Rassegna della stampa tedesca #150
Quello che segue è il Monitoraggio della stampa tedesca, curato dalla redazione di Stroncature, su commissione della Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano. Il monitoraggio ha cadenza settimanale ed è incentrato sui principali temi del dibattito politico, economico e sociale in Germania. Gli articoli sono classificati per temi.
Stroncature produce diversi monitoraggi con taglio tematico o geografico personalizzabili sulla base delle esigenze del committente.
Analisi e commenti
L’AfD si presenta come alleata dei repubblicani di Trump
„Unsere Freunde von der Alternative für Deutschland“: AfD präsentiert sich als Partner von Trumps Republikanern
Tagesspiegel – 14 dicembre 2025
La destra tedesca dell’AfD cerca di proiettarsi sulla scena internazionale come partner di movimenti “patriottici” affini. In uno sfarzoso gala a New York organizzata dai giovani repubblicani, esponenti dell’AfD (tra cui il deputato Markus Frohnmaier) siedono accanto a rappresentanti dell’alt-right americana e di partiti europei di estrema destra, presentandosi come parte di una “alleanza transatlantica”. Il presidente del club repubblicano Stefano Forte saluta esplicitamente “i nostri amici dell’AfD” e li equipara come partner alla pari nella “comunità patriottica internazionale”. Frohnmaier riceve un premio come paladino anti-marxista in Germania, mettendo in mostra la crescente rete internazionale dell’AfD. La serata, più che mondana, è una dimostrazione di forza: l’AfD la sfrutta per accreditarsi su scala globale accanto ai sostenitori di Donald Trump, evidenziando convergenze ideologiche (sovranismo economico e nazionalismo culturale). Gli organizzatori ignorano le critiche e rifiutano di prendere le distanze dall’AfD, segnale che negli ambienti repubblicani trumpiani la formazione tedesca è considerata un partner legittimo. Questo evento sottolinea come l’AfD tenti di internazionalizzare la propria lotta politica, rafforzando la propria immagine e legittimità grazie a riconoscimenti oltre oceano. Tuttavia, ciò alimenta timori in patria: la proiezione internazionale dell’AfD evidenzia un asse transnazionale delle destre populiste e solleva interrogativi sulla reputazione estera della Germania, il cui governo ufficiale mantiene posizioni ben distanti dall’estrema destra.
Merz in Israele: sostegno incrollabile, ma con richiami critici
Friedrich Merz in Israel: Angespannter Kanzler, streitlustiger Premier
DIE ZEIT – 7 dicembre 2025
In occasione della sua prima visita da cancelliere in Israele, Friedrich Merz riafferma l’amicizia “infinitamente preziosa” tra Germania e Israele, mantenendo però un equilibrio delicato nei messaggi rivolti al governo di Benjamin Netanjahu. Durante la conferenza stampa congiunta a Gerusalemme, Merz, visibilmente teso, evita volutamente termini come “ragion di Stato” riferiti alla sicurezza d’Israele (formula usata dai suoi predecessori), preferendo parlare di “speciale responsabilità” verso Israele. Il cancelliere esprime solidarietà incrollabile verso il popolo israeliano – commemorando la Shoah presso Yad Vashem e ribadendo che l’orrore dell’Olocausto resta parte identitaria della Germania – ma nel contempo non esita a menzionare la necessità di una soluzione a due Stati e le sofferenze umanitarie a Gaza. Netanjahu, da parte sua, respinge ogni critica o monito circa la condotta israeliana, liquidando con fermezza i richiami di Merz. Ne scaturisce un’atmosfera quasi da duello verbale contenuto: Merz si mostra “amico di Israele, non necessariamente del suo governo”, come nota la stampa. Il rapporto personale tra i due leader appare oscillante: Merz cerca di conciliare solidarietà storica e franchezza, mentre Netanjahu – appellato anche con il familiare “Bibi” – mantiene una linea dura (escludendo ad esempio qualsiasi apertura verso un ente palestinese autonomo forte). In sintesi, Merz in Israele incarna un approccio duplice: conferma senza tentennamenti che la Germania sarà “per sempre” a fianco d’Israele, ma al contempo – con toni cauti ma percepibili – esprime la volontà tedesca di non rinunciare ai propri principi (diritti umani, prospettiva di pace) neppure di fronte all’alleato storico. L’esito della visita evidenzia la tensione fra solidarietà storica e divergenze attuali: Merz ottiene rispetto per la sua fermezza amichevole, ma le distanze con Netanjahu restano evidenti su punti chiave come la politica verso i palestinesi.
La Germania e l’asilo: un “passo dovuto” verso regole più dure in Europa
Dobrindt schafft Flüchtlinge aus den Augen, aus dem Sinn
Süddeutsche Zeitung (Meinung) – 8 dicembre 2025
Un commento sulla nuova stretta europea in materia di migrazione dipinge un quadro impietoso ma realistico della svolta: Alexander Dobrindt, ministro dell’Interno tedesco (CSU), insieme ai colleghi UE, spinge per spostare i richiedenti asilo “fuori dalla vista, fuori dalla mente” dell’Europa. L’editorialista critica l’approccio tedesco – condiviso dalla maggioranza del governo Merz – di esternalizzare il problema: le procedure di asilo dovrebbero essere condotte addirittura in Paesi terzi extraeuropei (modello Ruanda/Albania), e chi viene dichiarato non ammissibile potrebbe essere trattenuto in centri sorvegliati fuori dall’UE. Per l’autore, “tanta durezza non s’era mai vista”: pur di ridurre gli arrivi, l’Europa (con il decisivo avallo della Germania) è pronta a misure che sacrificano sensibilmente l’aspetto umanitario. La Germania di Merz appare determinata a dimostrare efficienza: dopo anni di accuse di inerzia, il nuovo governo non esita a inasprire l’asilo – fino a ventilare forme di detenzione preventiva per respinti e tagli delle prestazioni. Il commento sottolinea un paradosso: Berlino fa il “poliziotto severo” in Europa, e Dobrindt si vanta di “muovere qualcosa” nella politica migratoria, ma a che prezzo? Il pezzo evidenzia il rischio che “fuori dalle frontiere, fuori dal cuore” diventi la linea guida: chi fugge in cerca di protezione potrà essere trasferito lontano, lontano dai nostri occhi. La riflessione lancia un monito etico: la Germania, per proteggere il proprio “decoro pubblico” e rispondere alle paure interne, sta rinunciando a parte della sua tradizionale umanità. E conclude amaramente che per Dobrindt e molti in Germania l’importante è togliere i profughi dal panorama urbano nazionale, delegando la gestione ad altri Paesi – quasi a voler rendere la sofferenza invisibile, pur di placare il malcontento interno. La “durissima svolta” sulla politica d’asilo, pur considerata “necessaria” da esponenti governativi, lascia dunque sul campo un’Europa più fredda e chiusa, e una Germania che preferisce la severità alla solidarietà.
Germania in prima linea per la difesa europea post-USA
Kommentar: Deutschland wird zur dominanten Macht Europas
Handelsblatt (Kommentar) – 9 dicembre 2025
Di fronte al disimpegno strategico degli Stati Uniti dall’Europa, la Germania si prepara a diventare la potenza dominante nella difesa del continente. In questo commento, l’editorialista analizza la “storica crescita di potere” che sta investendo Berlino sul piano militare e geopolitico: mentre Washington volge lo sguardo altrove, e con Britannici e Francesi limitati da risorse scarse, tocca alla Germania colmare il vuoto. Si sostiene che “il decennio che si apre sarà segnato dall’ascesa di una Germania guida militare in Europa” – un’evoluzione impensabile fino a pochi anni fa, visti i freni storici tedeschi in materia. La “Zeitenwende” (svolta storica) scaturita dall’aggressione russa all’Ucraina ha già spinto Berlino a massicci investimenti: il Bundestag, lo stesso giorno dell’annuncio della nuova dottrina isolazionista di Trump, ha approvato il ritorno di una forma di servizio militare e un colossale programma di riarmo (dai missili Arrow 3 per scudo anti-missile, ai fondi speciali per Bundeswehr). La coincidenza temporale è simbolica: l’Europa non può più contare sugli USA come prima, e la Germania – pur tra crisi economiche interne e scetticismi – sta assumendo il ruolo di pilastro della deterrenza europea. L’editoriale osserva che Berlino, con la nuova coalizione Merz, ha superato tabù: il contributo tedesco alla NATO e alla sicurezza UE non sarà più solo finanziario, ma sempre più operativo e di leadership. Si citano i 50 miliardi in un solo giorno di commesse militari approvate (definite una sorta di “shopping natalizio” per la difesa) e l’ambizione di una Bundeswehr modernizzata e in grado di colmare i vuoti lasciati dagli americani. La conclusione del commento è che la Germania, pur in un momento di debolezza economica e dubbi identitari, sta vivendo un paradosso: mai è stata così forte politicamente e militarmente in Europa dalla riunificazione. La “questione tedesca” si ripropone in termini positivi ma complessi: una Germania “dominante” sarà un bene per la sicurezza europea se saprà guidare con responsabilità – rimane però l’interrogativo se il resto d’Europa accoglierà con favore questa nuova centralità tedesca.
2. Politica estera e di sicurezza
Merz e Zelensky chiedono una tregua di Natale in Ucraina
Merz und Selenskyj werben für Waffenruhe zu Weihnachten
Tagesspiegel – 13 dicembre 2025
Al termine di un incontro bilaterale a Berlino, il cancelliere Friedrich Merz e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky lanciano un appello congiunto affinché nel conflitto in Ucraina si osservi una tregua umanitaria durante le festività natalizie. Merz, in un messaggio rivolto direttamente a Mosca, chiede al presidente russo Putin di “far tacere le armi a Natale” come gesto di buona volontà. L’iniziativa tedesco-ucraina, sostenuta anche da alcuni partner europei, mira a sospendere almeno temporaneamente le ostilità per consentire consegne di aiuti e ridare sollievo alla popolazione stremata dal conflitto. Zelensky si dichiara favorevole: una pausa natalizia, spiega, avrebbe un enorme valore simbolico e pratico per gli ucraini. La Russia respinge tuttavia la proposta quasi immediatamente: un portavoce del Cremlino definisce “retorico” l’appello di Merz e ribadisce che Mosca non intende arrestare le operazioni militari finché non saranno raggiunti i propri obiettivi strategici. Nonostante il rifiuto russo, la mossa diplomatica di Berlino non è priva di significato. Da un lato, consolida la stretta collaborazione tra Germania e Ucraina: Merz e Zelensky si presentano fianco a fianco e mostrano unità d’intenti sia sul campo (con la Germania che continua a fornire armamenti avanzati a Kiev) sia sul piano umanitario. Dall’altro lato, l’appello mette la Russia sulla difensiva morale: Putin appare insensibile persino alla tregua natalizia, accentuando l’isolamento di Mosca nell’opinione pubblica internazionale. In patria, il cancelliere Merz ottiene ampio consenso per l’iniziativa, vista come espressione dei valori umanitari tedeschi, pur nella fermezza verso l’aggressore. Sebbene la tregua non si concretizzi, Berlino ribadisce con forza il proprio ruolo diplomatico: la Germania sostiene l’Ucraina non solo con le armi, ma anche facendosi portavoce di ogni spiraglio di pace, per quanto rifiutato.
Wadephul in Cina: Realpolitik tedesca con la potenza dei semiconduttori
Ihr habt Demokratie, wir haben Halbleiter
Süddeutsche Zeitung (Analyse) – 7 dicembre 2025
La tanto attesa visita del ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul in Cina avviene in un clima di assertività di Pechino e delicatezza diplomatica per Berlino. L’eloquente titolo – “Voi avete la democrazia, noi i semiconduttori” – riassume l’atteggiamento cinese percepito dai delegati tedeschi: Pechino ostenta sicurezza e potere economico, consapevole della dipendenza tedesca dalle proprie forniture (terre rare, componenti hi-tech) e del fatto che, malgrado il decoupling invocato in Europa, la Germania non può permettersi un vero distacco dalla Cina. Wadephul, che a ottobre aveva clamorosamente annullato una missione per un affronto protocollare, trova ora un’accoglienza “corretta ma fredda”. Durante gli incontri a Pechino, i leader cinesi fanno capire di voler un dialogo pragmatico: “Parliamo di affari e tecnologia, non di diritti umani” – questo il sottotesto percepito dai tedeschi. Wadephul insiste su alcuni punti fermi (la posizione tedesca su Taiwan, la richiesta di concorrenza leale e reciprocità commerciale), ma il margine d’azione appare limitato: la Cina ha “in mano le carte vincenti” (ad esempio i semiconduttori e il mercato automobilistico decisivo per la Germania) e lo fa velatamente pesare. La delegazione tedesca constata come il peso internazionale di Berlino sia direttamente legato alla sua forza economica: negli anni di rallentamento industriale tedesco, l’influenza su Pechino è diminuita, con i cinesi che rispettano la Germania ma non ne temono più i rimproveri politici. L’analisi sottolinea la Realpolitik di Wadephul: egli cerca di mantenere aperto il filo del dialogo (preparando la visita del cancelliere Merz in Cina prevista per inizio anno nuovo) e al contempo di ridurre alcune dipendenze critiche, ma sa che nel breve termine “business is business”: la Germania parla di valori, la Cina risponde con il linguaggio dei volumi di produzione. Alla fine della missione, Wadephul enfatizza gli aspetti positivi – “la Cina resta interessata allo scambio con noi” – ma osservatori notano come la Germania abbia dovuto accettare un ruolo più cauto. Il viaggio in Cina evidenzia dunque una transizione: da una fase in cui Berlino poteva fare la “maestra di democrazia” con Pechino, si passa a una fase in cui Berlino deve negoziare da pari a pari con una superpotenza fiduciosa di sé, bilanciando principi e interessi. La frase ironica del titolo riflette questa realtà: la Germania porta i suoi valori, la Cina li relativizza forte del suo dominio tecnologico, e il dialogo prosegue su sottili compromessi.
L’UE inasprisce le regole sull’asilo: la Germania plaude e “ne trarrà beneficio”
Migration: Das sind die neuen Härten der EU gegen Flüchtlinge
Süddeutsche Zeitung – 9 dicembre 2025
Gli Stati membri dell’UE – su forte impulso di Germania e Italia – hanno raggiunto un accordo per inasprire drasticamente le regole comuni sull’asilo. Una panoramica delle misure concordate evidenzia cambiamenti che avrebbero fatto scalpore fino a pochi anni fa: sarà ampliata la lista dei “Paesi d’origine sicuri”, rendendo più facile respingere richieste ritenute infondate; si prevede la possibilità di trattenere i migranti irregolari in centri di frontiera per esaminarne rapidamente le domande; soprattutto, si aprirà la strada a “procedimenti nei Paesi terzi”, ossia trasferire i richiedenti in Stati extra-UE (ad esempio in Africa o nei Balcani) che li ospitino durante l’iter, secondo il cosiddetto modello Ruanda. È una svolta storica: l’accordo, sostenuto con convinzione dal ministro tedesco Dobrindt, intende invertire la trasformazione del diritto d’asilo in canale d’immigrazione surrettizia, ripristinando un approccio molto più restrittivo. La Germania, che negli anni scorsi aveva accolto numeri elevati di profughi, appoggia ora questa linea dura ritenendo che “finalmente si fa ciò che era necessario da tempo”. Secondo il commento della SZ, Berlino “ne trarrà giovamento”: con meccanismi di ricollocamento più equi e controlli severi fin dai confini esterni, Paesi come la Germania dovrebbero vedere ridotto l’arrivo di migranti economici. L’articolo, tuttavia, rileva che queste misure erano impensabili fino a poco fa e solo il mutato clima politico – pressioni dall’elettorato e avanzata delle destre populiste – le ha rese possibili. Viene sottolineato come “ciò che avrebbe potuto farsi anni addietro, viene deciso solo adesso”: una critica implicita all’indugio passato. La Danimarca, che presiede il semestre UE, ha giocato un ruolo chiave nel persuadere anche i governi più riluttanti, sostenendo che un giro di vite sull’asilo toglierà vento alle vele dei partiti populisti ovunque. Per la Germania, l’accordo comporterà oneri (contributi al nuovo fondo di solidarietà per aiutare Italia, Grecia e altri Stati di frontiera), ma soprattutto vantaggi: meno arrivi da gestire e più capacità di distinguere rapidamente chi ha diritto all’asilo da chi non lo ha – “già ai confini esterni e prima ancora”, come auspica Dobrindt. L’articolo conclude con una nota di cautela: l’intesa sarà utile alla Germania solo se verrà attuata davvero in tutti i suoi punti; restano infatti incognite sulla messa in pratica (centri nei Paesi terzi, cooperazione con Stati come Tunisia o Albania). In ogni caso, per Berlino si tratta di una vittoria politica: dopo anni di divisioni, l’UE abbraccia la linea sostenuta dalla Germania attuale, mostrando che anche in Europa il vento è cambiato sulle politiche migratorie.
Merz apre a Netanyahu e rafforza il legame storico
Merz will offenbar Netanjahu nach Deutschland einladen
Tagesschau.de – 10 dicembre 2025
Dopo il suo viaggio in Israele, il cancelliere Friedrich Merz compie un gesto simbolico di grande rilevanza diplomatica: invita ufficialmente il primo ministro Benjamin Netanyahu a recarsi in visita in Germania nei prossimi mesi. L’invito – emerso sulla stampa e poi confermato da fonti governative tedesche – segnala la volontà di Merz di consolidare ulteriormente la relazione speciale con Israele, nonostante le recenti frizioni sul conflitto a Gaza. Il contesto è delicato: l’ala sinistra dell’opinione pubblica tedesca e alcune frange della SPD avevano criticato Netanyahu per la conduzione della guerra contro Hamas, ma Merz intende mostrare continuità e affidabilità: la Germania rimane un partner incrollabile di Israele. L’invito a Netanyahu, che manca in Germania dal 2021, viene presentato come occasione per rafforzare la cooperazione strategica (soprattutto in materia di difesa, innovazione tecnologica e memoria storica condivisa). Secondo le indiscrezioni, Merz avrebbe formulato l’invito durante colloqui privati a Gerusalemme, sottolineando che “in Germania Bibi sarà sempre il benvenuto”. La notizia suscita dibattito: organizzazioni ebraiche in Germania accolgono con favore la prospettiva della visita (vedendola come riaffermazione della “Staatsräson” tedesca verso Israele), mentre attivisti pro-palestinesi criticano Merz per “legittimare” la linea di Netanyahu senza condizioni. Il governo tedesco ribatte che il dialogo con Israele non implica approvazione acritica: Merz intende discutere con Netanyahu anche dei disaccordi, come la questione degli insediamenti e le sofferenze civili a Gaza. Ma la priorità – afferma una nota della Cancelleria – è rilanciare la cooperazione e il dialogo ad alto livello, specie alla luce delle tensioni in Medio Oriente. L’invito del cancelliere tedesco è anche letto come una mossa di politica interna: Merz, leader CDU, vuole marcare una differenza rispetto al predecessore Scholz, mostrando una politica estera più assertiva e personale. Portare Netanyahu a Berlino significherebbe anche offrire all’opinione pubblica tedesca l’immagine di un Merz statista internazionale, capace di mediare tra esigenze di sicurezza israeliane e aspirazioni di pace. In definitiva, l’iniziativa conferma che la Germania di Merz mira a mantenere e rinsaldare l’alleanza storica con Israele, persino intensificandola: nonostante le divergenze tattiche, Berlino e Gerusalemme rimangono saldamente unite da valori e interessi comuni, e la visita di Netanyahu – se avverrà – sarà la vetrina di questa continuità strategica.
Mercosur: la Germania sprona all’intesa, “niente veti miopi”
Merz: Gegner des Mercosur-Abkommens haben Prioritäten nicht verstanden
Handelsblatt – 15 dicembre 2025
Nella cornice del Consiglio europeo di fine anno, il cancelliere Friedrich Merz assume una posizione decisa a favore dell’accordo di libero scambio tra UE e Mercosur, criticando chi ancora vi si oppone. Secondo fonti riportate dal Handelsblatt, Merz avrebbe affermato che “gli oppositori dell’intesa Mercosur non hanno capito le priorità” economiche e geopolitiche attuali. Il riferimento è soprattutto ad alcuni governi europei e voci ambientaliste che temono l’impatto del trattato sulle foreste amazzoniche e sull’agricoltura locale. Per Merz, invece, la priorità deve essere stringere legami strategici con l’America Latina in funzione sia di diversificazione commerciale (riducendo la dipendenza dalla Cina) sia di influenza politica occidentale. Bloccare ancora l’accordo, in gestazione da decenni, equivarrebbe – a suo dire – a un “autogol” per l’Europa: lascerebbe campo libero alla Cina in quei mercati emergenti e priverebbe le imprese tedesche di importanti opportunità di export (automobili, macchinari) e approvvigionamento (materie prime). Merz, provenendo da una tradizione politica favorevole al libero scambio, considera il patto Mercosur anche un segnale di apertura economica in tempi di protezionismi. Egli rassicura che le preoccupazioni ambientali saranno affrontate con clausole e verifiche, ma che “non ci si può permettere il lusso di un no ideologico”: l’Europa deve piuttosto accompagnare i partner sudamericani verso standard più alti, anziché isolarli. Questa posizione del cancelliere tedesco – condivisa da Francia e Spagna – imprime uno slancio all’ultimo miglio negoziale: a Bruxelles ci si avvicina a un compromesso che includerebbe garanzie sul disboscamento e meccanismi di sanzione se i Paesi Mercosur violassero gli impegni ambientali. Merz si fa dunque fautore di una “Realpolitik verde”: sì al commercio libero, abbinato a controlli ecologici, convinto che ciò serva sia alla prosperità tedesca sia alla stabilità economica del Sud del mondo. In patria, i commenti sono misti: ambienti industriali lodano la visione pragmatica di Merz, mentre ONG ecologiste lo accusano di “mettere il profitto davanti al clima”. Tuttavia, il corso delineato è chiaro: la Germania intende spingere l’UE a conclusioni rapide e positive su Mercosur, ritenendo che l’Unione debba mostrarsi coesa e lungimirante. Merz, con la sua dichiarazione tagliente sugli “oppositori disorientati”, manda un segnale politico forte: la Germania di oggi privilegia interessi strategici globali – diversificazione dei mercati, alleanze economiche anti-Cina – e considera superabili, con adeguate misure, i timori che finora hanno frenato l’accordo UE-Mercosur.
3. Industria della difesa e questioni militari
La nuova leva tedesca: approvato il servizio militare volontario con obbligo di leva
Verpflichtende Musterung für junge Männer ab 2026: Bundestag beschließt neuen Wehrdienst
Tagesspiegel – 7 dicembre 2025
Il Parlamento tedesco ha dato il via libera a una storica riforma del servizio militare, introducendo un modello di “nuova leva” che combina obblighi di leva parziali e volontarietà del servizio armato. A partire dal 1° gennaio 2026, tutti i diciottenni maschi in Germania riceveranno una comunicazione ufficiale e dovranno sottoporsi a visita di leva obbligatoria (Musterung), ripristinando di fatto la registrazione universale abolita nel 2011. Tuttavia, l’effettiva prestazione del servizio rimane volontaria: i giovani potranno decidere di arruolarsi per almeno 6 mesi, dietro un incentivo salariale di circa 2.600 euro mensili e ulteriori bonus per chi prolunga l’arruolamento oltre un anno. La legge prevede che, qualora la Bundeswehr non riuscisse a reclutare abbastanza volontari per raggiungere i nuovi organici fissati (260.000 effettivi attivi entro il 2031), il Bundestag potrà valutare di rendere il servizio obbligatorio su base di necessità (la cosiddetta Bedarfswehrpflicht). Questo compromesso di coalizione (nato da un iniziale attrito tra CDU e SPD sulla reintroduzione della leva) rappresenta uno sforzo per rafforzare drasticamente le forze armate tedesche alla luce delle accresciute esigenze difensive in Europa. Il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD), nel suo appello al Parlamento prima del voto, ha sottolineato che “la libertà e la sicurezza non si difendono da sole”: servono donne e uomini disposti ad impegnarsi in uniforme. La misura mira anche a ricostruire il legame fra società civile e Bundeswehr, coinvolgendo nuovamente un’ampia fascia di popolazione nell’esperienza militare, seppur su base volontaria iniziale. Sono previste tutele: per le donne l’obbligo è solo di segnalazione eventuale (nessuna coscrizione forzata, essendo la Costituzione a prevedere la leva solo per i maschi) e garanzie per chi sceglie percorsi civili (resta attivo il servizio civile volontario come opzione per chi non intende prestare armi). La reintroduzione graduale sarà monitorata da una commissione: entro il 2027, come ha dichiarato il cancelliere Merz, si valuterà se la leva volontaria produce gli arruolamenti sperati o se serviranno passi ulteriori. L’opinione pubblica appare divisa: ampio sostegno da chi vede nella Neue Wehrdienst un segnale di determinazione (in un contesto europeo minacciato dalla Russia), ma anche proteste studentesche in alcune città (nel giorno dell’approvazione migliaia di ragazzi hanno manifestato a Berlino con slogan come “Non vogliamo essere soldati”). In ogni caso, la Germania volta pagina dopo quasi 15 anni: la difesa torna questione che riguarda tutti i cittadini, e la Bundeswehr, afflitta da carenze di personale, spera in un afflusso di migliaia di giovani motivati grazie a questa riforma epocale.
Dieci commesse in un giorno: corsa agli armamenti della Bundeswehr
Rüge vom Bundesrechnungshof: 50 Milliarden Euro an einem Tag – die Bundeswehr im Kaufrausch
Tagesspiegel – 17 dicembre 2025
In una maratona notturna, la commissione difesa e bilancio del Bundestag ha approvato 29 maxi-contratti di approvvigionamento militare per un valore totale senza precedenti di circa 50 miliardi di euro, segnando quella che viene definita la “giornata campale degli acquisti” per la Bundeswehr. Tra le voci più rilevanti figura un imponente investimento in equipaggiamento personale e vestiario dei soldati (il singolo capitolo più corposo), l’acquisto di ulteriori droni armati e munizioni di precisione, lo stanziamento per nuove fregate e aerei da trasporto, nonché l’implementazione del sistema di difesa missilistico Arrow-3 appena messo in servizio. Questo “Christmas shopping” militare, come è stato ironicamente etichettato, è finalizzato a impiegare entro fine anno il fondo speciale da 100 miliardi attivato dopo l’invasione russa dell’Ucraina e ad accelerare la modernizzazione dell’esercito. Il Bundesrechnungshof (Corte dei Conti federale) ha tuttavia espresso riserve su tempi e modalità: i revisori sottolineano come approvare tante spese in un colpo solo possa compromettere la dovuta diligenza e la trasparenza (alcuni contratti sono passati con minima discussione). I critici parlano di “corsa all’acquisto poco strategica”, dettata più dall’urgenza di spendere i fondi che da una pianificazione coerente: si teme che alcune commesse possano rivelarsi ridondanti o mal coordinate. La difesa del governo è che l’accelerazione era necessaria: la Bundeswehr aveva accumulato enormi lacune materiali e ogni rinvio avrebbe solo prolungato la sua inadeguatezza. Con queste decisioni, si osserva, la Germania ricostituisce scorte e capacità per anni trascurate: dalle uniformi ad alta tecnologia per climi estremi agli apparati di comunicazione sicura, dai missili anti-carro di nuova generazione a scorte di proiettili per i carri Leopard-2, pressoché esaurite dopo le forniture a Kiev. Il generale Carsten Breuer, Ispettore Generale delle forze armate, ha definito il pacchetto di approvvigionamenti “vitale per rendere l’esercito pienamente operativo” in un contesto di sicurezza deteriorato. La politica, con Friedrich Merz in testa, rivendica l’azione come segno di determinazione: “mai più esercito nudo” è lo slogan non ufficiale. Restano perplessità sulla capacità dell’industria di consegnare in tempi stretti e sull’effettiva priorizzazione: la Corte dei Conti ammonisce che spendere molto non equivale automaticamente a spendere bene. Per ora, comunque, la Bundeswehr celebra questo “bottino natalizio”: 50 miliardi in 24 ore rappresentano una svolta che la proietta verso un ruolo più forte nella difesa europea, esemplificando la Zeitenwende (svolta epocale) invocata nel 2022. Il test vero sarà nei prossimi anni, quando si vedranno i frutti di queste spese massicce in termini di prontezza operativa e deterrenza reale.
Un nuovo centro anti-droni per blindare la sicurezza tedesca
Drohnenabwehrzentrum von Bund und Ländern eröffnet
DIE ZEIT – 17 dicembre 2025
A Berlino è stato inaugurato il primo Centro congiunto di difesa anti-droni (GDAZ) nazionale, frutto di una collaborazione stretta tra governo federale e stati regionali (Länder). Si tratta di una struttura innovativa e interforze: polizia federale, Bundeswehr e servizi d’intelligence vi lavoreranno fianco a fianco per rilevare e contrastare minacce derivanti da droni ostili sul territorio tedesco. A partire da gennaio, il centro inizierà le operazioni, fungendo da cuore di coordinamento per tutte le segnalazioni di droni non identificati in spazi aerei sensibili e orchestrando le contromisure. L’interno del GDAZ assomiglia a una sala di controllo ad alta tecnologia: pareti di schermi mostrano in tempo reale immagini radar, feed di sensori ottici e dati di volo, permettendo agli analisti di tracciare anche i più piccoli oggetti volanti. In fase di apertura, il ministro dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU) spiega l’urgenza dell’iniziativa: “Droni civili e militari possono essere usati per spionaggio, sabotaggio o persino attacchi – dobbiamo essere pronti”. La recente guerra in Ucraina ha dimostrato la pericolosità di sciami di droni; inoltre, in Germania sono aumentati negli ultimi due anni avvistamenti di droni sopra infrastrutture critiche (centrali elettriche, depositi militari, aeroporti). “Presumiamo che dietro alcuni di questi voli ci siano potenze ostili”, ha dichiarato Dobrindt, alludendo implicitamente alla Russia, sospettata di condurre ricognizioni segrete. Il centro anti-droni opererà in sinergia col progetto di riforma del diritto interno: infatti, è in preparazione una modifica della legge sulla sicurezza aerea che autorizzerà esplicitamente l’impiego della Bundeswehr in funzione anti-drone sul suolo nazionale (deroga al principio per cui l’esercito in patria non interviene se non su richiesta). Questa scelta, concordata nella recente conferenza dei ministri dell’Interno, nasce dal riconoscimento che la polizia da sola non può neutralizzare droni militari avanzati; in caso di minaccia grave (ad esempio un drone esplosivo), saranno i reparti della difesa a intervenire rapidamente, con mezzi elettronici o fuoco mirato, per abbatterlo. Il nuovo centro è modellato sull’esperienza del Gemeinsames Terrorismusabwehrzentrum (GTAZ) attivo contro il terrorismo islamista: un’unica cabina di regia dove fluiscono tutte le informazioni sensibili e da cui partono le decisioni operative coordinate. Gli esperti sottolineano che l’apertura di GDAZ conferisce alla Germania una posizione all’avanguardia in Europa nella protezione anti-UAV: pochi Paesi dispongono di un hub così integrato. Il GDAZ concentrerà inizialmente l’attenzione su aeroporti, basi militari e reti energetiche, considerati bersagli primari di eventuali atti ostili con droni. L’obiettivo finale – ha dichiarato Olaf Lindner, alto dirigente della polizia federale – è creare una “cupola difensiva” sui cieli tedeschi contro questa nuova categoria di minacce, in stretta connessione con i partner NATO: i dati raccolti confluiranno anche nel network di allerta dell’Alleanza. Con questa inaugurazione, la Germania risponde alle sfide della guerra ibrida moderna: droni-spia o armati usati da potenze nemiche o terroristi. Il messaggio è chiaro: Bund e Länder uniti, occhi puntati al cielo, pronti a reagire in pochi secondi per prevenire qualsiasi “Pearl Harbor volante” sopra il proprio territorio.
Maxi-ordine a Rheinmetall: la Bundeswehr fa scorta di munizioni
Bundeswehr vergibt Auftrag für Panzermunition an Rheinmetall
DIE ZEIT – 8 dicembre 2025
La Bundeswehr ha assegnato al colosso della Difesa Rheinmetall un nuovo ordine multimilionario di munizioni per carri armati, consolidando la partnership strategica con l’industria nazionale e colmando carenze critiche emerse dopo gli aiuti all’Ucraina. In base al contratto, del valore di alcune centinaia di milioni di euro, Rheinmetall fornirà alle forze armate munizioni calibro 120mm sia da addestramento sia ad alto potenziale per i carri Leopard 2. Questa commessa rientra in un quadro di accordo-quadro da circa 4 miliardi siglato nel 2023, che consente approvvigionamenti flessibili su più anni. La notizia ha avuto un immediato impatto finanziario: appena comunicato l’ordine, il titolo Rheinmetall in borsa è salito di circa il 2,5%. Ciò riflette la fiducia degli investitori nell’aumento strutturale delle spese per la difesa in Germania dalla svolta del 2022. Dall’inizio della guerra in Ucraina, infatti, il valore azionario di Rheinmetall è aumentato di venti volte, testimonianza della crescente domanda di equipaggiamenti militari. La stessa Rheinmetall è diventata uno dei principali fornitori di armi all’Ucraina (in particolare con munizioni d’artiglieria e veicoli blindati su commessa governativa tedesca), integrando così l’aiuto militare di Berlino a Kiev. Funzionari del ministero della Difesa sottolineano che l’ordine di munizioni è essenziale per ripristinare la prontezza: dopo le ingenti cessioni di proiettili alla difesa ucraina, le scorte nei depositi nazionali erano scese sotto livelli di guardia. “Non possiamo permetterci di rimanere senza colpi per i nostri carri”, ha dichiarato il generale Ruprecht von Butler, responsabile logistica, evidenziando che in alcuni poligoni si era dovuto razionare l’addestramento al tiro. Con questa commessa, la Germania punta a garantire ai propri reparti corazzati una scorta sufficiente per almeno 30 giorni di operazioni ad alta intensità, in linea con gli standard NATO. L’accordo comprende anche un’opzione per ordini aggiuntivi di munizionamento qualora aumentassero i ranghi di Leopard a disposizione (sono in consegna nuove unità A8 entro il 2026). In parallelo, Berlino sostiene i piani di Rheinmetall di espandere la capacità produttiva: l’azienda sta potenziando lo stabilimento di Unterlüß, il più grande impianto munizionamento della Germania, per far fronte a queste richieste senza tempi di attesa eccessivi. Analisti economici notano che il riarmo tedesco sta trainando una fase di boom per il settore difesa: le azioni Rheinmetall risultano tra le più performanti e i bilanci aziendali beneficiano di continue commesse governative. Se da un lato ciò suscita dibattito etico tra l’opinione pubblica (l’industria bellica resta un tema delicato in Germania), dall’altro indica un deciso cambio di paradigma: la sicurezza e la deterrenza hanno ora la precedenza, e per garantirle la Germania non esita a investire massicciamente nel proprio arsenale, colmando ritardi accumulati. Questa fornitura a Rheinmetall, che verrà distribuita nel corso del 2026, garantirà dunque che i Leopard tedeschi non rimangano mai a secco, consolidando al contempo l’autonomia strategica del Paese nel munirsi delle risorse belliche fondamentali.
Truppe tedesche in Ucraina? Miersch non esclude una futura missione di pace
SPD-Fraktionschef Miersch schließt Bodentruppen zur Friedenssicherung in der Ukraine nicht aus
Tagesspiegel – 15 dicembre 2025
Durante un acceso dibattito al Bundestag sulla politica estera, il capogruppo parlamentare socialdemocratico Matthias Miersch ha dichiarato che la Germania potrebbe valutare l’invio di forze armate nell’ambito di una missione internazionale di peacekeeping in Ucraina, qualora si raggiunga un accordo di pace. “Non escludiamo nulla a priori”, ha affermato Miersch, specificando però che “le condizioni faranno la differenza”: un eventuale impegno di truppe tedesche potrebbe avvenire solo sotto egida ONU o OSCE, con un cessate-il-fuoco solido e il consenso di tutte le parti. La presa di posizione – notevole, considerando la tradizionale cautela tedesca verso missioni di combattimento all’estero – riflette un’evoluzione del dibattito interno: di fronte alla perdurante aggressione russa, settori della SPD (tradizionalmente pacifisti) si mostrano più aperti all’idea di un ruolo militare attivo della Germania per assicurare la pace. Miersch ha comunque precisato che “l’uso di truppe resta l’ultima risorsa” e che oggi il focus rimane sul sostegno militare indiretto a Kiev e sulla via diplomatica. La dichiarazione arriva pochi giorni dopo colloqui a Berlino tra Merz, Zelensky e altri leader europei sulla prospettiva di un eventuale “forza multinazionale di interposizione” qualora il conflitto congelasse. In quell’occasione, Merz stesso aveva lasciato la porta aperta: pur frenando aspettative su una pace vicina, ha riconosciuto che l’Europa “dovrà farsi carico della stabilizzazione” se cesseranno i combattimenti. La disponibilità espressa da Miersch – esponente di spicco della SPD, partito partner di governo – sembra preparare l’opinione pubblica all’idea che anche soldati tedeschi, un domani, possano mettere piede in territorio ucraino per proteggere una tregua. La reazione politica è variegata: l’Unione (CDU/CSU) concorda sul non escludere nulla, sottolineando però che “non vi sarà alcuna spedizione tedesca isolata” ma solo un contributo dentro un contingente internazionale su invito dell’Ucraina. I Verdi e la sinistra Linke appaiono più scettici: temono che un coinvolgimento diretto della Bundeswehr possa essere visto da Mosca come provocazione, e chiedono che il Parlamento mantenga il controllo su qualunque eventuale missione (ricordando il ruolo del Mandato parlamentare obbligatorio per l’impiego all’estero). Intanto, negli ambienti militari tedeschi si studiano scenari: se la pace arrivasse, la Bundeswehr sarebbe in grado di schierare rapidamente un battaglione meccanizzato e unità del genio per operazioni di sminamento e sorveglianza di aree smilitarizzate. Miersch ha concluso il suo intervento ribadendo che la Germania “non ha brama di inviare soldati”, ma che non si tirerà indietro se la sicurezza europea e la pace duratura richiederanno la sua presenza sul campo accanto ad alleati e partner. Le sue parole segnano un ulteriore passo nella normalizzazione del ruolo militare tedesco: un tabù dopo l’altro cadono in questa crisi, e la Germania si mostra pronta ad assumersi responsabilità prima impensabili, sempre a tutela della pace e del diritto internazionale.
4. Politica interna e questioni sociali
La crisi dei migranti spinge la Germania a una stretta interna storica
Ende des Bürgergelds: Neue Grundsicherung bringt Härten für Arbeitslose
DIE ZEIT – 17 dicembre 2025
Il governo federale di grande coalizione (CDU-SPD) ha varato una riforma radicale del welfare: l’abolizione del “Bürgergeld” – il sussidio di cittadinanza introdotto appena tre anni fa – e la sua sostituzione con una “nuova indennità di base” caratterizzata da regole molto più rigide. Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge presentato dalla ministra del Lavoro Bärbel Bas (SPD) che prevede, tra l’altro, la reintroduzione di sanzioni estreme per i beneficiari che non collaborano con i servizi per l’impiego: chi mancherà ripetutamente a colloqui o rifiuterà in modo immotivato offerte di lavoro potrà subire la sospensione totale di ogni sussidio, inclusi i pagamenti per l’affitto – una misura senza precedenti nella Germania post-bellica. “Vogliamo che chi può lavorare torni in piedi da solo”, ha dichiarato Bas, spiegando che l’idea è “promuovere e pretendere”: maggiori aiuti personalizzati per chi è in cerca attiva, ma linea durissima contro chi “potrebbe ma non vuole”. Il cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha rivendicato su social media il principio “Fördern und Fordern” (sostegno e obbligo) come cardine della nuova politica sociale: secondo Merz, era inaccettabile che in piena carenza di manodopera molti posti restassero vacanti mentre centinaia di migliaia di persone vivevano di sussidi senza adeguati incentivi a cercare un impiego. La riforma dovrà passare al vaglio del Bundestag e Bundesrat, dove si annuncia battaglia: alla base SPD monta il malcontento, con la sinistra del partito che parla di “agenda antisociale”, e i Verdi hanno già espresso riserve su alcune misure draconiane (la Grünen-Jugend definisce “disumano” il taglio totale dei mezzi di sussistenza). Nonostante questo, la coalizione appare determinata: dietro la stretta c’è anche la pressione dell’opinione pubblica, in cui sono cresciuti i sentimenti di ingiustizia verso chi percepisce il Bürgergeld, complice la propaganda dell’AfD. Il nome “Bürgergeld” stesso verrà rimosso – era uno dei simboli della politica dell’ex governo Scholz – e dal luglio 2026 la prestazione si chiamerà semplicemente “Grundsicherung”, per segnare un nuovo inizio. Tra le novità, oltre ai controlli più severi e alle sanzioni: chi riceve il sussidio dovrà essere sempre reperibile (il provvedimento nasce per evitare il fenomeno di irreperibilità intenzionale: ora le autorità potranno persino fare visite a domicilio o chiamate a sorpresa). Sono però esentati da queste misure i soggetti fragili: malati psichici o cronici non potranno subire sospensioni integrali di reddito, tutelando così i casi di reale incapacità lavorativa. Dietro il pugno di ferro, il governo inserisce anche elementi di sostegno: Bas promette più corsi di formazione e programmi di reinserimento per i disoccupati, e un “bonus di attivazione” una tantum di 1.000 euro a chi, tra i beneficiari, trovi e mantenga un lavoro per almeno sei mesi. Tuttavia, il cuore della riforma rimane punitivo: l’esecutivo stesso ammette che “non possiamo più permetterci che quasi 6 milioni di persone restino inattive”, specie in un contesto in cui la Germania fronteggia enormi carenze di personale in molti settori e costi sociali crescenti (anche complice l’arrivo di rifugiati e migranti economici). La scelta di abolire il Bürgergeld – considerato troppo permissivo – e tornare a un regime di welfare-lavoro molto stringente segna un forte spostamento a destra delle politiche sociali tedesche. Se la legge passerà (e la CDU ha già i voti con la CSU e gran parte della SPD), la Germania dal 2026 applicherà il welfare più duro dalla riforma Hartz IV del 2005, con la differenza che ora c’è il consenso di entrambi i partiti maggiori. L’impatto sarà enorme per milioni di famiglie: da una parte più pressione a cercare un’occupazione, dall’altra il rischio di aumentare la povertà se i meccanismi di sospensione non saranno gestiti con equilibrio. La posta è anche politica: Merz e Bas scommettono che la linea severa toglierà spazio all’AfD, togliendo argomenti sul “lassismo dello Stato sociale” e recuperando la fiducia di ceti medi e popolari insofferenti. Nei prossimi mesi, il dibattito infurierà, ma la direzione sembra segnata: in Germania il motto sarà “zero tolleranza per chi fa il furbo”, con un welfare ridisegnato all’insegna di doveri prima che di diritti.
Parte la Commissione “Verità Afghanistan”: indagine sull’intervento tedesco
Untersuchungskommission Afghanistan startet: Aufarbeitung eines 20-jährigen Einsatzes
Frankfurter Allgemeine Zeitung – 11 dicembre 2025
È ufficialmente iniziato a Berlino il lavoro della Commissione d’inchiesta parlamentare sull’Afghanistan, creata con mandato unanime per fare luce sui due decenni di presenza militare e civile tedesca nel Paese centroasiatico e sul drammatico collasso del 2021. L’organismo, presieduto dall’ex ministro Theo Waigel (CSU) e composto da deputati di tutti i gruppi, storici ed esperti militari, dovrà ricostruire e valutare criticamente le decisioni politiche e strategiche prese dalla Germania dal 2001 al 2021 riguardo alla missione in Afghanistan. Nella seduta inaugurale, Waigel ha parlato di “dovere morale e politico di trarre insegnamenti”: la Germania ha speso miliardi e impegnato migliaia di soldati (59 dei quali caduti) per poi assistere alla riconquista talebana di Kabul e al caotico ponte aereo di evacuazione. La Commissione interrogherà in audizioni pubbliche gli ex cancellieri (Schröder, Merkel), numerosi ex ministri (Difesa, Esteri) e alti comandanti militari per capire cosa è andato storto: dall’addestramento dell’esercito afghano rivelatosi inefficace alla gestione dei collaboratori locali rimasti indietro (tema ancora scottante: migliaia di ex interpreti attendono un visto per la Germania). Tra i punti centrali dell’indagine vi è l’attacco aereo di Kunduz del 2009, ordinato da un colonnello tedesco e costato la vita a civili: la Commissione valuterà come fu gestito quell’evento e la catena di comando NATO. Si esamineranno inoltre le strategie di “nation building” promosse dalla Germania nella provincia di Kunduz: furono realistiche o basate su illusioni?. Il presidente del Bundestag ha chiesto cooperazione trasparente: tutti i documenti segreti saranno messi a disposizione della Commissione, che lavora con l’obiettivo di pubblicare un rapporto finale entro due anni. Il valore di questa inchiesta bipartisan risiede nel fare chiarezza senza intenti accusatori: all’apertura i rappresentanti di SPD, Unione e Verdi hanno ribadito che non si tratta di cercare capri espiatori, ma di comprendere e imparare. Tuttavia, non mancheranno momenti delicati: Angela Merkel verrà interrogata sul perché la sua amministrazione sottovalutò la rapidità dell’avanzata talebana, ritardando l’evacuazione. Analogamente, Joschka Fischer (ministro degli Esteri 2001-2005) dovrà spiegare l’estensione iniziale della missione ISAF oltre Kabul, e gli ex titolari della Difesa (da Jung a von der Leyen) chiariranno le regole d’ingaggio dei soldati tedeschi in combattimento. L’opinione pubblica, molto critica sull’epilogo afghano, segue con attenzione: c’è il desiderio diffuso di sapere se i sacrifici furono vani e cosa la politica avrebbe potuto fare diversamente. Organizzazioni di veterani e famiglie delle vittime hanno accolto con favore l’avvio dei lavori, auspicando che la Commissione dia finalmente voce anche a chi ha servito sul campo. Il governo Merz ha garantito pieno supporto e ha già preannunciato che farà proprie eventuali raccomandazioni (ad esempio in materia di exit strategy o protezione dei local staff in future missioni). La Commissione Afghanistan, insomma, rappresenta un esercizio di democrazia matura: la Germania guarda con onestà a un capitolo controverso della propria azione all’estero, pronta a riconoscerne errori e lezioni, per prepararsi meglio alle sfide internazionali future senza ripetere i medesimi sbagli.
Poll shock: l’AfD in testa scuote il governo Merz
AfD bleibt stärkste Kraft: Schwarz-Rot fällt in Umfrage auf 38 Prozent
Tagesspiegel – 14 dicembre 2025
Un nuovo sondaggio politico (Sonntagstrend Insa per Bild am Sonntag) scatena allarme tra i partiti tradizionali: l’Alternative für Deutschland (AfD) si conferma primo partito nazionale nelle intenzioni di voto con il 26%, mentre l’inedita coalizione nero-rossa (CDU/CSU-SPD) scende complessivamente al 38% (rispettivamente 24% Unione e 14% SPD, entrambi in calo di 1 punto rispetto alla settimana precedente). Si tratta di numeri sorprendenti nel panorama postbellico tedesco: la somma di centrodestra moderato e sinistra socialdemocratica non raggiunge la maggioranza assoluta, aprendo scenari di ingovernabilità se si votasse oggi. I Verdi e la Linke stazionano all’11% ciascuno, la FDP e la nuova formazione BSW di Sahra Wagenknecht restano attorno al 4%, sotto la soglia di sbarramento (dunque al momento fuori dal Bundestag). L’AfD invece, col suo 26%, consoliderebbe il record storico toccato durante l’estate scorsa, dimostrandosi resistente alle vicissitudini interne e alle critiche esterne. Gli analisti spiegano che il gradimento dell’estrema destra è alimentato da vari fattori: persistenti timori sull’economia (inflazione percepita, rischio disoccupazione), insoddisfazione per la gestione dell’immigrazione e del crimine, retorica populista efficace nel dipingere la coalizione Merz come distante dai problemi reali. Un dettaglio preoccupante: ben 14% dell’elettorato oggi voterebbe per partiti che resterebbero esclusi dal parlamento (sommando BSW, FDP e altri minori), segno di forte frammentazione e protesta. Lo stesso sondaggista Insa evidenzia che, con questi numeri, una maggioranza di governo sarebbe possibile già col 43% dei voti: basterebbe un’alleanza Unione-SPD-Verdi (che totalizzerebbe 49%) oppure una “Germania” (Unione-SPD-FDP) se quest’ultima superasse il 5%. Ma entrambe queste combinazioni implicano ancora i partiti tradizionali, e appare chiaro che l’AfD, seppur isolata politicamente, sta diventando un attore inevitabile nelle equazioni elettorali. Nel governo l’atmosfera è di inquietudine: dietro le quinte emergono tensioni soprattutto nella SPD, che crollando al 14% teme di pagare un prezzo altissimo per la subalternità alla CDU. Voci nel partito di Bas suggeriscono di marcare più la differenza su temi sociali per recuperare consenso da sinistra. D’altro canto, la CDU di Merz è preoccupata di perdere voti verso destra a favore dell’AfD: alcuni esponenti (come Friedrich Merz Jr. nella CSU bavarese) invocano di “ascoltare di più le paure dei cittadini” e modulare di conseguenza la linea su migranti e sicurezza. Il sondaggio indica anche che un tedesco su due ritiene possibile la caduta anticipata del governo prima del 2029: una percezione di instabilità che di per sé favorisce l’AfD, presentatasi come unica “vera opposizione”. Nel frattempo, dall’opposizione Verdi e Linke, pur anch’essi preoccupati dall’AfD, criticano il governo per non arginare il clima tossico: “Quando Merz parla di ‘decoro urbano’ degradato dagli immigrati, fa il gioco dell’AfD”, attacca una deputata verde riferendosi alla recente controversa frase del cancelliere. In conclusione, questo sondaggio suona come campanello d’allarme per la democrazia tedesca: la normalizzazione dell’AfD come primo partito nei sondaggi evidenzia un malcontento profondo. Se i partiti di governo non riusciranno a invertire la rotta – con risultati tangibili in economia e sicurezza – il rischio concreto è di vedere l’AfD ulteriormente rafforzata e la formazione di maggioranze tradizionali sempre più ardua, con implicazioni di vasta portata per la stabilità politica del Paese.
La CSU fa muro contro l’AfD: svolta “territoriale” di Söder in Baviera
Aufstieg der AfD in Bayern: Jetzt inszeniert sich die CSU als Kümmererpartei für die Kommunen
Tagesspiegel – 12 dicembre 2025
Al congresso della CSU a Monaco, il governatore bavarese Markus Söder presenta una strategia aggressiva per arginare l’ascesa dell’AfD nel suo Land: riappropriarsi dei temi locali e posizionare il partito come “Kümmererpartei” (partito che si prende cura) delle comunità. Preoccupato dai sondaggi che vedono l’AfD balzare intorno al 20% anche in Baviera (contro il 4,7% del 2020 alle comunali), Söder cambia registro: nel discorso introduttivo elogia l’operato del governo Merz a Berlino – definendolo “molto migliore di quanto dicano le critiche” – e rivendica i successi ottenuti per la Baviera nell’ambito della grande coalizione (dai risparmi sul contributo di solidarietà al nuovo piano infrastrutturale accelerato). Ma il fulcro della convention è la preparazione alle cruciali elezioni comunali di marzo: la CSU vuole recuperare consensi nei territori spiazzando l’AfD sul suo stesso terreno, quello del radicamento locale. Söder insiste che “la nostra forza nasce dalle città e dai villaggi bavaresi”: annuncia perciò un pacchetto di iniziative volte a sostenere i comuni (più fondi dal bilancio statale per asili, edilizia popolare e strade locali) e lancia slogan sul “patriottismo municipale”. Il ragionamento dei strateghi della CSU è chiaro: l’AfD seduce con slogan nazionali, ma non ha soluzioni per le esigenze quotidiane della gente; la CSU intende mostrarsi come il vero interlocutore dei bisogni a chilometro zero. Non a caso, durante il congresso viene presentato anche un sondaggio commissionato dal partito, secondo cui il 64% dei bavaresi vuole che la politica si concentri su temi concreti e vicini alla vita quotidiana, piuttosto che su polemiche ideologiche nazionali. Söder cerca di capitalizzare su questo: bolla l’AfD come “il partito del Nein e della rabbia” e contrappone una CSU “del Ja e delle soluzioni”. In parallelo, viene approvata una mozione di linea che impegna tutti i candidati locali CSU a condurre campagne orientate ai problemi: sicurezza urbana, servizi sanitari, sostegno alle associazioni culturali, ecc. Questo tentativo di trasformare l’attenzione degli elettori appare anche come autocritica: nel passato la CSU ha spesso privilegiato toni identitari e scontri su scala nazionale (basti ricordare le sfide di Seehofer a Merkel sull’immigrazione). Ora, con l’AfD che incalza, Söder vira su un approccio “pragmatico-territoriale” e al contempo accentua la retorica conservatrice moderata: ribadisce che sotto la sua guida la Baviera ha respinto “le derive woke” e mantenuto la stabilità e l’ordine. Non mancano stoccate dirette all’AfD: il segretario generale della CSU, Martin Huber, denuncia che l’AfD bavarese “non ha altro programma che uscire dall’UE e isolare la Germania”, definendola “un pericolo per l’economia e la sicurezza”. Il congresso risponde con applausi e appare galvanizzato: la CSU, data per spenta tempo fa, ritrova la combattività perché percepisce la sfida esistenziale. Nei prossimi mesi, vedremo se la “cura Söder” funzionerà: il test del voto locale dirà se la CSU potrà riguadagnare terreno presentandosi come il partito dei sindaci e dei cittadini comuni, o se l’onda lunga populista travolgerà anche il bastione bavarese. Söder, intanto, sprona i suoi a non avere complessi: “Siamo ancora noi la forza responsabile in Baviera – nessuno conosce questa terra meglio di noi” – un appello all’orgoglio identitario bavarese contro l’“invasore” populista.
Un nuovo sondaggio Insa: Semaforo e Linke fuori dal Bundestag
Umfrage ein Jahr nach Landtagswahl: AfD in Thüringen auf bislang höchstem Wert
Tagesspiegel – 13 dicembre 2025
In Turingia, a un anno dalle turbolente elezioni regionali del 2024, l’AfD cresce ancora e tocca il picco record del 39% nelle intenzioni di voto. Il sondaggio Insa registra che il partito di estrema destra, già vincitore morale del voto scorso (quando arrivò primo ma fu escluso dal governo a causa del cordone sanitario), consolida e amplia il proprio consenso, sfiorando la maggioranza assoluta tra gli elettori. La situazione è senza precedenti: mai prima d’ora un partito classificato come “estremista di destra accertato” dall’Ufficio per la Protezione della Costituzione aveva raggiunto simili vette di consenso in Germania. I numeri degli altri partiti sprofondano: la CDU resterebbe attorno al 20%, la sinistra Linke crollerebbe all’11%, SPD e Verdi addirittura sotto il 5% (rischiando di non entrare in parlamento regionale). Il quadro che emerge è quello di una polarizzazione radicale: l’AfD di Björn Höcke – leader locale controverso e considerato esponente dell’ala più estremista – riesce evidentemente a catalizzare la frustrazione di ampi strati della popolazione turbati dalla situazione economica e dagli strascichi delle restrizioni pandemiche e delle politiche climatiche. Il governo regionale in carica, una coalizione semaforo (SPD-Verdi-FDP) sostenuta esternamente dalla CDU, appare paralizzato e impopolare: solo il 30% dei cittadini ne approva l’operato. Questo sondaggio getta un’ombra lunga in prospettiva nazionale: Turingia viene vista come laboratorio politico, e molti temono che ciò che è realtà lì – un’AfD partito di maggioranza relativa stabilmente – possa replicarsi altrove. Il Ministro-presidente turingese, il socialdemocratico Georg Maier, ha reagito ai dati con preoccupazione, ammettendo che “dobbiamo riconquistare la fiducia: la gente non vede miglioramenti nelle proprie vite e si rifugia nelle promesse facili dell’AfD”. Intanto, l’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione mantiene la AfD della Turingia sotto stretta osservazione e definisce questo scenario “allarmante per la democrazia”: di fatto, quasi 2 elettori su 5 in Turingia dichiarano di voler votare un partito ritenuto estremista e sorvegliato dai servizi, indicando una rottura gravissima tra istituzioni e società. La CDU locale, che finora aveva sostenuto la coalizione anti-AfD per senso di responsabilità, comincia a subire pressioni interne: alcuni esponenti suggeriscono di cercare un contatto pragmatico con l’AfD su temi specifici, magari a livello comunale, rompendo il tabù dell’“Unvereinbarkeitsbeschluss” (divieto di collaborazione con AfD). Il partito a Berlino però frena: il segretario Merz ribadisce la linea rossa e invita la sezione turingiana a “convincere gli elettori a tornare alla CDU, non ad assecondare l’AfD”. Con questa AfD in continua ascesa, però, la tenuta del cordone sanitario può diventare ardua. Il sondaggio mostra inoltre un dettaglio preoccupante: la popolarità personale di Höcke, spesso considerato personaggio divisivo, è in realtà cresciuta; la retorica nazionalista e anti-immigrati sembra fare sempre più presa trasversalmente, e soprattutto fra gli under 50 maschi l’AfD è dominante. Questa fotografia demoscopica spinge gli altri partiti a riflettere: la Linke, per decenni prima forza in Turingia, vede proprio lì crollare il proprio zoccolo (perdendo voti popolari a favore di AfD su temi sociali e anti-establishment); i Verdi rischiano l’irrilevanza in un Land che fu apripista delle loro coalizioni nel Est. La Turingia appare insomma come specchio di un malcontento profondo nell’Est tedesco, dove la riunificazione è percepita incompleta e lo Stato federale distante. Se le altre forze non riusciranno a colmare questo divario emotivo ed economico, il 39% AfD potrebbe non rimanere un’anomalia solo turingiana, ma preannunciare scosse telluriche nell’intero scenario politico tedesco.
5. Questioni economiche e finanziarie
Previsioni cupe: l’ifo taglia la crescita della Germania
Konjunktur: Ifo senkt Wachstumsprognose für deutsche Wirtschaft deutlich
DIE ZEIT – 11 dicembre 2025
Le principali istituzioni economiche tedesche rivedono al ribasso le stime di crescita, segnalando una persistente stagnazione dell’economia nazionale. L’istituto ifo di Monaco ha abbassato di mezzo punto percentuale le sue previsioni di aumento del PIL per ciascuno dei prossimi due anni: ora si attende un +0,8% nel 2026 e +1,1% nel 2027 (anziché i precedenti 1,3% e 1,6%). Anche per l’anno corrente 2025 la correzione è al ribasso: appena +0,1% (praticamente crescita zero, contro lo 0,2% stimato tre mesi fa). Analoghi aggiustamenti arrivano dagli istituti RWI di Essen e IfW di Kiel, segno di un consenso su prospettive deboli e inferiori alla media eurozona. Gli economisti individuano cause sia esterne sia interne. Sul fronte globale pesano i nuovi dazi statunitensi introdotti dall’amministrazione Trump su prodotti europei: tali tariffe, stima l’ifo, potrebbero costare quasi un punto di PIL cumulato entro il 2027 (0,3% in meno già quest’anno, 0,6% nel 2026). A questo shock esterno si aggiungono problemi strutturali endogeni: “La Germania arranca nell’adeguarsi ai cambiamenti strutturali”, afferma Timo Wollmershäuser dell’ifo. Ciò si traduce in produttività stagnante e ritardi nell’innovazione (digitalizzazione, intelligenza artificiale). Viene poi denunciata l’eccessiva burocrazia e la farraginosità amministrativa che frenano le imprese e l’avvio di start-up. Anche infrastrutture obsolete e un sistema formativo che fatica a sfornare tecnici e ingegneri adeguati vengono citati come fattori che “frenano l’economia come sabbia negli ingranaggi”. Moritz Schularick, presidente dell’IfW Kiel, avverte che “la Germania resta ferma mentre altri corrono”: in particolare la transizione ecologica e digitale avviene troppo lentamente rispetto a competitor come gli Stati Uniti (che con l’Inflation Reduction Act stanno attrando investimenti globali) o la Cina (che domina tecnologie chiave). A peggiorare lo scenario, i dati del commercio estero: le esportazioni tedesche calano verso molti mercati extra-UE (specialmente verso Cina e USA), e solo la domanda interna europea mantiene a galla parte dell’export – ma non abbastanza da rilanciare la produzione industriale, che nel 2025 si stima praticamente ferma. Il governo Merz viene di fatto sollecitato a misure più vigorose: l’ifo calcola che gli enormi investimenti pubblici già stanziati (come il fondo da 500 miliardi per infrastrutture e clima) avranno un impatto positivo ma limitato (+0,3% di PIL nel 2026, +0,7% nel 2027), insufficiente a compensare i fattori negativi. Per dare una scossa vera servirebbero – suggeriscono gli esperti – riforme strutturali: un’ampia riforma fiscale con taglio delle imposte su aziende e lavoro, e una decisa modernizzazione della pubblica amministrazione. Michael Hüther, direttore dell’Institut der deutschen Wirtschaft, commenta che “manca il grande balzo”: i tanti provvedimenti messi in campo (booster investimenti, burocrazia semplificata in alcuni settori) non includono quella big bang che restituisca fiducia a lungo termine. Il ministero dell’Economia risponde che si sta già lavorando a una riforma fiscale per il 2026 e a un Bureaukratieentlastungsgesetz (legge di alleggerimento burocratico), ma ammette che i risultati non saranno immediati. L’attuale stagnazione è definita “deludente ma non sorprendente” dopo due anni di recessione tecnica e shock (pandemia, guerra, crisi energetica). In sintesi, la Germania sembra avviata verso un lungo periodo di crescita anemica, quasi giapponesizzazione, se non ritrova slancio innovativo. La nota positiva è che l’inflazione in calo e gli investimenti pubblici eviteranno una nuova recessione; quella negativa è che senza accelerazione, il paese rischia di perdere posizioni nella classifica economica mondiale proprio nel decennio in cui avrebbe bisogno di robusta crescita per sostenere il welfare e la transizione green. Per ora, avverte l’ifo, si devono ridimensionare le aspettative: dopo un +0,1% quest’anno, anche un +0,8% l’anno prossimo sarà un obiettivo sfidante.
Industria in allarme: “la Germania è in caduta libera, servono tagli a costi e tasse”
IW-Direktor: Das sind die drei größten Sorgen der Wirtschaft (ZDF) / BDI: Standort Deutschland im freien Fall (dpa)
ZDF / dpa – 12 dicembre 2025
Le principali associazioni imprenditoriali tedesche lanciano un duro monito sullo stato di salute dell’economia nazionale, definendo il “modello Germania” in crisi profonda. Il presidente della confindustria tedesca (BDI), Peter Leibinger, in un’intervista d’agenzia parla di “libera caduta del nostro Paese come luogo di investimento”, la peggiore crisi strutturale dalla nascita della Repubblica Federale. I dati a sostegno di questa affermazione sono inquietanti: la produzione industriale chiuderà il 2025 in calo del 2%, quarto anno consecutivo di contrazione; la base manifatturiera sta erodendo con la perdita di circa 250.000 posti di lavoro nella metalmeccanica dal 2018, e ulteriori 150.000 a rischio entro fine 2026. “Non è più una flessione congiunturale, ma un declino strutturale”, avverte Leibinger, puntando il dito su costi energetici elevati, carenza di manodopera qualificata e tassazione penalizzante. Gli fa eco Michael Hüther, direttore dell’IW (Institut der deutschen Wirtschaft), secondo il quale “le nostre imprese soffrono una triplice zavorra”: costi di produzione troppo alti (dall’energia ai contributi sociali), uno degli apparati fiscali più pesanti d’Europa e retribuzioni/onorari che superano i concorrenti internazionali. Questi fattori combinati stanno provocando una moria di imprese: il DIHK (camerale) stima che in media 60 aziende al giorno chiudano definitivamente in Germania, incapaci di reggere la pressione competitiva, soprattutto PMI energivore nei settori classici come chimica, metallurgia, automotive. Alcuni grandi gruppi poi dirottano investimenti futuri altrove: emblematici i casi di BASF che sposta segmenti produttivi in Asia e di alcune aziende meccaniche medie che preferiscono aprire stabilimenti negli USA attratte dagli incentivi di Washington. Hüther, intervenendo alla trasmissione WISO, ha individuato tre priorità d’azione per invertire il trend: ridurre i costi di sistema (taglio degli oneri su energia e logisticai, accelerare sul piano di alleggerimento burocratico), avviare una vera riforma fiscale (gli imprenditori chiedono un abbassamento dell’aliquota per le imprese intorno al 25% dal 30% attuale) e intervenire sul costo del lavoro (che include contributi previdenziali altissimi; il suggerimento è finanziare parte del sistema sociale via fiscalità generale per sgravare i salari). La polverizzazione del tessuto industriale spaventa anche i sindacati, il cui fronte si allinea in modo inusuale a quello padronale: la IG Metall conferma che molti associati testimoniano impianti sottoutilizzati e mancanza di nuove commesse, e concorda sulla necessità di misure emergenziali per rilanciare la competitività, sebbene avverta di non voler “pagare la crisi sulle spalle dei lavoratori” (dunque chiede che eventuali riduzioni di contributi non tocchino le prestazioni sociali). Dal governo arrivano segnali di comprensione: il ministro dell’Economia chiede pazienza perché i provvedimenti decisi quest’autunno – tra cui l’abolizione del contributo sugli stoccaggi di gas e un contributo pubblico ai costi di rete elettrica – entreranno in vigore solo dal gennaio 2026, e promette che entro la primavera verrà presentato un piano per snellire le autorizzazioni di impianti e investimenti (una sorta di “One in, one out” normativo per ridurre le pastoie amministrative). All’interno della coalizione, però, emergono divergenze: la SPD vorrebbe anche misure di stimolo della domanda interna (ad esempio anticipare l’aumento del salario minimo previsto per metà 2026), mentre la CDU insiste che la chiave è dare ossigeno alle imprese, anche a costo di sforare temporaneamente alcuni vincoli di bilancio nazionali ed europei. L’urgenza è condivisa: se non ci sarà una svolta, il 2026 rischia di vedere la Germania ancora fanalino di coda in Europa e con un disoccupazione in risalita (già ora la disoccupazione è sui massimi da 5 anni, al 6% circa). La narrazione di “malato d’Europa” – come fu negli anni ’90 – torna a serpeggiare sui media internazionali, e l’establishment tedesco la considera un campanello d’allarme vitale: “Dobbiamo agire ora o perderemo il treno del progresso”, conclude Leibinger, richiamando l’esecutivo Merz a quel grande patto per la competitività che, al di là dei colori politici, appare sempre più inevitabile.
Inflazione giù al 2,3%: Germania vicina alla normalità, ma restano incognite
Inflationsrate sinkt im November auf 2,3 Prozent
Tagesschau.de – 7 dicembre 2025
Arrivano finalmente buone notizie per il potere d’acquisto dei tedeschi: a novembre l’inflazione annua è scesa al +2,3%, il valore più basso registrato dal 2021 e molto vicino all’obiettivo del 2% che la BCE considera stabilità dei prezzi. I dati definitivi dell’Ufficio Statistico Federale (Destatis) confermano la stima preliminare e mostrano un rallentamento dell’aumento dei prezzi praticamente in tutti i settori. In particolare, i prezzi dell’energia – dopo i picchi esorbitanti post-invasione Ucraina – risultano addirittura inferiori del 5% rispetto a un anno fa, grazie sia alla normalizzazione dei mercati internazionali di gas e petrolio sia agli interventi governativi (calmierazione tariffe e abolizione temporanea di alcune accise). Anche i generi alimentari, che negli ultimi due anni avevano trainato l’inflazione percepita, hanno visto un incremento più moderato (+4% annuo, mentre nel 2024 erano balzati a doppia cifra): complice una buona annata agricola e una maggiore concorrenza tra supermercati, i prezzi di molti prodotti base (pane, latte, verdura) hanno smesso di crescere e in alcuni casi sono leggermente calati rispetto all’estate scorsa. Analizzando il “carrello della spesa” tipico, l’Istituto DIW rileva che una famiglia media a novembre ha speso quasi lo stesso che nel novembre 2024 per il medesimo paniere, un sollievo dopo due anni di rincari costanti. L’inflazione di fondo (depurata da energia e alimentari) rimane però un po’ più alta al 3,0%, indicando che servizi e altri beni hanno ancora dinamiche più rigide (ad esempio affitti e costi dei servizi ricreativi continuano a salire attorno al 3-4%). Questo dato spinge gli esperti a invitare alla cautela: il calo dell’inflazione complessiva è in parte dovuto all’effetto confronto con lo scorso anno (quando erano in vigore misure come il biglietto dei trasporti scontato che quest’anno sono state tolte) e non equivale a deflazione. In ogni caso, la Germania sembra aver superato la fase acuta dell’emergenza inflazionistica: rispetto al picco del 11,6% toccato nell’ottobre 2022, la discesa è netta e continua. Il ministro delle Finanze ha commentato con soddisfazione i dati, affermando che “le politiche adottate – dal freno ai prezzi energetici al sostegno una tantum alle famiglie – hanno contribuito a spezzare la spirale inflattiva”. Ora, aggiunge, sarà importante evitare nuovi shock: in particolare, il governo monitorerà eventuali impatti inflazionistici del rialzo dei salari in arrivo (molti contratti collettivi rinnovati di recente prevedono incrementi consistenti nel 2026) e manterrà in stand-by gli strumenti emergenziali qualora i prezzi energetici risalissero (uno scenario non escluso se la guerra in Medio Oriente dovesse destabilizzare il petrolio). Dal canto suo, la Banca Centrale Europea accoglie favorevolmente il trend: l’inflazione tedesca a questi livelli faciliterà la discesa anche dell’indice dell’eurozona sotto il 3%. Ciò alimenta aspettative nei mercati che la BCE possa iniziare a ridurre i tassi d’interesse nel corso del 2026 – anche se la presidente Lagarde resta prudente, volendo vedere un consolidamento del calo dell’inflazione di fondo prima di allentare la stretta monetaria. Per i consumatori tedeschi, intanto, l’attenuazione dell’inflazione si è già tradotta in un clima di fiducia leggermente migliore: gli ultimi sondaggi GfK mostrano la propensione all’acquisto in lieve ripresa, segno che meno paura dei prezzi significa più voglia di spendere su beni rimandati (dalle auto alle vacanze). Tuttavia, con l’economia stagnante, alcuni economisti suggeriscono di affiancare a questa vittoria sull’inflazione anche stimoli alla crescita, per evitare che la Germania scivoli dalla stagflazione alla stagnazione. In sintesi, il +2,3% di novembre è un raggio di sole sul panorama economico tedesco: il nemico inflazione arretra, ridando respiro ai bilanci familiari, ma resta il compito di rivitalizzare l’economia reale, ora che la stabilità dei prezzi è quasi ricostituita.
Euro digitale: via libera UE tra entusiasmo e perplessità delle banche tedesche
Digitaler Euro beschlossen – scharfe Kritik von deutschen Banken
Handelsblatt – 12 dicembre 2025
I ministri delle Finanze dell’UE, riuniti a Bruxelles, hanno raggiunto un accordo politico per lanciare il “euro digitale”, la valuta virtuale di banca centrale destinata a integrare il contante nell’era digitale. Il progetto prevede che entro il 2027 la BCE emetterà questa moneta elettronica ufficiale, che i cittadini potranno detenere in portafogli digitali forniti dalle banche centrali nazionali o tramite apposite piattaforme. Secondo il commissario europeo all’economia, l’euro digitale garantirà un mezzo di pagamento pubblico e sicuro nel mondo digitale, affiancando (ma non sostituendo) banconote e monete. Il governo tedesco ha sostenuto l’iniziativa, ritenendola utile per rafforzare la sovranità monetaria europea di fronte alla concorrenza di criptovalute private e valute digitali di altre potenze (si pensi allo yuan digitale cinese). Tuttavia, in Germania l’annuncio ha suscitato una forte reazione critica da parte del settore bancario privato. L’associazione delle banche tedesche (BdB) ha diffuso una nota in cui si dichiara “profondamente scettica” sull’euro digitale: teme che i cittadini possano trasferire parte consistente dei propri depositi su questi portafogli di moneta digitale presso la BCE, riducendo la raccolta delle banche commerciali e dunque la loro capacità di erogare credito. Si paventa in pratica una “disintermediazione” del sistema bancario: se ogni europeo potrà tenere, ad esempio, fino a 3.000 euro su un wallet di euro digitale protetto dalla banca centrale, le banche potrebbero perdere miliardi di depositi a vista, dovendo ricorrere a fonti di finanziamento alternative (potenzialmente più costose). Il presidente di Deutsche Bank ha parlato senza mezzi termini di “colpo al cuore del modello di business bancario”, chiedendo garanzie che la BCE porrà limiti stretti all’uso di euro digitale per evitare fughe di liquidità in situazioni di crisi (scenario in cui i cittadini trasferirebbero in massa i soldi nei wallet BCE percependoli come più sicuri). Anche dal fronte politico arrivano dubbi: alcuni parlamentari della FDP e dell’AfD hanno criticato l’euro digitale sul piano della privacy, temendo che possa aprire la strada a controlli eccessivi sui pagamenti individuali (per quanto la BCE assicuri anonimato nelle transazioni fino a una certa soglia). Il ministro delle Finanze tedesco, intervenendo sull’argomento, ha cercato di rassicurare: “Nessuno vuole togliere ruolo alle banche, l’euro digitale sarà complementare”. Ha ricordato che verranno studiate soluzioni per coinvolgere gli istituti privati come intermediari (ad esempio, potrebbero essere loro a gestire le interfacce utente) e che comunque verrà fissato un massimale per persona, scongiurando la fuoriuscita in massa di depositi. Allo stesso tempo, il ministro ha insistito sui benefici potenziali: riduzione dei costi di transazione, pagamenti istantanei paneuropei 24/7, inclusione finanziaria di chi non ha conti bancari, ecc. La discussione è destinata a proseguire intensa: la Germania, con il suo solido sistema bancario regionale e cooperativo, è forse il Paese dove l’euro digitale incontra più resistenze. Nei prossimi mesi, la BCE avvierà un progetto pilota e definizione tecnica del funzionamento: Berlino cercherà di influenzare i dettagli affinché le istanze delle sue banche siano considerate (ad esempio spingendo per un tetto di 3.000 euro a persona, come vociferato). Parallelamente, partirà una campagna di informazione verso il pubblico: ad oggi, i sondaggi mostrano che molti tedeschi sanno poco o nulla dell’euro digitale e anzi un 40% si dichiara “non a favore” per timori su privacy e sicurezza informatica. Il governo e la Bundesbank dovranno quindi impegnarsi a spiegare che l’euro digitale “non è una crypto” ma semplicemente una forma digitale della stessa moneta di sempre, e che contante e privacy saranno tutelati. Intanto, l’effetto immediato dell’annuncio è stato un leggero arretramento dei titoli bancari in borsa: segnale che i mercati recepiscono le preoccupazioni del settore. La strada verso l’euro digitale appare insomma politicamente in salita in Germania, ma la direzione è fissata a livello UE: salvo clamorosi ripensamenti, nel 2027 i tedeschi potranno avere l’euro anche sullo smartphone. Resta da vedere se lo vorranno usare massicciamente o se prevarrà la tradizionale preferenza tedesca per contante e servizi bancari consolidati.
“Ordini a sorpresa”: l’industria tedesca vede un timido rimbalzo
Überraschender Auftragsschub – deutsche Industrie stabilisiert sich
RedaktionsNetzwerk Deutschland (RND) – 13 dicembre 2025
Spiragli di ottimismo per il settore manifatturiero tedesco: a ottobre gli ordinativi industriali hanno registrato un incremento inaspettato, suggerendo che la fase più cupa per l’industria potrebbe essere passata. Secondo i dati destagionalizzati del Ministero dell’Economia, gli ordini all’industria sono aumentati dell’1,5% rispetto a settembre – un balzo superiore alle previsioni, trainato soprattutto dalle commesse provenienti dall’estero. Particolarmente positivo il contributo dei Paesi dell’UE (+2,7% su base mensile), che ha compensato la flessione della domanda extra-UE (-3,3%). Questo indica che il mercato unico europeo funge da ancora di salvezza, mentre persistono difficoltà su mercati come Cina e Stati Uniti. Il rapporto mostra che a crescere sono stati principalmente gli ordini di macchinari, impiantistica e beni strumentali (+2%), segno che molte aziende clienti – specialmente nel settore energetico e dei trasporti – hanno sbloccato investimenti rimasti in stand-by. Anche la filiera automotive ha visto ordini in miglioramento, grazie sia all’export di vetture elettriche verso alcuni Paesi europei (favorito da nuovi incentivi ambientali locali) sia a importanti contratti per forniture di componentistica. L’aumento degli ordini si riflette in un leggero incremento del portafoglio arretrato dell’industria: il tempo di produzione garantito dagli ordini esistenti sale a 7,9 mesi, stabile da tre mesi e in lieve crescita per il terzo mese consecutivo, consolidando un trend di “lenta risalita”. Gli economisti commentano prudentemente: “È presto per parlare di svolta, ma la stabilizzazione è evidente”. La stessa Bundesbank, nel suo bollettino, nota segnali di fondo di ritorno alla normalità nelle catene di approvvigionamento e un alleggerimento del peso dei costi energetici rispetto a un anno fa, fattori che potrebbero sostenere un graduale recupero produttivo nel 2026. Molti imprenditori, intervistati dall’istituto Ifo, riferiscono inoltre di un clima meno pessimistico: le aspettative di produzione per i prossimi 3 mesi sono tornate positive, dopo quasi un anno di giudizi negativi. Sussistono tuttavia differenze settoriali: la chimica e la siderurgia ancora patiscono carenza di domanda e margini compressi, mentre i comparti ad alta tecnologia (elettronica, ottica) mostrano i maggiori rimbalzi di ordini, beneficiando forse del cosiddetto “effetto IRA” (aziende europee che investono per competere con quelle beneficiarie dei sussidi USA). Il governo accoglie con favore i dati, definendoli “incoraggianti, ma non appaganti”: la ministra dell’Economia sottolinea che “questo rimbalzo va sostenuto con politiche mirate, non è il momento di sedersi sugli allori”. Per alimentare la domanda, oltre confine, la Germania sta intensificando missioni commerciali in mercati emergenti (Asia sudorientale, America Latina) e sul fronte interno sta lavorando a uno schema di super-ammortamenti per investimenti industriali green e digitali nel 2026. Resta la cautela dovuta al contesto generale debole: la spesa dei consumatori interni è ancora fiacca e l’incertezza geopolitica persiste. Ma questo “colpo di reni” autunnale dell’industria dà speranza che la recessione manifatturiera più lunga dal 2009 possa concludersi. Se il trend degli ordinativi dovesse confermarsi positivo in fine anno, la produzione industriale – ferma nel 2025 – potrebbe finalmente tornare a crescere l’anno prossimo, magari con un contributo alla crescita nazionale attorno allo 0,5%. Sarebbe ancora ben lontano dai livelli di boom pre-2018, ma rappresenterebbe comunque l’inizio di una risalita, evitando quel declino irreversibile che in molti temevano. Per ora, la parola d’ordine è prudenza: l’industria tedesca pare stabilizzarsi su un “plateau”; il compito dei policy maker e delle imprese sarà trasformare questa stabilità in rinnovata espansione, capitalizzando su ogni spiraglio di domanda e su ogni innovazione competitiva. In definitiva, il 2025 si chiude con una nota un po’ meno negativa per l’industria: non siamo al “Wirtschaftswunder”, ma almeno il fondo sembra toccato e superato.


