Rassegna della stampa tedesca #149
Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenza del committente.
Analisi e commenti
1. Merz al comando: una maggioranza fragile e un governo a rischio
Der Fehler liegt im System Merz – DIE ZEIT, 5 dicembre 2025
Un commento severo mette in luce le debolezze strutturali dell’esecutivo guidato da Friedrich Merz. Dopo un difficile voto parlamentare sul pacchetto pensionistico, il cancelliere ha salvato per un soffio la sua “maggioranza del cancelliere”, evitando una crisi di governo. Tuttavia, la strettissima votazione ha evidenziato fratture nella sua coalizione CDU/CSU–SPD e solleva dubbi sulla capacità di Merz di mantenere unito il proprio schieramento. L’analisi critica lo stile di leadership di Merz: i conflitti interni sono stati lasciati incancrenire fino all’escalation, sintomo di una gestione conflittuale e poco collegiale. La cultura di comando del cancelliere viene definita inadeguata, con decisioni calate dall’alto e scarsa costruzione del consenso all’interno della maggioranza. Questo modus operandi, accompagnato da un lavoro legislativo definito “di scarsa fattura”, rischia di minare la stabilità del governo nel tempo. Se la grande coalizione proseguirà con simili metodi, avverte il commentatore, essa “non potrà durare”: l’autorevolezza di Merz è già offuscata e il sostegno verso di lui sta calando, sia nell’opinione pubblica sia tra i suoi parlamentari. Il governo si trova ad affrontare sfide epocali – dalla tenuta del sistema pensionistico e sanitario alle incertezze geopolitiche – e per superarle Merz dovrà cambiare registro. È necessario riconoscere per tempo i segnali di allarme e gestire i conflitti in modo costruttivo, comunicando con maggiore trasparenza e visione. Solo un netto cambio di approccio potrà stabilizzare il sistema politico e ridare fiducia nella leadership di Merz; in caso contrario, conclude il commento, la tenuta della coalizione resterà appesa a un filo, come drammaticamente mostrato dalla vicenda del voto sulle pensioni.
2. Estremismi contrapposti: il caso Gießen e l’allarme sulla nuova gioventù AfD
„In keinem Land werden die eigenen Streitkräfte so schlechtgeredet“: Pistorius verteidigt Bundeswehr – Frankfurter Allgemeine Zeitung, 1 dicembre 2025 (citata da DLF)
Le tensioni politiche interne si sono manifestate con particolare durezza a Gießen, nell’Assia, dove la fondazione della nuova organizzazione giovanile dell’AfD – chiamata “Generation Deutschland” – ha innescato proteste violente e un diffuso allarme istituzionale. Un editoriale della FAZ sottolinea come gli eventi di quel weekend siano stati tutt’altro che edificanti: “non c’è nulla di cui rallegrarsi”, né dentro né fuori la sala del congresso giovanile. Da un lato, l’ala più radicale dell’AfD continua a crescere: la nuova Jugendorganisation del partito, ricostituita dopo lo scioglimento del vecchio movimento giovanile, è animata – avverte il commentatore – da contenuti estremisti preoccupanti. Dall’altro, le manifestazioni di piazza contro l’evento sono degenerate in scontri di piazza, con frange violente dell’estrema sinistra che hanno lanciato sassi, bottiglie e fuochi d’artificio contro la polizia. Questi “teppisti incappucciati”, come li definisce l’articolo, hanno finito per oscurare la protesta pacifica della maggioranza dei cittadini e soprattutto hanno distolto l’attenzione dal vero pericolo, che è l’ideologia propagata all’interno dell’evento AfD. Il commento critica duramente i “sedicenti difensori della democrazia” che con la violenza fanno invece il gioco dei nemici della democrazia stessa: così facendo, si afferma, non si difende l’ordine liberale, ma lo si ferisce. Allo stesso tempo, la minaccia rappresentata dall’AfD – in particolare dalla sua gioventù – non deve passare in secondo piano: la nuova organizzazione è chiaramente collocata all’estrema destra e contribuirà a radicalizzare ulteriormente il partito. L’episodio di Gießen diventa quindi emblematico di un fenomeno più ampio: in Germania si assiste a una polarizzazione crescente, con gli estremi opposti che si alimentano a vicenda. La conclusione implicita è un appello alla società civile e alle istituzioni: servono fermezza contro la violenza politica – da qualunque parte provenga – e lucidità nel contrastare le idee eversive dell’AfD, senza offrire pretesti ai suoi militanti per posare da vittime.
3. I Verdi all’opposizione: svolta a sinistra e ricerca di identità
Bundesparteitag der Grünen in Hannover: Die Grünen fassen Mut – Süddeutsche Zeitung, 1 dicembre 2025 (citata da DLF)
All’indomani dell’uscita dai ranghi di governo, i Verdi hanno tenuto il loro congresso federale a Hannover, segnando un aggiustamento di rotta nella strategia politica. Un’analisi pubblicata dalla Süddeutsche Zeitung rileva che, dopo l’addio forzato dei loro leader storici Annalena Baerbock e Robert Habeck (esponenti dell’ala “realista”), il partito ecologista ha deciso di spostarsi nuovamente a sinistra su molte questioni programmatiche. Le delibere approvate al congresso delineano quella che viene definita la “seconda parte della nuova strategia” verde: proposte come il ripristino del biglietto mensile dei trasporti a 9 euro, un bonus solare per incentivare le energie rinnovabili, una tassazione extra per i voli privati di lusso, un contributo di solidarietà sugli extraprofitti delle imprese fossili, fino alla reintroduzione di un tetto agli affitti nelle grandi città. Si tratta di un pacchetto di misure che chiaramente segnala uno spostamento del baricentro politico “un po’ più a sinistra” – come scrive SZ – in reazione alle pesanti perdite subite dai Verdi nelle ultime elezioni a vantaggio della Linke, specialmente tra gli elettori più giovani. L’obiettivo dichiarato è riconquistare quel consenso giovanile e urbano erososi durante la difficile esperienza di governo con SPD e FDP. Secondo l’analisi, questa correzione di rotta serve almeno a infondere un po’ di coraggio al partito: malgrado sondaggi ancora deludenti (i Verdi navigano attorno al 10%, ben al di sotto dei picchi passati), a Hannover la base ha ritrovato uno slancio di combattività e una rinnovata fiducia nella propria agenda. Resta però aperta la domanda cruciale: come uscire dalla “bolla del 10%” ed espandere nuovamente il bacino elettorale? Su questo punto, nota la SZ, neanche i due nuovi co-leader – Ricarda Lang e Felix Banaszak – né figure di spicco come Cem Özdemir hanno saputo fornire una ricetta convincente. Il dibattito interno vede due possibili rotte: mantenere il corso centrista e pragmatico degli ultimi anni (orientato agli elettori borghesi e alle riforme compatibili col mercato, come suggerito da Franziska Brantner e Özdemir), oppure accentuare la svolta a sinistra puntando su giustizia sociale e ambientalismo radicale, come vorrebbe l’ala movimentista rappresentata dallo stesso Banaszak. La scelta non è affatto facile. Un altro quotidiano (Märkische Oderzeitung) evidenzia il problema di “marca” del partito: i Verdi faticano a far convivere il loro volto governativo (come l’apprezzato ministro Özdemir in Baden-Württemberg) con l’identità percepita a livello nazionale. In sintesi, pur avendo recuperato un po’ di ottimismo e volontà di lotta, i Verdi restano in cerca di una strategia efficace per tornare rilevanti: aggiornare i contenuti è importante – riconosce l’editoriale – ma chi vuole sopravvivere politicamente oggi deve anche guardare oltre le sole proposte programmatiche. La sfida, dunque, sarà farsi ascoltare e prendere sul serio dagli elettori al di fuori della propria nicchia progressista, ridefinendo la propria immagine dopo l’esperienza di governo e comunicando con più audacia le proprie idee.
4. L’Europa senza gli Stati Uniti? L’ombra di Trump sui destini dell’Ucraina
Kommentar: Europa muss eingreifen, um den Schaden zu begrenzen – Rheinische Post, 3 dicembre 2025 (citata da DLF)
La rinnovata influenza di Donald Trump sulla politica internazionale sta ponendo l’Europa – e la Germania in particolare – di fronte a scenari inquietanti riguardo alla guerra in Ucraina. Un commento della Rheinische Post, ripreso nelle rassegne stampa, osserva con preoccupazione gli incontri riservati tenutisi a Mosca tra emissari USA dell’amministrazione Trump (tra cui l’inviato Jason D. Greenblatt e Jared Kushner) e il presidente russo Vladimir Putin. Ogni volta che Washington e Mosca discutono ai massimi livelli di possibili termini di pace, nota l’editoriale, Kyiv si ritrova sotto pressione: puntualmente, dopo colloqui del genere, Volodymyr Zelens’kyj si vede recapitare richieste estreme allineate agli interessi russi. In questo caso, l’indiscrezione più allarmante riguarda la proposta americana – definita “realitätsfern” (“distaccata dalla realtà”) dalla Süddeutsche Zeitung – di cedere l’intero Donbass alla Russia, trasformando i rimanenti territori sotto controllo ucraino in una zona demilitarizzata. Una tale ipotesi, evidenzia la SZ, sarebbe inaccettabile per più ragioni: oltre a premiare l’aggressione di Mosca violando la sovranità ucraina, consegnerebbe milioni di persone al regime repressivo dell’FSB russo (come già accade nelle aree occupate) e sarebbe persino incostituzionale per l’Ucraina, il cui ordinamento proibisce di rinunciare a territorio nazionale. Zelens’kyj, già politicamente indebolito, non potrebbe mai far approvare un simile “diktat” dal Parlamento. In sostanza – conclude la SZ – la guerra è destinata a continuare, e al momento né l’Ucraina né il suo presidente hanno motivo di mostrarsi ottimisti su una pace imminente. Nel frattempo Trump – secondo la RP – sta esercitando pressioni indebite su Kyiv affinché accetti di fatto la mutilazione del proprio paese pur di ottenere un cessate-il-fuoco. Questo mette in luce la marginalizzazione dell’Europa: i paesi europei, direttamente coinvolti nella sicurezza del continente, restano fuori dal tavolo in questi negoziati sotterranei, incapaci di influire sul corso degli eventi. “L’Europa deve intervenire per limitare i danni”, ammonisce la RP, ma la realtà è che il peso europeo su Trump è alquanto limitato. Berlino e gli altri partner UE hanno ribadito di non voler imporre all’Ucraina concessioni territoriali forzate – come peraltro affermato più volte dal cancelliere Merz e dal ministro Wadephul: “nessuna pace sopra la testa degli ucraini” rimane la linea ufficiale tedesca. Eppure, la frattura transatlantica si allarga. Trump appare pronto a sacrificare l’integrità dell’Ucraina, e il Cremlino mira a dividere l’Occidente offrendo false soluzioni di pace. In tale contesto, la Germania e l’Europa possono solo insistere sull’unità europea e sul sostegno continuo a Kyiv, tenendo alta la guardia contro accordi bilaterali USA-Russia contrari ai principi del diritto internazionale. L’editoriale RP, in definitiva, suona un campanello d’allarme: senza gli Stati Uniti, l’Europa rischia di trovarsi impotente di fronte all’espansionismo russo, ed è dunque vitale prepararsi a sostenere l’Ucraina anche in uno scenario di isolamento, rafforzando al contempo la propria autonomia strategica.
5. La Germania e il dilemma israelo-palestinese: solidarietà sì, ma non a ogni costo
Deutsche Israelpolitik: Die Stunde der Wahrheit ist gekommen – DIE ZEIT, 4 agosto 2025 (analisi di scenario)
(Nota: l’analisi risale ad agosto, ma anticipa questioni ancor più vive a fine 2025.) La prolungata guerra tra Israele e Hamas a Gaza ha messo la politica estera tedesca di fronte a una scelta dolorosa e storica: come conciliare la storica “Ragion di Stato” a difesa di Israele con i principi fondamentali di diritto umanitario e i valori liberaldemocratici della Germania. Già in estate due autorevoli osservatori israeliani (Shimon Stein e Moshe Zimmermann) avevano definito “giunta l’ora della verità” per Berlino, e gli eventi successivi hanno confermato questa prognosi. Tradizionalmente, la Germania ha sostenuto Israele quasi incondizionatamente, ritenendo che la sicurezza dello Stato ebraico – alla luce dell’Olocausto – dovesse prevalere anche su eventuali conflitti con altri principi. Questa impostazione ha vacillato di fronte all’escalation militare nell’autunno 2025. Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, il governo Merz ha ribadito con forza la solidarietà a Israele; ma con il protrarsi della campagna di Israele su Gaza – con altissimi costi civili per i palestinesi – anche a Berlino le voci critiche si sono fatte più forti. In agosto, Merz aveva spiazzato molti decidendo un parziale stop alle esportazioni di armi verso Israele utilizzabili a Gaza, una misura senza precedenti che aveva provocato tensioni sia con Gerusalemme sia all’interno della stessa CDU/CSU. Nei mesi seguenti, la “catastrofe umanitaria” a Gaza – con migliaia di civili uccisi – ha costretto la Germania a un faticoso riposizionamento. Da un lato, Berlino insiste che la Staatsräson non è in discussione: il diritto di Israele all’autodifesa resta sacrosanto e la partnership con Gerusalemme rimane un pilastro della politica estera tedesca. Dall’altro, esponenti anche governativi (soprattutto SPD) hanno iniziato a esprimere pubblicamente riserve sulla proporzionalità delle operazioni israeliane e sulla necessità di proteggere i civili palestinesi. La decisione di Merz di revocare a novembre il blocco alle forniture militari – motivata con la tenuta di una tregua temporanea e l’avvio di colloqui per un cessate il fuoco duraturo – include un avvertimento implicito: la Germania tornerà al normale esame caso per caso delle licenze di export, ma “resterà pronta a reagire agli sviluppi”, segno che ulteriori eccessi militari potrebbero portare a nuove restrizioni. Il cancelliere Merz ha esplicitato questo concetto affermando che la solidarietà verso Israele “non significa sostenere ogni decisione” del suo governo. Il dibattito interno è ormai acceso: settori della sinistra (Verdi e SPD) e voci delle chiese chiedono un approccio più critico verso il governo Netanyahu e maggior impegno tedesco per il diritto internazionale – come evidenziato dalla disponibilità tedesca, per la prima volta, a votare a favore di risoluzioni ONU di condanna degli insediamenti ebraici illegali o delle violenze dei coloni. Allo stesso tempo, la Germania sta potenziando gli aiuti umanitari per Gaza e il sostegno alla popolazione civile. Questa rinegoziazione dell’equilibrio è delicatissima: la comunità ebraica in Germania teme possibili cedimenti nel tradizionale appoggio ad Israele, mentre larghi strati dell’opinione pubblica (anche moderata) sono turbati dalle immagini di Gaza e chiedono un approccio più orientato ai diritti umani universali. L’analisi degli esperti Stein e Zimmermann sottolineava come dal “corso futuro” di Berlino dipendano molte cose: in gioco c’è la credibilità della Germania come difensore dell’ordine liberale internazionale, ma anche la tenuta del patto repubblicano interno (insidiato dall’aumento dell’antisemitismo e, sul fronte opposto, dalla radicalizzazione di una minoranza filo-palestinese). La “ora della verità” della Germania consiste quindi nel trovare una via che “metta in armonia” i suoi principi costituzionali – difesa dei diritti umani, legalità internazionale – con la storica responsabilità verso Israele e la sua sicurezza. In altre parole, solidarietà sì, ma non a ogni costo: Berlino sembra destinata ad assumere un ruolo più equilibrato, continuando a proteggere Israele dalle minacce esistenziali ma anche difendendo con maggiore fermezza i valori che costituiscono la base morale della sua politica estera. La posta in gioco, concludeva ZEIT, è duplice: da un lato salvaguardare Israele come democrazia (anche dall’interno, evitando di avallare derive illiberali del suo governo) e dall’altro preservare la integrità etica della Germania, affinché il sostegno a un alleato non significhi mai rinunciare ai propri fondamentali principi.
La generazione della pace non sì può sapere se combatterebbe davvero
Wehrdienst: Fragt uns nicht, ob wir für euch kämpfen würden
Die Zeit – 14 novembre 2025
Un commento riflette sul nuovo “Wehrdienst” (servizio militare volontario) e l’interrogativo morale posto ai giovani tedeschi se sarebbero pronti a morire per la patria. L’autore sottolinea che nessuno può prevedere il proprio comportamento in guerra: molti “figli della pace” (cresciuti in Germania in assenza di conflitti diretti) non sanno come reagirebbero davvero in caso di guerra. Il governo ha pianificato di reclutare 80.000 soldati aggiuntivi tramite volontariato o, in mancanza di questi, con una cosiddetta “Wehrpflicht in caso di necessità” (coscrizione condizionata). Ci si chiede se un sistema di arruolamento tramite sorteggio motiverebbe davvero i giovani a combattere. Il dibattito pubblico è acceso: opinionisti, artisti e cittadini esprimono posizioni divergenti, ma l’articolista osserva che nessuna discussione teorica può stabilire con certezza chi sarebbe disposto a combattere. La letteratura e la storia mostrano infatti che in guerra le persone spesso agiscono in modo diverso da quanto immaginato in tempo di pace. In definitiva, l’autore invita a non giudicare frettolosamente i giovani sulla base di una domanda ipotetica – “combatteresti per il tuo Paese?” – perché solo una realtà estrema rivelerebbe il vero coraggio o la paura di ciascuno. Questo commento mette in luce il divario generazionale: i giovani tedeschi odierni, cresciuti in pace, faticano a rispondere a una domanda esistenziale che la generazione dei loro nonni – segnata dalla guerra – conosceva fin troppo bene. L’analisi conclude che la nuova legge sul servizio volontario pone sì una “domanda di coscienza” cruciale alle nuove leve, ma nessun “figlio della pace” può sapere in anticipo se diventerebbe un soldato in grado di uccidere o morire per la Germania.
L’involuzione populista: la CDU e l’illusione delle deportazioni facili
Debatte über Abschiebungen: Die Realitätsverweigerer der Union
taz – 5 novembre 2025
In questo commento la taz critica duramente l’atteggiamento della CDU/CSU sul tema delle espulsioni di richiedenti asilo, definendolo “negazione della realtà” dettata da populismo e derive xenofobe. Il casus belli è la polemica sorta all’interno dell’Unione dopo che il nuovo ministro degli Esteri Johann Wadephul (CDU) – recatosi di persona in Siria – ha avvertito che rimpatriare migranti siriani è attualmente impensabile a causa delle condizioni disastrose nel Paese. Wadephul, di fronte alle rovine di Damasco, ha paragonato la Siria di oggi alla Germania del 1945, esortando a sospendere le deportazioni verso quel paese martoriato[5]. Invece di tener conto di questi riscontri sul campo, i vertici della CDU/CSU – a partire dal cancelliere Friedrich Merz – hanno reagito dichiarando “naturalmente si può rimandare gente in Siria” e criticando lo stesso Wadephul. La taz evidenzia come giovani deputati dell’Unione abbiano promesso ai loro elettori una “Migrationswende” (inversione di tendenza sull’immigrazione) e ora, per non deluderli, insistono su misure drastiche come espulsioni di massa, a prescindere dalla fattibilità e dall’umanità di tali provvedimenti. L’editoriale accusa la CDU di assecondare il razzismo latente, cercando di mostrarsi “più dura dell’AfD” sul terreno dell’ostilità agli stranieri. Questa cieca determinazione ricorda un errore già commesso: nel 2016 la GroKo Merkel introdusse l’Asylpaket II, degradando i rifugiati siriani allo status di protezione temporanea, preparando così il terreno per possibili future deportazioni. La taz conclude che l’Unione – anziché ammettere che rimpatriare in Siria, oggi, è irrealistico e pericoloso – preferisce alimentare false aspettative nell’elettorato più xenofobo, anteponendo il calcolo politico alla realtà umanitaria sul campo. Questo commento mette in risalto la frattura tra l’ala pragmatica della CDU (incarnata dal ministro Wadephul, portatore di dati scomodi) e la linea dominante di Merz, che ignora persino i propri esperti pur di mantenere una retorica muscolare sull’immigrazione.
Il dilemma dell’Occidente secondo Merz: pace sì, ma non senza l’Europa e l’Ucraina
Merz fordert Mitsprache Europas bei Friedensregelung für Ukraine
Stern – 26 novembre 2025
Nel suo primo grande discorso programmatico al Bundestag, il cancelliere Friedrich Merz ha affrontato il tema cruciale di una futura pace in Ucraina, insistendo che l’Europa deve avere voce in capitolo in qualsiasi accordo. Merz ha dichiarato che “le questioni europee possono essere decise solo d’intesa con l’Europa”, ribadendo che l’UE non sarà “una pedina del gioco altrui” ma un attore sovrano portatore dei propri interessi e valori. Questo intervento, pronunciato durante il dibattito parlamentare generale, è giunto all’indomani di colloqui riservati svoltisi a Ginevra: delegazioni di Stati Uniti, Ucraina e alcuni Paesi europei (Germania inclusa) hanno discusso un piano di pace in 28 punti proposto dagli USA. Nella sua forma iniziale, questo piano sarebbe molto accomodante verso la Russia, concedendo a Mosca concessioni significative; grazie al coinvolgimento europeo, pare siano state già ottenute alcune modifiche migliorative. Merz ha comunque accolto con favore l’impegno americano per porre fine al conflitto – ha rivelato di aver espresso tale apprezzamento anche all’ex presidente Donald Trump – ma ha avvertito che ci troviamo in un “momento fatidico” per l’Ucraina e per l’Europa intera. Pertanto, “un accordo negoziato tra Grandi Potenze senza il consenso dell’Ucraina e degli europei” non potrà essere la base di una pace vera e duratura. Il cancelliere ha poi enunciato un principio cardine: “non vogliamo una pace ottenuta tramite capitolazione”, bensì una pace giusta in libertà e sicurezza, coerente con i valori democratici dell’Europa. Ha rimarcato che nel conflitto ucraino esiste un solo aggressore – la Russia –, respingendo implicitamente ogni equidistanza. Questa linea ha trovato ampio sostegno nella maggioranza (il capogruppo SPD Miersch ha difeso i robusti investimenti nella difesa tedesca come conseguenza necessaria dell’aggressione russa). Dall’opposizione, invece, l’AfD ha attaccato la coalizione accusandola di “non aver contribuito per nulla alla pace” e ha elogiato Donald Trump come speranza di una soluzione – segno della volontà dell’AfD di appropriarsi politicamente del tema pacifista ma in chiave filorussa. In definitiva, l’intervento di Merz traccia una linea rossa: nessuna “pace calata dall’alto” tra Washington e Mosca verrà accettata se Ucraina ed Europa ne saranno escluse. L’Europa, secondo il cancelliere, vive un momento decisivo in cui deve mostrarsi unita e determinata a non farsi scavalcare: qualsiasi intesa futura dovrà garantire la sovranità ucraina e la sicurezza europea, altrimenti la Germania – e con essa l’UE – non la riconoscerà come vera pace.
Politica estera e sicurezza
Merz in Israele: sostegno totale, due Stati e aiuti umanitari
Nahostreise: Merz dringt auf Fortschritte im Friedensprozess
Süddeutsche Zeitung – 6 dicembre 2025
Il cancelliere Friedrich Merz ha compiuto il suo primo viaggio in Medio Oriente con tappe in Giordania e Israele, nel contesto della fragile tregua ottenuta a Gaza dopo oltre due anni di guerra. A Akaba, in Giordania, Merz ha incontrato re Abdallah II esprimendo sollievo per il cessate-il-fuoco in atto da due mesi e auspicando con forza l’avvio di una “seconda fase” del processo di pace. Secondo Merz, occorre “togliere definitivamente alla Hamas le basi del terrore” – riferimento alla necessità di disarmare la milizia islamista – e migliorare rapidamente la drammatica condizione umanitaria della popolazione di Gaza. Ha invocato più aiuti umanitari immediati, specialmente in vista dell’inverno, e ribadito l’impegno tedesco a gettare le fondamenta per un nuovo ordine di pace in Medio Oriente. Questo “nuovo ordine”, ha specificato Merz, dovrà consentire a israeliani, palestinesi e vicini arabi di vivere stabilmente in pace, libertà e sicurezza – concetto che porta il cancelliere a riaffermare il tradizionale sostegno tedesco alla soluzione dei due Stati. Ha esortato a riprendere al più presto i negoziati su uno Stato palestinese e, al contempo, messo in guardia contro qualsiasi annessione unilaterale nei Territori occupati (cioè l’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania), poiché ciò pregiudicherebbe la prospettiva due-Stati. Giunto a Gerusalemme, Merz ha incontrato il Presidente israeliano Isaac Herzog dichiarando: “vengo in Israele in un momento difficilmente più complicato”. Ha quindi ribadito in tono solenne che la Germania è e sarà sempre al fianco di Israele. Allo stesso tempo, però, Merz ha riconosciuto che l’operazione militare israeliana a Gaza ha posto la Germania di fronte a “dilemmi” morali: egli ha alluso al fatto che Berlino, per alcune settimane, aveva limitato l’esportazione di certi armamenti verso Israele a causa delle pesanti perdite civili a Gaza. (Proprio alla vigilia della visita di Merz, il suo governo ha deciso di revocare il congelamento delle licenze di esportazione militare verso Israele, misura che era stata introdotta ad agosto in segno di pressione per mitigare l’offensiva su Gaza. Questa scelta ha suscitato critiche da parte di organizzazioni come Amnesty International, secondo cui rifornire di armi Israele mentre a Gaza prosegue quella che definiscono una politica di annientamento viola le convenzioni internazionali. Un gruppo di attivisti ha manifestato a Berlino il 5 dicembre con lo slogan “Keine Waffen für Kriegsverbrechen in Gaza” – Niente armi per crimini di guerra a Gaza – denunciando la decisione come un “amaro regalo” di Merz a Israele prima del suo arrivo.) Merz ha comunque precisato a Gerusalemme che, nonostante quei dilemmi, Germania e Israele rimangono saldamente unite nei valori di fondo: “Non c’è alcuna divergenza di principio: Israele ha il diritto di difendersi”, ha dichiarato, indicando che Berlino comprende la necessità per Israele di neutralizzare Hamas. Dal canto suo, il Presidente Herzog ha ringraziato la Germania per il ruolo attivo e ha espresso speranza che il “Piano Gaza” – negoziato internazionale in corso per l’assetto post-bellico del territorio – apra “un nuovo orizzonte” per gli abitanti di Gaza, per Israele e per i Paesi arabi vicini. Ha aggiunto che la Germania potrà svolgere “un ruolo importante” nella costruzione di questo futuro scenario di pace. Domenica 7 dicembre Merz ha in programma un incontro a Tel Aviv con il premier Benjamin Netanyahu: sarà il primo capo di governo europeo a recarsi in Israele da oltre un anno. In quell’occasione, con ogni probabilità, Merz ribadirà il sostegno incondizionato a Israele ma, come anticipato nelle sue dichiarazioni, spingerà anche per concrete misure umanitarie e politiche: estensione della tregua, scambio di ulteriori ostaggi, rilancio dei colloqui diplomatici e – a lungo termine – una ripresa del processo di pace israelo-palestinese con prospettiva due-Stati. In sintesi, la visita di Merz segnala che la Germania di fronte alla crisi mediorientale intende bilanciare fermezza a fianco di Israele e impegno attivo per la pace, assumendo responsabilità sia nel supporto alla sicurezza israeliana sia nella risposta alla catastrofe umanitaria a Gaza.
Pechino-Berlino: verso una distensione pragmatica
China: Li Qiang drängt Friedrich Merz zu “pragmatischer Chinapolitik”
DIE ZEIT – 24 novembre 2025
Al G20 di Johannesburg, il primo ministro cinese Li Qiang ha incontrato il cancelliere Friedrich Merz, sollecitando la Germania ad adottare una politica verso la Cina più “razionale e pragmatica”. Secondo il resoconto di Pechino, Li ha chiesto di “eliminare interferenze e pressioni” nel rapporto bilaterale e di concentrarsi sui “interessi comuni” dei due Paesi. In concreto, il premier cinese ha offerto a Merz una cooperazione più stretta in settori strategici quali energie rinnovabili, manifattura intelligente, biotecnologie e guida autonoma. Da parte sua, Merz – al suo primo confronto diretto con la leadership cinese – ha annunciato una visita ufficiale a Pechino a inizio 2026, spiegando di aver avuto “un lungo colloquio” con Li Qiang proprio per preparare questo viaggio. Il cancelliere ha definito la Cina un partner commerciale fondamentale e una “potenza di ordine” nell’arena internazionale, segnalando l’intenzione di riavviare un dialogo costruttivo dopo le tensioni degli ultimi anni. Allo stesso tempo, Merz ha affrontato il tema del conflitto ucraino: ha espresso la speranza che Pechino aumenti la pressione su Mosca per porre fine alla guerra – arrivando a dire che, se necessario, ne parlerà direttamente con il presidente Xi Jinping. Questo indica che Berlino desidera coinvolgere la Cina come attore responsabile sul dossier ucraino. L’incontro ha mostrato come le relazioni sino-tedesche stiano entrando in una fase di “ricalibratura cauta”: dopo un periodo di attriti (Pechino ha imposto restrizioni all’export di tecnologie chiave, Berlino ha criticato la repressione dei diritti umani e il sostegno cinese alla Russia), ora entrambi i governi cercano di stemperare i toni. Segnali di distensione erano già emersi: poche settimane prima il ministro delle Finanze Lars Klingbeil (SPD) si era recato in Cina, segnando un disgelo e “riavvicinamento” dopo la freddezza degli anni Scholz. È inoltre notizia recente che Merz abbia incaricato il suo esecutivo di riesaminare le politiche commerciali verso Pechino, ma senza strappi: l’idea è ridurre dipendenze “critiche” in settori come energia e materie prime, pur preservando gli scambi economici floridi (nel 2024 l’interscambio tra i due Paesi ha superato i 200 miliardi di dollari). La cautela di Merz è evidente: definisce la Cina “un partner commerciale insostituibile” (ad esempio il mercato cinese assorbe un terzo delle auto tedesche), ma nello stesso tempo la colloca tra gli attori con cui competere (il suo governo aveva già collocato Pechino insieme a Mosca e Teheran nel novero delle sfide strategiche). In sintesi, dall’incontro emerge una ricerca di equilibrio: Pechino spinge Berlino a togliere “il piede dal freno” nelle relazioni economiche (meno vincoli politici, più affari), mentre Merz accetta di rilanciare la partnership – annunciando persino di voler incontrare Xi – però mantiene ferme alcune richieste (il ruolo cinese sulla Russia) e non abbandona le cautele occidentali. Si profila dunque un pragmatico “nuovo capitolo” sino-tedesco: cooperazione sulle sfide globali e sulle catene del valore, confronto franco sulle divergenze, con la consapevolezza da parte tedesca che “decoupling” totale è impossibile, ma anche che l’assertività cinese richiede un’Europa unita e vigile. La visita di Merz in Cina a gennaio 2026 sarà il banco di prova di questa linea sottile tra dialogo e fermezza.
Unità anti-droni: la Germania si difende dalle minacce ibride
Spezialkräfte: Neue Bundespolizei-Einheit soll Drohnenabwehr verbessern
DIE ZEIT – 2 dicembre 2025
In risposta al crescente rischio di attacchi con droni su obiettivi sensibili, la Germania ha varato una nuova unità specializzata della Bundespolizei per la difesa anti-drone. Il ministro dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU) ha presentato ufficialmente il reparto presso la base aerea federale di Ahrensfelde, nel Brandeburgo. Questa unità – inizialmente composta da 60 agenti altamente addestrati, destinati a salire a 130 “specialisti droni” entro pochi mesi – sarà equipaggiata con tecnologie all’avanguardia: sistemi di disturbo elettronico basati su intelligenza artificiale, dispositivi per neutralizzare o abbattere droni in volo e persino droni-cacciatori automatici incaricati di intercettare quelli ostili. Il compito sarà triplice: individuare, disattivare, abbattere eventuali UAV (Unmanned Aerial Vehicles) non autorizzati che minaccino infrastrutture critiche o eventi a rischio. La strategia di dispiegamento è capillare: la squadra anti-droni avrà basi presso i maggiori aeroporti e in posizioni chiave nella capitale, ed è predisposta a intervenire rapidamente in qualunque parte del territorio nazionale. Dobrindt ha spiegato che la Bundespolizei opererà a tutela di siti sensibili di sua competenza (scali aerei, stazioni ferroviarie, sedi governative), ma potrà anche affiancare le polizie dei Länder su richiesta, qualora un’incursione di droni richieda risorse specialistiche. La mossa va di pari passo con innovazioni normative: il governo ha infatti approvato emendamenti alla legge sulla sicurezza aerea e alla legge sulla Bundespolizei per ampliare le competenze di intervento anti-drone. Una novità di rilievo è che, in casi di emergenza estrema – ovvero se le capacità di polizia non fossero sufficienti e vi fosse il pericolo di un “grave disastro” – sarà consentito anche all’esercito (Bundeswehr) abbattere droni ostili sul territorio nazionale. Finora l’impiego interno delle Forze Armate era rigidamente limitato; la modifica riflette la consapevolezza che i droni ostili possono essere usati per sabotaggio, spionaggio o attentati su larga scala. Il governo giustifica l’urgenza di questi passi con dati allarmanti: dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina (febbraio 2022) c’è stato un netto aumento di avvistamenti di droni illegali su infrastrutture critiche in Germania. In altre parole, la minaccia ibrida è già alle porte: episodi come voli di droni sconosciuti su centrali, aeroporti o caserme – talora riconducibili a attività di intelligence ostile – sono diventati frequenti (la Bundespolizei ne ha registrati “diverse centinaia” nel solo 2025). Per questo, ha evidenziato il presidente della Bundespolizei Dieter Romann, bisogna stare tecnologicamente sempre un passo avanti, dato che nuovi modelli di drone compaiono sul mercato ogni pochi mesi e possono eludere i sistemi convenzionali. A completare la strategia, Dobrindt ha annunciato la creazione di un Centro di difesa anti-droni presso il Ministero dell’Interno, per coordinare un quadro completo della minaccia sul territorio federale e sviluppare contromisure in sinergia con i Länder. I fondi non mancano: il Parlamento ha stanziato oltre 100 milioni di euro tra 2025 e 2026 per questo potenziamento, che includerà anche investimenti in nuove tecnologie e sostegno a start-up nazionali del settore. Gli operatori del trasporto aereo (BDL) hanno accolto con favore l’iniziativa, definendola una risposta “decisa” che colma una grave lacuna nella sicurezza: ogni giorno senza adeguati sistemi anti-drone – avvertono – rappresentava un rischio inutile per aeroporti e infrastrutture. Con questa mossa, la Germania manda un segnale chiaro anche ai potenziali avversari: come ha dichiarato il direttore della nuova unità Olaf Lindner, il messaggio è indirizzato “alla società tedesca e… ai nostri nemici”. In sintesi, la nascita di questa squadra speciale evidenzia la crescente importanza della “homeland security” nell’era delle minacce ibride: Berlino si prepara a neutralizzare droni-spia russi, possibili attacchi terroristici dall’alto o anche semplici intrusi telecomandati che potrebbero causare disastri (si pensi alla paralisi di un aeroporto). La Germania non vuole farsi trovare impreparata: se i droni rappresentano la nuova frontiera delle minacce, il Paese risponde innovando strumenti e leggi per proteggere cittadini e infrastrutture.
Cooperazione franco-tedesca sotto esame: il progetto FCAS e la sovranità tecnologica europea
Entscheidung bis Jahresende: Merz und Macron wollen Streit um europäisches Kampfflugzeug FCAS lösen
Der Tagesspiegel – 18 novembre 2025
Al Vertice per la Sovranità Tecnologica Europea svoltosi a Berlino, il cancelliere Merz e il presidente francese Macron hanno affrontato il tema spinoso del progetto FCAS (Future Combat Air System), l’aereo da combattimento di nuova generazione che Germania, Francia e Spagna stanno sviluppando congiuntamente. Il programma – concepito per sostituire dal 2040 i caccia Eurofighter tedeschi/spagnoli e Rafale francesi – è attualmente impantanato in contrasti industriali e politici, principalmente tra Airbus (partner tedesco) e Dassault (partner francese). In conferenza stampa, Merz e Macron hanno riconosciuto le difficoltà, ma hanno chiarito di non voler abbandonare il progetto. “Siamo d’accordo sul prendere una decisione congiunta entro fine anno, prima di passare alla fase 2 di sviluppo del caccia”, ha dichiarato Merz, alludendo alla necessità di sciogliere i nodi ancora aperti. Ha sottolineato che in ballo ci sono “ingenti risorse e sforzi” per tutti e tre i Paesi coinvolti e ha auspicato di proseguire sulla base degli accordi già presi, lanciando una frecciata implicita a Dassault, accusata di aver avanzato nuove pretese tecniche in corso d’opera. Macron, dal canto suo, ha osservato che in un progetto così ambizioso è normale incontrare problemi, ma ha evidenziato la valenza strategica: “Abbiamo bisogno di un’offerta più europea nel settore difesa” ha detto, indicando che FCAS – insieme al progetto parallelo per il carro armato del futuro MGCS – è decisivo per standardizzare e integrare le capacità militari europee. Il presidente francese ha parlato addirittura di “obbligo di risultati” (Ergebnispflicht) per i due governi: un eventuale fallimento minerebbe la credibilità dell’Europa come attore autonomo nella difesa. Sia Merz che Macron hanno quindi ribadito l’intenzione di andare avanti e dare segnali chiari all’industria perché collabori con spirito costruttivo. Il contenzioso principale riguarda il ruolo di Dassault quale system integrator e alcune proprietà intellettuali del velivolo: Parigi vuole mantenere leadership tecnologica sul caccia, Berlino spinge per maggior condivisione – differenze riassunte da Merz nell’espressione “profilo di requisiti divergenti” tra gli aerei richiesti dalle rispettive aeronautiche. La scadenza di fine anno per una decisione indica che i leader hanno dato un ultimatum ai negoziatori industriali: o si trova un compromesso, oppure il progetto potrebbe essere ridimensionato o rimodulato. Questo summit ha avuto luogo simbolicamente al campus EUREF di Berlino, a margine di un evento sulla sovranità digitale: Merz e Macron hanno voluto così sottolineare che l’autonomia tecnologica europea passa anche dalla capacità di sviluppare sistemi d’arma avanzati in proprio. In parallelo, infatti, i due Paesi stanno lanciando investimenti congiunti in supercomputer, intelligenza artificiale e altri settori hi-tech (presenti all’evento anche ministri e imprenditori digitali). Tornando a FCAS, nelle ore successive al vertice fonti di stampa hanno riferito che le parti avrebbero compiuto progressi: si parla di un possibile accordo per spartire meglio le fasi di sviluppo del prototipo e assicurare a Dassault il controllo delle parti critiche di design, con Airbus più focalizzata su sistemi e droni ausiliari. Nulla di confermato pubblicamente, ma l’ottimismo cauto di Merz e Macron lascia intendere che una soluzione di compromesso è vicina. In conclusione, l’incontro di Berlino ha avuto un duplice significato: rilanciare la partnership franco-tedesca dopo qualche frizione recente (in particolare sul dossier difesa) e ribadire che solo unendo le forze l’Europa può competere con colossi come USA e Cina. Il messaggio di Merz e Macron è che progetti come FCAS “non sono facili ma sono essenziali”: abbandonarli non è un’opzione, pena il ritorno alla dipendenza da fornitori esteri per le armi di prossima generazione. Entro poche settimane si capirà se questa volontà politica basterà a risolvere i dettagli: il mondo dell’industria e gli osservatori attendono la “decisione di fine anno” annunciata. Se sarà positiva, FCAS entrerà davvero nella sua fase di sviluppo avanzato nel 2026, consolidando l’ambizione di una difesa europea più integrata e sovrana. Se invece l’accordo non arriverà, significherà che permangono divergenze profonde – scenario che né Berlino né Parigi sembrano voler contemplare. Per ora, dunque, Merz e Macron marciano uniti: “Crediamo nel progetto e andremo avanti”.
Turchia e Germania: Merz riapre il dialogo con Erdoğan su migranti e partenariato
(Analisi sulle relazioni Germania-Turchia, vari media – fine novembre 2025)
Il cancelliere Friedrich Merz ha compiuto il 30 ottobre la sua prima visita ufficiale fuori UE recandosi ad Ankara per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Questo viaggio, fortemente voluto da Merz appena insediatosi, segna l’avvio di un “nuovo capitolo” nei rapporti turco-tedeschi dopo anni di tensioni altalenanti. In conferenza stampa ad Ankara, Merz ha sottolineato la volontà di “approfondire ulteriormente la partnership stretta” tra Germania e Turchia. Ha elogiato i legami storici e umani (in Germania vivono milioni di persone di origine turca) e dichiarato di volerli tradurre in cooperazione strategica concreta. I due leader hanno discusso principalmente di migrazione e rapporti UE-Turchia. Merz, facendo eco al Patto UE recentemente rinnovato, ha ringraziato Erdoğan per gli sforzi nel contenere i flussi di rifugiati (la Turchia ospita ancora circa 4 milioni di profughi siriani) e ha convenuto sulla necessità di accelerare i rimpatri dei migranti economici privi di diritto d’asilo. È trapelato che i due abbiano concordato di snellire le procedure di riammissione: Ankara riprenderà più richiedenti respinti dall’UE, Berlino in cambio agevolerà l’ingresso di lavoratori qualificati turchi in Germania, in linea con la sua nuova legge sull’immigrazione mirata. Merz ha inoltre sostenuto un rafforzamento dei legami tra Turchia ed Europa: pur non riaprendo la questione formale dell’adesione (in stallo da anni), ha promesso di appoggiare l’ampliamento dell’Unione Doganale UE-Turchia e la ripresa del dialogo sui visti (la Turchia chiede da tempo la liberalizzazione per i suoi cittadini). “La Turchia è una forza importante nell’ordine internazionale”, ha dichiarato Merz, definendola un partner indispensabile per la stabilità regionale – un netto cambio di tono rispetto alle freddezze dell’era Merkel/Scholz. Erdoğan dal canto suo ha salutato Merz come “caro amico” e si è detto soddisfatto dell’impostazione pragmatica del nuovo governo tedesco, lontana – a suo dire – dalle “lezioni” sui diritti umani ricevute in passato. Fonti di stampa turche evidenziano che Erdoğan vede in Merz un interlocutore più attento alle opportunità economiche e alla cooperazione pratica (difesa comune, energia) e meno incline alle pubbliche critiche. Un risultato tangibile del vertice è l’accordo per accelerare le espulsioni di criminali e estremisti turchi presenti in Germania (in particolare i membri della rete di Gülen che Ankara considera terroristi), a fronte dell’impegno turco su migranti e anti-terrorismo. I due hanno anche parlato di commercio e investimenti: la Germania è il primo partner commerciale della Turchia e Merz ha auspicato un ulteriore aumento degli interscambi, segnalando che Berlino sosterrà la modernizzazione economica turca attraverso progetti comuni (per esempio, investimenti tedeschi nel settore automobilistico e green tech in Turchia). Sul piano geopolitico, Merz ha apprezzato il ruolo mediatorio della Turchia nel conflitto ucraino – Ankara è stata attiva sugli accordi per il grano – e ha incoraggiato Erdoğan a mantenere fermo l’impegno NATO (la Turchia ha finalmente ratificato l’ingresso della Svezia nell’Alleanza). L’atmosfera ad Ankara è stata definita “cordiale e costruttiva”: per la prima volta da anni, un cancelliere tedesco ed un presidente turco hanno mostrato totale sintonia pubblica. Analisti notano che Merz cerca una “realpolitik” con Ankara: consapevole che la Turchia è cruciale per arginare migrazioni incontrollate e per gli equilibri nel Mediterraneo e Caucaso, egli mette temporaneamente tra parentesi le divergenze su democrazia e diritti e punta su cooperazione economica e sicurezza. In Germania, però, questa linea suscita anche critiche: i Verdi (ora all’opposizione) e associazioni per i diritti umani accusano Merz di “sdoganare” Erdoğan senza ottenere progressi sul fronte dello Stato di diritto turco. Il cancelliere replica che “tenere aperto il dialogo” è il modo migliore per influenzare positivamente Ankara nel lungo periodo. In sintesi, la visita ha aperto uno spiraglio di distensione: Germania e Turchia sembrano pronte a concentrarsi su interessi comuni immediati (migrazione, energia, commercio, NATO) mettendo da parte attriti ideologici. Resta da vedere se questo approccio pragmatico reggerà alle inevitabili prossime sfide – ma per ora entrambi i governi ne traggono beneficio: Merz dimostra capacità di realpolitik internazionale e Erdoğan ottiene riconoscimento e collaborazione dalla potenza leader dell’UE.
Industria della difesa e questioni militari
Nuovo servizio militare: via libera tra proteste e compromessi
Verpflichtende Musterung für junge Männer ab 2026: Bundestag beschließt neuen Wehrdienst
Der Tagesspiegel – 5 dicembre 2025
Dopo un acceso dibattito, il Bundestag ha approvato a maggioranza il disegno di legge governativo che introduce il “nuovo Wehrdienst”, una forma di servizio militare su base volontaria ma con obbligo di leva amministrativa. A partire dal 1º gennaio 2026, tutti i giovani uomini che compiranno 18 anni (a cominciare dalla classe 2008) dovranno obbligatoriamente compilare un questionario e sottoporsi a visita di leva (Musterung). Il servizio in sé rimarrà volontario – dunque non c’è un ritorno immediato della coscrizione universale abolita nel 2011 – ma la legge ripristina la “Wehrerfassung”, cioè la registrazione sistematica dei cittadini abili, e fissa obiettivi di incremento degli organici delle Forze Armate. Nello specifico, il periodo di ferma volontaria sarà di almeno 6 mesi (12 se si vogliono ottenere incentivi aggiuntivi), con uno stipendio minimo di 2.600 euro lordi mensili finanziato dal bilancio federale. Al fine di raggiungere un organico più robusto, la legge prevede un meccanismo di “Wehrpflicht condizionata al fabbisogno”: se in futuro le adesioni volontarie risultassero insufficienti rispetto alle esigenze (ad esempio, se non si raggiungeranno le nuove “target strength” stabilite), il Parlamento potrà attivare una coscrizione obbligatoria mirata (Bedarfswehrpflicht). Questa clausola è frutto di un compromesso tra i partiti della coalizione – la CDU di Merz e la SPD – raggiunto dopo tensioni iniziali: la CDU premeva per reintrodurre subito la leva, mentre la SPD era contraria. Si è quindi convenuto di puntare sul volontariato supportato dalla leva anagrafica, riservandosi la coscrizione solo come estrema ratio dal 2027 in poi. Prima del voto finale, il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) ha difeso il provvedimento in aula ricordando che “la libertà non si difende da sola: servono persone pronte a farlo”. Il provvedimento è passato con 323 voti a favore e 272 contrari, segno di alcune defezioni anche nella maggioranza (soprattutto tra i deputati più giovani CDU contrari alla coscrizione condizionata). All’esterno del Parlamento, però, migliaia di giovani hanno protestato. Il 5 dicembre si è tenuto un “Schulstreik gegen Wehrpflicht” in oltre 20 città tedesche: migliaia di studenti sono scesi in piazza – circa 3.000 solo a Berlino, 1.700 ad Amburgo, cortei anche a Colonia, Monaco, Stoccarda e nelle principali città – per dire no anche al solo “odore di leva” contenuto nella legge. A Berlino ragazzi con cartelli “Non vogliamo essere carne da cannone” hanno sfilato per Kreuzberg, alcuni “giustificati assenti” a scuola grazie ai genitori solidali. Gli organizzatori accusano il governo di voler “militarizzare” le nuove generazioni con la paura, mentre tra i cori si è udito “Kein Mensch, kein Cent der Bundeswehr” (Né persone né soldi per la Bundeswehr). Non sono mancati genitori e insegnanti a supporto dei ragazzi. Pistorius e Merz hanno replicato invitando i giovani al dialogo: “nessuno sarà costretto a combattere, vogliamo anzi che più ragazzi scelgano volontariamente la divisa”. L’opposizione, da destra, ha invece criticato la legge definendola inefficace: l’AfD chiedeva leva obbligatoria immediata, i Liberali (FDP) temono costi elevati per i benefit promessi ai volontari. La Bundeswehr, intanto, registra un piccolo segnale positivo: dopo anni di calo, nel 2025 gli effettivi sono risaliti a circa 184.000 militari attivi, primo aumento da molto tempo – ma l’obiettivo NATO di avere 460.000 soldati (tra attivi e riservisti mobilitabili) è ancora lontano. La legge approvata stabilisce dunque la cornice per i prossimi anni: tutti i diciottenni maschi tedeschi torneranno a essere “visitati” e censiti, le ragazze potranno volontariamente aderire al questionario (la coscrizione femminile resta vietata dalla Costituzione), mentre la Difesa punterà a rendere il servizio attraente e aumentare i volontari. Entro l’estate 2027, come richiesto da un emendamento CDU, si valuterà se l’approccio basato sulla volontarietà avrà successo: in caso negativo, il Parlamento potrebbe – con un nuovo voto – attivare la chiamata obbligatoria di una parte dei giovani tramite sorteggio. In sintesi, l’esercito tedesco si prepara a ritornare nella società: non più tramite una leva generalizzata, ma con un “servizio ibrido” che combina volontariato incentivato e doveri civici (la compilazione del questionario sarà un primo contatto tra tutti i giovani e la Bundeswehr). Resta da vedere se questa formula basterà a colmare il vuoto generazionale nelle Forze Armate – e se i giovani tedeschi risponderanno all’appello. Il governo scommette di sì, ma nelle strade in molti gridano il contrario.
Le esportazioni militari tedesche alimentano il boom dei colossi USA
Verteidigung: „Anfang einer neuen Ära“ – US-Konzerne setzen auf Milliardenaufträge aus Deutschland
Handelsblatt – 2 dicembre 2025
La svolta epocale nel riarmo tedesco sta avendo un effetto immediato: i grandi gruppi della difesa statunitensi puntano con decisione sui mega-ordini provenienti dalla Germania. Il quotidiano economico Handelsblatt parla di “inizio di una nuova era”: dopo decenni di bilanci magri, i piani di riarmo di Berlino offrono enormi opportunità di business per le aziende USA. Ad esempio, Boeing si è assicurata il contratto per fornire alla Bundeswehr 60 elicotteri da trasporto pesante CH-47F Chinook e conta di consegnarli in tempi relativamente brevi. Parallelamente, Lockheed Martin è impegnata a produrre i caccia F-35A Lightning II destinati all’Aeronautica tedesca – 35 esemplari già ordinati nel 2022 per rimpiazzare i Tornado nel ruolo di deterrenza nucleare, cui ora potrebbero aggiungersene altri 15 se il governo approverà la richiesta del ministro Pistorius. Inoltre, la controllata di Raytheon RTX sta ricevendo commesse tedesche per potenziare i sistemi di difesa aerea Patriot (missili intercettori e upgrade elettronici). Northrop Grumman – riferisce l’Handelsblatt – pianifica persino di espandere la propria presenza in Europa di concerto con il partner tedesco Rheinmetall. Per i colossi USA, insomma, la “Zeitenwende” tedesca equivale a un ricco banchetto: la Germania ha stanziato 100 miliardi extra e aumentato il budget difesa a oltre 2% del PIL, aprendo una cascata di gare d’appalto internazionali. Un dirigente citato definisce le prospettive “un mercato gigantesco in arrivo”. Boeing, ad esempio, oltre ai Chinook – il cui primo esemplare è atteso nel 2027 – confida che la Germania le affidi anche la manutenzione a lungo termine e ulteriore addestramento, consolidando la sua presenza. Lockheed, dal canto suo, oltre ai caccia F-35 mira a offrire missili cruise JASSM e droni avanzati, nonché collaborazione sul futuro caccia europeo qualora FCAS rallentasse. L’articolo evidenzia che l’80% del fondo speciale tedesco è già allocato in progetti di acquisizione – molti dei quali con fornitori USA – e nuovi ordini seguiranno perché la Bundeswehr ha in lista equipaggiamenti per 377 miliardi di euro entro il 2035. Ciò include decine di aerei e droni, centinaia di carri, migliaia di veicoli e sistemi d’arma: una parte rilevante andrà all’industria nazionale (Rheinmetall e consociate dovrebbero ricevere oltre 88 miliardi, essendo ad esempio prime contraenti per 687 nuovi IFV Puma e 561 sistemi anti-drone Skyranger), ma un’altra metà circa degli ordini finirà a fornitori stranieri, prevalentemente statunitensi. La dipendenza tecnologica verso gli USA dunque permane, nonostante gli sforzi di rilancio dell’industria europea. Il governo tedesco cerca un equilibrio: preferisce prodotti locali dove possibile, ma per esigenze chiave immediate (jet stealth, elicotteri, munizioni guidate) si rivolge agli alleati americani, garantendosi tempi di consegna più rapidi e una collaudata affidabilità. Dal punto di vista delle imprese USA, la Germania rappresenta ormai il cliente NATO più interessante dopo gli stessi Stati Uniti. “Dopo anni di sotto-investimento, i piani di riarmo tedeschi aprono grandi opportunità”, avrebbe dichiarato un manager Boeing: l’azienda sta infatti pianificando consegne più veloci proprio per soddisfare Berlino. L’Handelsblatt sottolinea che anche a livello politico c’è un forte sostegno al consolidamento del legame industriale transatlantico: Merz e il suo governo considerano la cooperazione con gli USA un pilastro (ad esempio, hanno aderito al progetto dello scudo anti-missile europeo guidato dagli USA e basato su sistemi Arrow-3 israeliano-americani). In conclusione, l’articolo dipinge un panorama in cui le aziende della difesa americane vivono una vera e propria “età dell’oro” grazie alla Germania: ordini miliardari in arrivo e un cliente che, spinto dall’urgenza (guerra in Ucraina e obblighi NATO), non bada a spese per colmare i suoi gap. Questa “nuova era” segna quasi un paradosso: la Germania investe somme colossali per diventare più indipendente e forte militarmente, e nel farlo arricchisce i grandi fornitori d’oltreoceano. Tuttavia, osserva l’Handelsblatt, le autorità tedesche sono consapevoli del tema e cercano di massimizzare le ricadute nazionali: ad esempio Rheinmetall è coinvolta come subfornitore negli F-35 e sta aprendo linee di produzione di munizioni in Germania su licenza americana. Insomma, gli Stati Uniti restano partner essenziali e vincitori commerciali del riarmo tedesco, ma Berlino vuole imparare e recuperare terreno, così che in futuro – forse – la bilancia penda meno oltre Atlantico. Per ora, come titola l’Handelsblatt, per i giganti USA è davvero “l’inizio di una nuova era” di affari d’oro in Germania.
KNDS fa il pieno: la Bundeswehr ordina quasi 200 nuovi carri Leopard 2A8
KNDS erhält bislang 350 Aufträge für neues Leopard-2-Modell
Handelsblatt (dpa) – 30 novembre 2025
Il consorzio franco-tedesco KNDS (Krauss-Maffei Wegmann + Nexter) sta raccogliendo ingenti commesse per il suo nuovo carro armato Leopard 2A8, segno del rinnovato impegno dei Paesi NATO a potenziare le forze corazzate. Un portavoce di KNDS ha confermato che finora sono arrivati ordini per 350 esemplari del Leopard 2A8 da cinque nazioni diverse. Tra i committenti figurano Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Lituania e Cechia, che hanno tutti deciso di aggiornare le proprie flotte di carri con questa nuova versione evoluta del Leopard 2. La Bundeswehr, in particolare, ha già ordinato 123 Leopard 2A8 e intende acquistarne altri 75 a breve, per un totale previsto di 198 unità. Lo stesso ministro della Difesa Pistorius, alla presentazione ufficiale del carro a Monaco il 19 novembre, ha annunciato il prossimo invio al Parlamento di una seconda tranche di finanziamento per quei 75 carri aggiuntivi. Questi numeri significano che la Germania punta ad ammodernare quasi interamente la propria flotta di carri da combattimento: tra nuovi Leopard 2A8 e l’upgrade di alcuni Leopard 2A7, la Bundeswehr disporrà entro il 2030 di circa 200 carri all’avanguardia. Anche i partner europei seguono: Norvegia ha acquistato 54 Leopard 2A8; i Paesi Bassi e la Danimarca (non citata nel comunicato, ma interessata) partecipano co-finanziando esemplari per divisioni congiunte con la Germania; Lituania e Cechia puntano rispettivamente a 18 e 70 unità nei prossimi anni. Il Leopard 2A8 – definito dalla stampa un “supercarro” – incorpora miglioramenti sostanziali: dispone di un sistema di protezione attiva Trophy di fabbricazione israeliana (della ditta Rafael) capace di intercettare razzi e droni in arrivo prima dell’impatto. Ha inoltre un motore potenziato, corazzature composite di ultima generazione e sensori digitali avanzati. La KNDS mantiene riserbo su tempi di consegna e valore totale delle commesse, ma si parla di un affare da svariati miliardi: un singolo Leopard 2A8 costa decine di milioni di euro e richiede investimenti anche in logistica e manutenzione. Per la sola Germania, si stima una spesa oltre i 3,4 miliardi di euro per i primi 123 carri (coperti con fondi del “Sondervermögen” difesa). L’ordine addizionale da 75 carri comporterà costi ulteriori per almeno 2 miliardi. Tutto questo lavoro garantirà anni di produzione agli stabilimenti KNDS: l’assemblaggio finale avviene a Monaco (KMW) e a Rouen (Nexter) con componenti integrati da vari subfornitori europei. I primi Leopard 2A8 di serie sono usciti dalla fabbrica a novembre e le consegne inizieranno nel 2027. L’obiettivo per Berlino è avere almeno un battaglione equipaggiato con A8 entro il 2028. Il boom di ordini testimonia che la “cura dimagrante” delle forze corazzate europee degli ultimi decenni è finita: sull’onda della minaccia russa, i Paesi NATO tornano a investire nei carri armati moderni. Il portavoce KNDS ha aggiunto che sono in corso colloqui con “ulteriori clienti”: si vocifera di interessi da Svezia (che pur produce i suoi Stridsvagn basati su Leopard), Spagna e perfino Canada. Il consorzio sta inoltre lavorando a MGCS, il futuro carro di nuova generazione, ma nel frattempo il Leopard 2A8 riempie il vuoto. I dirigenti di KNDS esprimono soddisfazione: “questi ordini in serie sono un segnale di fiducia nella tecnologia europea”. Va ricordato che il Leopard 2A8 nasce anche dalle lezioni apprese nel conflitto ucraino: l’impiego dei Leopard 2A6 donati a Kiev ha mostrato la necessità di protezioni attive e maggiore resistenza ai droni-kamikaze – esattamente ciò che l’A8 offre con il Trophy e altre migliorie. Insomma, la Bundeswehr e gli alleati si preparano ad affrontare scenari bellici più insidiosi con carri più protetti, letali e interconnessi. Per la Germania è un segnale di inversione di tendenza: dopo aver ceduto nel 2023 decine di Leopard più vecchi all’Ucraina, adesso reintegra e amplia il suo parco mezzi, in linea con l’impegno – espresso dallo stesso Merz – di avere “l’esercito più forte d’Europa”. Sullo sfondo, resta aperto il capitolo export fuori NATO: paesi come Ungheria ed Emirati Arabi hanno mostrato interesse al Leopard 2A8; eventuali vendite extra richiederanno autorizzazione del governo tedesco, che però al momento è concentrato a soddisfare i partner NATO. Conclusione: KNDS, grazie al Leopard 2A8, vede i suoi libri ordini pieni almeno per un decennio – una rinascita dell’industria pesante europea. E la Bundeswehr, con quasi 200 nuovi carri ordinati, manda un messaggio chiaro: mai più carenze in difesa terrestre – la Germania fa sul serio nella ricostruzione della propria deterrenza.


