floride, sostenuto da ordini governativi di dimensioni eccezionali e da un rinnovato consenso politico verso il riarmo.
Impennata di richieste di obiezione di coscienza: la leva spaventa famiglie e giovani – Debatte um Wehrdienst: Mehr Anfragen bei Beratungsstellen für Kriegsdienstverweigerung, Die Zeit – 18 ottobre 2025.
L’intenso dibattito sulla possibile reintroduzione della leva sta avendo un effetto collaterale significativo: le associazioni e i centri di consulenza per obiettori di coscienza registrano un forte aumento di contatti da parte di cittadini preoccupati. Secondo dati riferiti dalla Zeit, organizzazioni come la Deutsche Friedensgesellschaft – Vereinigte KriegsdienstgegnerInnen (DFG-VK) vengono “letteralmente inondate” di richieste di informazioni su come rifiutare il servizio militare. In particolare, il portale web della DFG-VK ha visto crescere esponenzialmente gli accessi: 125.000 visite nel mese di settembre, contro le circa 55.000 di agosto e le 24.000 di maggio, segno di un interesse esploso con l’avvicinarsi delle decisioni politiche. Circa un quarto delle domande proviene da genitori allarmati per i propri figli: molte famiglie, avendo finora dato per scontata l’abolizione della leva, sono colte di sorpresa dalla prospettiva che dal 2026 i diciottenni possano di nuovo essere chiamati. Oltre ai genitori, a rivolgersi alle associazioni pacifiste sono naturalmente giovani potenziali coscritti, desiderosi di capire quali opzioni avrebbero per evitare la leva (dalla dichiarazione di obiezione di coscienza all’eventuale servizio civile sostitutivo), ma anche riservisti e militari in servizio preoccupati delle implicazioni etiche e pratiche di un ritorno alla coscrizione obbligatoria. Questo fenomeno riflette la confusione e i timori generati dalla discussione politica in corso: da un lato il governo insiste che il nuovo modello sarà volontario (“Wehrdienst ohne Zwang”), dall’altro trapelano piani su sorteggi e obblighi che alimentano incertezza. L’ultimo compromesso noto – poi congelato – prevedeva infatti una musterazione su base casuale di una parte dei giovani, con successiva chiamata forzata solo se i volontari non bastassero. Queste notizie hanno spinto molti a prepararsi allo scenario peggiore, informandosi per tempo sui propri diritti di obiezione. Le organizzazioni pacifiste sottolineano di non aver mai visto, dall’abolizione del 2011, un tale afflusso di richieste: il clima ricorda i periodi di leva obbligatoria di decenni fa, quando i giovani e le loro famiglie valutavano attentamente se e come evitare la naja. Gli esperti legali fanno notare che la Costituzione garantisce ancora il diritto all’obiezione di coscienza, dunque in caso di reintroduzione della leva molti potrebbero avvalersene, ponendo allo Stato il problema di gestire un elevato numero di obiettori. Intanto il ministero della Difesa prosegue sulla sua linea: Pistorius continua a promuovere l’idea di una visita leva generalizzata come segnale di deterrenza, mentre nei partiti di governo si cerca un nuovo accordo. Nell’attesa, il “popolo della pace” tedesco si è rimesso in movimento: colloqui, opuscoli informativi e seminari sul rifiuto delle armi tornano ad essere richiesti come non accadeva da oltre un decennio.
L’industria degli armamenti critica l’idea di partecipazioni statali – Rüstungsbranche kritisiert Pistorius’ Idee zu Staatsbeteiligungen, Handelsblatt – 7 ottobre 2025.
Le dichiarazioni del ministro Pistorius sull’eventualità che lo Stato entri nel capitale di grandi aziende della difesa tedesca – per salvaguardare know-how e posti di lavoro strategici – hanno suscitato una reazione cauta e critica da parte del settore. In un’intervista, Pistorius ha rivelato di esaminare, insieme al ministro delle Finanze Lars Klingbeil, ipotesi di partecipazione pubblica in colossi come KNDS (Krauss-Maffei Wegmann + Nexter), principale produttore di carri armati, e nel costruttore navale TKMS (ThyssenKrupp Marine Systems). L’idea è di assicurare che tecnologie chiave per la sicurezza nazionale restino sotto controllo tedesco e di evitare delocalizzazioni o perdite di capacità industriali critiche. La Federazione delle Industrie di Sicurezza e Difesa tedesche (BDSV), per voce del suo direttore generale Hans Christoph Atzpodien, ha accolto “in linea di principio” con favore l’attenzione del governo al settore, ma ha messo in guardia da interventi troppo invasivi. L’industria della difesa tedesca, afferma Atzpodien, “finora ha funzionato bene come settore privatistico organizzato secondo le regole di mercato” – un implicito invito a non stravolgere gli equilibri esistenti. In particolare, il BDSV teme che una maggiore presenza statale nell’azionariato possa scoraggiare gli investitori privati, anche internazionali, che negli ultimi anni hanno contribuito con capitali ingenti all’espansione delle imprese belliche tedesche. A riprova di ciò, si cita l’andamento brillante in Borsa dei titoli della difesa dal 2022 in poi: grazie alle prospettive di crescita (e all’aumento delle spese militari globali), società come Rheinmetall hanno potuto raccogliere fondi e aumentare la produzione persino in assenza di ordini pubblici immediati, preparandosi così a soddisfare la domanda attuale. Un altro punto su cui l’associazione insiste è che, contrariamente a quanto si possa pensare, i contratti della Bundeswehr non generano profitti illimitati per le aziende: in Germania vige infatti il “Prezzo equo pubblico” (“Öffentliches Preisrecht”, nota anche come formula di Bonn) che impone trasparenza sui costi e margini di guadagno contenuti per i fornitori della Difesa. Questo meccanismo regolatorio – ricorda Atzpodien – garantisce che il contributo pubblico non si traduca in extraprofitti, moderando le aspettative di guadagno anche in tempi di boom. Pur tra queste cautele, l’industria riconosce l’enorme sfida produttiva posta dall’aumento dei finanziamenti: dotare la Bundeswehr in breve tempo di equipaggiamenti moderni per adempiere agli impegni NATO “sarà per noi un compito immane, che intendiamo affrontare con ogni sforzo possibile”, dichiara il BDSV, aggiungendo che le aziende “non vogliono fare promesse che non possono mantenere”. In questo senso, servono certezze di pianificazione: le imprese applaudono l’impegno di Pistorius a fornire ordini pluriennali stabili (anche attraverso il fondo speciale da 100 miliardi, per il quale già nel 2024 sono stati assegnati contratti per 20 miliardi), ma chiedono che anche la burocrazia statale sia rapida e coerente. Il ministero, dal canto suo, esige affidabilità nelle consegne: “Anche la Bundeswehr ha bisogno di sicurezza nella pianificazione”, ha ammonito Pistorius, segnalando che non esiterà a esercitare pressioni se dovessero verificarsi ritardi o aumenti di costi ingiustificati. Sullo sfondo della discussione c’è anche l’andamento di alcuni grandi progetti multinazionali: Pistorius ha infatti ventilato la possibilità di cancellare il caccia europeo FCAS se lo stallo con la Francia non si risolverà entro fine anno, e sta valutando soluzioni alternative per le fregate F-126 in ritardo (inclusa l’eventualità di affidare il programma a un consorzio tedesco). Queste prese di posizione dure indicano che il Governo è disposto a interventi anche straordinari pur di evitare che risorse aggiuntive vadano sprecate. In definitiva, l’equilibrio tra intervento pubblico e libero mercato nella difesa è diventato un tema di dibattito esplicito: la Germania intende costruire “l’esercito convenzionale più forte d’Europa” e ciò, secondo Pistorius, potrebbe richiedere anche un ruolo azionario dello Stato in aziende strategiche – uno scenario su cui gli industriali reagiscono con pragmatismo, chiedendo di non minare la fiducia degli investitori privati che sta consentendo la rapida crescita di capacità produttiva necessaria per la Zeitenwende.
Germania e Islanda rafforzano la cooperazione militare – Deutschland und Island beschließen engere Militärkooperation, Süddeutsche Zeitung – 20 ottobre 2025.
La Germania stringe i legami di difesa con un alleato atipico ma strategicamente importante: l’Islanda, Stato membro della NATO privo di forze armate proprie ma collocato in una posizione chiave nell’Atlantico settentrionale. In occasione di una visita a Reykjavík, il ministro Boris Pistorius ha firmato con la ministra degli Esteri islandese Þórdís Kolbrún R. Gunnarsdóttir un’intesa per una più stretta cooperazione militare, in particolare nel campo della logistica marittima e della sorveglianza delle vaste aree nord-atlantiche e artiche. L’accordo prevede che la Bundeswehr possa utilizzare maggiormente le moderne infrastrutture portuali islandesi come punto d’appoggio per navi da guerra, sottomarini e unità di supporto tedesche in transito nell’Artico. Viene discussa anche la possibilità di schierare temporaneamente in Islanda aerei da pattugliamento marittimo tedeschi P-8A Poseidon, al fine di monitorare meglio le rotte navali e sottomarine cruciali della regione. Pistorius ha lodato il ruolo di Reykjavík nella NATO: “Quassù nel profondo Nord, l’Islanda dà un contributo fondamentale alla protezione del fianco settentrionale dell’Alleanza”, ricordando che, pur senza un esercito, l’Islanda fu tra i fondatori della NATO nel 1949 e custodisce tuttora, con la sua aviazione civile e guardia costiera, snodi di comunicazione e traffico navale vitali. Dal canto suo, la ministra islandese ha dichiarato che “oggi la Germania è a tutti gli effetti la forza trainante per il rafforzamento della sicurezza in Europa”, sottolineando l’importanza di averla come partner più presente nell’Artico. La cooperazione riguarderà anche la cybersicurezza e la protezione delle infrastrutture critiche, dato che crescono le preoccupazioni per possibili attacchi ibridi russi ai cavi sottomarini e alle comunicazioni internet transatlantiche. L’accordo s’inserisce in un contesto di generale intensificazione delle attività NATO nel Nord Atlantico: ad esempio, a settembre, oltre una dozzina di marine alleate (inclusa quella tedesca) hanno condotto l’esercitazione “Northern Coasts” nel Mar Baltico, a riprova dell’attenzione rivolta ai confini settentrionali dell’Europa. Con l’intesa odierna, Berlino e Reykjavík si impegnano a condividere dati di ricognizione aerea e subacquea, nonché a facilitare l’addestramento congiunto e l’attracco di unità alleate in Islanda. L’obiettivo esplicito è fronteggiare la crescente attività militare russa nell’area artica – dalla presenza di sottomarini nucleari ai voli di ricognizione – mostrando unità e prontezza sul fronte Nord. Questo passo consolida ulteriormente il ruolo della Germania quale attore centrale nella sicurezza euro-atlantica, estendendo la sua proiezione operativa fino alle remote acque polari grazie alla collaborazione con un partner geo-strategico come l’Islanda. In definitiva, la Bundeswehr avrà un nuovo “avamposto logistico” nel Nord, e l’Islanda potrà contare sul sostegno tedesco per vigilare sulle proprie zone di competenza: un risultato che entrambi i governi salutano come mutuamente vantaggioso nell’attuale fase di tensioni internazionali crescenti.
Politica interna e questioni sociali
Stretta sul sussidio di cittadinanza: tornano le sanzioni dure per chi rifiuta il lavoro
Koalition beschließt scharfe Bürgergeld-Sanktionen – Merz: „Mehr Gerechtigkeit“
Stern – 9 ottobre 2025
Il governo di grande coalizione guidato da Friedrich Merz ha varato una profonda revisione del sistema di welfare per i disoccupati di lunga durata. In un vertice notturno di coalizione, CDU/CSU e SPD hanno trovato un accordo per trasformare l’attuale Bürgergeld (il reddito di cittadinanza introdotto nel 2023) in una nuova “Grundsicherung” con regole molto più rigorose. In particolare vengono reintrodotte sanzioni severe per i beneficiari che non collaborano attivamente nella ricerca di un impiego. Il provvedimento più discusso è la possibilità di azzerare completamente l’assegno mensile a chi rifiuta reiteratamente offerte di lavoro congrue. In concreto, chi rifiuterà due proposte di impiego o formazione senza valida giustificazione subirà prima un taglio del 30% del sussidio e, al terzo rifiuto, la decadenza totale del diritto con sospensione dell’erogazione. Anche sul fronte dei doveri amministrativi la stretta è notevole: salterà il sussidio per chi non si presenta per ben tre volte ai colloqui obbligatori presso i Jobcenter. Con queste misure, la coalizione realizza un cavallo di battaglia elettorale dell’Unione (CDU/CSU), cui la SPD ha acconsentito pur avendo inizialmente sollevato perplessità costituzionali. Non a caso il cancelliere Merz saluta l’intesa come un trionfo del principio “Fördern und Fordern” (promuovere e pretendere), dichiarando che così si ripristina “più giustizia sociale” perché il sistema tornerà a distinguere fra chi si impegna a cercare lavoro e chi no. Di parere opposto i partiti di sinistra (Verdi e Linke) e le associazioni sociali, che attaccano la riforma definendola “politica della freddezza sociale”: essi temono che togliere il minimo vitale a un individuo – sancito dalla Corte Costituzionale come diritto fondamentale – possa gettare persone in miseria assoluta e risultare discriminatorio. La SPD, attraverso la ministra del Lavoro Bärbel Bas, difende però il compromesso, sottolineando che “il lavoro va incentivato, non l’assistenzialismo” e che non sarà colpito chi veramente non può lavorare, bensì solo i “totali renitenti” (parole di Bas) che approfittano del sistema. La Bas stessa ammette che i risparmi di spesa pubblica saranno limitati – “non aspettatevi grandi cifre”, avverte – ma per Merz l’efficacia si misurerà altrove: in un cambio di mentalità. Il cancelliere ha assicurato in TV che il governo ha attentamente valutato la giurisprudenza costituzionale per evitare censure: “la Corte di Karlsruhe non ci ha mai vietato di sanzionare chi viola ripetutamente i patti”, ha dichiarato, contestando che esista un diritto a rifiutare ogni offerta restando a carico della collettività. La riforma, che confluirà nella legge di bilancio 2026, dovrebbe entrare in vigore entro la prossima primavera. Esponenti della CDU come Carsten Linnemann plaudono: secondo loro, d’ora in poi sarà chiaro che il Bürgergeld non è un reddito facile su cui “adagiarsi”. L’ala giovanile della CDU (Junge Union) avrebbe voluto misure persino più dure, ma considera questo un passo nella direzione giusta. Sul versante opposto, i Giovani Socialisti (Juso) accusano l’Unione di vendere false promesse, come se punire i disoccupati risanasse il bilancio statale o curasse da solo i mali del mercato del lavoro. Insomma, la riforma del Bürgergeld segna un ritorno alla tradizione workfare tedesca post-riforme Hartz, con la SPD che – per mantenere la coalizione – accetta di rinnegare in parte la sua recente creatura (il Bürgergeld 2023) in nome di una rinnovata linea della fermezza sul dovere di attivarsi.
Immigrazione, via libera ai “Paesi sicuri” per rimpatri più rapidi: la coalizione bypassa il Bundesrat
Sichere Herkunftsstaaten per Verordnung – Kabinett beschließt Neuregelung
Tagesspiegel – 11 ottobre 2025
Il governo Merz ha approvato un disegno di legge destinato ad accelerare le procedure d’asilo, intervenendo su un punto cruciale e controverso: la definizione dei “Paesi di origine sicuri”. Finora, in Germania, l’aggiunta di un Paese alla lista di quelli considerati sicuri – da cui le richieste di asilo sono normalmente respinte perché ritenute manifestamente infondate – richiede una legge formale con approvazione anche del Bundesrat (la camera dei Länder), dove spesso è mancata la maggioranza per includere nazioni come Marocco o Tunisia. La Grosse Koalition propone ora di poter effettuare tali designazioni tramite semplice decreto governativo, evitando il passaggio al Bundesrat. In pratica, per la protezione sussidiaria e gli status previsti dal diritto UE, il governo federale potrebbe con regolamento proprio classificare un Paese come sicuro (mentre per l’asilo secondo l’Articolo 16a GG la competenza resta parlamentare, come da Costituzione). La ratio spiegata dall’Unione (CDU/CSU) e SPD è di rendere il sistema più reattivo e flessibile: se dovessero emergere flussi consistenti da nazioni dove oggettivamente non vi è persecuzione (definite “motivi non asilo-rilevanti”), Berlino potrebbe rapidamente inserirle in elenco, scoraggiando così i migranti economici e sveltendo le pratiche di rimpatrio di chi riceve dinieghi. L’opposizione e le ONG per i diritti umani contestano duramente la proposta. In un’audizione parlamentare, esperti giuristi e associazioni come Pro Asyl hanno denunciato che questa mossa “aggira in modo incostituzionale il Bundesrat”, riducendo i contrappesi federali su un tema delicato. Dal dibattito è emerso che, in realtà, le domande d’asilo in Germania sono già in calo rispetto al 2024 e che i rimpatri sono in aumento – segno che l’allarme dipinto dai proponenti potrebbe essere esagerato. Il ministero degli Interni difende la riforma, sostenendo che intere categorie di richieste (es. da Paesi balcanici o nordafricani) intasano il sistema senza reali possibilità di successo e che poterle trattare con priorità e velocità – sapendo a monte che il Paese è sicuro – consentirà di concentrare le risorse sui casi davvero bisognosi di protezione. La legge mira anche a rimuovere un ostacolo introdotto nel 2022: l’obbligo di assegnare un difensore d’ufficio gratuito agli immigrati posti in detenzione in attesa di espulsione (Abschiebehaft). Questa norma – secondo il governo – avrebbe creato un “sistema di allerta” che, allertando con troppo anticipo gli assistiti tramite gli avvocati, renderebbe più facile la latitanza e dunque ostacolerebbe fortemente le espulsioni; se la nuova legge passerà, tale obbligo sarà abolito, tornando alla disciplina pre-2022. L’iter parlamentare si preannuncia battagliero: Verdi, Linke e associazioni hanno promesso battaglia sia in aula sia – eventualmente – davanti alla Corte Costituzionale, ritenendo che la designazione di Paesi sicuri via decreto travalichi i limiti posti dal diritto UE e dalla Legge fondamentale. Il governo, forte della sua ampia maggioranza al Bundestag, punta a far entrare in vigore la novità entro l’inizio del 2026, convinto che una politica migratoria più rigida e centralizzata risponda al sentimento diffuso nell’elettorato e possa sottrarre terreno all’AfD sul tema. “Dobbiamo poter dire no più in fretta a chi approfitta delle nostre procedure”, ha dichiarato il ministro dell’Interno Alexander Dobrindt, sintetizzando lo spirito di una riforma che – se attuata – segnerà una stretta senza precedenti nelle politiche d’asilo tedesche degli ultimi decenni.
“Nessun tabù con l’AfD?” – La CDU dibatte la tenuta del cordone sanitario a destra
CDU und AfD: Wacklige Brandmauer
taz – 17 ottobre 2025
All’interno della CDU si è riacceso in ottobre il dibattito sul rapporto da tenere con l’Alternativa per la Germania (AfD), in vista delle importanti elezioni regionali del 2026 in diversi Länder dell’Est in cui l’AfD sfiora oggi il 40% dei consensi. Alcuni esponenti di spicco della CDU orientale – tra cui Andreas Bühl, capogruppo in Turingia, e Christian Hartmann, capogruppo in Sassonia – hanno dichiarato pubblicamente che il partito deve trovare “una propria posizione al di là di tutte le discussioni sulla Brandmauer”. In altre parole, suggeriscono di non farsi dettare la linea solo dall’ansia di erigere muri verso l’AfD, bensì di perseguire le proprie politiche anche a costo che l’estrema destra le voti. Tali posizioni fanno eco alle affermazioni ancor più esplicite della deputata federale Saskia Ludwig (CDU Brandeburgo), la quale ha chiesto di concedere all’AfD normali diritti parlamentari, come la presidenza di commissioni o vicepresidenze di assemblee, e di non escludere a priori di “lasciar passare buone proposte” se vi è una maggioranza che includa voti AfD. Queste uscite – arrivate dopo che già figure come Guttenberg e Tauber (fuori dalla politica attiva, ma influenti) avevano invocato una revisione del boicottaggio – hanno incendiato il dibattito interno alla Unione. Da un lato emergono i pragmatici che dicono: “l’ostracismo non ha indebolito l’AfD, forse dobbiamo cambiare approccio”. Dall’altro, i vertici nazionali CDU e CSU ribadiscono un netto “no” a ogni forma di cooperazione. Il cancelliere e leader CDU Merz, stretto tra la fronda orientale e la pressione della SPD (che ha minacciato la fine della coalizione se la CDU romperà il patto di non collaborazione con AfD), ha dichiarato fermamente che per lui la Unvereinbarkeitsbeschluss del 2018 (niente alleanze né intese né voti concordati con AfD o Linke) resta in vigore. Merz definisce l’AfD “un partito radicalizzato, nostro principale avversario” e rifiuta l’idea di governi di minoranza sostenuti caso per caso dalla destra. Tuttavia, la “Brandmauer” appare più instabile: l’articolo del taz fa notare come in gennaio la stessa CDU abbia accettato i voti AfD su una mozione anti-migranti al Bundestag (Merz poi se ne disse pentito), segno che la linea di totale isolamento a volte vacilla nella pratica. La direzione CDU si riunirà in una clausura (Klausurtagung) per discutere proprio di questa questione spinosa. La posta in gioco è altissima: nei Länder dell’ex DDR nel 2026 la CDU potrebbe arrivare terza dietro AfD e Linke/Spd, e l’unico governo possibile sarebbe con tutti gli altri partiti insieme oppure appoggiandosi esternamente all’AfD – ipotesi finora tabù. La SPD, co-governante a Berlino, insiste che il cordone sanitario fu condizione essenziale per entrare nella coalizione Merz e che farà cadere il governo federale se mai la CDU, a qualunque livello, si legittimasse con l’estrema destra. Intanto, osservano gli analisti, l’AfD continua a crescere alimentando il risentimento verso le politiche tradizionali: in assenza di soluzioni facili, la strategia più efficace finora è stata quella locale, in cui tutte le altre forze – dalla sinistra ai liberali – fanno fronte comune per escludere l’AfD dall’esecutivo. Questo “modello Templin/Duisburg” viene citato come prova che, se la società civile e i partiti democratici reggono uniti, l’AfD può essere tenuta fuori dal governo anche laddove sia il primo partito. La CDU si trova quindi davanti a un bivio storico tra tentazione di normalizzare l’AfD (rischiando però di spaccare la propria alleanza e di alienare i moderati) e mantenimento di un isolamento morale che però non ne arresta l’avanzata. Merz, almeno per ora, sembra deciso sulla seconda strada, conscio che cedere su questo punto significherebbe probabilmente la fine prematura della sua cancellierato.
Questioni economiche e finanziarie
Economia tedesca al rallentatore: l’FMI vede nel 2026 la crescita più debole del G7
IWF-Prognose: Deutsche Wirtschaftsentwicklung bleibt schwächste aller G7-Staaten
Die Zeit – 14 ottobre 2025
Le nuove previsioni economiche del Fondo Monetario Internazionale dipingono un quadro poco brillante per la Germania, confermando che la locomotiva d’Europa continua a perdere colpi rispetto agli altri grandi Paesi industrializzati. Per il 2025 il FMI stima per la Germania appena un +0,2% di crescita del PIL, un valore che segna a malapena l’uscita da due anni di leggera recessione (2023-24) e coincide con quanto atteso anche dal governo tedesco e dagli istituti economici nazionali. Ma è la prospettiva per il 2026 che accentua il divario: secondo il World Economic Outlook di ottobre, la Germania crescerà solo dello 0,9% nel 2026, ben al di sotto dell’1,3% previsto ufficialmente da Berlino. Questo ritmo la relega ancora al fanalino di coda del G7: tutti gli altri sei Paesi principali dovrebbero registrare incrementi superiori (per la zona euro si prevede un +1,1%, gli USA addirittura oltre il 1,5%). Gli esperti del FMI attribuiscono la differenza di valutazione su Berlino principalmente a fattori di rischio commerciale e geopolitico: la Germania rimane una nazione fortemente esposta all’export e risente più di altri dell’incertezza sulle politiche commerciali globali, in primis i dazi imposti dall’amministrazione Trump che colpiscono settori chiave come l’automotive e i macchinari. Inoltre, il lento riassorbimento dell’inflazione e la crisi del settore immobiliare interno (con investimenti in calo) pesano sulle prospettive tedesche. Non mancano tuttavia note positive: l’FMI loda gli investimenti pubblici aggiuntivi messi in campo dalla Germania e dall’UE, ritenendo che le spese per infrastrutture, transizione verde e difesa finanziate dai fondi straordinari europei potranno dare uno stimolo alla crescita più avanti. A livello globale, il FMI nota un raffreddamento dell’economia: dopo un +3,2% previsto nel 2025, il mondo rallenterà al 3,1% nel 2026, ma – nota il rapporto – le conseguenze negative delle guerre commerciali di Trump sono state meno pesanti del temuto, e anzi nel 2025 la crescita mondiale è stata rivista leggermente al rialzo rispetto alle stime estive. In Europa, l’inflazione in discesa sta aprendo margini per un cauto ottimismo: la Banca Centrale Europea, pur mantenendo tassi alti per ora, potrebbe allentare la stretta nel corso del 2026 se le pressioni sui prezzi continueranno a ridursi. Tuttavia il FMI avverte che nel caso della Germania i rischi al ribasso permangono, e raccomanda di proseguire sulla strada di riforme volte a stimolare produttività e domanda interna. In sintesi, l’economia tedesca appare intrappolata in una fase di stagnazione prolungata: se il resto del G7 recupera vigore, Berlino resta il “malato d’Europa” con crescita asfittica. La sfida per il governo Merz è invertire questa rotta, superando i tradizionali freni (burocrazia, carenza di manodopera qualificata, alti costi energetici) per far sì che la Germania torni quantomeno ad allinearsi alla performance dei partner nei prossimi anni.
“Autunno dei debiti”: bilancio 2026 da record con 174 miliardi a deficit, critiche dalla Corte dei Conti
„Bund lebt über seine Verhältnisse“ – Rechnungshof rügt hohe Neuverschuldung
Handelsblatt/Tagesspiegel – ottobre 2025
La nuova grande coalizione sta pianificando un bilancio federale 2026 con un indebitamento senza precedenti in tempi di pace, attirando un duro monito dal Bundesrechnungshof (Corte dei Conti federale). Secondo il progetto di Haushalt 2026 presentato dal ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD), la Germania spenderà circa 520,5 miliardi di euro il prossimo anno, finanziandone ben 174,3 miliardi tramite nuovo debito. Questa cifra comprende sia un disavanzo di quasi 90 miliardi nel bilancio “di base” (entrate ordinarie meno uscite) sia oltre 84 miliardi di prestiti attinti da fondi speciali, in particolare il maxi-fondo per investimenti in infrastrutture e clima da 500 miliardi lanciato contestualmente. In pratica, ~un euro su tre speso nel 2026 sarà preso a prestito, portando la Germania a livelli di indebitamento annuale mai visti dal dopoguerra (seconda solo al 2020 del Covid). La Corte dei Conti, in un rapporto confidenziale trapelato alla stampa, accusa il governo di vivere “strutturalmente al di sopra dei propri mezzi”. I revisori attestano che anche oltre l’emergenza bellica ed energetica, il bilancio presenta spese permanenti eccedenti le entrate, e definiscono “poco più che simbolici” i tentativi di risparmio annunciati dall’esecutivo. “Chi programma di finanziare a debito quasi un terzo della spesa è ben lontano da una politica finanziaria solida”, scrivono i tecnici, reclamando un immediato piano di rientro con tagli sostanziali e priorità chiare. Il governo Merz-Klingbeil ha potuto aggirare la rigidità costituzionale del “Schuldenbremse” (il freno all’indebitamento) invocando la clausola di eccezione per la sicurezza e la difesa: in primavera è stata infatti approvata una Bereichsausnahme che esclude dal freno i prestiti destinati a protezione esterna, interna e aiuti all’Ucraina. Grazie a questa deroga, Berlino prevede di accumulare oltre 850 miliardi di euro di nuovo debito dal 2025 al 2029, sommando i vari fondi speciali (difesa, clima, ecc.) e i deficit annui. Pur riconoscendo la necessità di investimenti straordinari in tempi di crisi multiple, la Corte avverte che questa strada conduce a una pericolosa spirale del debito: già entro il 2029 la spesa per interessi schizzerà a circa 66 miliardi l’anno – più dell’11% del bilancio – divorando risorse che potrebbero altrimenti finanziare politiche pubbliche. I conti certificano che la Germania “non è più in grado di finanziare stabilmente le sue funzioni fondamentali con le entrate ordinarie”, un campanello d’allarme grave per un Paese che ha fatto dell’austerità virtuosa il proprio vanto. Il ministro Klingbeil difende la manovra definendola un investimento sul futuro: 2026 vedrà un boom di spesa in infrastrutture digitali e fisiche, case popolari, difesa e transizione ecologica, che secondo lui aiuterà anche la crescita (il governo prevede +1,3% di PIL nel 2026). Inoltre, la riduzione dell’IVA sulla ristorazione (dal 19% al 7%, prorogata nel 2026) e altre misure fiscali porteranno alleggerimenti per famiglie e imprese, per circa 30 miliardi, nel tentativo di stimolare consumi e investimenti privati. Ma i critici notano che questo stimolo deficit spending è rischioso: la fiducia in una congiuntura migliore negli anni successivi potrebbe essere mal riposta – avverte la Corte – e intanto si accumulano debiti su debiti, riducendo il margine di manovra per eventuali crisi future. L’opposizione (FDP, Linke e AfD) attacca frontalmente: chi parlava di Schwarze Null (bilancio in pareggio) come Merz ora fa più debiti di quanti ne abbia fatti qualsiasi governo precedente, tradendo le promesse elettorali. Persino dentro la maggioranza c’è imbarazzo: esponenti SPD ammettono la “sgradevolezza” della situazione ma la imputano alla necessità di colmare i ritardi infrastrutturali accumulati. La discussione parlamentare del bilancio sarà accesa, ma la coalizione ha i numeri per approvarlo entro dicembre. La Corte dei Conti preannuncia però ulteriori “riserve costituzionali”: potrebbe rivolgersi alla Corte di Karlsruhe se ritenesse che il governo abusi della clausola di emergenza per finalità non strettamente legate alla sicurezza. Intanto, nei fatti, la Germania del 2025 – contrariamente al passato – viaggia a tutta velocità sul treno del deficit, sperando che l’aumento del debito frutti la modernizzazione promessa e non lasci in eredità solo un oneroso fardello.
Edilizia in ripresa: aumentano le licenze per nuove case, ma la crisi abitativa non è finita
Baubranche: Zahl der Baugenehmigungen für Wohnungen steigt
Die Zeit – 6 ottobre 2025
Dopo un periodo di grave crisi nel settore delle costruzioni, arrivano segnali incoraggianti: nei primi otto mesi del 2025 in Germania sono state approvate la costruzione di 151.200 nuove unità abitative, con un aumento del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2024. Particolarmente significativo è il balzo delle licenze per case unifamiliari, salite a 29.300 (+15,5% su base annua), indice che molte famiglie – grazie anche al calo del costo dei terreni e a incentivi locali – hanno ripreso fiducia nel costruire la propria abitazione. Tornano a crescere, seppur moderatamente, anche i permessi per palazzine plurifamiliari (+4,9%, pari a oltre 79mila nuovi appartamenti approvati), che restano la fetta principale di nuove costruzioni. Fa eccezione il segmento delle bifamiliari, in leggero calo (-5,3%), probabilmente riflesso di un cambiamento nelle preferenze abitative. Gli esperti leggono questi dati come un potenziale punto di svolta. Secondo Sebastian Dullien, direttore dell’IMK, “il punto più basso della crisi edilizia è alle spalle” e il comparto potrebbe tornare a sostenere la congiuntura già dal 2026: l’aumento delle concessioni oggi dovrebbe tradursi, con qualche mese di ritardo, in più cantieri aperti e quindi in maggior produzione edile. Anche gli ordinativi di lavori pubblici – grazie ai fondi straordinari statali per infrastrutture e transizione ecologica – sono attesi in crescita, offrendo un ulteriore volano al settore. Tuttavia, viene posto l’accento sul fatto che questi sviluppi positivi non basteranno nel breve termine a risolvere la penuria di alloggi a prezzi accessibili, soprattutto nelle grandi città. Nel 2024 il numero di nuove abitazioni completate (circa 252.000) è crollato al minimo dal 2015, ben lontano dall’obiettivo governativo di 400.000 case annue. Le cause – tassi d’interesse in aumento, esplosione dei costi dei materiali e carenza di manodopera – rimangono in parte e continuano a frenare i cantieri. Per questo, la Grosse Koalition sta preparando un pacchetto di misure normative noto come “Bau-Turbo”, volto a velocizzare e semplificare le procedure autorizzative. Tra le idee allo studio vi è consentire ai comuni di derogare temporaneamente ai piani regolatori per favorire densificazioni e sopraelevazioni, oltre ad introdurre sportelli unici digitali per i permessi, riducendo così burocrazia e tempi morti. Questi interventi legislativi – la cui entrata in vigore è prevista entro inizio 2026 con efficacia fino al 2030 – mirano a sbloccare progetti oggi fermi e ad attirare di nuovo investitori privati nell’edilizia residenziale. Gli analisti avvertono che “nessuna bacchetta magica” risolverà in pochi mesi problemi strutturati: anche con più permessi, bisognerà vedere quanti si traducano effettivamente in cantieri (molti costruttori attendono costi più favorevoli). Inoltre, l’impennata nelle case unifamiliari riflette un fenomeno contingente (persone che anticipano il progetto casa temendo futuri rialzi dei tassi) più che un ritorno alla normalità. In sintesi, l’aria nel settore costruzioni sta cambiando in meglio: dopo lunghi mesi di notizie fosche, si registra un’inversione di tendenza incoraggiante. Ma solo mantenendo il ritmo di crescita delle licenze e completando efficacemente gli immobili autorizzati si potrà davvero allentare la morsa sul mercato abitativo tedesco, dove al momento domanda e offerta restano dolorosamente squilibrate a sfavore di chi cerca un appartamento a prezzi ragionevoli.