Rassegna della stampa tedesca #146
Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
1. Analisi e commenti
Sondaggio: i conservatori pareggiano con l’AfD, cresce il pessimismo economico
AfD und Union im Politbarometer gleichauf: Deutsche blicken immer pessimistischer auf die Wirtschaft
Tagesspiegel – 7 novembre 2025
Una nuova rilevazione politica disegna un clima cupo in Germania. Per la prima volta l’ultradestra AfD è alla pari con l’Unione (CDU/CSU) al 26%, mentre l’SPD cala al minimo dell’anno (14%). Solo il 40% degli elettori sostiene l’attuale coalizione nero-rossa, segnando il punto più basso da oltre quattro anni. Più della metà dei cittadini (55%) giudica negativamente l’operato del governo Merz. La frustrazione si riflette soprattutto nella percezione economica: il 43% ritiene la situazione economica “cattiva” (era il 32% un mese prima), e ben il 61% si aspetta un ulteriore peggioramento nei prossimi mesi. Malgrado il governo insista su “agenda di modernizzazione” e misure pro-crescita, la fiducia cala e gli elettori chiedono riforme coraggiose non ancora pervenute. Il sondaggio evidenzia anche le spaccature sull’agenda sociale: il 63% boccia eventuali tagli al welfare, mentre circa il 75% approva l’inasprimento delle sanzioni per i beneficiari del reddito di cittadinanza (“Bürgergeld”) poco collaborativi. Sullo sfondo, l’erosione del centro politico prosegue: l’AfD consolida il proprio seguito miscelando protesta e normalizzazione, attingendo voti sia dall’SPD che dall’area conservatrice. Gli osservatori vedono in questi numeri un voto di sfiducia verso la grande coalizione: il calo di consenso ai partiti di governo ha direttamente alimentato la crescita dell’AfD, segnalando un pericoloso incremento della polarizzazione nell’elettorato.
“La Germania ha bisogno dell’acciaio – ma verde”: critiche al governo sul piano siderurgico
Stahlgipfel im Kanzleramt: Deutschland braucht Stahl – aber in Grün
taz – die tageszeitung – 7 novembre 2025
All’indomani del “vertice sull’acciaio” convocato dal cancelliere Merz, le analisi critiche sottolineano la mancanza di visione strategica del governo nella crisi della siderurgia. Il commento rileva che l’esecutivo si è limitato a misure difensive e di breve respiro – come dazi di protezione UE contro l’acciaio cinese e un prezzo agevolato dell’energia per l’industria – con l’obiettivo di conservare lo status quo. Non si è invece affrontata a fondo la sfida centrale: decarbonizzare la produzione di acciaio per assicurarne la sostenibilità a lungo termine. La taz osserva che il mercato da solo non può risolvere problemi strutturali di questo settore: servono politiche industriali attive e una visione su “come dovrà essere l’economia di domani”. Mentre il governo esita per timore che le politiche climatiche “gravino sull’industria”, il rischio è di subire conseguenze fatali in futuro se non si agisce ora. L’editoriale ricorda l’importanza strategica della filiera: se la Germania vuole restare un paese industriale, deve preservare una produzione siderurgica nazionale, poiché l’acciaio è base fondamentale per edilizia, macchinari e automobili – colonne portanti dell’export tedesco. Inoltre, una filiera dell’acciaio moderna e a basse emissioni è questione di resilienza economica e sicurezza: dipendere dall’estero (ad esempio per l’acciaio “verde” o per componenti cruciali come microchip) espone a vulnerabilità, come dimostrato dalla recente carenza di chip Nexperia che ha costretto Bosch alla cassa integrazione. La critica conclude che le misure emerse dal vertice – piccoli aiuti e protezionismo – non basteranno: senza un piano deciso per promuovere investimenti in tecnologie pulite (idrogeno, elettricità verde) e senza impegni di acquisto pubblico di acciaio verde, la transizione rischia di fallire. Merz ha perso un’occasione per dimostrare leadership climatica: avrebbe potuto presentarsi al vertice ONU sul clima in Brasile con iniziative concrete per l’industria, ma “non riesce a pensare così in grande” – un segnale di miopia politica che preoccupa gli osservatori.
Allarme spionaggio: l’AfD usa il Parlamento per raccogliere informazioni militari?
Parlamentarische Anfragen im Fokus: Verteidigungsausschuss-Chef Röwekamp warnt vor AfD-Spionage für Russland
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Si intensificano gli avvertimenti che l’AfD – partito di estrema destra tedesco – possa sfruttare gli strumenti parlamentari per servire interessi di potenze straniere, in particolare della Russia. Dopo i sospetti sollevati in Turingia sul flusso di interrogazioni AfD potenzialmente utili a Mosca, anche il presidente della Commissione Difesa del Bundestag, Thomas Röwekamp (CDU), denuncia uno schema preoccupante. In un’inchiesta del Der Spiegel, Röwekamp rileva che i deputati AfD hanno presentato in Parlamento federale “una molteplicità di interrogazioni straordinariamente dettagliate e coordinate sulle capacità e le lacune dell’esercito”, tale da far pensare più a un raster sistematico di acquisizione informazioni che a un legittimo controllo parlamentare. L’AfD – riferisce Röwekamp – sembrerebbe mirare a mappare con precisione punti vulnerabili della Bundeswehr e infrastrutture critiche, dati che avrebbero “enorme valore per potenze straniere, non ultima la Russia”. Anche alti ufficiali e vertici del Ministero della Difesa sarebbero in allerta: il susseguirsi coordinato delle domande AfD indicherebbe che “dietro c’è un sistema”. Un esponente CDU, Steffen Bilger, conferma che “salta all’occhio” la quantità di interrogazioni dei deputati AfD su aspetti nevralgici della sicurezza nazionale. L’AfD respinge le accuse come “fantasie da Guerra Fredda”, ma il dibattito in Bundestag è incandescente. Nei giorni scorsi, un duro scambio tra governo e opposizione ha visto la difesa ministeriale di Boris Pistorius unirsi alla preoccupazione: il rischio è che richieste formali di informazioni parlamentari vengano usate per attività di intelligence parallela. La vicenda alimenta i dubbi sulla lealtà costituzionale dell’AfD e sulle strategie ibride di Mosca: secondo più fonti, il Cremlino intensifica da anni spionaggio e attacchi cibernetici contro la Germania, e potrebbe trovare sponda in forze interne estremiste. Il governo Merz ha condannato qualsiasi collaborazione occulta con potenze ostili, mentre i servizi di sicurezza monitorano da vicino l’operato dell’AfD, già sorvegliata come sospetta minaccia all’ordine democratico.
Merz e il “volto” delle città: il dibattito sulla migrazione divide la coalizione
SPD-Generalsekretär nennt Merz’ Äußerungen „schwer erträglich“
taz – die tageszeitung – 21 ottobre 2025
Non si placa la polemica sulle dichiarazioni del cancelliere Friedrich Merz riguardo ai “problemi nel panorama urbano” causati dalla migrazione. Nonostante le critiche trasversali, Merz ha ribadito di “non aver nulla da ritrattare”, sostenendo che “il nostro stile di vita è in pericolo” a causa di alcuni migranti e che bisogna aumentare le espulsioni. Queste affermazioni – percepite da molti come allusive e stigmatizzanti – hanno innescato reazioni indignate sia nell’SPD (partner di governo) sia in settori della stessa CDU. Il segretario generale socialdemocratico Tim Klüssendorf le definisce “molto difficili da tollerare”, accusando Merz di generalizzare e “mescolare cose che non vanno mescolate”. Klüssendorf riconosce che i problemi di sicurezza urbana vanno affrontati, ma “pensare di risolverli con i rimpatri è sbagliato” – inoltre tale retorica rischia di far sentire indesiderate intere comunità di immigrati integrati. Anche esponenti dell’ala sociale della CDU, come Dennis Radtke, criticano il cancelliere: suggerire che basterebbero le espulsioni per migliorare il “decoro” urbano è semplicistico e “crea aspettative irrealistiche”, non riconoscendo la complessità delle sfide di integrazione e sicurezza. Un altro leader regionale CDU, Manuel Hagel, avverte che non si tratta di “persone o gruppi” ma di rafforzare sicurezza e ordine pubblico per tutti, senza alimentare divisioni etniche. Dal fronte opposto, la base più conservatrice applaude la linea dura di Merz; tuttavia il consenso del cancelliere nei sondaggi personali è sceso sottozero, segno che questa strategia infiammatoria non convince la maggioranza. La controversia evidenzia tensioni interne alla coalizione: l’ala moderata chiede toni più responsabili, mentre Merz – forse per arginare l’erosione di consensi verso l’AfD – mantiene una retorica rigida sull’immigrazione. Il rischio, notano i commentatori, è di alimentare ulteriormente un clima di polarizzazione e insicurezza percepita, senza affrontare in modo efficace le cause reali dei problemi di integrazione e criminalità.
La CDU scarica Wadephul sul caso Siria – ma nel mirino c’è Merz
CDU-Kritik an Wadephul: Der Außenminister bekommt die Wut auf die Koalition ab
Tagesspiegel – 8 novembre 2025
Il caso delle dichiarazioni del ministro degli Esteri Johann Wadephul sulla situazione in Siria – da lui definita peggiore della Germania del 1945 – ha innescato un terremoto politico nella CDU e tensioni nella grande coalizione. Molti nel partito di Merz hanno colto l’occasione per sfogare malumori più profondi verso il governo: Wadephul è stato lasciato solo e criticato come se avesse compiuto uno sgarro, mentre il cancelliere lo ha scaricato per precauzione. Dietro l’attacco frontale al ministro, osserva un editoriale, c’è in realtà il tentativo di colpire Merz: “il sacco si percuote, ma l’asino è quello a cui si mira”, scrive il Tagesspiegel citando un detto popolare. Wadephul, in visita a Damasco in macerie, aveva semplicemente constatato che “al momento è impossibile rimpatriare persone laggiù”, mettendo in guardia la CDU dall’insistere su espulsioni verso la Siria. Ma la dirigenza del partito – preoccupata di non apparire “morbida” sull’immigrazione – non ha voluto ascoltare: Merz stesso ha ribadito che “naturalmente si può rimpatriare in Siria” e si è smarcato dalle cautele del suo ministro. Questo strappo ha portato persino il Presidente federale Steinmeier a intervenire per calmare gli animi, difendendo Wadephul e invitando a riflettere prima di colpirlo. La vicenda rivela le crepe interne alla CDU e alla coalizione: mentre un’ala vorrebbe una linea più pragmatica e rispettosa degli avvertimenti umanitari, la fazione dura sfrutta ogni pretesto – come la frase di Wadephul – per riaffermare posizioni intransigenti e indebolire la leadership di Merz. Il cancelliere, il più impopolare dopo pochi mesi di mandato, è accusato di non saper tenere unito il “suo negozio”: questa spaccatura, avverte il Tagesspiegel, è una “ghiotta occasione per AfD e Linke” di presentarsi come alternative credibili a un governo paralizzato dai litigi.
La frenata dell’economia tedesca inguaia la grande coalizione
Deutschland steckt im Konjunkturmorast fest – Die versprochene Wende bleibt aus
Süddeutsche Zeitung – 30 ottobre 2025
La tanto attesa ripresa non arriva: nel terzo trimestre 2025 il PIL tedesco è rimasto al palo (0,0%), confermando che la Germania è bloccata in una fase di stagnazione. Negli ultimi tre anni ben 10 trimestri su 12 hanno visto contrazione o crescita zero – una sequenza negativa “mai registrata nel dopoguerra”, sottolinea la SZ. L’industria soffre il calo della domanda estera, in primis dalla Cina, e gli investimenti restano deboli, complice il costo del denaro ai massimi da un decennio. La “Wirtschaftswende” promessa da Merz non si vede: anzi, dopo un effimero rimbalzo a inizio anno, l’economia è di nuovo impantanata. In Europa la Germania continua a fare da fanalino di coda: nello stesso trimestre Spagna e Francia sono cresciute (+0,6% e +0,5% rispettivamente). Anche il mercato del lavoro dà segnali di cedimento: l’occupazione, che finora aveva retto grazie alla scarsità di manodopera, è calata per il quinto mese di fila (21.000 occupati in meno a settembre). Gli economisti parlano di “crisi congiunturale senza precedenti”: il PIL tedesco è praticamente fermo al livello del 2019, mentre gli Stati Uniti sono cresciuti del 13% nello stesso periodo. “La forbice tra Germania e concorrenti si allarga”, avverte la SZ: esempio emblematico il settore auto, in cui la Germania è scesa dal 1° al 4° posto mondiale per export in soli otto anni, sorpassata dalla Cina. Davanti a questi dati, la coalizione CDU-SPD appare in affanno: Merz ha riconosciuto che “la situazione è difficile” – eufemismo che un editorialista definisce “candidato al premio sottostima dell’anno”. Il ministro dell’Economia Katherina Reiche (CDU) invoca “riforme strutturali coraggiose” e meno burocrazia per rilanciare la competitività, ma finora il governo si è limitato a misure tampone. Con la produzione industriale e gli ordinativi ancora in calo, e la fiducia di imprese e consumatori ai minimi, la Germania rischia di chiudere il 2025 come “fanalino di coda d’Europa” in termini di crescita. Gli analisti avvertono: senza un vero cambio di passo – investimenti in innovazione e formazione, riduzione dei costi dell’energia e del cuneo fiscale – anche il 2026 vedrà solo un “mini-rimbalzo tecnico” insufficiente a recuperare il terreno perduto.
Allarme antisemitismo: recrudescenza di odio antiebraico in Germania
„Unsere Art zu leben ist in Gefahr“ – Antisemitismus nach dem 7. Oktober
DIE ZEIT / Jüdische Allgemeine – 9 novembre 2025
Le conseguenze dei conflitti internazionali si riflettono dolorosamente sulla società tedesca. Dall’inizio della guerra in Medio Oriente, il Paese registra una ondata di episodi antisemiti senza precedenti recenti: scritte ingiuriose e stelle di David vergate sulle porte di case di ebrei, sinagoghe attaccate con molotov, minacce online e aggressioni verbali durante le manifestazioni. Il ministero dell’Interno ha contato oltre 700 atti ostili anti-ebraici in un solo mese – un dato che riporta alla memoria i tempi bui che si speravano relegati al passato. “Noi ebrei sembriamo essere solo un intralcio, non veniamo protetti come dovremmo”, accusa il direttore del settimanale Jüdische Allgemeine, dando voce a un diffuso sentimento di insicurezza nella comunità. In occasione del 9 novembre – anniversario della Notte dei Cristalli – le massime cariche dello Stato hanno lanciato appelli accorati contro l’antisemitismo. Il presidente Steinmeier ha invitato i tedeschi a “difendere i nostri concittadini ebrei come parte inscindibile della nostra nazione”. L’ex capo di Stato Joachim Gauck ha chiesto “maggiore determinazione” nel contrastare “l’antisemitismo importato da alcuni ambienti arabi e della sinistra radicale”, riconoscendo che l’odio antiebraico oggi non proviene solo dall’estrema destra tradizionale. Il cancelliere Merz ha promesso tolleranza zero verso chi semina odio: già in ottobre il governo ha bandito simboli di Hamas e aumentato la vigilanza sui centri ebraici. Eppure, denunciano i leader comunitari, le misure appaiono insufficienti: troppe manifestazioni pro-Palestina hanno visto cori antisemiti e istigazioni alla violenza senza adeguata risposta delle autorità. “Ricordare non basta, bisogna agire: ‘mai più’ deve significare proteggere gli ebrei oggi”, ha ammonito Charlotte Knobloch, presidente emerita del Consiglio Centrale degli Ebrei. Il governo ha annunciato una Strategia Nazionale contro l’Antisemitismo e più fondi per l’educazione e la sicurezza[28], ma servirà uno sforzo costante di Stato e società – come ha scritto l’Istituto per i Diritti Umani – per essere all’altezza dell’imperativo del 9 novembre: “mai più”[29].
2. Politica estera e sicurezza
Consiglio di Sicurezza Nazionale: primo vertice contro le minacce ibride
Hybride Bedrohung aus Russland: Nationaler Sicherheitsrat beschließt Aktionsplan
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Si è riunito per la prima volta il nuovo Consiglio Nazionale di Sicurezza tedesco, organo strategico creato dal governo Merz-SPD. In questa seduta inaugurale, presieduta dal cancelliere Friedrich Merz, il Consiglio ha adottato un piano d’azione interministeriale per contrastare le minacce ibride, focalizzato soprattutto sul pericolo proveniente dalla Russia. Il portavoce governativo Stefan Kornelius ha spiegato che l’obiettivo è reagire al “crescente numero e intensità delle minacce ibride contro la Germania, in particolare da parte russa”. Il piano comprende misure di controspionaggio e protezione delle infrastrutture critiche, come centrali elettriche, reti idriche, gasdotti e oleodotti. I dettagli restano riservati – il Consiglio opera a porte chiuse – ma è chiaro che Berlino vuole rafforzare la resilienza del Paese di fronte a cyber-attacchi, campagne di disinformazione e possibili atti di sabotaggio orchestrati da Mosca. Contestualmente, il Consiglio ha discusso la dipendenza strategica da materie prime critiche, come le terre rare cinesi: entro fine anno verrà elaborato un piano per diversificare l’approvvigionamento di questi materiali essenziali. Il nuovo organismo fonde due strutture preesistenti – il Consiglio Federale di Sicurezza (finora dedicato in primis alle autorizzazioni di export di armamenti) e il gabinetto di sicurezza – creando una sede unificata per gestire crisi e delineare strategie di sicurezza nazionale. Vi siedono stabilmente, oltre al cancelliere, i ministri chiave (Esteri, Difesa, Interno, Finanze, Giustizia, Economia, Cooperazione e Digitale) e il capo della Cancelleria, con possibilità di coinvolgere di volta in volta anche i Länder, partner UE o NATO. Gli analisti salutano positivamente la nascita di questo strumento di coordinamento, sottolineando che la Germania – in un contesto internazionale tornato instabile – doveva dotarsi di un “centro di gravità” per la politica di sicurezza in grado di formulare risposte rapide e integrate. L’atto fondativo è un segnale di svolta: di fronte alla “pericolosa realtà” di un mondo meno pacifico, Berlino intende adottare un approccio più sistematico alla propria strategia di sicurezza nazionale.
Commissione “Cina”: Berlino rivede i rapporti economici alla luce della sicurezza nazionale
Schwarz-Rot plant Kommission zu China-Handel
Handelsblatt / n-tv – 8 novembre 2025
La grande coalizione CDU-SPD intende esaminare a fondo le relazioni commerciali critiche con la Cina. Secondo documenti parlamentari trapelati, sarà istituita una commissione di esperti indipendenti per analizzare le dipendenze strategiche e le vulnerabilità della Germania nei confronti di Pechino e formulare raccomandazioni per nuovi indirizzi politici. Il contesto è quello di un “ambiente geopolitico e commerciale mutato” – con crescenti tensioni USA-Cina e timori per la sicurezza delle catene di approvvigionamento – che spinge Berlino a riesaminare la propria esposizione verso la potenza asiatica. La Commissione – composta da circa dodici esperti provenienti da istituti economici e think tank di prim’ordine (fondazioni Bertelsmann e SWP, federazioni industriali BDI e DIHK, sindacati e centri di ricerca come IW e IfW) – dovrà individuare i settori in cui la dipendenza dalla Cina costituisce un rischio per l’autonomia e la sicurezza tedesca. Tra i compiti vi sarà valutare se servano adeguamenti normativi in materia di commercio estero e investimenti: ad esempio, limitare o monitorare le acquisizioni cinesi in infrastrutture critiche, diversificare forniture di minerali strategici (come litio e terre rare), o introdurre clausole di sicurezza nelle relazioni tecnologiche. Il Parlamento discuterà la proposta entro metà novembre e il governo punta a far partire la commissione al più presto, con relazioni annuali al Bundestag. La mossa riflette la crescente consapevolezza che “la collaborazione con Pechino è diventata più complicata” – come afferma n-tv – e va ripensata alla luce di considerazioni strategiche e non solo economiche. In parallelo, si registrano passi diplomatici: il ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD) visiterà la Cina entro novembre per rilanciare il dialogo economico, dopo che un viaggio previsto del nuovo ministro degli Esteri Johann Wadephul (CDU) era saltato in ottobre per divergenze sui temi da affrontare. Berlino ribadisce di voler cooperare con la Cina, ma è “preoccupata” per restrizioni cinesi su esportazioni di chip e terre rare. Insiders riferiscono che proprio la riluttanza di Pechino a discutere di queste criticità avrebbe fatto naufragare la visita di Wadephul. La creazione di una Commissione Cina segnala dunque un cambio di passo: tutelare l’interesse nazionale richiede ora di valutare il legame economico con Pechino anche sotto il profilo della sicurezza e della resilienza.
Germania-Ucraina: altri aiuti militari e fondi nel 2026, in attesa della posizione USA
Bundesregierung will drei Milliarden mehr für Ukraine geben
DIE ZEIT – 4 novembre 2025
Il governo tedesco ha deciso di aumentare ulteriormente il sostegno all’Ucraina per l’anno prossimo, stanziando altri 3 miliardi di euro nel bilancio 2026 destinati all’assistenza militare e finanziaria di Kiev. Un portavoce del Ministero delle Finanze ha confermato che i fondi aggiuntivi serviranno ad acquistare ulteriori armamenti – tra cui sistemi missilistici antiaerei Iris-T, carri armati, artiglierie e droni da ricognizione – e a rimpiazzare due batterie Patriot che la Germania ha ceduto all’Ucraina per rafforzarne la difesa aerea. La decisione, anticipata dal Handelsblatt, porta l’impegno finanziario tedesco verso Kiev per il 2026 a circa 8,5 miliardi di euro (prima dell’integrazione erano previsti 5,5 miliardi). “La Germania resta fermamente al fianco dell’Ucraina ed è il maggiore sostenitore europeo di Kiev”, ha dichiarato il ministro delle Finanze Lars Klingbeil, che presenterà la variazione al Parlamento in accordo con il ministro della Difesa Pistorius. Il Bundestag esaminerà il pacchetto aggiuntivo nella seduta di fine mese dedicata alla legge di bilancio. Nel contempo, cresce l’incertezza sul futuro della assistenza statunitense: il nuovo presidente Donald Trump non ha ancora approvato nuovi invii di armi all’Ucraina e preme per negoziati di cessate-il-fuoco. Al recente incontro della “Ramstein Group” a Bruxelles, dove 50 paesi alleati hanno promesso complessivamente 21 miliardi di euro di aiuti militari a Kiev, l’assenza in presenza del segretario alla Difesa USA ha destato preoccupazione. Pistorius ha ammesso che il comportamento di Washington è la “grande incognita” per la prosecuzione del sostegno: “Non posso leggere nella sfera di cristallo, aspettiamo di vedere cosa farà l’America” ha detto, pur sottolineando che l’Europa sta assumendo una quota maggiore di responsabilità nella difesa dell’Ucraina. Il ministro ucraino Rustem Umerov, presente al summit, ha ringraziato “il popolo e il governo tedesco” per i nuovi aiuti, notando che “l’Europa sta prendendo il comando” nell’appoggio a Kiev. Per l’Ucraina, il 2025 sarà un “anno cruciale” nella guerra, secondo il britannico John Healey, e la difesa aerea resta la priorità assoluta: Umerov ha ribadito la richiesta di più sistemi Patriot, ma Pistorius ha risposto che al momento la Germania non può cederne altri oltre a quelli già forniti.
Medio Oriente: Berlino condanna Teheran e difende gli ostaggi israeliani, con cautela sul conflitto
Deutsche Würdenträger verurteilen Teherans Hinrichtungsserie, drängen auf… (manifestazione a Berlino del 5 novembre 2025)
Tagesspiegel / agenzie – 5 novembre 2025
In una manifestazione svoltasi a Berlino, esponenti politici tedeschi di diversi schieramenti hanno lanciato un appello congiunto contro le recenti esecuzioni di manifestanti in Iran e in difesa dei diritti umani. Deputati del Bundestag, diplomatici e rappresentanti del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana si sono riuniti davanti alla Porta di Brandeburgo, denunciando la “brutale impennata di impiccagioni” decisa dal regime di Teheran e chiedendo all’Europa di aumentare la pressione perché cessino le repressioni. All’evento, il 5 novembre, è intervenuto anche l’ex deputato verde Volker Beck, ribadendo la necessità di sanzioni mirate contro i responsabili iraniani. Sul fronte del conflitto israelo-palestinese, la Germania – pur non coinvolta direttamente – vive intensamente le tensioni. Il ministro degli Esteri Johann Wadephul (CDU) ha accolto con favore la tregua temporanea a Gaza e la liberazione di alcuni ostaggi da parte di Hamas, definendola “un barlume di speranza” e confermando il sostegno tedesco alla mediazione egiziana e qatariota. Tuttavia, Wadephul ha precisato che Berlino non cambierà la linea di fermezza verso Hamas: il movimento è ritenuto un’organizzazione terroristica e la Germania appoggia il diritto di Israele a difendersi. Allo stesso tempo, fonti diplomatiche riferiscono che la Germania sta lavorando in sede UE per un maggiore sforzo umanitario a favore della popolazione civile di Gaza, chiedendo corridoi sicuri e aumenti degli aiuti di emergenza. Riguardo al Libano, la ministra della Difesa Siemtje Möller (SPD) ha richiamato l’attenzione sulla missione UNIFIL a cui partecipano militari tedeschi: Berlino è pronta a prolungare il mandato di peacekeeping per evitare un’estensione del conflitto al confine settentrionale di Israele. In sintesi, la politica estera tedesca in queste settimane è caratterizzata da ferma condanna delle violazioni dei diritti umani in Iran e solidarietà con Israele nella lotta al terrorismo, con un parallelo appello alla moderazione e all’azione umanitaria per prevenire ulteriori escalation.
Merz al vertice clima in Amazzonia: fondi per le foreste ma poche novità
Weltklimakonferenz in Belém: Merz fordert globale Kraftanstrengung beim Klimaschutz
Tagesspiegel – 7 novembre 2025
Il cancelliere Friedrich Merz ha partecipato al summit inaugurale della COP30 a Belém (Brasile), impegnandosi – seppur in una visita lampo di appena 20 ore – a sostenere finanziariamente la tutela delle foreste tropicali. In un intervento di 5 minuti, Merz ha invocato uno “sforzo globale straordinario” contro il riscaldamento climatico, annunciando che la Germania contribuirà con una cifra “significativa” al nuovo fondo multi-miliardario lanciato dal Brasile per fermare la deforestazione in Amazzonia, Congo e altri paesi. Il piano brasiliano prevede 25 miliardi di dollari iniziali dai paesi ricchi, destinati a circa 70 nazioni tropicali: Merz ha assicurato che “su di noi potete contare”, pur senza precisare l’ammontare esatto. Il cancelliere ha delineato la visione tedesca di un clima protetto con l’aiuto dell’economia, non contro di essa: “Puntiamo su innovazione e tecnologia, la nostra economia non è il problema ma la chiave per tutelare meglio il clima”, ha detto, respingendo approcci “ideologici” e sottolineando l’obiettivo di energia a lungo termine affidabile ed economica. Merz ha rivendicato che “sulla Germania si può fare affidamento” per il rispetto dei target climatici europei, ma le ONG lo hanno subito criticato: Oxfam ha definito “difficile da tollerare” l’affermazione, ricordando i pesanti tagli decisi da Berlino alla cooperazione allo sviluppo, inclusi i fondi climatici per i paesi poveri. Molti osservatori evidenziano la contraddizione di una conferenza sul clima con pochi leader presenti e arrivati in aereo (Merz compreso). Il cancelliere tedesco, come altri capi di stato occidentali, non parteciperà ai negoziati principali della COP30 – delegando il compito ai ministri – segno che l’urgenza climatica rischia di passare in secondo piano tra crisi geopolitiche e tensioni economiche. Nonostante le promesse di fondi verdi e i richiami all’unità globale, la stampa tedesca sottolinea che “mancano impegni concreti” nella strategia di Merz: la Germania sostiene la neutralità carbonica al 2045 e ha investito 6 miliardi nel 2024 in finanza climatica, ma chiede anche a giganti come Cina e Arabia Saudita di fare di più. Il timore è che, senza una leadership più coraggiosa, l’obiettivo di contenere il riscaldamento entro 1,5°C resti fuori portata a dispetto dei vertici e dei proclami di rito.
Deputati AfD in missione a Mosca: polemiche e timori di spionaggio
AfD-Politiker reisen zu Brics-Konferenz nach Russland
DIE ZEIT – 6 novembre 2025
Mentre Berlino inasprisce la postura verso il Cremlino, due parlamentari dell’AfD – il partito di destra radicale – hanno annunciato la partecipazione a un forum in Russia, suscitando sdegno trasversale. I deputati Rainer Rothfuss e Steffen Kotré voleranno a Soči per una conferenza dei paesi Brics-plus (la piattaforma che riunisce Russia, Cina, India, Brasile, Sudafrica e altri emergenti). Inizialmente i politici AfD avevano in agenda anche un incontro riservato con l’ex presidente Dmitrij Medvedev, oggi vicecapo del Consiglio di Sicurezza russo, ma di fronte alle critiche hanno fatto marcia indietro: la riunione è stata cancellata per mancanza di autorizzazione dal partito stesso, secondo quanto dichiarato dal capogruppo AfD Markus Frohnmaier. Resta il fatto inedito di un viaggio “parallelo” in Russia da parte di esponenti di un partito parlamentare tedesco proprio mentre la Germania guida le sanzioni UE contro Mosca. Esponenti della CDU e dei Verdi hanno duramente attaccato l’iniziativa definendola “vicina al tradimento”: “È inaccettabile che dei deputati tedeschi, invece di sostenere la nostra sicurezza, facciano passerella a Mosca”, ha tuonato un parlamentare bavarese, evocando il termine Landesverrat (tradimento della patria). Dal canto suo l’AfD difende il viaggio come “diplomazia di pace informale”: Rothfuss afferma di voler usare “ogni mezzo democratico legittimo per evitare un’escalation del conflitto con la Russia che coinvolga la NATO e la Germania”, sostenendo la necessità di mantenere aperto il dialogo. Tuttavia, ricorda Reuters, l’AfD ha continuato a coltivare rapporti con ambienti russi anche dopo l’invasione dell’Ucraina, criticando l’invio di armi a Kiev e le sanzioni occidentali. Il partito è sorvegliato dall’intelligence interna come potenziale minaccia estremista e negli ultimi giorni è emerso il sospetto – negato con forza dall’AfD – che alcuni suoi deputati possano aver passato a Mosca informazioni sensibili ottenute via interrogazioni parlamentari. La partecipazione di politici AfD a un consesso in Russia, pur non ufficiale, alimenta dunque il dibattito sulla loro ambiguità nei confronti del regime di Putin. Il governo tedesco ha ribadito che la linea verso Mosca rimane quella della fermezza e dell’unità euro-atlantica, prendendo le distanze dall’iniziativa AfD. La vicenda conferma le preoccupazioni dei servizi: come ha avvertito il capo dell’intelligence Thomas Haldenweg, il Cremlino tenta attivamente di “coltivare contatti agli estremi dello spettro politico tedesco” per diffondere le proprie narrazioni e minare la fiducia nella democrazia occidentale.
UE verso il 2040: accordo sul clima “annacquato” prima della COP30
EU-Klimaziel 2040: Ein Kompromiss mit vielen Hintertüren
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Dopo una maratona negoziale di 20 ore a Bruxelles, gli Stati membri dell’Unione Europea hanno trovato un’intesa sull’obiettivo climatico al 2040, da presentare come contributo alla COP di Belém. Sulla carta, il target appare ambizioso: ridurre almeno del 90% le emissioni di gas serra rispetto al 1990. In realtà – notano critici ed eurodeputati – l’accordo è costellato di eccezioni e clausole che ne riducono la portata. Ad esempio, fino a 5 punti percentuali del taglio potranno essere conseguiti tramite acquisto di crediti di carbonio esteri: ciò significa che il taglio effettivo “interno” potrebbe scendere all’85%. Inoltre, sotto la spinta dell’Italia, è stata inserita la possibilità di un ulteriore 5% di compensazioni in casi eccezionali, e la Francia ha ottenuto un’ulteriore flessibilità del 3% qualora foreste e suoli europei risultassero meno assorbenti del previsto a causa di incendi e siccità. Sommando tutte le “scappatoie”, il taglio reale potrebbe ridursi a circa il 77% – ben lontano dal -90% sbandierato. Organizzazioni ambientaliste e parte del Parlamento UE criticano duramente l’intesa: il verde tedesco Michael Bloss l’ha definita “un moderno commercio di indulgenze” e un “etichettage ingannevole”, accusando i governi di nascondere i mancati tagli dietro crediti e contabilizzazioni creative. Anche il PPE, pur favorevole al compromesso, ammette la presenza di molte “porte sul retro”: l’europarlamentare CDU Peter Liese calcola che, tenendo conto di tutte le clausole, il taglio effettivo potrebbe fermarsi al 77%. Liese esprime sollievo per aver raggiunto un accordo, ma avverte che alcuni paesi potrebbero sfruttare i crediti per fare cassa anziché ridurre emissioni – citando la Francia, in difficoltà di bilancio, che potrebbe contabilizzare come “azioni climatiche” voci di aiuto allo sviluppo già esistenti. Ora la palla passa al Parlamento UE, che dovrà negoziare la versione finale con i governi: gli eurodeputati chiedono di eliminare almeno le deroghe più ampie e garantire un taglio netto più vicino all’85% reale. L’accordo è stato difeso dal ministro tedesco Carsten Schneider (SPD), presidente di turno del Consiglio Ambiente, come “un compromesso realistico” per tenere uniti 27 paesi con economie diverse. Ma la critica generale è che l’Europa – pur volendo mostrarsi leader climatica – si presenti al summit ONU con un obiettivo al ribasso, mitigato da troppi asterischi, rischiando di perdere credibilità agli occhi del mondo.
Consiglio di Sicurezza Nazionale: difesa ibrida e materie prime al centro
Nationaler Sicherheitsrat: Aktionsplan gegen hybride Bedrohungen
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Si è tenuta la riunione inaugurale del nuovo Consiglio Nazionale di Sicurezza, l’organo strategico istituito dal governo Merz per coordinare la politica di sicurezza tedesca. Presieduto dallo stesso cancelliere, il Consiglio ha approvato un piano d’azione contro le minacce ibride, identificando nella Russia la principale fonte di rischio. “Assistiamo a un aumento in quantità e intensità delle aggressioni ibride contro la Germania, specie da parte di Mosca”, ha dichiarato il portavoce governativo Kornelius, annunciando misure di controspionaggio e protezione delle infrastrutture critiche (energia, trasporti, telecomunicazioni). I dettagli restano riservati – il Consiglio lavora a porte chiuse – ma secondo indiscrezioni verranno potenziati i reparti cyber delle forze armate e intensificata la collaborazione con l’intelligence civile per prevenire attacchi informatici e sabotaggi a reti elettriche, oleodotti e porti. Sul tavolo anche la dipendenza da materie prime strategiche: entro fine anno il Consiglio elaborerà un piano per diversificare l’approvvigionamento di terre rare e minerali critici, oggi importati in gran parte dalla Cina. Il nuovo organismo accorpa funzioni prima disperse tra il Consiglio Federale di Sicurezza (che decideva soprattutto sull’export di armamenti) e il consiglio di Difesa: ora attori chiave – Esteri, Difesa, Interno, Economia, Finanzie, Giustizia, Cancelleria e Digitale – siedono intorno allo stesso tavolo per affrontare crisi e orientare la strategia nazionale. Gli esperti salutano positivamente la nascita di questo “centro di gravità” della sicurezza tedesca: di fronte a una realtà internazionale più instabile, Berlino aveva bisogno di uno strumento per reagire in modo coordinato e rapido alle minacce. L’istituzione del Consiglio – prevista nel programma di governo CDU-SPD – è letta come un segnale di svolta culturale: la Germania riconosce che la sua sicurezza non è più garantita “in automatico” e che serve un approccio proattivo. Merz ha sottolineato che il Consiglio sarà anche sede di simulazione di scenari (dalla guerra convenzionale a un blackout elettrico) per preparare risposte integrate. Il messaggio è chiaro: “viviamo tempi pericolosi”, ha detto il Cancelliere, “e dobbiamo pensare alla sicurezza nazionale a 360 gradi, inclusa la resilienza economica e sociale”.
Commissione “Cina”: Berlino rivede il commercio con Pechino in ottica sicurezza
Kommission geplannt: Deutschland prüft Abhängigkeiten vom China-Handel
Handelsblatt / n-tv – 8 novembre 2025
Il governo tedesco intende passare al setaccio i rapporti economici con la Cina per ridurre vulnerabilità strategiche. Una commissione indipendente di esperti sarà istituita per analizzare in dettaglio le dipendenze critiche della Germania da Pechino e suggerire correzioni di rotta. L’iniziativa, anticipata dall’Handelsblatt, nasce in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche e di una maggiore consapevolezza a Berlino che l’intreccio economico con la Cina comporta non solo benefici ma anche rischi per la sicurezza nazionale. La Commissione – composta da circa 12 membri provenienti da istituti economici, think tank e associazioni industriali (tra cui la fondazione Bertelsmann, l’SWP, la confindustria BDI e i sindacati) – avrà il compito di identificare i settori in cui una dipendenza eccessiva da forniture o investimenti cinesi potrebbe esporre la Germania a pressioni o ricatti. Ad esempio, sarà esaminata la filiera dei minerali rari (terre rare, litio) fondamentali per la transizione energetica e digitale: oggi Pechino controlla larga parte del mercato e ha già mostrato la volontà di limitarne l’export per motivi politici. La Commissione valuterà inoltre la presenza cinese in infrastrutture critiche tedesche (porti, telecomunicazioni, energia) e se rafforzare il controllo sugli investimenti esteri in questi ambiti. Si discuterà anche di eventuali meccanismi per diversificare le esportazioni tedesche e ridurre la dipendenza dell’industria automobilistica dal mercato cinese – oggi in rallentamento e sempre più dominato da produttori locali. La proposta di creare la Commissione verrà presentata in Parlamento a metà novembre e l’obiettivo è di farla partire entro fine anno, con un primo rapporto atteso nel 2026. In parallelo, il governo cerca di mantenere aperto il dialogo bilaterale: il ministro delle Finanze Klingbeil (SPD) è atteso in Cina a fine mese per rilanciare i contatti economici, dopo che a ottobre una prevista visita del nuovo ministro degli Esteri Wadephul (CDU) era saltata per divergenze di agenda. Berlino ribadisce infatti di non voler “disaccoppiare” dall’economia cinese, ma piuttosto “ridurre i rischi” (de-risking) – un approccio già delineato nella Strategia Cina approvata nel 2024. Ciò implica tutelarsi da eventuali strette di Pechino (come il blocco nelle esportazioni di chip o terre rare deciso di recente, che preoccupa l’industria europea). La Commissione Cina segna dunque un cambio di passo: la politica commerciale tedesca d’ora in poi terrà conto non solo del profitto ma anche della resilienza strategica, in un mondo dove economia e sicurezza sono sempre più intrecciate.
Berlino conferma 3 miliardi extra all’Ucraina nel 2026, incertezza dagli USA
Bundesregierung will drei Milliarden Euro mehr für Kiew bereitstellen
DIE ZEIT – 4 novembre 2025
La Germania rafforza il sostegno all’Ucraina, preparando un nuovo pacchetto di aiuti militari e finanziari per il 2026 da 3 miliardi di euro aggiuntivi. La decisione, anticipata dal ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD), porterà l’impegno tedesco verso Kiev l’anno prossimo a circa 8,5 miliardi totali – confermando la Germania come primo donatore europeo. I fondi serviranno a fornire ulteriore armamento di difesa: in primis sistemi antiaerei Iris-T (cruciali contro i droni russi), ma anche carri armati, pezzi d’artiglieria e munizioni, nonché droni da ricognizione. Berlino intende inoltre rimpiazzare le due batterie Patriot che sono state cedute all’Ucraina per proteggerne il cielo, in vista dell’inverno di guerra. Il pacchetto sarà sottoposto al Bundestag nell’assestamento di bilancio a fine mese, ma vi è un consenso trasversale sul continuare l’aiuto a Kiev. “Rimarremo al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha dichiarato il ministro della Difesa Pistorius, pur ammettendo che il nodo principale è la posizione degli Stati Uniti. Il nuovo presidente americano Donald Trump infatti non ha ancora approvato ulteriori invii di armi, spingendo piuttosto per un cessate-il-fuoco negoziato. Al recente incontro degli alleati a Bruxelles (formato Ramstein), l’assenza di un impegno chiaro da Washington ha destato preoccupazione: “Non ho la sfera di cristallo, aspettiamo di vedere cosa faranno gli USA”, ha commentato Pistorius, definendo la linea americana la “grande incognita”. In risposta, i paesi europei stanno aumentando il proprio contributo: complessivamente, nel meeting di Bruxelles, 50 nazioni hanno promesso aiuti militari per 21 miliardi di euro, con l’Europa sempre più protagonista. Il nuovo ministro ucraino della Difesa Rustem Umerov, presente al vertice, ha ringraziato “il popolo e il governo tedeschi” per il supporto, osservando che “l’Europa sta prendendo il comando” nel sostegno a Kiev. Umerov ha ribadito che il 2025 sarà “un anno cruciale” per la resistenza ucraina e ha chiesto ulteriori sistemi di difesa aerea, in particolare batterie Patriot, poiché proteggere il cielo resta la priorità assoluta. Pistorius ha risposto che, al momento, la Germania non può fornirne altri senza scoprire la propria difesa, ma sta lavorando per addestrare più rapidamente gli equipaggi ucraini sui sistemi già consegnati.
Iran e Israele: Berlino condanna Teheran e preme per gli ostaggi, equilibrio difficile
„Brutale Hinrichtungswelle stoppen“ – Berlin solidarisiert sich mit Israel und Opposition im Iran
Tagesspiegel / agenzie – 5 novembre 2025
La politica estera tedesca vive settimane delicate tra la repressione in Iran e la guerra in Medio Oriente. A Berlino, di fronte alla Porta di Brandeburgo, si è svolta una manifestazione trasversale contro l’ondata di esecuzioni capitali in Iran: esponenti di tutti i partiti democratici, diplomatici e attivisti iraniani hanno denunciato la “brutale impennata di impiccagioni” decisa dal regime e chiesto all’UE di aumentare la pressione su Teheran. Nel suo intervento, l’ex deputato verde Volker Beck ha invitato il governo tedesco a farsi promotore di sanzioni mirate contro i responsabili della repressione iraniana e di iniziative di sostegno alla società civile. Parallelamente, Berlino è impegnata sul fronte israelo-palestinese. Il ministro degli Esteri Johann Wadephul (CDU) ha definito “un raggio di speranza” la temporanea tregua umanitaria raggiunta a Gaza grazie alla mediazione egiziana e qatariota, che ha portato al rilascio di alcuni ostaggi israeliani da parte di Hamas. Wadephul ha ribadito il diritto di Israele a difendersi dal terrorismo e ha escluso qualsiasi dialogo diretto con Hamas (classificata dall’UE come organizzazione terroristica). Allo stesso tempo, ha sottolineato la necessità di alleviare le sofferenze dei civili palestinesi: la Germania sta lavorando in sede UE per aumentare gli aiuti umanitari a Gaza e creare corridoi protetti per le forniture essenziali. Berlino si muove in equilibrio: solidarietà totale con Israele – come testimoniato dall’incontro della cancelliera in pectore Annalena Baerbock (Verdi) con familiari degli ostaggi ebrei – ma anche sostegno attivo alle iniziative diplomatiche volte a prevenire un allargamento del conflitto. In Libano, dove la Germania partecipa con la Bundeswehr alla missione UNIFIL, la ministra della Difesa Siemtje Möller (SPD) ha annunciato che proporrà al Bundestag il rinnovo e potenziamento del mandato dei caschi blu, “per evitare che la guerra si estenda al confine nord di Israele”. Insomma, la linea tedesca combina fermezza e cautela: condanna decisa delle violazioni dei diritti umani (dalle impiccagioni in Iran ai crimini di Hamas) e impegno nel cercare soluzioni diplomatiche, ben sapendo che la stabilità internazionale incide direttamente sulla propria sicurezza in un mondo sempre più interconnesso.
3. Industria della difesa e questioni militari
Bundeswehr: drone-kamikaze made in Germania deludono, frena la corsa agli armamenti
Bundeswehr: Absturz beim geheimen Drohnen-Test – Pistorius in der Defensive
Süddeutsche Zeitung – 2 novembre 2025
La Bundeswehr ha avviato un vasto programma d’urgenza per dotarsi di “munizioni vaganti” (droni kamikaze) su larga scala – circa 12.000 unità, per un investimento fino a 900 milioni di euro – colmando ritardi storici nell’arsenale emersi con la guerra in Ucraina. Ma un test segreto svoltosi a ottobre ha rivelato problemi clamorosi: uno dei prototipi, fornito dalla startup berlinese Stark (sostenuta dal miliardario Peter Thiel), si è schiantato fuori bersaglio e incendiato durante una prova a Munster. Secondo un rapporto del Financial Times, i droni Stark hanno fallito tutti e quattro i lanci di prova – due con l’esercito britannico in Kenya e due con la Bundeswehr – mancando ripetutamente gli obiettivi. In parallelo, la startup bavarese Helsing (specializzata in AI militare) era anch’essa presente al test e ne sarebbe uscita meglio, stando a indiscrezioni di stampa. Il ministro della Difesa Boris Pistorius, già sotto pressione, ha dovuto ammettere l’accaduto e ha evidenziato che il problema non è solo nei collaudi interni: l’industria fornitrice ha le sue colpe, poiché alcuni prodotti innovativi non sono ancora maturi. La vicenda illustra i rischi dell’approccio accelerato scelto dalla Germania per rinnovare gli armamenti: Pistorius aveva ordinato di semplificare l’iter d’acquisto preferendo sistemi “disponibili sul mercato” anziché lunghi sviluppi autoctoni. Nonostante ciò, i droni commissionati – pensati anche per equipaggiare la brigata tedesca in Lituania – “arrivano col contagocce, o forse non arriveranno affatto”, riferisce Der Merkur citando un rapporto confidenziale. Il Ministero della Difesa ribatte che difficoltà erano attese data la complessità tecnica del progetto e l’ambizioso cronoprogramma, ma insiste che non si arretrerà: entro fine novembre è previsto un ulteriore test di sistema per valutare soluzioni. Intanto, entra in scena anche il colosso Rheinmetall: la SZ rivela che il gruppo è stato inserito in extremis tra i candidati a fornire droni kamikaze, pur senza esperienza pregressa nel settore. L’obiettivo del Ministero sarebbe evitare di puntare tutto su piccole aziende poco affidabili, distribuendo il progetto tra più fornitori o coinvolgendo un attore tradizionale per garantire standard bellici (testate esplosive, robustezza) in cui le startup faticano. Questo “crash” nei test evidenzia la difficoltà di conciliare innovazione rapida e affidabilità: la Bundeswehr è determinata a recuperare il gap tecnologico, ma dovrà forse ricalibrare l’equilibrio tra startup e industria classica per dotarsi di armi efficaci in tempi utili.
La rete radio digitale della Bundeswehr è in stallo: ritardi e falle tecnologiche preoccupano il Parlamento
Probleme mit Digitalfunk bei der Bundeswehr: Statt Zeitenwende erstmal Sendepause
Süddeutsche Zeitung – 6 novembre 2025
Uno dei principali progetti di modernizzazione dell’esercito tedesco – la conversione di 10.000 veicoli militari al nuovo sistema di comunicazioni digitali cifrate – sta incontrando serie difficoltà tecniche e ritardi che minano la cosiddetta Zeitenwende. Deputati, anche della maggioranza, criticano aspramente il ministro della Difesa Pistorius per la gestione del “miliardario progetto Digitalfunk”. In un’ispezione presso un battaglione corazzato in Turingia, il deputato verde Niklas Wagener ha osservato che l’installazione delle nuove radio VR500 su un singolo carro Leopard 2 richiede due tecnici per ben 200 ore di lavoro – circa 5 settimane a veicolo. Inoltre, “il sistema funziona male”: ad ogni comunicazione c’è un ritardo di 3 secondi nella trasmissione vocale – un gap che in battaglia può risultare fatale, ad esempio nel rispondere a un attacco con droni. Ancora peggio i dati: l’invio di un messaggio con immagini tattiche può impiegare 10–20 minuti, rendendo l’informazione obsoleta prima dell’arrivo. Wagener conclude che la strategia di aggiornare interi reparti in blocco (“Umrüststraße”) è fallita: interi battaglioni portati in officina per settimane e alla fine “in mezzi chiave come il Boxer non si è riusciti a integrare con successo il sistema”. Il problema è doppio: hardware e software. Le radio dual-band fornite dall’azienda tedesca Rohde & Schwarz offrono potenzialmente 10 Mbit/s, ma l’integrazione su ben 150 tipi diversi di veicoli si sta rivelando molto più complicata del previsto. Finora solo 8 modelli di mezzi hanno ottenuto l’omologazione all’uso del Digitalfunk – su 150 – e i lavori procedono a ritmo lentissimo. In aggiunta, il sistema presenta latenze inaccettabili: una conversazione radio con 3 secondi di eco e lag può significare vita o morte in combattimento. Pistorius ha ammesso pubblicamente le criticità: “Ci portiamo dietro questi problemi e non stanno diminuendo”, ha dichiarato, avvertendo che il cronoprogramma rischia di “scivolare verso destra” (ossia subire slittamenti). Il Ministero attribuisce le colpe in gran parte ai fornitori industriali: “Le difficoltà sono in larga misura lato industria”, ha detto il ministro, pur riconoscendo che anche nell’organizzazione interna “non tutto è filato liscio”. Per tamponare, la Bundeswehr prevede ora un “esercizio misto”: mantenere parallelamente attivi i vecchi apparati analogici – più vulnerabili alle intercettazioni – insieme ai nuovi, finché questi ultimi non saranno pienamente operativi. Ciò significa che, in caso di conflitto, i reparti dovrebbero usare entrambe le reti radio, con possibili complicazioni tattiche. Il responsabile difesa CDU Thomas Röwekamp definisce “altamente irritante” questa situazione: “Si mette a repentaglio la prontezza operativa della Bundeswehr, la sua interoperabilità con gli alleati e la sicurezza dei nostri soldati”, ha dichiarato alla Süddeutsche. La vicenda del Digitalfunk – parte centrale del rinnovamento finanziato con il fondo speciale da 100 miliardi – è un campanello d’allarme sullo stato della modernizzazione militare tedesca: nonostante le risorse straordinarie, l’inerzia burocratica e gli intoppi tecnici rischiano di diluire la “Zeitenwende” in mere promesse, mentre la NATO richiede un esercito più reattivo e connesso in tempi brevi.
Wehrpflicht 2.0: riforma vicina, ma la leva digitale fatica a convincere
Wehrdienstreform auf „Zielgeraden“ – Pistorius erlebt mit Digitalfunk Bundeswehr-Desaster
Frankfurter Rundschau – 9 novembre 2025
Il ministro della Difesa Boris Pistorius assicura che la riforma del servizio militare è “in dirittura d’arrivo”: dopo un acceso scontro interno alla coalizione sul metodo di selezione (sorteggio sì/no), è attesa per la settimana successiva un’intesa definitiva tra CDU/CSU e SPD. Il nuovo “Wehrdienst” volontario e selettivo, ispirato al modello svedese, dovrebbe partire nel 2026 con l’obiettivo di reclutare 80.000 giovani l’anno – donne e uomini – per portare le forze armate a circa 260.000 effettivi. Pistorius, molto critico verso l’ipotesi di sorteggio proposta dall’Unione, ha insistito su una leva su base volontaria ma con chiamata obbligatoria alla visita di leva per tutti i diciottenni (la cosiddetta “musterung universale”). L’Unione invece premeva per introdurre un meccanismo di lotteria nel caso le adesioni risultino insufficienti: questo punto resta controverso, ma sembra destinato a essere accantonato per ora, puntando su robusti incentivi e campagne di sensibilizzazione per attrarre candidati. Intanto, un altro dossier scottante getta un’ombra sulla modernizzazione della Bundeswehr: la FR rivela gravi ritardi nel progetto di digitalizzazione delle comunicazioni di bordo. Solo 8 su 150 tipi di veicoli hanno finora ricevuto l’installazione completa delle nuove radio cifrate, e l’adeguamento procede così lentamente che la piena operatività potrebbe slittare di due anni, dal 2025 al 2027. Il cuore del problema è il sistema di radio digitale VR500: appena 8 modelli di automezzi su 150 hanno ottenuto il via libera all’uso, poiché l’integrazione hardware è laboriosa (200 ore di lavoro per carro armato) e il software presenta latenze di 3 secondi – incompatibili con il combattimento. Secondo dati interni citati da n-tv, il ritardo finale potrebbe essere di circa due anni rispetto ai piani iniziali. Ciò significa che la divisione dell’esercito destinata alla NATO nel 2027 potrebbe ritrovarsi ancora con mezzi privi di radio digitale funzionante – uno scenario definito “irritante e inaccettabile” dal presidente della Commissione Difesa Röwekamp. Pistorius stesso, il 7 novembre, ha ammesso che “questi problemi ce li stiamo trascinando e non diminuiscono”, segnalando il rischio di scivolare sui tempi. Ha inoltre riconosciuto che “non tutto è andato liscio da parte nostra” nell’implementazione, benché attribuisca la maggior parte delle colpe ai fornitori industriali. Nonostante ciò, il ministro resta ottimista sulla riforma della leva: “Sono molto, molto fiducioso” che l’accordo politico sia imminente. L’obiettivo dichiarato di Pistorius è avviare il nuovo modello di servizio entro il 2027, con le prime chiamate volontarie già nel 2026 per formazione e addestramento, così da dare respiro a un esercito che ha bisogno di almeno 75.000 soldati in più per soddisfare gli impegni NATO. Resta da vedere se la combinazione di riforma del servizio militare e investimenti tecnologici riuscirà a invertire la rotta: ad oggi, nota amaramente la FR, la “montagna di problemi” di Pistorius continua a crescere, e la fiducia del Parlamento nella capacità di rinnovamento del Bundeswehr è messa a dura prova.
Bilancio Difesa 2026: Pistorius ottiene meno del richiesto, forze armate al bivio finanziario
Bundeswehr: Pistorius will Verteidigungshaushalt kräftig anheben
Handelsblatt – 5 novembre 2025
Nelle trattative sul bilancio federale 2026, il ministro della Difesa Boris Pistorius aveva richiesto un aumento di 6,5-7 miliardi di euro rispetto allo stanziamento inizialmente previsto di circa 52 miliardi. Al termine dei negoziati di governo, però, gli è stato concesso solo un incremento parziale: fonti di stampa riportano che il budget della difesa per il 2026 ammonterà a circa 55,5 miliardi, ben al di sotto delle ambizioni di Pistorius. Il ministro non ha nascosto la propria delusione di fronte ai soldati: “Il risultato non è quello che speravamo”, avrebbe detto, promettendo tuttavia di continuare a battersi per maggiori fondi. Dopo anni di sottofinanziamento, la Bundeswehr affronta impegni crescenti – dal riarmo post-Zeitenwende al sostegno all’Ucraina e al rafforzamento del fianco orientale NATO. Scholz, pur cedendo la cancelleria a Merz, aveva fissato l’obiettivo del 2% del PIL per la difesa in modo permanente. Tuttavia, con la prevista fine del “fondo speciale” da 100 miliardi (ormai quasi completamente assegnato a progetti a medio termine come F-35, corvette, sistemi digitali), dal 2026 in poi il bilancio ordinario dovrebbe aumentare per compensare la fine di quella dote straordinaria. Il quadro attuale è però opposto: dopo il “balzo” del 2024-25, la spesa militare rischia la stagnazione. Il nuovo ministro delle Finanze, Lars Klingbeil (SPD), preme per la disciplina fiscale e ha rigettato larga parte delle richieste di Pistorius, il quale puntava a consolidare gli incrementi e raggiungere progressivamente 60-70 miliardi annui entro fine decennio. Con 55 miliardi, la Germania rimane lontana anche dal potenziale 2,5% del PIL che gli Stati Uniti sollecitano agli alleati: di recente il segretario USA alla Difesa ha ipotizzato un nuovo target NATO del 3-5% del PIL per rispondere alle minacce globali, prospettiva che Pistorius ha definito non realistica per la Germania, almeno nel breve periodo. Nel frattempo, i progetti di investimento accumulano ritardi e rincari: ad esempio, l’acquisto di munizioni, per cui Berlino ha stanziato complessivamente oltre 20 miliardi fino al 2031, procede a rilento per colli di bottiglia produttivi. Anche la costruzione della fabbrica di munizioni Rheinmetall in Ucraina – frutto di un accordo simbolico di cooperazione – risulta rinviata oltre i piani iniziali. Pistorius, conscio delle sfide, sta valutando modelli innovativi di finanziamento: oltre alla leva parzialmente obbligatoria per aumentare il personale, ha ipotizzato una partecipazione statale nell’industria bellica nazionale (ad esempio acquisendo quote di aziende strategiche) per garantirne la capacità produttiva. In parallelo, il governo Merz ha promesso di snellire la burocrazia negli acquisti militari e di destinare eventuali eccedenze di bilancio ad ammodernare caserme e alloggi truppe. Ma senza risorse aggiuntive significative, avvertono gli esperti, la Bundeswehr rischia di non poter sostenere nel lungo termine gli impegni presi: già nel 2024, per centrare il 2% PIL, si è dovuto attingere massicciamente al fondo straordinario; dal 2025 in poi, senza fondi extra, quel target potrebbe sfumare nuovamente. Pistorius ha chiarito ai suoi che continuerà a lottare in sede di governo e parlamento per invertire la tendenza, ma il margine di manovra è stretto in un contesto di rigore di bilancio. L’esito deludente sul 2026 viene letto dagli osservatori come un segnale d’allarme: la “Zeitenwende” rischia di perdere slancio se non accompagnata da un impegno finanziario costante e crescente, e il prestigio internazionale della Germania come pilastro europeo della difesa potrebbe risentirne.
Droni kamikaze “made in Germany”: flop nei test e programmi da rivedere
Bundeswehr: Absturz beim geheimen Drohnen-Test – Pistorius unter Druck
Süddeutsche Zeitung – 2 novembre 2025
La Bundeswehr ha urgente bisogno di dotarsi di loitering munitions (droni kamikaze) per colmare le lacune emerse con la guerra in Ucraina. Berlino ha stanziato quasi 900 milioni di euro per acquistare circa 12.000 droni suicidi entro il 2025, rivolgendosi a startup nazionali per accelerare i tempi. Ma i test segreti condotti in ottobre hanno rivelato problemi clamorosi: uno dei prototipi – fornito dalla giovane azienda berlinese Stark – si è schiantato fuori bersaglio e ha preso fuoco durante una prova a Munster. Secondo un rapporto trapelato, i droni di Stark hanno fallito 4 lanci su 4 (due in un’esercitazione con i britannici in Kenya e due in Germania), mancando sistematicamente gli obiettivi. Anche l’altra startup coinvolta, la bavarese Helsing (specializzata in IA bellica), avrebbe avuto difficoltà, pur mostrando risultati leggermente migliori. Il ministro della Difesa Boris Pistorius – già sotto pressione per i ritardi vari – ha dovuto ammettere l’insuccesso, attribuendolo in parte alla fretta con cui si è cercato di innovare l’arsenale: per recuperare anni di immobilismo, la Germania ha puntato su sistemi disponibili sul mercato e su piccole imprese tech, riducendo i test al minimo per guadagnare tempo. Ma l’approccio “fail fast” ha presentato il conto. Ora il programma droni è in stallo: i dispositivi destinati a equipaggiare la brigata tedesca in Lituania “arrivano col contagocce, o forse non arriveranno affatto”, riporta pessimisticamente il Merkur. Pistorius ha ordinato ulteriori collaudi entro fine novembre per trovare soluzioni, coinvolgendo anche il colosso Rheinmetall: la SZ rivela che l’azienda è stata chiamata in extremis come nuovo fornitore, nonostante non abbia esperienza specifica nei droni kamikaze. L’idea è dividere il progetto tra più attori, associando start-up innovative a un partner industriale solido per garantire standard militari (testate efficaci, componenti robusti) su cui le piccole imprese hanno faticato. Il flop di Stark evidenzia la tensione tra innovazione rapida e affidabilità bellica: la Bundeswehr è determinata a recuperare il gap tecnologico, ma dovrà affinare l’equilibrio tra sperimentazione agile e controlli di qualità. Nel frattempo Pistorius – riferisce la Süddeutsche – si trova sulla difensiva e rischia l’accusa di superficialità: per guadagnare qualche mese si è scommesso su prodotti immaturi, col risultato di ritardare ulteriormente la disponibilità di un’arma ormai standard in altri eserciti.
Radio digitale di bordo: ritardi e malfunzionamenti, reparti “muti” più a lungo
Digitalfunk der Bundeswehr stockt: Statt Zeitenwende erstmal Sendepause
Süddeutsche Zeitung – 6 novembre 2025
Uno dei pilastri della Zeitenwende promessa – l’ammodernamento delle comunicazioni interne della Bundeswehr – sta incappando in gravi problemi tecnici. Il piano era di equipaggiare entro il 2025 circa 10.000 veicoli (carri, blindati, camion) con nuove radio digitali cifrate VR500, rimpiazzando i vecchi sistemi analogici. Ma, denuncia la SZ, la transizione è in stallo: ad oggi solo 8 modelli di veicoli su 150 hanno completato l’installazione e ottenuto l’omologazione all’uso del Digitalfunk. Le officine militari procedono a rilento: ad esempio, aggiornare un singolo carro Leopard 2 richiede 2 tecnici per ben 200 ore di lavoro – cinque settimane a mezzo fermo. E anche dove il sistema è installato, funziona male: durante un’ispezione in Turingia, un deputato verde ha constatato che le comunicazioni hanno un ritardo di 3 secondi dal momento in cui si parla a quando l’audio arriva – un lag che in combattimento può rivelarsi fatale. Ancora peggio per i dati: inviare una mappa o foto tattica via radio può richiedere 10-20 minuti, rendendo l’informazione obsoleta prima dell’arrivo. Le cause del disastro sono molteplici. Da un lato, l’integrazione hardware sulle piattaforme esistenti è più complessa del previsto: i 150 tipi diversi di mezzi richiedono adattamenti specifici e la burocrazia di certificazione rallenta tutto. Dall’altro, il software di rete presenta latenze inaccettabili: 3 secondi di eco in radio equivalgono a silenzio-assenso per il nemico. Pistorius ha ammesso che “ci portiamo dietro questi problemi e non stanno diminuendo”, prospettando uno slittamento dei tempi oltre il 2025. Per tamponare, la Bundeswehr sarà costretta a mantenere attive sia le vecchie radio analogiche che le nuove digitali in parallelo, il che complicherà la gestione operativa e “metterà a repentaglio l’interoperabilità con gli alleati”, avverte il presidente della Commissione Difesa Thomas Röwekamp (CDU). Röwekamp definisce la situazione “altamente irritante”: dopo i 100 miliardi del fondo speciale ci si aspettava progressi rapidi, invece interi reparti restano senza un sistema di comunicazione moderno. Il Ministero punta il dito anche sull’industria fornitrice (la tedesca Rohde & Schwarz): le radio in teoria offrono 10 Mbit/s, ma la loro integrazione su mezzi corazzati, cingolati e ruotati sta richiedendo modifiche più ampie del previsto. Pistorius ha dichiarato che “non tutto è andato liscio da parte nostra” nel gestire il progetto, ma ha soprattutto richiamato le aziende a rispondere dei ritardi. Nel frattempo la “pausa di trasmissioni” continuerà: le stime interne indicano che la piena operatività del Digitalfunk potrebbe slittare al 2027, quando la divisione tedesca destinata alla NATO dovrebbe essere schierabile. Un campanello d’allarme, conclude la SZ, sulla differenza tra annunci di Zeitenwende e realtà: modernizzare un esercito richiede più che soldi – occorrono pianificazione rigorosa, competenze e tempi adeguati, tutti elementi finora carenti.
Più soldati ma senza caserme: la corsa a 260.000 effettivi tra leve e infrastrutture
Bundeswehr-Personal: +60.000 Soldaten nötig – aber wo unterbringen?
CPM Defence Network / Reuters – 7 novembre 2025
Di fronte all’aggressività russa, la NATO ha chiesto ai membri europei di potenziare le proprie forze. Per la Germania ciò si traduce nell’obiettivo ambizioso di aumentare gli effettivi di 50-60 mila unità nei prossimi anni: vorrebbe dire portare la Bundeswehr a circa 260.000 soldati attivi, dalle attuali 180.000. Il governo Merz ha messo mano alla riforma del servizio militare per raggiungere questo traguardo (vedi infra), ma anche ipotizzando un afflusso massiccio di volontari rimane un grosso problema pratico: “non abbiamo né le caserme né gli istruttori per addestrarli”, ha avvertito Pistorius. La carenza di infrastrutture è conclamata: molte basi sono state chiuse negli ultimi decenni e in alcuni casi vendute o riconvertite a usi civili. Il ministero della Difesa sta valutando di riattivare ex caserme dismesse prima che vengano definitivamente alienate: “c’è già una direttiva per riesaminare quali strutture possiamo recuperare”, ha rivelato il deputato CDU Bastian Ernst. Parallelamente, sarà necessario costruire nuove palazzine logistiche in tempi record, superando le solite lungaggini burocratiche: il governo sta preparando una legge ad hoc per accelerare i cantieri militari e derogare a vincoli ordinari, con l’obiettivo di aumentare la capacità ricettiva della Bundeswehr in pochi anni. Anche sul piano organizzativo si profila una svolta: Pistorius ha accennato alla creazione di “nuove grandi unità completamente equipaggiate” – in pratica, 1 o 2 nuove divisioni – per soddisfare i futuri standard NATO. Ciò comporterà dotarsi di ulteriori mezzi pesanti (vedi acquisto di carri Leopard 2A8) e formare quadri addestrativi all’altezza. Il ministro ha definito questo sforzo “un’impresa titanica”, ma si è detto fiducioso grazie all’eccezione temporanea al freno al debito concessa per le spese della difesa. In ogni caso, l’efficacia dell’espansione dipenderà anche dalla capacità di attrarre volontari: qui entra in gioco la riforma del servizio (con chiamata obbligatoria alla visita di leva e incentivi per i giovani, vedi sotto) e il miglioramento dell’immagine delle forze armate. Non a caso, la Bundeswehr ha lanciato in autunno una nuova campagna di recruiting sui social e nelle scuole, puntando su opportunità formative e patriottismo costituzionale. Eppure, ricordano gli analisti, nemmeno durante la Guerra Fredda la Germania aveva un esercito così numeroso senza ricorrere alla coscrizione obbligatoria di massa. Il governo conta sul fatto che le mutate percezioni di minaccia possano stimolare l’arruolamento volontario: secondo sondaggi interni, oltre il 40% dei diciottenni si dichiara disposto a servire, un dato in aumento rispetto al 2020. L’impresa rimane ardua: oltre alle persone, servono letti, mense, armerie – e soprattutto tempo. “Anche con i fondi straordinari, addestrare un soldato richiede mesi, formare un ufficiale anni”, sottolinea un ufficiale a riposo. L’espansione accelerata della Bundeswehr sarà dunque un test chiave per la grande coalizione, chiamata a dimostrare che le promesse della Zeitenwende possono tradursi in capacità reali e non solo in annunci.
“Wehrpflicht 2.0”: verso la leva volontaria, ma resta lo scontro politico
Wehrdienstreform auf der Zielgeraden – droht doch noch ein Losverfahren?
Frankfurter Rundschau / DIE ZEIT – 9 novembre 2025
Si avvicina il varo della riforma del servizio militare in Germania, ribattezzata dai media “Wehrpflicht 2.0”. Dopo mesi di discussioni, il ministro della Difesa Pistorius si è detto “molto fiducioso” che la prossima settimana CDU/CSU e SPD raggiungeranno un accordo definitivo. La riforma prevede una chiamata obbligatoria alla visita di leva per tutti i diciottenni, ma un servizio effettivo basato in primo luogo sul volontariato. L’idea – ispirata al modello svedese – è di reclutare ogni anno alcune decine di migliaia di giovani (uomini e donne) per diversi mesi di addestramento e impiego nelle forze armate o in organizzazioni di protezione civile, offrendo incentivi educativi e professionali. L’obiettivo ambizioso è arrivare a 80.000 coscritti l’anno per portare gli effettivi complessivi dell’esercito attorno ai 260.000 (dagli attuali ~180.000). Il nodo politico ha riguardato il meccanismo di selezione qualora i volontari non bastassero: l’Unione (CDU/CSU) inizialmente insisteva per un sorteggio tra la popolazione idonea, opzione osteggiata dallo stesso Pistorius e dall’SPD. Secondo fonti parlamentari, nella mediazione finale si sarebbe deciso di accantonare il sorteggio almeno nella fase iniziale, puntando su una forte campagna di promozione e su benefit (ad esempio punteggi per l’università o crediti pensionistici) per stimolare la partecipazione. Resta tuttavia la possibilità di ricorrere a misure più vincolanti in futuro se gli organici non cresceranno a sufficienza. La riforma nasce dall’esigenza di far fronte alle nuove richieste NATO: secondo stime trapelate, la Germania dovrebbe aggiungere “50-60 mila soldati pronti in più” entro il 2027 per contribuire credibilmente alla difesa collettiva. Da qui l’urgenza di ricostituire una riserva di forze fresche. Pistorius ha chiarito che “non si tratta di riesumare la leva di massa del passato”: il nuovo servizio sarà più flessibile, breve (6-12 mesi) e mirato alle competenze richieste (cyber, sanità, logistica oltre al combattimento). Tuttavia, l’idea di coinvolgere obbligatoriamente intere classi di età resta divisiva. L’SPD e i Verdi giovanili criticano il piano come costoso e potenzialmente inefficace: dubitano che giovani motivati scelgano l’esercito per pochi mesi di formazione e temono che molti preferiscano optare per il servizio civile sostitutivo. Dall’altro lato, i cristiano-democratici più conservatori avrebbero voluto un segnale di maggior rigore (appunto il sorteggio o addirittura una leva obbligatoria breve per tutti). Alla fine, per evitare la spaccatura, deciderà il Parlamento con voto di coscienza. La popolazione appare spaccata: secondo un sondaggio Forsa, il 51% dei tedeschi è favorevole al ritorno di una qualche forma di leva, ma solo il 29% lo sarebbe se toccasse a un proprio figlio. La Wehrpflicht 2.0, dunque, partirà in salita: il successo dipenderà dalla capacità della Bundeswehr di offrire un’esperienza formativa valida e dal contesto internazionale. Se la minaccia russa resterà concreta, è probabile che più giovani risponderanno alla chiamata; in caso contrario, la riforma rischia di tradursi in un flop organizzativo. Pistorius, dal canto suo, è determinato: “Abbiamo bisogno di questi soldati in più, e li avremo”. Il 2026 sarà l’anno di prova, con i primi volontari attesi in caserma e gli occhi del governo puntati su di loro.
Rheinmetall all’attacco: maxi-contratto munizioni e nuovi stabilimenti in Europa
Rheinmetall schließt Milliarden-Deal für Munition und investiert in Litauen
Reuters – 4 novembre 2025
L’industria bellica tedesca vive un boom senza precedenti dopo decenni di tagli. Il gruppo Rheinmetall, campione nazionale della difesa, sta per finalizzare un contratto plurimiliardario per la fornitura di munizioni all’esercito tedesco. Lo ha rivelato l’amministratore delegato Armin Papperger durante la cerimonia di inaugurazione di un nuovo stabilimento in Lituania. Il mega-ordine, dal valore a due cifre in miliardi di euro, riguarda proiettili di artiglieria e altri tipi di munizionamento – un settore tornato urgentissimo dopo che la Bundeswehr ha fortemente intaccato le proprie scorte per aiutare l’Ucraina. Per sostenere questa domanda, Rheinmetall sta espandendo la capacità produttiva in tutta Europa: proprio in Lituania l’azienda ha avviato i lavori per una fabbrica di munizioni d’artiglieria (calibro 155mm) e polveri da sparo, pensata sia per rifornire gli alleati sul fianco orientale, sia per onorare gli impegni NATO di riempimento magazzini. Il presidente lituano Nausėda, presente all’evento, ha salutato l’investimento come “garanzia di sicurezza” per la regione baltica. Papperger ha inoltre rivelato che Rheinmetall è in trattative con il governo tedesco per fornire un nuovo sistema satellitare di osservazione militare, segno della diversificazione dell’azienda anche verso lo spazio. Oltre alle munizioni, Rheinmetall guarda ai droni: “discutiamo la possibilità di aprire una fabbrica di droni qui negli Stati baltici”, ha detto il CEO, ipotizzando una joint venture con imprese locali. Il gruppo tedesco, forte del fondo speciale da 100 miliardi, sta crescendo anche via partnership: la join-venture con l’italiana Leonardo (per veicoli blindati cingolati) ha già firmato un primo contratto da qualche centinaio di milioni e prevede ordini per 5 miliardi nei prossimi 12 mesi. Sul fronte nazionale, la Germania intende alzare la spesa per la difesa al 3,5% del PIL entro il 2029 (contro il 2% appena raggiunto nel 2024), avendo persino sbloccato un’esenzione temporanea dal freno al debito per finanziare questo riarmo. Il portafoglio ordini domestici di Rheinmetall è dunque florido: Papperger prevede un forte incremento nel 2026. L’azienda è coinvolta in quasi tutti i grandi programmi della Zeitenwende: dai carri Leopard 2A8 (per i quali fornirà scafi e componenti) ai nuovi elmetti smart dei soldati, fino ai sistemi antidrone. Non a caso il titolo Rheinmetall in Borsa è ai massimi storici, a testimonianza che la ri-militarizzazione tedesca sta ridisegnando l’industria. L’unica nota negativa viene dall’Ucraina: il piano, annunciato con enfasi mesi fa, di costruire un impianto Rheinmetall sul suolo ucraino per produrre direttamente munizioni, è in ritardo a causa di difficoltà burocratiche e di sicurezza. Papperger ha confermato che “purtroppo l’avvio dello stabilimento slitta”, ma ha assicurato che il progetto non è cancellato. Nel frattempo, la priorità è fornire all’Ucraina quanti più proiettili possibile tramite le fabbriche in Germania e nei paesi vicini: solo così Kiev potrà mantenere la pressione sul fronte durante l’anno critico 2025.
Leopard 2A8 in Lituania: la nuova brigata corazzata tedesca sul fronte Est
Deutsche Panzerbrigade in Litauen: modernste Leopard 2A8 gegen die Bedrohung aus Osten
Business Insider / Reuters – 5 novembre 2025
Per la prima volta dal 1945 la Germania schiera stabilmente una grande unità combattente fuori dai propri confini: la 45ª Brigata Corazzata della Bundeswehr, in via di dispiegamento in Lituania, ai confini con la Russia. Questo reparto – che a regime conterà circa 4.000 militari – ha priorità assoluta nell’equipaggiamento e riceverà i mezzi più avanzati dell’esercito tedesco. Il suo fulcro saranno i nuovissimi carri armati Leopard 2A8, la versione più moderna del celebre panzer tedesco, sviluppata traendo lezioni dalla guerra in Ucraina. Il Leopard 2A8 è dotato di innovazioni per fronteggiare le minacce emerse di recente: ha corazze aggiuntive sul tetto della torretta per resistere meglio agli attacchi dall’alto (come i droni-kamikaze), sistemi di protezione attiva “Trophy” per intercettare razzi e missili anti-carro in arrivo, e sensori migliorati per individuare bersagli a distanza. Secondo il comandante della brigata, gen. Christoph Huber, “era cruciale dotare questa brigata di mezzi pesanti di ultima generazione: è un impegno chiave per la credibilità della nostra difesa”. L’invio permanente di questa brigata in un paese baltico rappresenta un cambiamento storico per la Bundeswehr – finora restia a dislocare truppe all’estero a lungo termine – ed è parte della risposta NATO all’aggressione russa. Berlino ha deciso di schierare continuativamente forze di livello brigata in Lituania come misura di deterrenza: il completamento dell’organico e dei mezzi è previsto entro fine 2026. Per equipaggiare la 45ª Brigata e contemporaneamente rinforzare le unità sul territorio nazionale, la Germania sta acquistando 105 nuovi Leopard 2A8 dal consorzio KNDS, per quasi 3 miliardi di euro. Una parte di questi carri – le prime consegne attese nel 2027 – andrà appunto in Lituania, mentre gli altri sostituiranno vecchi modelli in Germania e rimpiazzeranno i Leopard donati all’Ucraina. Il contratto, approvato con un espediente finanziario che impegna anche il futuro governo oltre il 2025, è stato criticato dall’opposizione liberale e da alcuni contabili: “Si stanno firmando assegni in bianco senza copertura, come per le nuove fregate e i jet Eurofighter”, ha attaccato un deputato FDP, parlando di “ondata di spese fuori controllo”. Ma per la coalizione CDU-SPD questi investimenti sono indispensabili per la Zeitenwende. Anche altri alleati NATO stanno puntando di nuovo sui carri armati nonostante le perdite subite dagli MBT in Ucraina: “I droni a buon mercato non hanno reso inutili i tank, anzi stiamo rendendo i tank più resistenti ai droni”, osserva un analista militare, facendo riferimento proprio alle migliorie dei Leopard 2A8. La presenza in Lituania di questa brigata corazzata tedesca modernissima – dotata anche di obici semoventi aggiornati, difese antiaeree e reparti del genio – è stata accolta con favore dai paesi dell’est: “per la prima volta dalla Guerra Fredda vediamo i panzer tedeschi come una garanzia di pace”, ha commentato il ministro della Difesa lituano. Un paradosso storico, ma segno dei tempi mutati.
Bilancio Difesa 2026: mini-aumento e progetti a rischio, Pistorius insoddisfatto
Verteidigungsetat 2026: Pistorius bekommt weniger Geld als er voleva
Handelsblatt / Reuters – 5 novembre 2025
Le tensioni sul bilancio della difesa restano alte. Nella manovra federale 2026, al ministero di Boris Pistorius andranno circa 55,5 miliardi di euro, solo 3,5 miliardi in più rispetto allo stanziamento inizialmente previsto. Pistorius aveva chiesto un aumento di almeno 6-7 miliardi per compensare l’esaurimento imminente del fondo speciale da 100 miliardi e tenere la Germania sul sentiero del 2% del PIL per la difesa. “Il risultato non è quello sperato”, avrebbe ammesso il ministro di fronte ai vertici militari, esprimendo delusione ma promettendo di “continuare a lottare” per maggiori risorse. Il bilancio 2026 assegnato (55,5 mld) rischia infatti di non bastare a finanziare tutti i programmi avviati con la Zeitenwende: già nel 2025 la Germania ha centrato a fatica il 2% solo grazie all’uso massiccio dei fondi straordinari, ma dal 2026 quei fondi speciali saranno praticamente esauriti. In assenza di ulteriori stanziamenti, alcune commesse potrebbero slittare: ad esempio, l’acquisto di nuovi droni armati o l’upgrade di parte della flotta Eurofighter. Il governo Merz ha giustificato la prudenza con la stretta di bilancio imposta dalla Corte Costituzionale (che ha bocciato a fine ottobre un maxi-scostamento di bilancio 2023): in generale la crescita della spesa pubblica sarà frenata nel 2026 (solo +1,5%), e tutti i dicasteri – difesa inclusa – devono accettare compromessi. Tuttavia, in casa CDU emergono critiche: alcuni esponenti avvertono che la “Zeitenwende” rischia di arenarsi senza un impegno finanziario costante. Gli Stati Uniti hanno sollecitato gli alleati a puntare addirittura al 2,5% del PIL in spesa militare nei prossimi anni; Pistorius ha definito “irrealistico nel breve termine” quell’obiettivo per la Germania, ma ha riconosciuto che restare al 2% statico vorrebbe dire tornare indietro dopo il 2024. Nel frattempo, alcuni grandi progetti procedono ma con difficoltà: per le munizioni, Berlino ha stanziato oltre 20 miliardi fino al 2031, ma l’industria fatica a incrementare la produzione rapidamente (anche per carenze di materie prime e personale). La costruzione di una fabbrica di munizioni in Ucraina, annunciata in pompa magna da Rheinmetall, risulta ritardata oltre i piani. Pistorius sta valutando metodi innovativi di finanziamento: ad esempio, l’ingresso diretto dello Stato nel capitale di aziende belliche strategiche, per assicurare capacità produttiva in settori critici. Sul fronte del personale, la riforma del servizio militare (vedi sopra) è vista anche come un modo per ridurre costi di reclutamento e colmare vuoti organici senza dover aumentare troppo le spese di personale (che già assorbono quasi la metà del budget ordinario). Anche il miglior uso dei fondi esistenti è sotto esame: il governo ha promesso di semplificare le procedure d’acquisto e di reimpiegare eventuali avanzi di bilancio per ammodernare caserme e alloggi delle truppe, migliorando le condizioni di vita dei militari. Gli esperti notano però che senza risorse aggiuntive significative, la Bundeswehr non potrà mantenere gli impegni a lungo termine: già oggi, per finanziare l’ordine di 105 carri Leopard 2A8 e due nuove fregate, il governo ha dovuto usare escamotage di bilancio che scaricano i costi sugli anni successivi. Il timore è che dopo l’entusiasmo iniziale, la Germania torni alla cronica sottovalutazione delle esigenze difensive. Pistorius, congedandosi da una riunione coi comandanti, avrebbe chiosato: “abbiamo perso la battaglia del 2026, ma non la guerra per il futuro della Bundeswehr”. La sfida si riaprirà già a metà 2026, quando inizieranno le trattative per il bilancio 2027, e sarà il vero banco di prova della volontà politica di dare sostanza alla svolta storica annunciata nel 2022.
4. Politica interna e questioni sociali
Debito pubblico: la Corte blocca il “trucco” di bilancio, governo Merz verso tagli e nuove regole
Schuldenurteil: Verfassungsgericht kippt Nachtragshaushalt, Ampel in Finanzkrise (retroscena)
Der Spiegel – 10 novembre 2025
Un terremoto istituzionale scuote Berlino: la Corte Costituzionale federale ha dichiarato illegittimo il maxi-scostamento di bilancio del 2023 su cui contava il precedente governo Scholz (la cosiddetta “Ampel”) per finanziare investimenti e sussidi energetici. La sentenza – attesa ma di portata storica – ha annullato il bilancio suppletivo 2023, che trasferiva 60 miliardi di euro inutilizzati dal fondo Covid a un fondo per la transizione climatica, giudicando la manovra contraria all’articolo sul freno al debito. Ciò ha aperto un buco immediato nei conti 2024-25 e messo in crisi le pianificazioni del nuovo governo Merz. Quest’ultimo, pur non responsabile del “trucco contabile”, ne subisce ora le conseguenze: il ministro delle Finanze Lars Klingbeil è stato costretto a congelare numerosi capitoli di spesa e a predisporre un austero bilancio 2026, con tagli generalizzati e l’accantonamento di diverse promesse elettorali. Tra le misure discusse vi sono la riduzione dei sussidi all’industria per l’energia, tagli ai programmi di sostegno all’edilizia ecologica e una rimodulazione del Kindergrundsicherung (assegno unico per i figli) rispetto ai piani originari. Il cancelliere Merz ha pronunciato un discorso di emergenza al Bundestag difendendo la necessità di “tornare alla disciplina fiscale” e annunciando una modifica costituzionale per consentire maggiore flessibilità nell’uso degli avanzi di bilancio in caso di crisi, così da evitare in futuro impasse simili. L’opposizione SPD-Verdi, però, accusa Merz di sfruttare la sentenza per smantellare politiche sociali e ambientali: in Parlamento volano parole forti, con esponenti Verdi che parlano di “austerità ideologica” e socialdemocratici che denunciano “tagli a spese dei più deboli”. La situazione è delicata: alcune spese, come i fondi di sostegno ai Länder per l’accoglienza profughi, erano vincolate al bilancio straordinario ora invalidato, lasciando regioni e comuni nell’incertezza finanziaria. Merz ha convocato un vertice con i ministri-presidenti per rassicurarli che la Federazione onorerà gli impegni essenziali, ma ha anche chiesto la loro collaborazione in una “fase di rigore”. Intanto si avvicina un’altra data critica: il 15 novembre la Commissione europea dovrà valutare il piano di bilancio tedesco rivisto. Nonostante le turbolenze, i mercati hanno reagito relativamente bene, segno di fiducia nella solidità istituzionale tedesca: i rendimenti dei Bund a 10 anni sono rimasti stabili, e l’euro ha tenuto. Tuttavia, economisti avvertono che una stretta fiscale troppo brusca potrebbe frenare la già debole crescita tedesca del 2025 (stimata intorno allo zero). La parola chiave è ora prioritizzazione: il governo sta ridefinendo l’ordine delle spese essenziali (difesa, digitale, clima) da salvaguardare e quelle rinviabili. Nel frattempo, l’opinione pubblica si mostra divisa: secondo un sondaggio Emnid, il 52% dei tedeschi approva la decisione della Corte come monito alla politica, ma un 60% teme che i servizi pubblici peggioreranno per mancanza di investimenti. Il dibattito sul freno al debito (Schuldenbremse) è ufficialmente riaperto: c’è chi propone di riformularlo con criteri più flessibili legati al ciclo economico, mentre altri – soprattutto nell’Unione – lo difendono come garanzia di stabilità. Nei prossimi mesi, Merz dovrà manovrare con abilità tra queste spinte, cercando di mantenere la coesione della sua variegata maggioranza e la fiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di agire, anche in tempi di vacche magre.
Ritorno in Siria? Realtà e propaganda dietro il dibattito sui rifugiati siriani in Germania
„Das Ganze ist ein riesiger Verwaltungsaufwand“: Kehren nun Hunderttausende Syrer zurück in ihre Heimat?
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Nel dibattito politico tedesco, dominato da richieste dell’opposizione di espellere in massa i profughi siriani dopo la fine formale della guerra civile, emergono dati e valutazioni che smorzano la retorica dei rimpatri facili. Un’approfondita analisi del Tagesspiegel evidenzia che circa un milione di siriani risiede in Germania, ma la loro situazione giuridica e integrazione varia ampiamente. Molti sono qui da oltre un decennio: alcuni hanno ottenuto il passaporto tedesco o un permesso di soggiorno permanente, altri un titolo temporaneo rinnovabile, altri ancora sono in limbo con una “Duldung” (sospensione dell’espulsione). Hannes Schammann, politologo esperto di migrazioni, spiega che “non esiste un gruppo omogeneo di siriani facilmente rimpatriabile”: ogni caso andrebbe valutato singolarmente, verificando se persistono motivi di protezione, un compito immane per uffici stranieri e tribunali amministrativi già sovraccarichi. Anche ipotizzando un miglioramento delle condizioni in Siria, un rimpatrio su larga scala sarebbe logisticamente “un enorme onere amministrativo” e comunque lento: “non si può semplicemente revocare di colpo migliaia di permessi”, sottolinea l’esperto. Gli incentivi al ritorno volontario hanno storicamente scarso effetto: pochi optano per rientrare nonostante aiuti finanziari, specie finché in patria mancano sicurezza e servizi essenziali. Schammann avverte che promettere rimpatri di massa è irrealistico e serve solo a creare aspettative destinate a essere deluse. Dal punto di vista giuridico, finché il regime di Assad – responsabile di persecuzioni – resta al potere e la ricostruzione non decolla, i tribunali difficilmente avalleranno espulsioni forzate su larga scala. Inoltre, come nota il ministero degli Esteri tedesco, mancano accordi di riammissione funzionanti con Damasco e molti siriani privi di documenti rischierebbero trattamenti inumani al rientro. Sul piano socio-economico, il report sfata l’idea che i rifugiati siriani siano un peso insostenibile: su ~1 milione di siriani in Germania, circa 480.000 percepiscono il Bürgergeld (dato 2024) – un numero alto, ma in calo rispetto agli anni precedenti. Dopo otto anni dall’ondata migratoria del 2015, il 59% dei profughi siriani arrivati allora risulta occupato (66% tra gli uomini), segno di un’integrazione lavorativa graduale ma in corso. Gli economisti sottolineano che i siriani, specie i più giovani e qualificati, possono contribuire a colmare carenze di manodopera in Germania, mentre un loro esodo priverebbe la Siria di forze vitali per la ricostruzione futura. C’è poi un aspetto umano e demografico: molti rifugiati siriani hanno messo radici in Germania, con famiglie e figli nati qui, e spingerli a partire con misure punitive (riduzione dei sussidi, revoca dello status) potrebbe infrangere principi costituzionali oltre che risultare inefficace. La Tagesspiegel conclude che la “narrazione del ritorno in massa” è soprattutto una semplificazione politica: “Chi oggi parla di rimpatri dovrebbe avere l’onestà di dire che in pratica è quasi irrealizzabile”, afferma Schammann. La vera sfida per Berlino è gestire l’integrazione a lungo termine: investire in formazione, lavoro e, dove possibile, incoraggiare i rientri volontari mirati – ma senza facili illusioni su soluzioni rapide di un fenomeno così complesso.
Volti nuovi e radicali nello spazio politico: l’onda Mamdani a New York galvanizza i Verdi tedeschi
Nach Wahlsieg in New York: Die Grünen wollen mehr Mamdani
Tagesspiegel – 8 novembre 2025
Il sorprendente risultato delle recenti elezioni a New York – con l’attivista socialista Zohran Mamdani eletto primo sindaco musulmano della metropoli – sta avendo eco fino in Germania. I Verdi tedeschi, reduci da un periodo di stagnazione nei sondaggi, vedono nel “fenomeno Mamdani” una conferma che messaggi apertamente progressisti possono vincere anche in realtà complesse. Un’ala del partito, guidata da figure emergenti come Ricarda Lang, spinge per rilanciare un’agenda più audace su giustizia sociale, diritti delle minoranze e clima, ispirandosi al modello delle coalizioni inclusive che hanno portato al potere giovani leader di sinistra negli USA e in Europa. Nello stesso fine settimana, in Olanda, la vittoria elettorale di un altro outsider progressista (Rob Jetten, D66) ha rafforzato l’idea che l’onda reazionaria globale non sia inevitabile. “Servono più Mamdani anche qui”, titola provocatoriamente Die Tageszeitung in un editoriale, invitando i Verdi a scrollarsi di dosso l’immagine tecnocratica e a riscoprire il contatto con i movimenti di base (dai Fridays for Future alle reti antirazziste). La base verde tedesca, in fermento, chiede volti nuovi e discorsi più radicali per riconquistare gli elettori giovani attratti dall’astensionismo o persino dall’area Wagenknecht. Tuttavia, la dirigenza – rappresentata dai ministri Habeck e Baerbock – predica cautela: un’eccessiva svolta a sinistra potrebbe alienare quella parte moderata dell’elettorato verde che apprezza il pragmatismo di governo. Il dibattito interno è aperto: il congresso dei Verdi previsto a dicembre dovrà decidere se puntare su una “linea Mamdani” (più idealista e movimentista) o mantenere l’approccio centrista e realista adottato nell’esperienza di coalizione “semaforo” 2021-2025. Intanto, la notizia del sindaco di New York di origini sud-asiatiche e idee socialiste è stata accolta con entusiasmo dai media di sinistra tedeschi, che la vedono come segno di un possibile cambio di ciclo: dopo anni di avanzata delle destre populiste, c’è spazio per una controffensiva progressista, se ben calibrata. Anche esponenti SPD hanno commentato positivamente l’elezione di Mamdani, auspicando che “il coraggio di New York” dia spinta ai socialdemocratici europei per rinnovarsi e riconnettersi con le periferie urbane multiculturali. Resta da vedere se questo momentum internazionale potrà tradursi in Germania in una ripresa delle forze progressiste: i prossimi test saranno le elezioni locali del 2026, dove i Verdi sperano di replicare successi simili con candidati carismatici in alcune grandi città tedesche.
La Corte bacchetta l’Ampel: illegittimo lo scostamento di bilancio, Merz verso tagli
Schuldenurteil: Verfassungsgericht kippt Nachtragshaushalt 2023 – Staat in Finanzkrise
Der Spiegel – 10 novembre 2025
Un terremoto istituzionale ha colpito Berlino: la Corte Costituzionale federale ha dichiarato incostituzionale il bilancio suppletivo 2023 varato dal precedente governo Scholz (coalizione “semaforo”), aprendo un buco di decine di miliardi nei conti pubblici. La sentenza – che fa storia – riguarda la manovra con cui l’Ampel aveva spostato 60 miliardi rimasti inutilizzati dal fondo Covid al Fondo per il Clima, aggirando il “freno all’indebitamento” in Costituzione. Per i giudici di Karlsruhe quella manovra configura un uso improprio del credito di emergenza pandemica, e va quindi annullata. Le conseguenze sono immediate e drammatiche: i 60 miliardi in questione non possono più essere spesi né nel 2024 né oltre, lasciando improvvisamente scoperte voci chiave di finanziamento – dai sussidi per il prezzo dell’energia alle imprese, agli investimenti sulle ferrovie e incentivi edilizi “verdi”. Il nuovo esecutivo Merz, pur non responsabile del “trucco contabile”, si ritrova ora a gestire quella che il ministro delle Finanze Klingbeil definisce una “crisi di bilancio senza precedenti”: ha bloccato con effetto immediato tutti i progetti non ancora contrattualizzati a valere su quei fondi e ha predisposto una manovra correttiva lacrime e sangue. Per il 2024, in assenza dei 60 miliardi, saranno tagliati o rinviati numerosi programmi: agevolazioni fiscali per l’industria a forte consumo energetico, bonus per l’efficientamento edilizio, contributi ai trasporti locali e trasferimenti aggiuntivi ai Länder per l’accoglienza dei profughi. Merz, in un discorso straordinario al Bundestag, ha criticato duramente “l’azzardo contabile” dei predecessori e promesso un ritorno alla disciplina fiscale e al rispetto rigoroso della Schuldenbremse costituzionale. Al contempo, ha proposto di avviare un dibattito su una modifica costituzionale che introduca maggiore flessibilità nell’uso di avanzi di bilancio in caso di crisi – per evitare situazioni paradossali come quella attuale, in cui soldi già reperiti non possono essere spesi. L’opposizione SPD e Verdi accusa Merz di “cogliere l’occasione per smantellare le politiche sociali e climatiche”: in Parlamento volano strali, con i Grünen che parlano di “austerità ideologica” e i socialdemocratici che denunciano tagli “sulle spalle dei più deboli”. Alcuni ministri regionali hanno protestato: i Länder contavano su fondi federali promessi – ad esempio 4 miliardi per l’assistenza rifugiati – che ora rischiano di sfumare. Merz ha convocato un vertice d’urgenza con i governatori per rassicurarli: lo Stato centrale cercherà di garantire i finanziamenti essenziali (magari tagliando altrove), ma anche i Länder dovranno fare la loro parte nel clima di rigore generale. La notizia ha destato eco anche a livello europeo: la Commissione UE, che il 15 novembre dovrà esprimersi sul piano di bilancio tedesco rivisto, guarda con attenzione ma anche con fiducia alla solidità istituzionale della Germania. I mercati, infatti, non hanno penalizzato il paese: i tassi sui Bund sono rimasti stabili, interpretando la sentenza come la conferma di un robusto sistema di pesi e contrappesi in difesa dell’ortodossia fiscale. Eppure, il colpo sulla già debole crescita potrebbe farsi sentire: economisti avvertono che una stretta di bilancio troppo brusca rischia di far scivolare la Germania in recessione tecnica proprio mentre l’economia è ferma. La parola d’ordine ora è “prioritizzare”: Merz ha incaricato Klingbeil di stilare una lista dei progetti indispensabili da salvaguardare (difesa, digitale, infrastrutture critiche) e di quelli rinviabili. Sullo sfondo monta anche il dibattito politico sul freno al debito stesso: i liberali e i conservatori lo difendono come garanzia di stabilità, ma SPD, Verdi e buona parte dell’accademia ne chiedono una revisione per consentire investimenti produttivi anche a costo di indebitarsi moderatamente. Nei prossimi mesi il governo dovrà navigare tra queste pressioni, cercando di mantenere la coesione della propria maggioranza e la fiducia dei cittadini. Un sondaggio Emnid segnala che il 52% degli interpellati approva la decisione della Corte come monito alla politica, ma il 60% teme un peggioramento dei servizi pubblici per carenza di investimenti. Merz, pragmatico, ha chiuso il suo discorso citando la celebre massima di Adenauer: “Nessuna festa è gratis”. Il prezzo della stabilità finanziaria dovrà essere pagato – la sfida sarà farlo senza affossare la prospettiva di crescita futura.
“Ritorno in patria” per i profughi siriani? Tra propaganda e realtà giuridica
Rückkehrillusion: Warum eine Abschiebewelle nach Syrien unwahrscheinlich ist
Tagesspiegel – 5 novembre 2025
Nel dibattito politico tedesco, la destra spinge per avviare rimpatri su larga scala dei rifugiati siriani, sostenendo che la guerra civile è finita. Ma un’analisi del Tagesspiegel smonta questa “illusione del ritorno di massa”. In Germania vivono circa 1 milione di persone di origine siriana, arrivate per lo più tra il 2014 e il 2016. La loro situazione legale è tutt’altro che omogenea: decine di migliaia hanno ormai la cittadinanza tedesca o un permesso di soggiorno permanente; altre centinaia di migliaia hanno status di protezione rinnovabile; altre ancora sono formalmente “tollerate” (Duldung) ma di fatto radicate qui da anni. “Non esiste un gruppo compatto di siriani facilmente espellibile”, spiega il politologo Hannes Schammann: ogni caso andrebbe valutato individualmente, con iter giudiziari lunghi e complessi. Anche immaginando condizioni migliori in Siria, un rimpatrio forzato su vasta scala sarebbe logisticamente proibitivo e legalmente problematico: “non si può semplicemente revocare migliaia di permessi dall’oggi al domani”. La retorica di “centinaia di migliaia di siriani che tornano a casa” serve più a fare propaganda che a delineare scenari realistici. Finché al potere a Damasco c’è il regime di Assad – ritenuto responsabile di torture e persecuzioni – i tribunali tedeschi bloccheranno le espulsioni di persone che rischierebbero trattamenti disumani. Inoltre mancano accordi di riammissione con il governo siriano: Damasco non collabora nel riconoscere e accogliere indietro i rifugiati, a meno di non ottenere contropartite politiche che l’Occidente non è disposto a concedere. Finora, anche i programmi di rimpatrio volontario hanno avuto scarso successo: pochi profughi scelgono di tornare nonostante incentivi economici, perché in patria trovano macerie, insicurezza e assenza di prospettive. Dal punto di vista socio-economico, la presenza dei rifugiati siriani in Germania ha costi ma anche benefici: secondo dati ufficiali ~480.000 siriani percepiscono il Bürgergeld (reddito di base), ma il tasso di occupazione di chi arrivò nel 2015 è salito al 59% (66% tra gli uomini). In molti settori – dalla logistica all’edilizia, fino alla ristorazione – i lavoratori siriani stanno aiutando a colmare vuoti di manodopera. Un esodo improvviso, osservano gli economisti, priverebbe la Germania di forza lavoro giovane in un momento di carenza demografica, mentre la Siria non potrebbe comunque reintegrare centinaia di migliaia di persone senza infrastrutture né case. “Chi oggi parla di rimpatri di massa dovrebbe onestamente dire che in pratica è quasi irrealizzabile”, chiosa Schammann. La vera sfida è l’integrazione a lungo termine: investire in corsi di lingua, formazione professionale e coinvolgimento sociale dei rifugiati, in modo da renderli autosufficienti e partecipi. Ciò ridurrà nel tempo il peso sul welfare (già oggi il numero di siriani sul Bürgergeld è in calo) e darà un contributo alla società. Il governo Merz-SPD, pur con toni più duri sull’immigrazione, sembra consapevole di questi vincoli: nelle scorse settimane, il ministro del Lavoro Hubertus Heil (SPD) ha escluso modifiche radicali allo status dei siriani, ribadendo che “nessuno verrà rimandato in Siria finché manca la sicurezza”. Dietro le quinte, anche la CDU moderata sa che l’elettorato si aspetta serietà amministrativa, non slogan irrealizzabili. La “linea dura” serve a calmare l’opinione pubblica inquieta, ma la realtà rimane quella delineata dagli esperti: in mancanza di un cambiamento sostanziale in Siria, la grande maggioranza dei rifugiati rimarrà in Germania, ed è nell’interesse del paese far sì che possano contribuire anziché vivere ai margini.
Verdi in cerca di una svolta: l’effetto Mamdani ispira l’ala sinistra ecologista
Wahlsieg in New York: Grüne träumen von einem deutschen Mamdani-Moment
Tagesspiegel – 8 novembre 2025
Il recente trionfo elettorale a New York di Zohran Mamdani – giovane attivista socialista, primo sindaco musulmano della metropoli – ha avuto eco anche in Germania, in particolare tra i Verdi. Reduci da mesi di calo nei sondaggi, i Grünen guardano con interesse a questa “onda progressista” transatlantica. “Ci servono anche qui dei Mamdani”, titola provocatoriamente il Tagesspiegel, descrivendo il fermento nell’ala sinistra del partito. Figure emergenti come la co-leader Ricarda Lang spingono per riscoprire un’agenda più audace su giustizia sociale, diritti delle minoranze e clima radicale, ispirandosi alle coalizioni inclusive che hanno portato al potere giovani leader progressisti negli USA e in Europa. Anche la vittoria in Olanda di Rob Jetten (liberale di sinistra) viene vista come segnale che la “marea nera” populista non è inarrestabile. “Dobbiamo osare più Mamdani”, ha scritto la taz in un editoriale: i Verdi tedeschi vengono incoraggiati a scrollarsi di dosso l’immagine troppo governativa e a tornare a mobilitare i movimenti di base – dai Fridays for Future ai collettivi antirazzisti. La base del partito, soprattutto i giovani, chiede volti nuovi e messaggi più radicali per riconquistare l’elettorato under 30, in parte rifugiatosi nell’astensionismo o attratto dall’area Wagenknecht. Tuttavia, la dirigenza realista – incarnata dai ministri Habeck e Baerbock – predica cautela: una svolta eccessiva a sinistra potrebbe alienare gli elettori moderati che apprezzano il pragmatismo ecologista di governo. Il dibattito è aperto e si preannuncia vivace al congresso federale dei Verdi in dicembre. “La lezione di New York è che la gente premia il coraggio e la coerenza”, sostiene un delegato di Berlino, “dobbiamo smettere di vergognarci delle nostre idee”. D’altro canto, altri ricordano che il contesto tedesco è diverso: qui l’AfD è forte e catalizza la protesta, mentre negli USA figure come Mamdani surfano anche sull’onda di movimenti identitari e sindacali peculiari. Anche l’SPD guarda con curiosità al fenomeno: esponenti come Kevin Kühnert hanno elogiato “il coraggio di New York” e auspicato un rinnovo simile per la sinistra europea. In vista delle amministrative 2026, i Verdi tedeschi stanno valutando di candidare personalità più outsider e legate ai movimenti, specialmente nelle grandi città multiculturali, sperando in un “Mamdani effect” locale. Se funzionerà o meno, dipenderà da molti fattori. Ma intanto la suggestione di un riflusso progressista scuote l’ecosistema politico: dopo anni di avanzata delle destre populiste, il 2025 potrebbe segnare l’inizio di un controciclo. I Verdi vogliono farsi trovare pronti, bilanciando pragmatismo ed entusiasmo militante, per tornare a crescere senza snaturarsi.
5. Questioni economiche e finanziarie
Commercio estero: deficit record con la Cina, export tedesco in difficoltà nonostante la domanda USA
Deutschland vor Rekorddefizit im Handel mit China
Süddeutsche Zeitung – 4 novembre 2025
Il disavanzo commerciale della Germania nei confronti della Cina raggiungerà quest’anno un massimo storico. Secondo una previsione dell’agenzia governativa Germany Trade & Invest (GTAI), le importazioni tedesche dalla Cina supereranno le esportazioni verso Pechino di circa 87 miliardi di euro nel 2025 – ben 20 miliardi in più del già elevato deficit del 2024, e sorpassando il precedente record di 84 miliardi del 2022. I fattori sono molteplici: da un lato le esportazioni tedesche verso la Cina stanno crollando di oltre l’11% quest’anno (circa 80 miliardi, il livello più basso da anni). La domanda cinese di beni tedeschi è in calo a causa del rallentamento dell’economia interna cinese e della strategia di localizzazione delle imprese tedesche (che sempre più producono sul posto anziché esportare). La Cina sta scivolando dal secondo al sesto posto tra i mercati di sbocco per il Made in Germany, superata perfino dall’Italia. Dall’altro lato, le importazioni cinesi in Germania continuano a crescere (+6% previsto, circa 167 miliardi di euro): la Cina resta di gran lunga il primo fornitore della Germania. A spingere le merci cinesi verso l’Europa sono anche effetti di deviazione commerciale dovuti ai dazi USA: GTAI nota che le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono crollate del 17% quest’anno, mentre quelle verso l’Europa sono aumentate dell’8% (Germania +11%). “I produttori cinesi, ostacolati dai dazi americani, spingono maggiormente sul mercato europeo”, spiega Christina Otte, direttrice GTAI per l’Asia. Tra i prodotti cinesi con maggiore aumento in Germania vi sono batterie al litio, componenti elettronici, apparecchi domestici, abbigliamento e giocattoli, oltre a auto elettriche che – pur frenate da nuovi dazi anti-dumping UE – iniziano a penetrare. La bilancia commerciale tedesca, tradizionalmente in forte attivo globale, risente così del doppio shock cinese: minor export e più concorrenza interna. “È uno squilibrio che certo non è nel nostro interesse”, commenta Otte, segnalando come l’apertura tedesca abbia favorito per anni profitti (le imprese godevano di produzione low-cost in Cina), ma ora si ritorce contro di noi. Gli industriali tedeschi, pur preoccupati per il deficit, sottolineano che la risposta non può essere il protezionismo puro: “Non recupereremo le quote perse in Cina nel breve termine”, dice Volker Treier (DIHK), “dobbiamo semmai spingere sulle riforme interne per essere più competitivi altrove”. Dal governo intanto arrivano misure difensive: confermato un regime di dazi compensativi UE sulle auto elettriche cinesi (15% base tariffaria) per proteggere l’industria europea, e ampliata la lista di screening sugli investimenti cinesi in settori high-tech per evitare trasferimenti di know-how non controllati. Tuttavia, economisti avvertono: “I vantaggi di scala cinesi non sono recuperabili”, l’Europa rischia un boomerang se imita le pratiche protezionistiche. Il dibattito resta aperto: la Commissione UE prevede per l’anno corrente un calo complessivo dell’export tedesco (~1%) e solo un timido rimbalzo nel 2026 (+0,5%) – troppo poco per recuperare quote di mercato perdute. In prospettiva, ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi in settori chiave (come elettronica e farmaci) è diventata anche una questione di sicurezza economica, come riconosce la recente “Strategia Cina” del governo, che auspica un riequilibrio dei flussi commerciali senza però chiudere le porte a un partner che rimane fondamentale per molti comparti.
Industria automobilistica: l’elettrico rallenta in Cina, i giganti tedeschi in cerca di nuovi orizzonti
Chinesischer Pkw-Markt stockt nach Förder-Ende (Analisi)
Handelsblatt – 6 novembre 2025
I tre grandi produttori auto tedeschi – Volkswagen, BMW e Mercedes – affrontano un cambio di paradigma nel loro mercato chiave, la Cina, proprio nel settore in cui avevano puntato per il rilancio: l’auto elettrica. Con la fine di generosi incentivi statali cinesi all’acquisto di veicoli elettrici, la domanda locale ha subito un brusco stop nel secondo semestre 2025. Dopo anni di crescite a doppia cifra, il mercato cinese dell’auto elettrica mostra segni di saturazione e un rallentamento delle vendite, costringendo i marchi esteri a rivedere le strategie. Volkswagen, che sta investendo miliardi nella joint venture con Xpeng per modelli EV dedicati alla Cina, si trova a competere su prezzi e funzionalità con start-up cinesi aggressive come BYD, Nio e Li Auto. La fine degli incentivi (pari a sconti di alcune migliaia di euro per veicolo) ha ridotto l’accessibilità economica delle EV, favorendo un ritorno d’interesse per le ibride plug-in e addirittura per motori tradizionali in alcune fasce provinciali. L’Handelsblatt analizza i dati: in ottobre le vendite di EV in Cina sono aumentate appena del 2% su base annua – contro tassi del 50-100% dei due anni precedenti – e Volkswagen ha perso posizioni nel segmento, scivolando dietro ad almeno cinque marchi domestici per volumi di elettriche vendute. Anche BMW registra un rallentamento, pur mantenendo appeal sul segmento premium (grazie anche all’immagine di lusso occidentale tuttora forte). Mercedes punta a colmare con esportazioni: ha iniziato a produrre in Germania SUV elettrici destinati alla Cina, approfittando di un cambio del regime tariffario favorevole, per saturare gli impianti di Stoccarda. Ma la prospettiva di un mercato cinese stagnante spaventa: la Cina rappresenta ancora dal 30% al 40% delle vendite globali dei tre marchi tedeschi, e ancor di più dei loro profitti marginali. Intanto, la debolezza della domanda cinese crea effetti domino: le forniture di componenti elettronici (come chip per batterie) destinate alla Cina scendono, contribuendo al calo dell’export tedesco evidenziato dai dati sul commercio estero. Per reagire, i costruttori tedeschi stanno diversificando i mercati di sbocco: spingono sulle vendite EV negli USA (dove però la concorrenza di Tesla e la preferenza per i marchi locali restano forti) e in Europa, sostenuti dal pacchetto UE Fit for 55 che vieta le auto endotermiche dal 2035. Inoltre, i CFO di BMW e VW citano l’importanza di “ridurre i costi fissi” e razionalizzare modelli: Volkswagen sta valutando di tagliare modelli a combustione prima del previsto per liberare risorse sull’elettrico, mentre BMW concentra gli sforzi sulla piattaforma Neue Klasse. Tuttavia, la competizione cinese si fa sentire anche in patria: sebbene come nota GTAI “il boom di auto cinesi in Europa non è esplosivo” grazie ai dazi anti-sussidi (che limitano l’import di EV cinesi, stima +11% verso Germania, contro -17% verso USA), il timore è di un’ondata di modelli economici cinesi che conquistino quote significative nel segmento medio. Il governo tedesco, tramite il Ministro Klingbeil in visita a Pechino, sta cercando di aprire un dialogo per evitare misure protezionistiche reciproche: uno scenario di guerra commerciale auto tra UE e Cina sarebbe deleterio per i costruttori tedeschi, che in Cina hanno investimenti enormi. In conclusione, i Big 3 tedeschi dell’auto affrontano un doppio rebus: come mantenere rilevanza in un mercato cinese in rallentamento e sempre più affollato di concorrenza nazionale, e al contempo come proteggere il mercato domestico dall’invasione di EV cinesi low-cost senza rinunciare al principio di libero scambio. Le loro mosse nei prossimi 12 mesi, tra alleanze locali, riduzione dei costi e lobby diplomatiche, saranno decisive per definire se continueranno a guidare la mobilità del futuro o ne seguiranno le orme.
Prezzi in discesa: l’inflazione tedesca ai minimi da tre anni, consumi ancora deboli
Inflationsrate im Oktober 2025 voraussichtlich +2,3 %
Destatis / Bundesbank – 30 ottobre 2025
L’inflazione in Germania è in netto rallentamento: ad ottobre 2025 l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del +2,3% su base annua, in ulteriore calo rispetto al +2,4% di settembre e lontano dai picchi sopra il 10% registrati nel 2022. Si tratta del valore più basso dal dicembre 2022, riportando l’inflazione tedesca molto vicina all’obiettivo del 2% della BCE. Secondo Destatis (Ufficio statistico federale), la discesa è dovuta principalmente alla frenata dei prezzi energetici e alimentari: dopo i forti rincari degli anni scorsi, nell’ultimo trimestre i prezzi del gas naturale e dei carburanti sono addirittura diminuiti su base mensile grazie a forniture stabili e calo della domanda, mentre i generi alimentari – pur ancora in crescita – mostrano tassi moderati rispetto al doppio cifra del 2023. La “inflazione di fondo” (al netto di energia e cibo) resta però intorno al 2,7%, indicando che i servizi e i beni durevoli hanno dinamiche più persistenti. Il Ministero dell’Economia osserva segnali di “normalizzazione dei meccanismi di prezzo”: le imprese tornano a segnalare minori pressioni sui costi di input e miglioramento nelle catene di approvvigionamento. Tuttavia, l’attenuarsi dell’inflazione riflette anche una domanda interna ancora fiacca: la fiducia dei consumatori rimane bassa (indice GfK a -22 punti per ottobre, seppur in leggero aumento), e molte famiglie stanno rimandando acquisti maggiori in attesa di tempi migliori. Il PIL tedesco è previsto stagnare nel 2025 (+0,0% secondo la Commissione UE, contro una stima precedente di +0,7%): ciò contribuisce a ridurre le spinte inflazionistiche, ma evidenzia rischi di recessione tecnica qualora gli shock esogeni (come l’alto costo del denaro e la debolezza dell’export) persistano. Sul fronte monetario, la BCE ha accolto positivamente il dato tedesco – cruciale per l’Eurozona – e nel suo ultimo meeting di ottobre ha mantenuto i tassi invariati, lasciando intendere che il ciclo di rialzi è probabilmente concluso se l’inflazione convergerà stabilmente al 2% nei prossimi mesi. Le proiezioni indicano un’inflazione media eurozona al 2,1% nel 2025 e 1,7% nel 2026, segno che la stretta monetaria sta avendo effetto. In Germania, l’inflazione attesa per il 2026 è intorno al 1,5% – valore considerato fisiologico e persino leggermente al di sotto del target. Il calo dell’inflazione sta rialzando il potere d’acquisto reale dei salari: dopo una lunga fase in cui i rincari erodevano gli aumenti contrattuali, ora la maggior parte dei lavoratori vede aumenti netti in termini reali (es. il nuovo contratto dei metalmeccanici prevede +5% su due anni, con inflazione al 2% ciò si traduce in +3% reale). Questo, secondo gli economisti dell’Ifo, potrebbe creare le basi per una ripresa moderata dei consumi nel 2026. In parallelo, scende anche l’inflazione armonizzata HVPI (usata dalla BCE) al 2,1% in ottobre, rendendo la Germania uno dei paesi con inflazione più bassa nell’Eurozona. Non mancano però elementi di cautela: restano alte le tensioni geopolitiche (guerra in Ucraina, instabilità in Medio Oriente) che potrebbero far risalire energia e materie prime, e si registra un’insolita siccità autunnale che potrebbe pesare sui raccolti e quindi sui prezzi alimentari a inizio 2026. Per ora, comunque, il trend è incoraggiante: dopo anni di prezzi fuori controllo, la locomotiva d’Europa sembra aver rimesso l’inflazione sui binari giusti, anche se al prezzo di un marcato rallentamento economico.
Export con la Cina in picchiata: deficit record e ripensamenti strategici
Handelsbilanz: Deutschland steuert auf Rekorddefizit mit China zu
Süddeutsche Zeitung – 4 novembre 2025
La Germania si avvia a registrare nel 2025 un passivo commerciale record con la Cina di circa 87 miliardi di euro. A trainarlo è il crollo delle esportazioni tedesche verso Pechino (-11% circa sull’anno precedente, attorno a 80 miliardi totali, il livello più basso da un decennio). Nel frattempo le importazioni dalla Cina continuano a crescere (+6%, oltre 167 miliardi), consolidando la Cina come primo fornitore della Germania. Le cause di questo squilibrio sono molteplici. Da un lato, l’economia cinese ha rallentato e la sua domanda di macchinari “Made in Germany” è diminuita; inoltre, molte imprese tedesche hanno localizzato la produzione in Cina, riducendo l’export ma aumentando l’import di componenti. La Cina sta scivolando dal 2° al 6° posto tra i mercati di sbocco per l’industria tedesca, sorpassata perfino dall’Italia. Dall’altro lato, le merci cinesi invadono sempre più il mercato europeo: “I produttori cinesi, ostacolati dai dazi americani, spingono sull’UE”, osserva l’agenzia GTAI. Nel 2025 le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono crollate del 17%, mentre quelle verso l’Europa sono cresciute dell’8% (e verso la Germania dell’11%). Tra i prodotti con forte incremento in arrivo dalla Cina ci sono batterie elettriche, componenti elettronici, elettrodomestici, abbigliamento e giocattoli. Particolare preoccupazione destano le auto elettriche cinesi, sempre più competitive: nonostante i nuovi dazi anti-dumping UE del 15%, marchi come BYD e Nio stanno iniziando a ritagliarsi una fetta nel segmento medio europeo. Per un’economia votata all’export come quella tedesca, la combinazione di calo delle vendite in Cina e aumento della concorrenza cinese in patria suona un campanello d’allarme: “È uno squilibrio chiaramente contrario ai nostri interessi”, commenta Christina Otte di GTAI. Negli ultimi anni molte aziende tedesche hanno beneficiato della produzione a basso costo in Cina, ma ora quel vantaggio si ritorce contro sotto forma di dipendenza e concorrenza spietata. Il governo ha adottato alcune misure difensive: ha sostenuto l’indagine UE sulle auto elettriche cinesi sovvenzionate (che ha portato ai dazi provvisori), e sta ampliando lo screening sugli investimenti esteri in settori high-tech per prevenire cessioni di know-how critico. Ma gli industriali avvertono: “Non recupereremo le quote perse in Cina in poco tempo” – dice Volker Treier (Camera di Commercio DIHK) – “dobbiamo semmai spingere sulle riforme interne per essere più competitivi altrove”. Uno spiraglio infatti c’è: grazie alla robusta domanda americana (che assorbe più prodotti tedeschi dopo l’Inflation Reduction Act), il totale dell’export tedesco nel 2025 calerà solo di circa l’1%, segno che le imprese stanno diversificando mercati (USA, Asia emergente) per compensare la flessione cinese. Nel lungo periodo, la “Strategia Cina” presentata nel 2024 dal governo punta a riequilibrare i flussi senza arrivare allo scontro frontale: mantenere aperto il dialogo commerciale con Pechino ma riducendo vulnerabilità in settori critici (minerali, farmaci, 5G). Il deficit record 2025 suona intanto come monito finale della fine di un’epoca: il modello tedesco centrato sull’asse con la Cina non è più sostenibile come un tempo, e Berlino dovrà adattarsi a un nuovo scenario multipolare meno favorevole.
Auto tedesche in Cina: l’elettrico rallenta, i Big di Wolfsburg cercano piani B
Elektroauto: Abflauender Absatz in China setzt VW, BMW und Mercedes zu
Handelsblatt – 6 novembre 2025
La Cina, finora El Dorado per le case automobilistiche tedesche, sta diventando un terreno insidioso, specialmente sul fronte elettrico. Dopo anni di crescita esplosiva grazie agli incentivi statali cinesi per le New Energy Vehicles, il mercato EV in Cina ha subito una frenata brusca nella seconda metà del 2025. Le vendite di auto elettriche pure in ottobre sono aumentate solo del 2% annuo (contro tassi del 50-100% negli anni precedenti), segno di saturazione nelle grandi città e della fine dei sussidi generosi di Pechino. Questo ha colpito in pieno i marchi esteri. Volkswagen – che ha investito miliardi nella joint venture con Xpeng per modelli elettrici dedicati alla Cina – vede ridursi la sua quota di mercato EV, sorpassata da almeno cinque brand cinesi. BYD, Nio, Li Auto e altre startup locali dominano la scena con modelli high-tech e prezzo competitivo, costringendo VW a sconti e a rimandare lanci di nuovi modelli in attesa di tempi migliori. BMW, pur mantenendo un forte richiamo nel segmento premium elettrico (grazie all’aura del made in Germany), registra comunque un rallentamento delle consegne. Mercedes sta reagendo esportando in Cina i SUV elettrici prodotti in patria, cercando di saturare gli impianti europei inutilizzati: ha spedito le prime EQS SUV direttamente dalla Germania approfittando di una finestra tariffaria favorevole. Il problema di fondo è che la Cina rappresenta ancora tra un terzo e il 40% delle vendite globali di VW, BMW e Mercedes, e una fetta ancor maggiore dei loro utili. Un mercato cinese stagnante o in calo sull’elettrico colpisce quindi duramente i conti di Wolfsburg e Stoccarda. Non a caso, i CFO dei tre gruppi hanno rivisto al ribasso le previsioni 2025 e avviato piani di contenimento costi: VW anticiperà l’uscita di scena di alcuni modelli a benzina per concentrare risorse sull’elettrico, BMW sta tagliando varianti meno redditizie e accelerando sul progetto Neue Klasse, Mercedes punta a modelli ancora più di lusso per mantenere margini elevati su volumi minori. Nel frattempo, gli americani e i giapponesi non stanno a guardare: Tesla continua a dominare l’alto di gamma in Cina, e marchi giapponesi sfornano ibride plug-in molto apprezzate fuori dalle metropoli. Sul fronte interno europeo, le tedesche hanno ottenuto un po’ di respiro con i dazi UE del 10-15% sulle EV cinesi, ma sanno che non può essere la soluzione di lungo termine. Stanno quindi premendo sul governo perché incentivi anche in Europa la domanda di elettriche domestiche (ad esempio prorogando l’ecobonus e investendo sulle colonnine di ricarica), e al contempo intensificano la diversificazione geografica: Volkswagen ha annunciato uno stabilimento di assemblaggio in India per EV entry-level, BMW sta potenziando lo stabilimento in Messico per servire l’America senza dazi, Mercedes guarda al Sud-est asiatico con partnership mirate. “È la fine dell’era in cui la Cina tirava la volata”, commenta il Handelsblatt: l’industria auto tedesca dovrà abituarsi a una crescita più modesta e combattuta su più fronti, investendo in innovazione (batterie allo stato solido, software) per tenere il passo con i rivali cinesi e americani. Il segnale positivo è che, nonostante tutto, il richiamo del brand Germania resiste: nei sondaggi di soddisfazione, modelli come la BMW i5 o la Audi Q6 e-tron ottengono punteggi alti tra i clienti cinesi – segno che c’è ancora una base di fedeltà su cui costruire il rilancio, sebbene in un contesto molto più competitivo di pochi anni fa.
Calo dei prezzi: l’inflazione tedesca ai minimi da tre anni, consumi fermi
Inflationsrate sinkt im Oktober 2025 auf 2,3 % – Entspannung für Verbraucher
Destatis / Bundesbank – 30 ottobre 2025
L’inflazione in Germania continua a rallentare: a ottobre l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del +2,3% annuo, in discesa dal +2,4% di settembre e ben lontano dai picchi oltre il 10% toccati nel 2022. È il valore più basso da quasi tre anni, vicino al target BCE del 2%. Secondo l’Ufficio Statistico Destatis, la frenata è dovuta principalmente al raffreddamento dei prezzi energetici e alimentari: rispetto a un anno fa, il gas naturale costa meno (grazie a riserve piene e inverno mite), la benzina è stabile o in lieve calo, e gli alimentari – pur ancora in rialzo su base annua – mostrano incrementi ben inferiori al +20% di un anno fa. L’“inflazione core” (al netto di energia e cibo) rimane leggermente più alta (circa +2,7%), segno che servizi e beni industriali hanno dinamiche più persistenti. Tuttavia, gli economisti parlano di “normalizzazione dei meccanismi di prezzo”: le filiere si sono stabilizzate e molte materie prime sono ridiscese ai livelli prebellici. L’indice IAPC armonizzato, usato dalla BCE, è sceso al +2,1% per la Germania. Francoforte a fine ottobre ha mantenuto invariati i tassi, segnalando che il ciclo di rialzi è probabilmente concluso se l’inflazione convergerà verso il 2% nel 2025. La Commissione UE prevede per il 2025 un’inflazione media nell’eurozona del 2,1% e addirittura dell’1,7% nel 2026 – scenario impensabile solo un anno fa. Questa “lieta novella” per i portafogli è però accompagnata da un rovescio della medaglia: a calmierare i prezzi è anche la debolezza della domanda interna. La fiducia dei consumatori rimane negativa (indice GfK attorno a -22 punti) e molti tedeschi rimandano gli acquisti importanti. Nel 2025 il PIL tedesco segnerà probabilmente crescita zero (stima UE: +0,0%, rivista al ribasso dallo +0,7% di pochi mesi fa). Il calo dell’inflazione sta comunque riportando in positivo i salari reali: dopo due anni di erosione, gli aumenti contrattuali superano di nuovo l’inflazione. Ad esempio, il nuovo contratto dei metalmeccanici prevede +5% in due anni: con un carovita attorno al 2%, i lavoratori vedranno finalmente un incremento reale del potere d’acquisto di circa il 3%. Questo potrebbe gettare le basi per una lenta ripresa dei consumi nel 2026, sebbene molto dipenderà dall’andamento del mercato del lavoro e dalla fiducia. Il ministro dell’Economia Schneider ha invitato alla prudenza: “l’inflazione sta rientrando, ma l’obiettivo è evitare una recessione”. Per questo il governo sta valutando misure come la riduzione temporanea dell’IVA su alcuni beni e un alleggerimento dei contributi sociali a redditi medio-bassi, nel tentativo di stimolare la domanda senza riaccendere l’inflazione. Resta poi l’incognita energia per l’inverno 2025-26: le scorte di gas sono a buon livello e i prezzi futures stabili, ma nuove tensioni geopolitiche potrebbero innescare fiammate. Per ora, però, consumatori e imprese possono tirare un sospiro di sollievo: dopo il biennio shock 2022-23, i prezzi sono tornati sotto controllo, un risultato su cui in pochi avrebbero scommesso e che – se consolidato – permetterà a famiglie e aziende di pianificare meglio il futuro prossimo.
Stagnazione e consumi fiacchi, ma la disoccupazione rimane sorprendentemente bassa
Arbeitsmarkt: wenig Wachstum, aber kein Stellenabbau – Fachkräftemangel als Schutz?
IAB / Bundesagentur für Arbeit – 8 novembre 2025
Nonostante l’economia tedesca sia ferma sul bordo della recessione, il mercato del lavoro regge meglio del previsto. Il tasso di disoccupazione nazionale si attesta attorno al 5,6%, in leggero aumento rispetto al minimo del 5,2% di metà 2024 ma comunque storicamente contenuto. In passato, con una crescita zero, la Germania avrebbe visto la disoccupazione salire ben oltre il 7-8%. Cosa sta evitando un’ondata di licenziamenti? Gli esperti indicano principalmente il persistente fabbisogno di manodopera qualificata in molti settori. Secondo un rapporto dell’Istituto IW, nel 2024 sono rimasti scoperti 250.000 posti di lavoro altamente qualificati nelle 10 branche con più carenza di personale. Il settore sanitario è il più colpito, con oltre 46.000 posizioni di infermieri e medici formalmente vacanti, seguito dall’ingegneria informatica, l’edilizia specializzata e la meccatronica industriale. Questa situazione di Fachkräftemangel funge da “cuscinetto anticrisi”: le aziende, avendo faticato a trovare personale, tendono a trattenerlo anche in fase di stasi economica, temendo di non riuscire a riassumerlo poi. Inoltre molti settori stanno affrontando i pensionamenti massicci della generazione dei Baby Boomer: ogni anno ~300.000 lavoratori escono dal mercato per raggiunti limiti d’età, a fronte di un minor numero di giovani entranti. Questa dinamica demografica riduce l’offerta di lavoro e mantiene bassa la disoccupazione strutturale. Ciò non significa che il mercato sia roseo: la crescita dell’occupazione si è arrestata (gli occupati stagnano appena sopra i 45 milioni) e gli ingressi nel mondo del lavoro degli under-25 sono al minimo storico. Molti settori a bassa qualifica (logistica, ristorazione) hanno ridotto gli orari o congelato le assunzioni, ma finora hanno evitato licenziamenti netti, grazie anche all’uso diffuso dello Kurzarbeit (cassa integrazione a orario ridotto) in alcune industrie. La vera sfida, riconoscono tutti gli attori, è riempire i vuoti di competenze: servono circa 400.000 nuovi lavoratori netti l’anno dall’estero per mantenere stabile la forza lavoro. Il governo precedente aveva varato una riforma per facilitare l’immigrazione qualificata e la cittadinanza: Merz, pur critico, ha lasciato in vigore gran parte di quelle misure. Nei primi otto mesi del 2025 si registra però un rallentamento dei flussi migratori rispetto al 2022-23: complici la fine di alcune emergenze (minor afflusso dall’Ucraina) e la maggiore competizione internazionale per attrarre talenti, la popolazione straniera in Germania è addirittura leggermente diminuita ad agosto 2025 (-9.000 rispetto a luglio, dato Ausländerzentralregister). Per invertire la rotta, il governo sta lanciando accordi bilaterali con Paesi chiave (India, Brasile, Vietnam) per il reclutamento di ingegneri, tecnici sanitari e informatici. Inoltre la nuova legge di cittadinanza (in vigore da fine 2024) consente ora di ottenere il passaporto tedesco dopo 5 anni di residenza (3 in caso di integrazione speciale) e di mantenere la doppia cittadinanza: l’esecutivo spera che ciò renda la Germania più attrattiva rispetto ad altre destinazioni. Sul fronte interno, iniziative come l’Aktivrente (vedi sopra, la possibilità per i pensionati di lavorare part-time guadagnando fino a 2000 € esentasse) mirano a trattenere gli over-65 attivi più a lungo. Già oggi circa 1 milione di pensionati ha un mini-lavoro. Se anche solo 100.000 decidessero di restare o rientrare nel mondo del lavoro a tempo parziale grazie agli incentivi, si guadagnerebbe l’equivalente di quasi due divisioni industriali in più. In sintesi, il mercato del lavoro tedesco 2025 è statico ma non in caduta libera: la carenza di lavoratori funziona da “airbag” nell’urto con la stagnazione, evitando un’impennata di disoccupazione. Per convertire questo in opportunità di crescita, però, serviranno politiche incisive: formazione continua per i lavoratori esistenti, maggiore partecipazione femminile (ancora sotto la media nord-europea) e un’integrazione più efficace dei migranti già presenti (il cui tasso di occupazione è migliorato ma resta inferiore a quello dei nativi). Senza queste mosse, avverte l’Istituto IAB, il silver tsunami demografico potrebbe travolgere l’economia tedesca entro il prossimo decennio, quando milioni di Boomer saranno usciti dalla forza lavoro. Per ora, la resilienza del mercato occupazionale offre un po’ di respiro: un raro caso di “crisi senza lacrime” sul lavoro, almeno finché carenza e crisi si equivalgono.


