Stroncature nasce con l’obiettivo di creare un ponte tra il mondo della ricerca, la società civile e il sistema produttivo, convinta che il sistema della ricerca pubblica italiana con le sue Università e Centri di ricerca possa essere un motore potentissimo in grado di generare sviluppo economico e progresso sociale per il numero più ampio possibile di cittadini. Questo rapporto di Stroncature si inserisce in questa visione, analizzando il ruolo degli spin-off accademici come strumenti di trasferimento tecnologico e crescita industriale. Attraverso lo studio delle esperienze più significative, si evidenziano i successi raggiunti, le criticità ancora presenti e le strategie per rendere più efficace il legame tra ricerca e impresa. L’obiettivo è contribuire a un dibattito informato su come sostenere le migliori iniziative nate dalla ricerca pubblica, affinché possano diventare motore di innovazione e sviluppo per il paese.
Introduzione
La Terza Missione delle università italiane include la promozione dell’imprenditorialità e il trasferimento tecnologico, spesso realizzati tramite la creazione di spin-off di ricerca. In ambito accademico italiano, per spin-off accademico si intende generalmente una società di capitali costituita per sfruttare economicamente risultati della ricerca universitaria, con la partecipazione attiva di personale dell’ateneo autorizzata dall’università stessa. Gli atenei possono riconoscere formalmente tali imprese: si parla di spin-off universitari quando l’azienda è approvata dall’università (e talvolta partecipata dall’ateneo stesso), secondo regolamenti interni che disciplinano l’autorizzazione di docenti e ricercatori a fondare la società e l’utilizzo di strutture o servizi universitari di supporto. In sintesi, lo spin-off accademico è l’impresa avviata da ricercatori per valorizzare una tecnologia sviluppata nell’ambito della ricerca pubblica, mentre lo spin-off universitario indica quella ristretta categoria di spin-off accademici formalmente riconosciuti (o co-partecipati) dall’ateneo di origine. Entrambe le tipologie rappresentano un ponte tra università e industria, trasformando conoscenza in innovazione e contribuendo alla “Terza Missione” con nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza.
Gli spin-off accademici si differenziano sia dalle start-up comuni sia dagli spin-off aziendali di impresa privata. Nel caso accademico, l’“organizzazione madre” è un ente di ricerca (università o istituto pubblico) e i fondatori sono professori, ricercatori o giovani laureati che sfruttano un’invenzione o know-how sviluppato in ambito scientifico. Queste imprese perseguono finalità di trasferimento tecnologico e spesso mantengono legami con l’ente di provenienza (p.es. accordi per licenze di brevetti, uso di laboratori, contratti di ricerca). Tali spin-off sono strumenti chiave per valorizzare i risultati della ricerca pubblica, affiancando alla tradizionale missione di didattica e ricerca una missione di impatto socio-economico. In Italia, a partire dai primi anni 2000, normative e linee guida ministeriali hanno incoraggiato gli atenei a dotarsi di regolamenti per favorire la nascita di spin-off, prevedendo ad esempio che il personale di ruolo possa partecipare alle nuove società previa autorizzazione, e che l’ateneo possa anche detenere una quota societaria minoritaria o fornire supporto logistico . Questo quadro normativo ha portato allo sviluppo di numerosi spin-off universitari in quasi tutti gli atenei, integrando la Terza Missione nelle strategie accademiche.
Analisi Quantitativa del Fenomeno (2018–2023)
Crescita numerica e distribuzione geografica: Il panorama italiano degli spin-off accademici ha conosciuto una crescita continua negli ultimi cinque anni. Secondo i dati raccolti dalla rete Netval (Network per la Valorizzazione della Ricerca), al 2021 si registravano complessivamente circa 1.930 spin-off della ricerca pubblica costituiti in Italia. Il ritmo di nuove costituzioni si è mantenuto sostenuto: ad esempio, nel solo 2021 sono state fondate 122 nuove imprese spin-off di origine universitaria o da enti pubblici di ricerca. Questo numero annuale in crescita evidenzia un’accelerazione rispetto alla metà degli anni 2010. Nonostante un lieve rallentamento osservato intorno al 2017-2018, il trend generale nel quinquennio recente è positivo, indicando che la creazione di spin-off è divenuta una pratica più diffusa e strutturata negli atenei. Complessivamente, tra il 2018 e il 2022, il totale degli spin-off attivi è aumentato di oltre il 20%, avvicinandosi alla soglia dei duemila e confermando il consolidamento del fenomeno su scala nazionale.
Dal punto di vista geografico, gli spin-off universitari italiani presentano una distribuzione sorprendentemente ampia. Storicamente, le regioni del Nord e Centro (Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto, Toscana) guidano per numero di iniziative imprenditoriali accademiche, grazie alla presenza di atenei di grandi dimensioni e poli tecnologici. Tuttavia, anche il Mezzogiorno contribuisce in modo significativo: uno studio di SRM mostrava che il Sud Italia ospitava il 42% degli spin-off accademici nazionali (339 su un totale di 798 rilevati in Italia in quel campione). Ciò indica che negli ultimi anni molte università meridionali hanno promosso la creazione di imprese spin-off, colmando parzialmente il divario con le regioni settentrionali. In termini assoluti, le regioni con il maggior numero di spin-off includono la Lombardia (trainata da Politecnico di Milano, Università di Milano, Bicocca ecc.), l’Emilia-Romagna (Università di Bologna, Modena-Reggio, Parma), il Piemonte (Politecnico di Torino e Università di Torino), il Lazio (Sapienza, Tor Vergata, etc.) e la Toscana. Ad esempio, già alcuni anni fa atenei come il Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna avevano ciascuno decine di spin-off attivi; perfino atenei medio-piccoli presentano numeri significativi (nel 2018 una quindicina di università avevano tra 10 e 20 spin-off ciascuna). Questo fenomeno capillare suggerisce che la cultura d’impresa accademica si è diffusa su tutto il territorio italiano, con la presenza di spin-off in pressoché ogni regione e ateneo, dai grandi poli metropolitani fino alle università periferiche.
Settori di specializzazione. Gli spin-off universitari italiani coprono una vasta gamma di settori tecnologici e scientifici. Una classificazione per settore ATECO evidenzia che circa 3/4 degli spin-off operano nell’ambito delle “attività professionali, scientifiche e tecniche”, categoria che comprende Ricerca & Sviluppo sperimentale, consulenza scientifica e ingegneristica. In termini più concreti, le aree tecnologiche più rappresentate sono: le scienze della vita (biotecnologie, biomedicale, farmaceutico), l’ICT e elettronica (software, intelligenza artificiale, IoT, telecomunicazioni), l’energia e ambiente (cleantech, energie rinnovabili, tecnologie verdi), i materiali avanzati e nanotech, oltre a settori emergenti come l’agritech e la space economy. Ad esempio, circa il 9,5% degli spin-off (dati di fine 2010s) rientrava nelle attività di informazione e comunicazione (quindi ICT puro), mentre una quota intorno al 6% operava in servizi di supporto alle imprese e un 4-5% nell’ambito dell’istruzione e formazione avanzata. In pratica, molti spin-off sono imprese deep-tech basate su risultati di ricerca in fisica, chimica, medicina o ingegneria, mentre altre offrono servizi ad alta intensità di conoscenza (come consulenze specialistiche, strumenti software scientifici, etc.). Questa diversificazione settoriale è indice della varietà della ricerca accademica italiana e delle opportunità di mercato da essa derivabili.
Evoluzione temporale. Guardando alle variazioni nel tempo, il fenomeno è emerso nei primi anni 2000 (sulla scia di provvedimenti normativi che ne facilitavano la nascita) e ha accelerato nel decennio successivo. Verso la metà degli anni 2010 si contavano già oltre un migliaio di spin-off; vi è stata poi una leggera flessione nel tasso di creazione annua intorno al 2017–2018 (anche a causa di una maturazione del sistema, con maggiore selettività e chiusura di alcune imprese poco attive). Nonostante ciò, gli ultimi cinque anni hanno visto un nuovo slancio: il numero di spin-off attivi è tornato a crescere, superando di anno in anno i record precedenti. Anche durante la pandemia COVID-19 (2020–2021) il flusso di nuove iniziative non si è fermato, segno della resilienza e dell’impegno degli atenei nel portare innovazioni sul mercato. Il tasso di crescita annuale composto del numero totale di spin-off attivi nel periodo recente si stima intorno al 5-7%. Nel 2023 il totale nazionale ha probabilmente superato quota 2.000 imprese, considerando le nuove costituzioni del 2022 e 2023, a fronte di relativamente poche cessazioni. In definitiva, dal 2018 ad oggi l’ecosistema degli spin-off accademici italiani si è allargato sia in termini quantitativi sia nella diffusione territoriale, ponendo l’Italia tra i paesi europei con il maggior numero di imprese derivate dalla ricerca pubblica.
Analisi Economica: Performance e Impatto
Nonostante la vitalità numerica, le performance economiche degli spin-off universitari italiani presentano luci ed ombre. Studi e valutazioni nazionali indicano che solo una minoranza di queste imprese riesce a raggiungere dimensioni di rilievo o risultati economici significativi, mentre la maggior parte rimane di piccola scala. In occasione della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR 2010-2012), l’ANVUR evidenziò che appena circa il 5% degli spin-off accademici aveva conseguito risultati economici di rilievo, in termini di fatturato o crescita sostenuta. Al contrario, la stragrande maggioranza mostrava fatturati esigui e struttura micro-imprenditoriale, suggerendo che molte di queste società non erano ancora “autentiche imprese” capaci di stare sul mercato in modo competitivo. Questa elevata sopravvivenza anomala unita a scarso fatturato è un tratto peculiare del caso italiano, dove spesso lo spin-off permane come veicolo di trasferimento tecnologico senza però effettuare il salto di scala imprenditoriale. L’immaturità del fenomeno si manifesta dunque in bilanci modesti: in numerosi casi il giro d’affari annuo è inferiore a 100 mila euro, e in non pochi casi addirittura inferiore a 20–30 mila euro (appena sufficiente a coprire costi di base). Questo significa che molti spin-off operano più come estensioni progettuali dei laboratori universitari o come entità semi-artigianali, piuttosto che come startup destinate a rapida espansione. I settori scientifici di provenienza influenzano tali performance: ricerche empiriche mostrano che spin-off in ambito biomedico o ingegneristico generano in media più occupazione, brevetti e ricavi rispetto a quelli in ambito umanistico, ma in generale la crescita dimensionale rimane difficoltosa per tutte le categorie.
In termini di occupazione, il contributo complessivo degli spin-off è limitato ma non trascurabile, concentrato in forza lavoro altamente qualificata. Poiché tipicamente ogni spin-off impiega pochi addetti, il totale nazionale di posti di lavoro diretti creati da queste imprese è dell’ordine di alcune migliaia (stima: 6.000–8.000 addetti considerando ~2.000 spin-off, con una media di 3–4 addetti ciascuno). Va notato però l’eterogeneità: poche imprese crescono fino a decine di dipendenti, mentre la maggioranza rimane sotto i 5 dipendenti (spesso con organico coincidente con i soci fondatori). Ad esempio, in Friuli Venezia Giulia nel 2017 si contavano 168 dipendenti complessivi nelle spin-off regionali, di cui oltre il 60% concentrati nelle sole 5 imprese maggiori. In quella regione, la spin-off più grande (ES.TEC.O. srl, operante in consulenza ambientale) arrivava a 65 dipendenti, mentre molte altre avevano uno o due addetti. Questo pattern si ripete a livello nazionale: esistono casi di successo che trainano occupazione (società che hanno assunto decine di ricercatori, tecnici e personale manageriale), ma accanto a essi vi è una lunga coda di micro-imprese a conduzione quasi familiare. Pertanto l’impatto occupazionale, pur importante per l’alta specializzazione delle competenze coinvolte, resta circoscritto rispetto al totale del mercato del lavoro.
Per quanto riguarda la capacità di finanziamento e scalabilità, gli spin-off italiani incontrano sfide significative. L’accesso al capitale di rischio privato è tradizionalmente limitato: il venture capital nazionale è di dimensioni ridotte e orientato solo di recente verso il tech trasfer, con forte prevalenza di investitori pubblici o agevolati. Come sottolineato dagli operatori del settore, in Italia manca spesso uno strato di investitori specializzati in fase di crescita (scale-up); di conseguenza, quando una start-up accademica inizia a maturare è frequente l’ingresso di fondi esteri che capitalizzano sulle innovazioni prodotte localmente. Questo implica che il controllo e i benefici industriali rischiano di spostarsi fuori dal paese nella fase di espansione. Diversi spin-off hanno finanziato le prime fasi tramite grant pubblici (es. fondi ministeriali PRIN, PON, proof-of-concept universitari, bandi regionali) e programmi di incubazione. Alcuni hanno beneficiato dello status di “startup innovativa” con relativi incentivi. Tuttavia, round di investimento consistenti (Serie A o oltre) rimangono relativamente rari: si contano sulle dita di una mano i casi di spin-off universitari che hanno raccolto capitali privati superiori a qualche milione di euro.
Un indicatore indiretto è fornito dalle exit di maggior successo: ad oggi, solo pochi spin-off accademici italiani hanno raggiunto valorizzazioni importanti attraverso acquisizioni da parte di multinazionali o quotazioni. Un esempio emblematico è EOS Srl (Ethical Oncology Science), spin-off dell’Istituto Europeo di Oncologia, che sviluppava farmaci antitumorali: nel 2013 è stata acquisita dall’americana Clovis Oncology per circa 420 milioni di dollari, segnando una delle exit biotech più rilevanti in Europa. Analogamente, Genenta Science (spin-off dell’Ospedale San Raffaele nel campo della terapia genica) si è quotata al Nasdaq nel 2021 raccogliendo 36 milioni $ – un caso quasi unico di IPO di uno spin-off italiano su un mercato internazionale.
Queste storie di successo, seppur isolate, dimostrano il potenziale di scala delle migliori iniziative. In generale però, la “curva di crescita” degli spin-off italiani è lenta: dopo 5 anni dalla fondazione, molte imprese rimangono piccole o in uno stadio di sviluppo tecnologico (TRL intermedio) senza aver ancora raggiunto piena commercializzazione. Alcuni studi rilevano che l’anomala alta sopravvivenza (molte spin-off restano attive per oltre 8-10 anni) è spiegabile proprio dal fatto che, protette da legami accademici e sostegni pubblici, esse non affrontano subito le pressioni del mercato – il che evita fallimenti precoci ma al contempo rallenta l’emergere di aziende di spicco realmente competitive.
In termini di brevetti e innovazione, gli spin-off sono comunque attori vivaci: molte di queste imprese detengono brevetti universitari in licenza o depositano nuova proprietà intellettuale. Spesso fungono da veicolo per portare sul mercato invenzioni accademiche che altrimenti resterebbero nei cassetti. Si stima che il contributo della ricerca pubblica allo sviluppo di tecnologie emergenti sia notevole. Ad esempio, in campo oncologico l’Italia si posiziona 6ª in Europa per famiglie di brevetti e startup legate alle tecnologie contro il cancro, contando 80 nuove imprese nel settore – ben sopra la media UE. Quasi la metà di queste startup sono in fase iniziale, segno di un ecosistema in fermento e con prospettive future. Dati come questo (dallo studio EPO 2022) indicano che, nonostante le difficoltà, il tessuto di spin-off e startup hi-tech italiane sta contribuendo a collocare il paese tra i protagonisti europei in nicchie di innovazione. Resta però la sfida di trasformare più spesso queste promettenti iniziative in aziende consolidate di medie dimensioni, capaci di generare reddito, occupazione e competere su scala globale.
Spin-off Accademici in Italia: Panoramica e Analisi Settoriale
Panoramica Generale sugli Spin-off Accademici Italiani
Gli spin-off accademici sono imprese fondate per portare sul mercato i risultati della ricerca pubblica, tipicamente con il coinvolgimento diretto di ricercatori o professori universitari. Secondo la definizione Netval, si tratta di imprese high-tech costituite da almeno un docente/ricercatore (o un dottorando/assegnista) che abbia svolto ricerca pluriennale sul tema alla base dell’azienda. Gli spin-off svolgono un ruolo chiave nella valorizzazione della ricerca – la cosiddetta Terza Missione degli atenei – trasformando conoscenza scientifica in innovazione commerciale. In questo modo fungono da ponte tra università e industria, favorendo il trasferimento tecnologico e contribuendo alla crescita economica.
In Italia, come si accennava, il fenomeno è cresciuto notevolmente negli ultimi vent’anni. Ad oggi si contano circa 1.700 spin-off della ricerca pubblica attivi sul territorio nazionale. Ogni anno nascono in media circa 120 nuovi spin-off accademici, con un picco storico di oltre 160 nuove imprese in un anno verso la fine degli anni 2010. Queste aziende innovative, spesso di piccola o media dimensione, generano proprietà intellettuale (brevetti) e creano occupazione altamente qualificata. I dati mostrano che già nel 2018 gli spin-off italiani avevano ottenuto complessivamente centinaia di brevetti (oltre 600 in quell’anno) e realizzato milioni di euro di ricavi, sebbene con forti differenze tra atenei. La presenza di oltre 60 uffici di trasferimento tecnologico (TTO) nelle università e centri di ricerca italiani – quasi tutti istituiti negli ultimi 20 anni – testimonia l’attenzione crescente verso questo strumento di innovazione. Gli spin-off accademici, oltre a generare impatto economico diretto, offrono nuove opportunità di carriera ai giovani ricercatori e contribuiscono a mitigare la fuga di cervelli, creando sbocchi professionali alternativi alla carriera accademica tradizionale.
Dal punto di vista economico, l’insieme degli spin-off rappresenta un volano per lo sviluppo locale e nazionale: essi trasferiscono tecnologie avanzate al tessuto produttivo, attraggono investimenti (anche esteri) e alimentano nuovi settori industriali. Tuttavia, il loro impatto è ancora limitato rispetto ad altri Paesi leader: spesso gli spin-off italiani rimangono di piccole dimensioni e faticano a crescere. Solo una manciata di atenei e enti di ricerca genera la metà dei risultati (brevetti, spin-off, licenze) dell’intero sistema, mentre le restanti decine di strutture contribuiscono per l’altro 50%. Ciò indica un sistema a “doppia velocità”, con centri di eccellenza molto produttivi e altri in ritardo, e suggerisce la necessità di diffondere più ampiamente le best practice di trasferimento tecnologico. In generale, comunque, gli spin-off sono ormai riconosciuti come attori fondamentali per convertire la spesa in R&S in innovazione concreta: come sottolinea Netval, la collaborazione tra università, enti pubblici di ricerca e imprese è cruciale per massimizzare l’impatto innovativo ed economico di queste iniziative.
Analisi per Settore
Gli spin-off accademici italiani coprono una vasta gamma di settori tecnologici, riflettendo le aree di eccellenza della ricerca nazionale. Storicamente, i settori con il maggior numero di spin-off sono quelli ICT/digitali, i servizi innovativi e le life sciences, seguiti da energia e ambiente. Negli ultimi anni stanno emergendo con forza anche le aree di deep-tech, l’agritech/foodtech e la space economy, spesso con soluzioni altamente specializzate. Di seguito un’analisi approfondita per ciascun settore, con esempi di spin-off di successo.
Deep-tech (Robotica, Fotonica, Microelettronica, AI avanzata, Quantum)
Il settore deep-tech comprende quelle tecnologie complesse e fortemente scientifiche – dalla robotica alla fotonica, dalla micro/nanoelettronica all’intelligenza artificiale (AI) di frontiera e alla crittografia quantistica – in cui gli spin-off accademici trovano terreno fertile. In Italia molte di queste imprese nascono da poli universitari tecnico-scientifici e centri di ricerca di eccellenza. Ad esempio, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova hanno dato vita a spin-off di robotica noti a livello internazionale (es. esoscheletri indossabili, robot chirurgici, sistemi di neuroprotesi) spesso in partnership con grandi aziende. Nel campo dell’intelligenza artificiale avanzata, si segnalano spin-off come Henesis (Università di Parma), che sviluppa sistemi di AI industriale, distintasi anche all’estero. Nella fotonica e microelettronica, gli spin-off accademici italiani lavorano su sensori ottici, laser innovativi e chip specializzati: ad esempio Silicon Biosystems, nata dall’Università di Bologna, ha sviluppato un microchip per isolare cellule tumorali rare ed è stata acquisita da una multinazionale farmaceutica (Menarini), segno del valore della tecnologia sviluppata. Anche nel nascente campo della quantum technology, iniziano a vedersi iniziative imprenditoriali: laboratori universitari e del CNR hanno generato spin-off focalizzati su crittografia quantistica e computazione quantistica (come ThinkQuantum a Padova o QTI a Torino) per portare sul mercato sistemi di comunicazione ultra-sicuri basati su principi quantistici.
Trattandosi di tecnologie molto complesse, le imprese deep-tech richiedono tempi di R&S più lunghi e capitali ingenti, ma possono generare innovazioni radicali. Un caso emblematico di successo è D-Orbit, azienda specializzata in sistemi di decommissioning satellitare e logistica spaziale: fondata nel 2011 anche grazie al background accademico dei suoi creatori, oggi è considerata “uno dei simboli più rinomati della nuova industria spaziale italiana”1, con all’attivo oltre una dozzina di missioni orbitali commerciali. Queste storie dimostrano che gli spin-off deep-tech, se ben supportati, possono competere su scala globale in nicchie altamente tecnologiche.
Biotecnologie e Scienze della Vita (Farmaci, Diagnostica, Bioingegneria, Medicina Rigenerativa)
Le biotecnologie e life sciences rappresentano uno dei settori più prolifici per gli spin-off accademici in Italia. Molte innovazioni generate nei laboratori di biologia molecolare, medicina e bioingegneria trovano sbocco imprenditoriale attraverso spin-off dedicati a nuovi farmaci, terapie avanzate, dispositivi medici e tecnologie per la salute. Ad esempio, Sibylla Biotech, nata dal lavoro congiunto di ricercatori delle Università di Trento, Perugia e INFN, ha sviluppato una piattaforma computazionale per scoprire farmaci innovativi mirati al ripiegamento proteico: dopo la fondazione (2017) ha raccolto investimenti da venture capital e siglato accordi di R&D con una multinazionale farmaceutica, arrivando tra i finalisti del prestigioso Nature Spinoff Prize.
Nel campo della medicina rigenerativa e dei biomateriali, uno spin-off di rilievo è GreenBone Ortho (spin-off ISTEC-CNR Faenza), che ha sviluppato un osso artificiale rigenerativo derivato dal legno – tecnologia premiata e ora in trial clinico internazionale. Anche la diagnostica avanzata vede diversi spin-off italiani affermati: per esempio, Era Endoscopy (spin-off università toscane) ha brevettato un sistema per colonscopie indolori e minimamente invasive, riscuotendo interesse all’estero. Nel settore bioingegneria/healthtech, la Scuola Sant’Anna di Pisa ha originato spin-off come SensArs (neuroprotesi sensoriali contro il dolore neuropatico) che integrano elettronica e neuroscienze. Molti di questi spin-off life science hanno ottenuto risultati significativi: Philogen (Siena), focalizzata su biofarmaci anticancro, è cresciuta fino alla quotazione in borsa; Genenta Science (Milano, spin-off Ospedale San Raffaele) ha sviluppato una terapia genica per il cancro ed è sbarcata al Nasdaq.
Va notato che il settore life science è particolarmente complesso: lo sviluppo di farmaci e dispositivi richiede iter regolatori stringenti (es. studi preclinici/clinici, approvazioni CE/FDA) e capitali elevati. Spesso gli spin-off biotecnologici adottano strategie di collaborazione con big pharma o di licensing: ad esempio, Molecular Medicine (MolMed) nata a Milano ha portato terapie geniche fino alla fase clinica per poi essere acquisita da un gruppo farmaceutico. Nonostante le sfide, le biotec accademiche italiane continuano a moltiplicarsi, spinte anche dalla qualità della ricerca medica nazionale e dal supporto di incubatori specializzati come la Fondazione Toscana Life Sciences di Siena (che ospita decine di start-up e spin-off nel campo pharma/diagnostica ).
ICT e Digitale (Intelligenza Artificiale, Blockchain, Cybersecurity, Fintech)
Il settore ICT e digitale è storicamente il bacino più ampio di spin-off accademici in Italia. Circa un terzo degli spin-off nazionali opera in ambito ICT in senso lato: questo include sviluppo software, intelligenza artificiale applicata, soluzioni di blockchain, cybersicurezza, Internet of Things, big data e servizi digitali innovativi. La relativa facilità di avvio (bassi costi infrastrutturali rispetto ad altri settori) e la pervasività delle competenze informatiche negli atenei hanno favorito la nascita di numerose start-up digitali da ricerca. Ad esempio, nel campo dell’AI applicata ai servizi finanziari (fintech), ha avuto successo modeFinance (spin-off Università di Trieste), che ha sviluppato algoritmi per la valutazione automatica del rischio di credito divenendo la prima agency fintech riconosciuta in Europa. In ambito blockchain, si annoverano spin-off come Foodchain (Trentino), che applica la blockchain alla tracciabilità alimentare, e Commerc.io (Università di Cagliari) focalizzata su soluzioni blockchain per documenti digitali sicuri. La cybersecurity vede spin-off quali Talos (Politecnico di Torino) specializzata in sistemi di intrusion detection nati da ricerca accademica sulle reti. Non mancano esempi di imprese digitali accademiche diventate partner di grandi gruppi: Noovle, startup del Politecnico di Milano nel cloud computing, è stata acquisita da TIM per potenziare l’offerta cloud della telco.
Molti spin-off ICT adottano modelli di business B2B, fornendo software o servizi tecnologici ad altre imprese (es. piattaforme AI per aziende manifatturiere, sistemi di data analytics per banche, ecc.). Questo consente loro di generare ricavi tramite contratti di licenza o consulenza fin dalle prime fasi. Va citato inoltre il contributo di spin-off universitari nel settore digital health (salute digitale): ad esempio Imaginalis (spin-off Università di Pisa) sviluppa software avanzati per imaging diagnostico ed è entrata nell’orbita di un gruppo internazionale. In generale, le startup digitali nate dall’università beneficiano dell’elevata competenza tecnico-scientifica dei fondatori, ma devono competere in un mercato globale molto rapido: la scalabilità è spesso la sfida principale, e molte restano piccole se non supportate adeguatamente. Ciononostante, l’ICT accademico italiano ha espresso eccellenze riconosciute: XTensa (Università di Trento) ha creato sistemi di comunicazione oculare per disabili visivi apprezzati a livello internazionale; NeuroScope (Sapienza Roma) ha realizzato algoritmi di visione artificiale poi adottati nell’industria automobilistica. Tali risultati confermano che il trasferimento di conoscenza dall’informatica accademica può produrre imprese innovative capaci di incidere sul mercato digitale.
Energia, Ambiente e Materiali Avanzati (Rinnovabili, Sostenibilità, Economia Circolare)
Nel settore dell’energia e ambiente, spesso intrecciato con quello dei materiali avanzati, gli spin-off accademici italiani sviluppano soluzioni per la sostenibilità, la transizione ecologica e l’economia circolare. Circa il 18% degli spin-off censiti a metà degli anni 2010 operava in energie rinnovabili, cleantech o tecnologie ambientali, percentuale cresciuta con l’urgenza della green economy. Un esempio di successo è Bettery (Università di Bologna), spin-off fondato nel 2018 da una ricercatrice di chimica, che sta sviluppando una batteria ricaricabile innovativa al litio-ossigeno con elettrolita semisolido: questa tecnologia di energy storage avanzato potrebbe rivoluzionare lo stoccaggio di energie rinnovabili, e l’azienda ha già attirato l’attenzione di partner industriali nel contesto di un’iniziativa accademico-industriale su batterie a Ravenna. Sempre sul fronte accumulo energetico, uno spin-off del Politecnico di Torino ha sviluppato Energy Dome, un sistema di accumulo di CO₂ per impianti solari ed eolici, ottenendo finanziamenti significativi.
In ambito energie rinnovabili, numerosi spin-off accademici hanno introdotto miglioramenti: Windcity (Padova) ha ideato micro-turbine eoliche adattive per venti variabili; Glass to Power (Università Milano-Bicocca) produce pannelli fotovoltaici trasparenti per finestre basati su nanomateriali luminescenti. Nel settore ambiente, citiamo ResourSEAs (Università di Palermo), che ha brevettato un impianto integrato per estrarre acqua potabile, sali e minerali dall’acqua di mare con zero sprechi: la società sta testando la tecnologia in collaborazione con saline industriali in Sicilia, unendo innovazione e risorse locali.
Altre iniziative riguardano il trattamento dei rifiuti e il riciclo: p.es. Smart Bug (spin-off ENEA) utilizza insetti per biodegradare plastiche, GreenIndus (Politecnico di Milano) ha creato un reattore al plasma per convertire scarti organici in gas riutilizzabili (economia circolare). Gli advanced materials costituiscono un ulteriore filone: dall’elettronica stampabile ai materiali nanostrutturati. Ad esempio BeDimensional, spin-off dell’IIT, sviluppa materiali bidimensionali come il grafene per applicazioni industriali e ha ricevuto investimenti da gruppi industriali tradizionali interessati a queste tecnologie di frontiera. Questi spin-off spesso collaborano con i centri di ricerca originali per proseguire lo sviluppo: emblematico è il Joint Lab OPERA avviato nel 2024 tra il Politecnico di Milano (laboratorio SPLab) e la già citata D-Orbit, dedicato a nuovi propulsori spaziali “green”. Tale laboratorio congiunto mira a combinare “le metodologie accademiche con la visione applicativa dell’industria”, creando un team misto università-impresa, ed è supportato da fondi pubblici (MUR, progetto PNRR) a conferma dell’importanza data a queste partnership. In sintesi, gli spin-off nell’energia e nei materiali puntano a innovazioni radicali per la sostenibilità; pur affrontando cicli di sviluppo lunghi e necessità di impianti pilota costosi, alcuni hanno ottenuto risultati notevoli in ambito sia nazionale che internazionale, contribuendo all’affermazione di una green economy made in Italy.
Agritech e Foodtech (Agricoltura Innovativa, Sicurezza Alimentare, Biomateriali per il Food)
Anche il settore agritech e foodtech sta conoscendo uno sviluppo crescente di spin-off accademici in Italia, spinto dalla necessità di innovare l’agricoltura, garantire la sicurezza alimentare e sfruttare nuove bio-risorse. Queste startup combinano spesso competenze di biologia, ingegneria agraria e digitalizzazione. Ad esempio, AgriNewTech (Università di Bari) ha sviluppato bio-pesticidi e biofertilizzanti ecocompatibili derivati da microrganismi, ottenendo riconoscimenti per l’impatto sull’agricoltura sostenibile. Sul fronte precision farming, Evja (spin-off CNR Napoli) propone una piattaforma IoT con sensori in campo e algoritmi predittivi che aiutano gli agricoltori a ottimizzare irrigazione e trattamenti, riducendo sprechi e migliorando le rese. In ambito foodtech, molti spin-off lavorano su qualità e sicurezza alimentare: p.es. NiPS Lab (Università di Perugia) ha dato vita a un’azienda che produce etichette sensorizzate per monitorare la catena del freddo nei trasporti alimentari; Microsensor (Università di Torino) sviluppa kit portatili per l’analisi rapida di contaminanti nel cibo.
Un trend interessante è l’uso di tecnologie spaziali e avanzate per l’agricoltura: Nabu (Politecnico di Torino) ad esempio integra dati da satellite e IoT per migliorare la gestione idrica nei sistemi di irrigazione agricoli, affrontando il problema globale della scarsità d’acqua. Dall’altro lato, troviamo spin-off che portano l’agricoltura fuori dalla Terra: SPACE V (Università di Genova) è una startup innovativa – riconosciuta spin-off UniGe nel 2021 – che sta progettando una serra verticale adattiva per coltivare cibo nello spazio, massimizzando l’uso di risorse limitate come volume ed energia. Questo progetto, originato da un dipartimento di ingegneria, vede anche la partecipazione di un docente universitario come socio ed esplora soluzioni per il supporto alla vita degli astronauti, con possibili ricadute per l’agricoltura in ambienti estremi sulla Terra2.
In ambito di nuovi biomateriali alimentari, alcuni spin-off stanno sperimentando ingredienti innovativi: ad esempio proteine alternative da insetti, microalghe o scarti agricoli trasformati in bioplastiche per packaging alimentare biodegradabile. BEST (Università di Genova) ha sviluppato un prodotto agricolo simbiotico in formulazione liquida per migliorare la salute delle colture, vincendo premi nazionali nel 2019 per l’innovazione in agricoltura. Queste iniziative mostrano come dal mondo della ricerca agraria e biotecnologica italiana stiano nascendo soluzioni originali per un’agricoltura più produttiva e al tempo stesso sostenibile. Sebbene il numero di spin-off agrifood sia ancora inferiore rispetto ad altri settori high-tech, il potenziale di impatto è enorme, vista l’importanza del settore agroalimentare nel Paese. Non a caso, anche investitori e programmi di incubazione pubblici (come l’ESA BIC per tecnologie spaziali agricole a Torino) stanno supportando queste startup con finanziamenti seed e mentorship specializzate3.
Space Economy (Microsatelliti, Propulsione Spaziale, Sensoristica Aerospaziale)
La space economy italiana ha radici importanti nella ricerca accademica e negli ultimi anni vede un fiorire di spin-off e startup che sfruttano competenze maturate in ambito spaziale. Università e centri come il Politecnico di Milano, di Torino, l’Università di Roma Sapienza e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) hanno promosso la nascita di imprese innovative nel settore aerospaziale. Un caso esemplare è nuovamente D-Orbit: nata come spin-off nel settore dei microsatelliti e servizi di fine vita orbitale, oggi è una scaleup internazionale leader nella logistica spaziale con sedi anche all’estero4. La sua evoluzione – da progetto di ricerca a azienda con decine di missioni commerciali di trasporto orbitale – evidenzia le potenzialità degli spin-off spaziali ben supportati.
Nel comparto microsatelliti e payload innovativi, diversi spin-off accademici si sono affermati: Tyvak International a Torino (poi acquisita da Terran Orbital) ha realizzato cubesat all’avanguardia anche grazie a collaborazioni con Polito; Leaf Space (Polimi) fornisce servizi di telecomunicazione per piccoli satelliti mediante una rete di ground station globali. Sul fronte della propulsione spaziale, oltre a D-Orbit, vi sono spin-off come Avantune (Università di Padova) che lavora a propulsori elettrici per nanosatelliti, o progetti congiunti università-impresa come il citato laboratorio OPERA tra Polimi e D-Orbit, finanziato dal MUR, focalizzato su propulsori a basso impatto ambientale per voli spaziali sostenibili. Anche la sensoristica aerospaziale e le tecnologie per l’osservazione della Terra trovano spazio: Survey Lab (La Sapienza) è nata per commercializzare sensori Lidar sviluppati in ambito accademico per mappature 3D ad alta precisione; SpacEarth Technology (spin-off INGV) offre servizi di monitoraggio geofisico via satellite per clienti industriali e istituzionali5.
Un altro filone è l’utilizzo di competenze spaziali in applicazioni “terrestri”: ad esempio, Evolunar (Politecnico di Torino) è uno spin-off incubato da ESA BIC che sviluppa droni autonomi per l’esplorazione lunare, con possibili ricadute nei droni terrestri in ambienti ostili. La presenza in Italia di incubatori specializzati come ESA BIC Turin e programmi ASI di trasferimento tecnologico ha dato ulteriore slancio alla space economy emergente. Questi spin-off operano in un settore ad alto contenuto di capitale e know-how, spesso integrandosi in filiere globali: non di rado stringono partnership con grandi player aerospaziali (ad es. Argotec a Torino collabora con l’ESA per payload su stazione spaziale) o partecipano a missioni internazionali fornendo sottosistemi innovativi. Il sostegno pubblico è anch’esso rilevante: attraverso il PNRR l’Italia sta investendo in nuovi ecosistemi spaziali e incubatori, riconoscendo che gli spin-off accademici potranno contribuire a mantenere il Paese al vertice dell’industria aerospaziale europea (dove già oggi occupa il 4º posto per fatturato del settore)6. In sintesi, la space economy accademica italiana, pur numericamente di nicchia, sta producendo start-up altamente specializzate che giocano un ruolo significativo in mercati globali, dai lanciatori alla colonizzazione lunare, e beneficiano di una rete di supporto in crescita.
Modelli di Business e Strategie di Crescita degli Spin-off
Gli spin-off accademici adottano modelli di business diversificati in base al settore e al tipo di tecnologia, scegliendo strategie di crescita adatte alle loro risorse e al mercato di riferimento. Una caratteristica comune è la prevalenza di modelli B2B (business-to-business): molte di queste imprese forniscono prodotti o servizi tecnologici ad altre aziende o enti, piuttosto che al consumatore finale. Ciò avviene perché spesso le tecnologie accademiche sono molto specializzate (strumentazione scientifica, software enterprise, componenti industriali) e trovano sbocco naturale presso aziende consolidate che le integrano nei propri processi. Ad esempio, diversi spin-off biotech o farmaceutici non vendono direttamente farmaci al pubblico, ma stringono accordi con big pharma per co-sviluppare o cedere licenze sui loro candidati farmaci: la licenza di una molecola a una multinazionale permette allo spin-off di incassare upfront e milestone senza dover gestire interamente costose fasi cliniche. Questo modello di licensing è frequente anche in settori come i materiali (spin-off che concedono brevetti su nuovi polimeri a imprese chimiche) o l’elettronica (licenza di design di chip a produttori maggiori).
Altri spin-off puntano invece sulla vendita diretta di prodotti innovativi, costruendo una propria presenza sul mercato finale. Ciò avviene soprattutto quando l’impresa può realizzare un prodotto finito relativamente “snello”: ad esempio, spin-off nel campo dei dispositivi medici vendono direttamente alle strutture sanitarie apparecchiature specialistiche (come macchinari diagnostici o protesi brevettate), spesso tramite una propria forza vendita o distributori. In campo digitale, alcuni spin-off sviluppano servizi online o piattaforme software e li commercializzano in autonomia via web o modello Software-as-a-Service. Tuttavia, anche in questi casi, non di rado il cliente è comunque un’organizzazione (ospedali, aziende agricole, banche, ecc.), confermando l’orientamento B2B.
Una leva fondamentale di crescita è la collaborazione con grandi aziende. Molti spin-off adottano strategie di partnership strategiche: ciò può significare joint venture, contratti di co-sviluppo o fornitura, fino all’acquisizione da parte del partner più grande. Un esempio citato è quello di Sibylla Biotech, che dopo la fondazione ha stretto un accordo di ricerca con una multinazionale farmaceutica interessata alla sua tecnologia. Analogamente, IUVO (spin-off Sant’Anna Pisa nel campo esoscheletri) ha siglato una joint partnership con Comau (gruppo FCA) per sviluppare insieme esoscheletri per il lavoro industriale. Queste collaborazioni offrono allo spin-off risorse finanziarie, accesso al mercato globale e competenze di industrializzazione, accelerando la crescita che altrimenti sarebbe lenta. Dal lato opposto, le grandi aziende ottengono accesso agile a innovazioni di frontiera generate dall’università. Non a caso, numerose storie di successo culminano con l’acquisizione dello spin-off da parte di un big player: è il caso di ModeFinance, acquisita in maggioranza da Teamsystem nel fintech, o di EryDel (spin-off Università di Urbino con un device per terapie nei globuli rossi) acquisita da un gruppo farmaceutico internazionale.
Un’altra strategia di crescita diffusa è l’internazionalizzazione precoce. Dato che il mercato italiano spesso non è sufficiente per sostenere scale-up ambiziosi, molti spin-off cercano da subito clienti o partner all’estero, partecipano a fiere internazionali e aprono sedi in hub esteri (es. Silicon Valley, Londra, ecc.). La presenza di team con background accademico internazionale aiuta in questo senso: spesso i fondatori mantengono network di relazioni di ricerca globali che possono tradursi in opportunità di business oltreconfine.
Dal punto di vista organizzativo, una chiave del successo commerciale è saper combinare competenze tecniche e manageriali. Nella fase iniziale molti spin-off sono guidati da scienziati, ma per crescere devono integrare figure di business. Creare un team eterogeneo è “altrettanto importante” quanto la tecnologia, nota Andrea Cipollina (ResourSEAs), che per le decisioni aziendali cruciali si avvale di un consulente con esperienza imprenditoriale7. La prof.ssa Soavi di Bettery racconta di aver dovuto “cambiare completamente mentalità” passando da ricercatrice a imprenditrice, imparando a comunicare con investitori e manager – un pubblico ben diverso da quello accademico8. Questi aspetti soft (marketing, storytelling verso investitori, gestione del team) sono spesso inizialmente sottovalutati in ambito accademico, ma si rivelano decisivi per portare lo spin-off fuori dalla valle della morte e imboccare un sentiero di crescita sostenibile.
In sintesi, i modelli di business degli spin-off oscillano su un continuum: da chi rimane vicino all’università trasferendo know-how tramite consulenza o licenze, a chi si struttura come startup “full stack” che sviluppa, produce e vende direttamente. Le strategie vincenti vedono comunque spesso una contaminazione: partnership industriali, focus su mercati di nicchia globali, attrazione di competenze imprenditoriali e adattabilità del modello di business in base all’evoluzione dell’azienda e del contesto competitivo.
Strategie di Finanziamento
Il reperimento di finanziamenti adeguati è una sfida cruciale per gli spin-off accademici italiani, i quali tipicamente non dispongono di grandi capitali iniziali e operano in settori rischiosi. Fortunatamente, negli ultimi anni lo scenario è migliorato grazie a nuovi strumenti sia pubblici sia privati. In fase iniziale, molte di queste startup si avvalgono di fondi pubblici e grant: bandi ministeriali (MUR, MISE), finanziamenti europei (es. programmi Horizon Europe, ERC Proof of Concept) e fondi regionali per l’innovazione. Ad esempio, numerosi spin-off sono stati sostenuti dal programma Smart&Start Italia di Invitalia, che eroga finanziamenti agevolati a startup innovative, o dai fondi PON Research and Innovation destinati al Mezzogiorno. Anche premi e competizioni (Start Cup regionali, Premio Nazionale Innovazione – PNI) forniscono capitale seed e visibilità alle migliori idee di impresa accademiche.
Tuttavia, il venture capital tradizionale è spesso stato restio a investire negli spin-off universitari italiani, specie nelle fasi pre-seed e seed. Secondo Silvestro Micera (Sant’Anna Pisa), è proprio il finanziamento iniziale a mancare: “Anche 100.000 o 200.000 euro sarebbero sufficienti per poi attrarre investimenti più grandi, ma questo passaggio manca in Italia”. Ciò ha storicamente limitato la capacità di sviluppo di molte imprese, costrette ad autofinanziarsi a lungo o a dipendere da piccoli investimenti di angel investor. Fortunatamente “alcune cose stanno cambiando” – nota Micera – e di recente sono nati fondi di VC focalizzati sul trasferimento tecnologico. In particolare, CDP Venture Capital (braccio di Cassa Depositi e Prestiti) ha lanciato dal 2020 vari fondi e programmi dedicati al seed tech (ad es. il Fondo Technology Transfer) investendo direttamente in spin-off promettenti, spesso co-investendo con venture privati. Parallelamente sono emersi nuovi operatori specializzati: ad esempio il fondo Vertis Venture (Napoli) ha finanziato spin-off deep-tech come Sibylla Biotech; Pariter Partners si concentra su robotica e AI; Progress Tech Transfer è un veicolo partito nel 2019 specificamente per risultati di ricerca (in collaborazione con il FEI europeo). Questi attori stanno portando capitali freschi nelle università – “cose che solo tre anni fa non avrei mai sognato”, commenta Micera9.
Accanto al VC, un’altra fonte importante sono le corporate venture e partnership industriali con investimento. Grandi imprese italiane ed europee hanno creato propri fondi o programmi di open innovation per sostenere startup strategiche. Ad esempio, Leonardo e Thales Alenia Space investono in spin-off spaziali, Eni ha incubatori per startup energy cleantech, gruppi farmaceutici come Zambon e Angelini hanno lanciato venture arm nel life science che coinvestono in spin-off biotech. Anche banche e assicurazioni (Intesa Sanpaolo, UnipolSai) dedicano fondi a startup digitali e fintech, categorie in cui rientrano diversi spin-off universitari. Tali investimenti corporate possono assumere la forma di partecipazione azionaria minoritaria, partnership con milestone finanziarie o acquisizioni graduali.
Non va trascurato il ruolo dei fondi europei strutturali e di sviluppo: varie regioni italiane (Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, ecc.) utilizzano fondi POR FESR per cofinanziare progetti di spin-off o incubatori, erogando voucher e contributi a fondo perduto per prototipi, brevetti e consulenze specialistiche. Ad esempio, nell’ambito del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sono stati stanziati fondi per Ecosistemi dell’Innovazione e per i Centri Nazionali che includono misure di sostegno ad attività di creazione d’impresa dalla ricerca (finanziando progetti di proof-of-concept e accelerazione).
Infine, va citata la finanza agevolata e fiscale: lo status di Startup Innovativa (introdotto dal DL 179/2012) di cui quasi tutti gli spin-off accademici godono, porta benefici come crediti d’imposta R&D, incubazione gratuita in camera di commercio, esenzione da alcuni oneri e – non ultimo – incentivi fiscali per gli investitori (detrazioni IRPEF del 30-50% per chi investe in equity di startup innovative). Queste misure hanno attratto business angel e investitori privati verso le nuove società tecnologiche. In sintesi, le strategie di finanziamento degli spin-off oggi combinano grant pubblici iniziali, capitali privati (VC, corporate) in crescita e agevolazioni normative. Ciò sta creando un percorso più strutturato che va dall’idea al mercato: dove prima c’era un gap (“valle della morte”), ora si intravedono ponti finanziari che, pur ancora perfettibili, aiutano più spin-off a superare le fasi critiche e a crescere fino alla maturità commerciale.
Partnership Industriali e Collaborazioni Pubblico-Private
Le partnership tra spin-off, grandi imprese e enti pubblici rappresentano un elemento vitale per l’ecosistema degli spin-off accademici italiani. Fin dalla fase di avvio, molti spin-off beneficiano di collaborazioni con l’ente di ricerca di origine e con aziende interessate alla tecnologia sviluppata. Queste sinergie apportano vantaggi reciproci: lo spin-off accede a risorse, competenze applicative e mercati, mentre l’impresa consolidata o l’ente pubblico può sfruttare innovazioni all’avanguardia e know-how scientifico.
Una forma comune di collaborazione è quella tra spin-off e aziende industriali tramite progetti congiunti di R&S, contratti di fornitura o co-sviluppo prodotto. Spesso i contatti nascono informalmente (come nel caso di Sibylla Biotech, introdotta a un manager farmaceutico tramite un conoscente, da cui scaturì l’interesse aziendale per la sua tecnologia (Gli scogli tra scoperta e mercato - Netval | Netval - Network per la valorizzazione della Ricerca)) e sfociano poi in accordi formali. Non mancano i casi di successo in cui una partnership iniziale evolve in investimento o acquisizione, segno dell’allineamento di interessi: ad esempio, Wise Srl (spin-off Politecnico di Milano che produce elettrodi innovativi per neurostimolazione) ha collaborato con un grosso produttore di dispositivi medicali per testare i suoi elettrodi, ricevendo poi investimento da tale partner per scalare la produzione.
Le collaborazioni pubblico-private includono anche progetti finanziati su larga scala. Molti spin-off continuano a cooperare con i gruppi di ricerca universitari in progetti europei (Horizon 2020/Europe) o nazionali, figurando come partner industriali. Andrea Cipollina di ResourSEAs, ad esempio, guida un progetto Horizon 2020 sulla dissalazione che include il suo spin-off tra i partner10 – un modello virtuoso in cui l’azienda derivata dalla ricerca e il laboratorio accademico continuano a interagire, ognuno con il proprio ruolo, per un obiettivo innovativo comune. Questo consente allo spin-off di restare aggiornato scientificamente e all’università di beneficiare di feedback di mercato. Anche a livello locale si vedono iniziative congiunte: in ambito sanitario, alcuni IRCCS hanno creato laboratori misti con i loro spin-off per sviluppare dispositivi medicali direttamente nei reparti ospedalieri.
Le università stesse spesso rimangono partner attivi degli spin-off: tipicamente l’ateneo detiene una quota azionaria minoritaria e siede in consigli tecnici, favorendo l’accesso a strutture (laboratori, attrezzature) e servizi. Questo rapporto va oltre la mera partecipazione societaria: molti spin-off hanno sede presso l’università o l’incubatore collegato, e continuano a usufruire di know-how dei professori (magari come consulenti scientifici). Ad esempio, la collaborazione tra Politecnico di Milano e D-Orbit si è ulteriormente consolidata nel Joint Lab OPERA, dove azienda e università lavorano fianco a fianco su nuove tecnologie spaziali, con benefici anche formativi per studenti e dottorandi coinvolti11. Tali modelli di open innovation evidenziano la maturazione dell’ecosistema: non più università e impresa separati, ma contaminazione continua a vantaggio di entrambe le parti.
Un altro aspetto delle partnership è la creazione di consorzi e network tematici. Alcuni spin-off partecipano a cluster tecnologici (es. Cluster Nazionale Scienze della Vita, Cluster Fabbrica Intelligente) insieme a grandi imprese e centri di ricerca, contribuendo a progetti pilota. I Poli di Innovazione regionali spesso includono spin-off tra le PMI innovative da supportare, facilitando incontri con imprese affermate del territorio.
Infine, non va dimenticato il ruolo delle istituzioni pubbliche come early adopter. In settori come la sanità, l’ambiente e l’agroalimentare, gli enti pubblici (ASL, ARPA, autorità varie) possono essere i primi clienti-sperimentatori delle soluzioni sviluppate da spin-off. Ad esempio, un’ARPA regionale può testare un sensore ambientale di uno spin-off, un ospedale pubblico può avviare una sperimentazione clinica di un dispositivo di uno spin-off medtech. Queste collaborazioni pubblico-private aiutano le startup a validare sul campo le innovazioni e a ottenere credibilità, oltre a rispondere alla mission pubblica di migliorare i servizi ai cittadini tramite nuove tecnologie.
In conclusione, le partnership – siano esse con multinazionali, PMI, università o enti pubblici – fungono da motore di crescita per gli spin-off accademici. Il rapporto sinergico tra ricerca pubblica e impresa privata viene spesso indicato come determinante per il successo: il XIX Rapporto Netval sottolinea proprio come tali collaborazioni favoriscano l’innovazione e contribuiscano significativamente alla crescita economica del Paese12. Continuare a rafforzare queste reti di cooperazione sarà essenziale per portare sempre più “scoperte dal laboratorio al mercato” superando gli ostacoli lungo il percorso.
Ruolo di Incubatori e Programmi di Accelerazione
Incubatori universitari e acceleratori specializzati svolgono un ruolo cruciale nel supportare gli spin-off accademici italiani, offrendo spazi fisici, mentorship, formazione imprenditoriale e accesso a reti di investitori e partner. Negli ultimi anni l’Italia ha visto consolidarsi una rete di incubatori di eccellenza, alcuni dei quali riconosciuti ai vertici mondiali. In particolare, PoliHub (Politecnico di Milano) e I3P (Politecnico di Torino) sono costantemente classificati tra i migliori incubatori universitari a livello globale: PoliHub è tra i top 5 al mondo nella categoria University Business Incubator, mentre I3P è risultato 1° al mondo tra gli incubatori pubblici nella classifica UBI Global 2019/2013. Queste strutture offrono programmi completi di incubazione per startup e spin-off deep-tech, con servizi di tutoring tecnologico e di business, e vantano tassi di successo elevati (I3P ad esempio ha incubato oltre 900 idee d’impresa dal 1999, di cui molte tuttora attive e alcune quotate).
Oltre a PoliHub e I3P, presso quasi tutti i principali atenei esiste un incubatore o un ufficio dedicato all’imprenditorialità. Ad esempio: Almacube a Bologna (consociato tra Università di Bologna e Confindustria locale) che segue spin-off sia STEM sia umanistici; l’Incubatore di Trento (Hit) che unisce Università di Trento, FBK e altri enti per sostenere nuove imprese hi-tech; il network romano con EnLabs/LVenture (legato a LUISS) specializzato in digitale; Campania NewSteel a Napoli (promosso da Università Federico II e Città della Scienza) focalizzato su startup innovative nel Sud; l’incubatore S co-op a Padova; ARCA a Palermo (Università di Palermo) per progetti ICT e green, e molti altri. Spesso questi incubatori sono parte dell’associazione PNICube, il network nazionale degli incubatori universitari, che organizza anche il Premio Nazionale Innovazione (PNI).
Un ambito di specializzazione importante è quello degli incubatori dedicati alle life sciences. Spicca la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) di Siena, un bio-incubatore che ospita decine di spin-off e startup biotech/medtech provenienti da varie università (Siena, Firenze, Pisa) e IRCCS. TLS offre laboratori all’avanguardia, supporto regolatorio e ha visto nascere successi come VisMederi (spin-off UNISI nei vaccini) ed Exosomics (spin-off su diagnostica exosomi, poi partecipata dal gruppo Bracco)14. Altri poli bio include il Bioindustry Park “Silvano Fumero” di Colleretto Giacosa (Piemonte), connesso all’Università di Torino, e acceleratori come BiovelocITA a Milano.
Nel campo spaziale, come accennato, l’ESA ha aperto in Italia incubatori (ESA BIC) a Torino e a Roma in collaborazione con Politecnici e ASI, fornendo programma di accelerazione specifico per space startup (50k€ grant iniziale, più tutoraggio tecnico da parte di ingegneri spaziali). Questo ha già portato all’incubazione di spin-off come Evolunar e altre 14 startup spaziali in soli due anni a Torino15.
Accanto agli incubatori, si sono diffusi programmi di accelerazione corporate o misti, spesso aperti anche a spin-off accademici. Ad esempio, Motorvehicle University of Emilia-Romagna (MUNER) lancia ogni anno acceleratori focalizzati su automotive tech (dove spin-off del settore meccatronica possono crescere); Eni tramite * Joule* accelera startup energy/cleantech; UniCredit StartLab offre percorsi per giovani imprese hi-tech con mentorship e accesso a investitori. Questi programmi, pur non nati specificamente per spin-off universitari, vedono spesso la partecipazione di startup provenienti dalla ricerca, integrando quindi l’azione degli incubatori accademici.
È importante notare che gli incubatori universitari fungono anche da hub di collegamento con l’esterno: organizzano incontri con venture capital, giornate di presentazione (demo day), workshop con manager esperti. Ciò aiuta a colmare il gap culturale di cui si diceva. Inoltre molti incubatori hanno accordi tra loro e con network internazionali, facilitando ad esempio la permanenza all’estero di spin-off per periodi di “incubazione internazionale”. PoliHub e I3P hanno collegamenti con incubatori in Silicon Valley e UK dove inviano periodicamente team meritevoli per esplorare mercati esteri.
In termini di risultati, il supporto degli incubatori accelera sensibilmente la crescita: statistiche di Netval indicano che gli spin-off passati per incubatori attivi registrano in media performance migliori (più brevetti, più addetti e maggior raccolta fondi) rispetto a quelli nati al di fuori. Un indicatore indiretto del loro impatto è anche la capacità di fundraising: I3P ha comunicato che le startup incubate hanno raccolto oltre 100 milioni di euro complessivi solo nel 2021, record storico16.
In conclusione, incubatori e acceleratori sono ormai parte integrante del percorso di sviluppo degli spin-off in Italia. La loro “mappatura” copre tutta la penisola, anche se con densità maggiore nelle regioni del Centro-Nord. Il continuo potenziamento di queste strutture (anche grazie a fondi PNRR destinati a infrastrutture di innovazione) e la creazione di programmi sempre più specializzati (es. acceleratori verticali su AI, su medtech, su agritech) promettono di aumentare le chance di successo commerciale delle nuove imprese accademiche, fornendo quell’ecosistema di contorno che nei contesti esteri più dinamici è già da tempo un fattore abilitante.
Evoluzione Normativa e Incentivi
Il quadro normativo italiano relativo agli spin-off accademici si è evoluto significativamente negli ultimi due decenni, passando da uno scenario iniziale incerto a un insieme di regole e incentivi più favorevoli alla creazione e crescita di queste imprese. Una pietra miliare fu l’introduzione formale degli spin-off da ricerca pubblica a cavallo degli anni 2000: il DM 593/2000 (attuativo della legge 297/1999) definì per la prima volta strumenti di finanziamento per progetti di spin-off e permise alle università di parteciparvi nel capitale. Ogni ateneo ha quindi emanato un proprio Regolamento Spin-off, stabilendo criteri per il riconoscimento ufficiale (uso del marchio universitario, quote detenibili dall’ateneo, permessi ai professori coinvolti, ecc.). Ciò ha creato una base giuridica uniforme che prima mancava.
Un provvedimento controverso fu il già citato art.7 L.383/2001 (“invenzioni agli inventori”), che dava piena titolarità dei brevetti ai ricercatori. Nato per stimolare il brevetto individuale, in realtà rallentò il trasferimento tecnologico (scoraggiando investimenti industriali su brevetti frammentati) e fu poi superato: dal 2005 si tornò a un modello in cui l’ente di ricerca detiene i brevetti (salvo accordi diversi) e può più facilmente licenziarli o conferirli in uno spin-off. Questo aggiustamento normativo ha reso più agevole l’interazione università-imprese . Inoltre, la legge 27/2012 ha introdotto la figura giuridica della “startup innovativa”, che include la maggior parte degli spin-off (basta che abbiano oggetto sociale high-tech, meno di 5 anni, ecc.). Questo status ha portato incentivi importanti, tra cui: costituzione semplificata online, esonero da imposte di registro e diritti camerali, flessibilità nei contratti di lavoro, facoltà di remunerare dipendenti con stock option, e soprattutto incentivi fiscali per chi investe (inizialmente 19% poi 30%, fino al 50% per investimenti 2020 post-Covid) in tali società. L’iscrizione nella sezione speciale del Registro Imprese come startup innovativa ha quindi fornito un quadro di vantaggi che molti spin-off hanno sfruttato sin dall’inizio.
Dal punto di vista degli incentivi finanziari pubblici, diverse misure sono state varate per sostenere spin-off e startup deep-tech. Il programma Smart&Start citato, attivo dal 2014 e rifinanziato più volte, è uno strumento del MiSE che ha erogato finora oltre 500 milioni di euro in finanziamenti agevolati a quasi 1200 startup innovative italiane, inclusi molti spin-off universitari. Altri bandi ministeriali specifici: “Proof of Concept” (un fondo MUR lanciato nel 2022 dedicato a portare prototipi universitari verso il mercato, spesso tramite creazione di spin-off), il Fondo Nazionale Innovazione gestito da CDP Venture, e iniziative come Rete MISE CTE (Case delle Tecnologie Emergenti) dove consorzi pubblico-privati guidati da università ricevono fondi per incubare progetti 5G, blockchain, ecc.
Un aspetto normativo da evidenziare è la partecipazione dell’università al capitale degli spin-off. Inizialmente vari enti pubblici di ricerca erano riluttanti o impossibilitati a detenere quote societarie. Col tempo, grazie anche a chiarimenti normativi (es. DL 113/2012 e il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica del 2016), è stato chiarito che gli atenei possono mantenere partecipazioni in spin-off senza violare i vincoli sulle società pubbliche, data la finalità istituzionale di trasferimento tecnologico17. Oggi quasi tutte le università italiane adottano la prassi di acquisire una quota (tipicamente dal 5% al 10%) nel capitale dello spin-off riconosciuto, spesso a titolo gratuito come corrispettivo per l’uso di IP o know-how. Questo allineamento di interessi è importante e la normativa lo consente espressamente. Inoltre, i docenti coinvolti possono ottenere aspettative o riduzioni di carico didattico per dedicarsi all’impresa per un periodo, senza perdere il posto: questa flessibilità, prevista da regolamenti interni in attuazione della L.240/2010 (riforma Gelmini), è un incentivo non monetario ma cruciale.
In termini di politiche governative recenti, l’Italia sta cercando di favorire il consolidamento degli spin-off all’interno della strategia di rilancio post-pandemia. Nel PNRR sono presenti linee di investimento dedicate al tech transfer: ad esempio, il progetto MUR “Ecosistemi dell’Innovazione” finanzia 11 ecosistemi locali con 350 milioni complessivi, vincolati anche alla creazione di nuove imprese da ricerca e al potenziamento di incubatori. Il MIMIT (ex MiSE) insieme a Cassa Depositi e Prestiti ha lanciato nel 2020 un Fondo Technology Transfer da 500 milioni, il quale opera tramite fondi settoriali in partnership con venture privati (ne sono nati 8 fondi su biotech, deep tech, Poli360 con Politecnico Mi, etc.). Questi interventi pubblici mirano a colmare le carenze emerse in passato: poca finanza early stage, pochi mentor industriali, e difficoltà nel passare dalla ricerca di laboratorio al prototipo industriale.
Oltre agli incentivi economici, vi sono iniziative normative volte a semplificare e velocizzare i processi: ad esempio si sta discutendo di snellire le procedure di brevetto e di trasferimento IP dagli enti pubblici (una sorta di “fast track” per licenza a spin-off con valutazione rapida del valore del brevetto e royalty standard), così da evitare lunghe negoziazioni tra uffici legali. Alcune regioni hanno legiferato per creare sportelli unici startup dove lo spin-off trova in un solo interlocutore tutti i permessi e le iscrizioni necessarie, anziché peregrinare tra enti diversi.
Infine, va menzionata l’attenzione alla misurazione e valutazione: la normativa ANVUR sulla valutazione delle università (VQR) ora tiene conto anche delle attività di Terza Missione, tra cui il numero di spin-off e il loro fatturato/occupati. Questo incentiva gli atenei a promuovere spin-off (per migliorare il proprio rating e accesso a fondi premiali). Allo stesso tempo, l’ISTAT ha iniziato a tracciare le Performance delle startup innovative come categoria statistica, fornendo dati utili a tarare le politiche.
In conclusione, il contesto normativo italiano è diventato negli anni più abile a favorire la creazione e il consolidamento degli spin-off accademici. Dai correttivi sulle proprietà intellettuali, al varo di incentivi fiscali per startup, fino ai massicci investimenti del PNRR, gli strumenti messi in campo coprono vari livelli. Rimangono certamente margini di miglioramento – ad esempio, semplificare ulteriormente la burocrazia di avvio d’impresa innovativa o stabilizzare i fondi seed su base permanente – ma il trend è di crescente attenzione. Questo cambio di passo normativo-culturale, accompagnato dai successi di alcuni spin-off “campioni” nazionali e internazionali, lascia sperare che il fenomeno degli spin-off accademici possa divenire sempre più uno dei pilastri dell’innovazione e della competitività del Sistema Paese.
Collaborazioni tra Spin-off, Grandi Imprese e Istituzioni Pubbliche
Un fattore determinante per il successo degli spin-off è la loro capacità di integrare le proprie innovazioni con il tessuto industriale esistente. In Italia, negli ultimi anni, si sono moltiplicati i modelli di collaborazione tra spin-off accademici e grandi imprese o enti pubblici, con benefici reciproci: le giovani imprese ottengono risorse, canali di mercato e know-how manageriale, mentre le aziende maggiori e le istituzioni accedono a nuove tecnologie agili e creatività scientifica.
Uno schema frequente è quello delle partnership tecnologiche o commerciali. Grandi imprese instaurano accordi con spin-off per co-sviluppare prodotti o per distribuire sul mercato le soluzioni innovative di questi ultimi. Ad esempio, nel settore biomedicale la multinazionale Elettronica BioMedical ha stretto un accordo con uno spin-off universitario per la co-progettazione di un nuovo macchinario diagnostico, unendo la tecnologia brevettata accademica con le capacità produttive e di marketing dell’azienda. Nel fintech, spin-off come modeFinance hanno beneficiato dell’ingresso nel capitale di partner industriali (il gruppo CRIF, leader nelle informazioni creditizie, ha investito e collaborato con modeFinance per integrare i rating fintech nei propri servizi bancari). Questo tipo di cooperazione spesso si traduce in contratti di ricerca congiunta o in licenze: l’impresa consolidata finanzia lo sviluppo ulteriore della tecnologia accademica e ottiene in cambio diritti di sfruttamento (ad esempio una licenza esclusiva per un certo settore o territorio). Tali accordi riducono il rischio per lo spin-off (che può contare su un cliente/partner solido) e permettono alla grande impresa di innovare più rapidamente rispetto a sviluppare tutto internamente. Secondo una ricerca, oltre 100 collaborazioni di questo tipo sono state censite tra spin-off universitari italiani e aziende incumbent, specialmente nei settori ICT, farmaceutico e dei materiali avanzati 18.
Un altro modello è l’open innovation tramite incubatori aziendali, acceleratori o programmi dedicati. Diverse grandi aziende hanno lanciato iniziative per coinvolgere start-up e spin-off esterni nel proprio processo di innovazione. Ad esempio, Enel attraverso il programma Innovation Hub di Milano e Catania seleziona ogni anno startup energetiche (anche spin-off universitari) offrendo loro supporto e la possibilità di pilotare progetti su scala industriale nelle reti Enel. Leonardo Spa (aerospazio/difesa) ha creato laboratori congiunti con università e offre mentorship a spin-off su temi come sensoristica e AI applicata, con possibilità di investimento diretto nelle idee più promettenti. Ferrovie dello Stato e Telecom Italia hanno lanciato challenge rivolte a spin-off accademici per risolvere problemi specifici (p.es. manutenzione predittiva, cybersecurity), spesso sfociando in forniture o partnership contrattuali per implementare le soluzioni proposte. Questi approcci di open innovation sono incentivati anche a livello di sistema: Confindustria e CRUI hanno promosso piattaforme di incontro tra imprese e spin-off, e alcune Camere di Commercio (Unioncamere) hanno avviato progetti per favorire il matching tecnologico tra PMI tradizionali e spin-off innovativi del territorio.
Nel contesto delle istituzioni pubbliche, va menzionato il ruolo di enti come ospedali, ASL, ARPA e amministrazioni locali. Molti spin-off in ambito sanitario e ambientale trovano nel settore pubblico il primo cliente o partner di validazione. Ad esempio, uno spin-off che sviluppa un nuovo test diagnostico dovrà collaborare con ospedali pubblici per sperimentarlo; spesso si formalizzano convenzioni o contratti di fornitura agevolati. Un caso concreto: BiomimX, spin-off del Politecnico di Milano, che produce organi su chip per testare farmaci, ha collaborato con l’Istituto Nazionale dei Tumori fornendo dispositivi per la ricerca preclinica su modelli di cancro, ottenendo al contempo dati clinici preziosi. Analogamente, spin-off del settore ambientale (es. sensori per qualità dell’aria) lavorano con le ARPA regionali installando i propri sensori in reti di monitoraggio ufficiali, migliorandone le prestazioni. Queste partnership pubblico-private si rivelano win-win: l’ente pubblico sperimenta tecnologie avanzate a costi contenuti e con flessibilità, lo spin-off ottiene referenze, feedback applicativo e talvolta introiti iniziali.
Significative sono anche le collaborazioni su progetti europei e nazionali consortili, dove spin-off, grandi imprese e centri di ricerca uniscono le forze. Nei bandi Horizon 2020/Horizon Europe capita spesso che uno spin-off accademico italiano sia partner insieme a multinazionali e università in consorzi da 5-6 soggetti: ciò non solo porta risorse finanziare allo spin-off, ma crea un legame diretto con imprese leader straniere. Ad esempio, uno spin-off di sensoristica fotonica (spin-off del CNR) ha partecipato a un progetto UE con Thales (Francia) e Siemens, sviluppando un componente poi inserito nei prodotti di tali aziende. Allo stesso modo, a livello nazionale, progetti PON o del Fondo Innovazione vinti in partnership (università + grande impresa + spin-off) favoriscono trasferimenti tecnologici bilaterali: la grande impresa a volte incorpora la tecnologia al termine del progetto, acquisendo lo spin-off o stipulando un accordo commerciale a lungo termine.
Non mancano infine casi di successo clamorosi dove la collaborazione ha portato all’acquisizione completa: oltre al citato caso EOS-Clovis (biotech)19, si può menzionare ModeFinance – dopo anni di partnership strategica, nel 2021 TeamSystem (colosso italiano del software gestionale) ha acquisito una quota maggioritaria dello spin-off triestino, integrandone i servizi di rating fintech nella propria suite per banche. Oppure Molecular Surface (spin-off SISSA Trieste, nanotecnologie) che, dopo un progetto con una multinazionale farmaceutica per testare nuovi sensori diagnostici, è stata acquisita da quest’ultima permettendo di portare il dispositivo in tutto il mondo. Queste exit industriali sono in fondo l’epilogo ideale di una collaborazione: lo spin-off ottiene scala globale e risorse, la grande impresa incorpora innovazione e capitale umano specializzato.
In termini generali, i benefici delle collaborazioni spin-off ↔ impresa consolidata includono: per lo spin-off, accesso a impianti, catene produttive e reti di vendita altrui difficilmente costruibili in proprio; tutoring manageriale e cultura d’impresa più matura; possibilità di concentrarsi sul core tecnologico lasciando al partner aspetti di market access. Per la grande impresa o ente, i benefici consistono in un flusso di innovazione fresca e flessibile – la piccola dimensione rende lo spin-off rapido nel pivotare la tecnologia su esigenze specifiche dell’azienda partner – nonché in un’apertura verso approcci di R&D meno tradizionali. In sostanza, le spin-off fungevano da antenne tecnologiche per le imprese mature, esplorando territori che altrimenti non sarebbero presidiati.
Va notato che questo tipo di interazione è incoraggiato anche a livello politico: il MUR e il MiSE (oggi MIMIT) hanno emanato linee guida che promuovono la contaminazione tra mondo accademico e industriale, prevedendo ad esempio che l’attività negli spin-off possa essere valorizzata nella valutazione dei ricercatori, o che vengano istituiti cluster tecnologici nazionali dove grandi imprese, atenei e spin-off collaborino fianco a fianco. Un esempio è il Cluster Nazionale Scienze della Vita (ALISEI) o quello Fabbrica Intelligente, in cui diversi spin-off accademici siedono accanto a colossi industriali nei gruppi di lavoro, favorendo network e fiducia reciproca. I risultati di queste collaborazioni in alcuni casi sono già evidenti: tecnologie sviluppate da spin-off sono entrate in uso (dai software fintech integrati nei servizi bancari, alle molecole biotech ora in sviluppo clinico presso big pharma), contribuendo all’innovazione del sistema produttivo. Naturalmente permangono casi in cui la collaborazione non decolla per divergenze nei tempi (le imprese a volte richiedono maturità che gli spin-off non hanno ancora) o nella cultura (non tutti i ricercatori-imprenditori sono pronti alle logiche industriali). Eppure, le storie di successo indicano che quando si crea l’ecosistema giusto – supporto istituzionale, visione di lungo termine dell’impresa senior, e flessibilità dello spin-off – le sinergie possono davvero “innescare processi di innovazione tecnologica” nel tessuto imprenditoriale più ampio20, come auspicato dagli osservatori economici.
Confronto Internazionale e Best Practice
Il fenomeno degli spin-off accademici non è esclusivo dell’Italia: Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Israele vantano ecosistemi più maturi da cui è possibile trarre utili confronti e best practice.
Stati Uniti. Negli USA, la commercializzazione della ricerca universitaria è incentivata sin dagli anni ’80 dal Bayh-Dole Act (1980), che ha consentito agli atenei di detenere i brevetti derivanti da ricerche federali e di concederli a spin-off. Ciò ha generato un modello estremamente prolifico: università come MIT, Stanford o UC Berkeley hanno incubato centinaia di aziende high-tech. Ad esempio, uno studio su Stanford ha censito oltre 2.700 imprese fondate da alumni o basate su licenze Stanford21, tra cui giganti come Google, Cisco, Yahoo (tutte nate come spin-off universitari). L’ecosistema statunitense si caratterizza per TTO (Technology Transfer Office) altamente professionalizzati che forniscono supporto contrattuale e manageriale, per la presenza di fondi di venture capital corposi e disposti a finanziare stadi precoci, e per la cultura imprenditoriale diffusa tra docenti e studenti. I modelli di finanziamento sono aggressivi: molti spin-off si alimentano con round di venture capital da decine di milioni di dollari già a 2-3 anni dalla fondazione, sostenendo una crescita rapida. Le università spesso prendono una quota azionaria minoritaria (5-10%) negli spin-off, talora anche supportandoli direttamente con incubatori interni e fondi dedicati. Ad esempio, l’Università della California ha un fondo (UC Ventures) da 250 milioni $ per co-investire nelle startup generate dai suoi campus. Queste risorse permettono agli spin-off USA di scalare velocemente: il risultato è che molti raggiungono la quotazione in borsa o l’acquisizione multimilionaria, restituendo anche notevoli royalty alle università (Stanford ad esempio ha incassato oltre 300M$ da licenze di Google negli anni). Un altro elemento chiave è la rete di alumni e imprenditori seriali: gli ex studenti di successo spesso tornano come mentori o investitori nelle nuove spin-off (es. i “PayPal Mafia” a Stanford hanno finanziato decine di startup). In sintesi, il modello USA è trainato dal mercato e dal capitale privato: estremamente efficace nel far crescere aziende (ma anche spietato nella selezione: il fallimento è accettato come parte del processo).
Regno Unito. Il sistema britannico è tra i più avanzati in Europa. Università come Cambridge e Oxford hanno creato migliaia di posti di lavoro tramite spin-off. Cambridge in particolare è al centro di un cluster high-tech (la “Silicon Fen”) con oltre 1.500 aziende legate all’università. Le politiche pro-spin-off risalgono agli anni ’90: Cambridge ha fondato già nel 1995 Cambridge Enterprise, l’ufficio di trasferimento tecnologico che fornisce seed fund e supporto manageriale. Allo stesso modo, Oxford Sciences Innovation (OSI) è un grande fondo (circa £600M raccolti) creato nel 2015 apposta per finanziare spin-out di Oxford University. Questo approccio – fondi di investimento collegati alle università – è peculiare del Regno Unito e ha permesso di mobilitare capitali privati su scala significativa. Ne sono scaturite storie di successo come Oxford Nanopore Technologies (spin-off Oxford, specializzato in sequenziatori di DNA portatili), che si è quotato con una valorizzazione di oltre £3 miliardi nel 2021, o ARM Holdings (spin-off di un progetto Acorn Computers a Cambridge negli anni ’90) che è divenuta leader mondiale nei chip per dispositivi mobili. Le università UK generalmente prendono quote equity moderate e lasciano ampia autonomia ai fondatori; tuttavia garantiscono un contesto di incubazione ottimo: parchi scientifici, acceleratori (es. Entrepreneur First a Londra collabora con atenei), programmi di accelerazione governativi come Innovate UK grants dedicati a spin-off accademici. Inoltre, la fiscalità britannica è amichevole: esenzioni per investitori (Enterprise Investment Scheme) che rendono conveniente finanziare spin-off. Nel complesso, il Regno Unito combina il meglio di entrambi i mondi: forte tradizione accademica e meccanismi di mercato per far crescere le imprese. La differenza con l’Italia sta nella disponibilità di capitali e in un mindset più orientato al rischio: ciò permette a molte spin-off UK di superare la fase critica e raggiungere dimensioni notevoli.
Germania. La Germania ha anch’essa investito nella creazione di spin-off, soprattutto come strumento di trasferimento tecnologico dall’università e dai celebri istituti Fraunhofer e Max Planck. Un punto di forza tedesco è il sostegno pubblico strutturato: il programma federale EXIST (nato nel 1998) fornisce finanziamenti a fondo perduto per ricercatori che vogliono fondare startup. Il programma copre stipendio e costi seed per un anno di team imprenditoriale; secondo statistiche ufficiali, l’80% delle startup sostenute da EXIST risultano ancora attive dopo 5 anni22, segno di efficacia nel ridurre la mortalità iniziale. Inoltre, molte università tedesche hanno creato centri imprenditoriali interni (es. UnternehmerTUM alla TUM di Monaco) con risorse di personale e budget dedicati all’educazione imprenditoriale e all’accompagnamento degli spin-off. Il caso della TU Monaco è notevole: UnternehmerTUM impiega ~400 persone e supporta ~50 nuove startup l’anno, con le startup di Monaco che nel 2023 hanno raccolto complessivamente 2 miliardi di dollari – una cifra enorme che testimonia il successo del modello. La differenza culturale: in Germania c’è ancora una certa avversione al rischio in ambito accademico (solo il 3% degli scienziati che vorrebbero creare spin-off poi lo fanno davvero, secondo un sondaggio, a fronte di un 28% di potenziali interessati). Tuttavia, il sistema sta cercando di colmare questo gap inserendo corsi di imprenditorialità già durante la formazione universitaria (non solo al dottorato ma persino a livello di laurea triennale). Un’altra particolarità tedesca: gli istituti di ricerca applicata (come Fraunhofer) generano molti spin-off che spesso sono PMI ad alta specializzazione in subfornitura high-tech, più che startup scalabili globalmente. Ciò si adatta alla struttura industriale tedesca di Mittelstand innovativa. Un limite segnalato è la frammentazione regionale dei finanziamenti – ogni Land ha i suoi programmi, può creare confusione e disomogeneità. Inoltre, i grant come EXIST, pur utili, sono piccoli (ca. €150k) e non bastano per aziende deep-tech capital intensive, costringendo comunque a cercare venture capital aggiuntivo. In sintesi, la Germania offre un robusto sostegno pubblico e infrastrutture universitarie di supporto, con risultati buoni in termini di sopravvivenza e qualità tecnologica degli spin-off, ma sta lavorando per stimolare più spirito imprenditoriale e attrarre maggiori investimenti privati per le fasi di crescita (dove infatti l’Europa nel complesso investe ~1/10 rispetto agli USA per abitante ).
Francia. In Francia, il modello di trasferimento tecnologico si è evoluto con la creazione, dal 2012 in poi, delle SATT (Société d’Accélération du Transfert de Technologies) – entità regionali finanziate dallo Stato, incaricate di gestire brevetti e spin-off degli atenei e centri di ricerca pubblici. Le SATT dispongono di fondi per la “maturazione” delle tecnologie e supportano attivamente la creazione di startup, funzionando da intermediari professionali. Questo approccio centralizzato ha portato a un aumento dei progetti imprenditoriali, sebbene inizialmente vi siano state critiche per eccesso di burocrazia. Contestualmente, la Francia ha mobilitato il suo fondo pubblico Bpifrance (Banque Publique d’Investissement) per sostenere finanziariamente le giovani imprese innovative: Bpifrance gestisce fondi di venture e programmi di accelerazione (come i-Lab e i-Nov per startup deep-tech) e co-investe spesso in spin-off provenienti da CNRS, CEA e università. I risultati si vedono in alcuni settori: nella biotech, la Francia ha prodotto campioni come DBV Technologies (spin-off di Inserm su cerotti per allergie alimentari, quotata al Nasdaq) o DNA Script (start-up emersa dall’Università Paris-Descartes, ora leader nella sintesi enzimatica di DNA, che ha raccolto >150M$). Anche nel quantum e AI, il governo francese ha stanziato miliardi e incoraggiato la nascita di venture accademici (ad es. Pasqal, spin-off dell’Institute d’Optique, nel quantum computing). Una differenza rispetto all’Italia è che in Francia i ricercatori possono essere distaccati più facilmente nelle startup (conservando un legame con l’ente pubblico), e le università e centri spesso mantengono una partecipazione significativa e attiva nella governance delle spin-off. Ciò garantisce coordinamento ma talora rende le spin-off percepite come emanazioni pubbliche, con minore appeal per investitori privati esteri. Un’altra best practice è la forte presenza di incubatori e parchi scientifici collegati ad atenei (ad esempio Paris-Saclay ha un enorme cluster ricerca-industria con spazi dedicati alle startup). Inoltre, la cultura francese sta cambiando: sempre più dottorandi guardano alla creazione di impresa come opzione di carriera – sulla scia di role model come DeepMind (co-fondato da un ricercatore franco-britannico, success story europea). In sostanza la Francia punta su un mix di finanziamento pubblico poderoso e strutture di trasferimento dedicate, ottenendo un buon numero di spin-off deep-tech, sebbene la sfida resti farle crescere di scala (problema comune europeo).
Israele. Un caso peculiare è Israele, spesso definito Start-Up Nation. Qui la commistione tra ricerca accademica, settore militare e venture capital ha prodotto un ecosistema vibrante, nonostante le piccole dimensioni del paese. Le università israeliane vantano TTO tra i più efficaci al mondo: il Technion di Haifa e l’Università Ebraica di Gerusalemme (tramite la sua società di trasferimento Yissum) hanno generato centinaia di spin-off di successo. Yissum in particolare è nota per aver creato sin dagli anni ’60 decine di aziende e portato sul mercato innovazioni dirompenti (dai pomodori ciliegino al farmaco Exelon per Alzheimer). Solo nel 2021 Yissum ha lanciato 15 nuove startup basate su tecnologie dell’Università Ebraica23, in settori che spaziano dall’mRNA all’energy tech, coinvolgendo un ampio ventaglio di investitori privati e incubatori nel capitale già alla fondazione. Israele adotta un modello per cui il TTO accoppia ogni tecnologia promettente con imprenditori e investitori, costituendo la società spin-off in modo molto rapido e fornendo un primo funding (spesso pre-seed governativo attraverso l’Israel Innovation Authority). Inoltre, le Forze di Difesa Israeliane fungono paradossalmente da “incubatore”: molti ex-ufficiali dei reparti tecnologici (8200 unit) fondano startup – alcune collegate a ricerca universitaria, altre indipendenti – specie in cybersecurity, telecom e agritech. Il risultato è un flusso continuo di aziende deep-tech. In Israele è comune che l’università detenga quote azionarie significative (50% o più inizialmente) nello spin-off, diluendosi poi con l’ingresso di VC, e reinvesta proventi in nuova ricerca. Il mercato dei capitali locale e internazionale è molto presente: startup accademiche israeliane raccolgono facilmente milioni già in seed e series A, data la reputazione scientifica del paese. E molte raggiungono traguardi notevoli: Yissum vanta nel suo portafoglio successi come Mobileye (nato dalla Hebrew University, venduto a Intel per $15 miliardi, ora leader nei sistemi di guida autonoma) e OrCam (spin-off HUJI sull’assistenza ai non vedenti, valutata unicorn). Questi esempi mostrano come la combinazione di eccellenza scientifica, mentalità imprenditoriale e capitali di ventura possano portare uno spin-off universitario fino allo status di unicorno (valore ≥ $1 miliardo), cosa ancora mai avvenuta in Italia. Un’altra best practice israeliana è il supporto governativo attraverso incubatori tecnologi: il programma Technology Incubators del governo assegna licenze a incubatori privati che ricevono fondi pubblici per investire in start-up high-tech, molte delle quali provenienti da università. Questo meccanismo ibrido riduce il rischio per i VC e garantisce che quasi ogni idea valida trovi una chance di prototipazione commerciale. Israele dimostra anche l’importanza della rete internazionale: fin dall’inizio molte spin-off nascono con vocazione globale, brevettando negli USA e aprendo sedi nella Silicon Valley, attirando partner multinazionali (ad es. Google e Microsoft hanno centri R&D in Israele che spesso acquisiscono spin-off locali). In sintesi, l’ecosistema israeliano è un modello di come trasformare in modo sistematico la ricerca in impresa: pochi vincoli burocratici, forte sostegno finanziario pubblico-privato, e un ambiente culturale che celebra l’imprenditore (anche il fallimento è visto come esperienza). Il rovescio della medaglia è che tante startup israeliane vengono acquisite da stranieri e non crescono in patria fino a diventare grandi aziende indipendenti (fenomeno simile a quello italiano ma su scala diversa).
Differenze nei modelli di finanziamento e crescita. Riassumendo i confronti: USA e Israele puntano su capitali di rischio cospicui e un ruolo propulsivo del mercato, con spin-off che spesso scalano rapidamente o falliscono velocemente (darwinismo di mercato); UK e in parte Francia hanno introdotto fondi di investimento dedicati e incentivi fiscali per colmare il gap di capitali, ottenendo alcuni spin-off di dimensioni ragguardevoli; la Germania e la Francia scommettono molto su sostegni pubblici diretti alla creazione (grant, network istituzionali) e infrastrutture di incubazione, migliorando la sopravvivenza ma con crescita più graduale; l’Italia storicamente ha fornito meno risorse finanziarie e strutturali, il che spiega in parte perché tanti spin-off restino piccole entità locali. Un aspetto cruciale emerso all’estero è la professionalizzazione: TTO con figure esperte di business, coinvolgimento di manager esterni fin dall’inizio (ad esempio Cambridge spesso porta imprenditori “seriali” a guidare gli spin-off accademici come CEO, lasciando i professori nel ruolo tecnico-scientifico). Ciò aiuta a superare la mancanza di competenze imprenditoriali dei ricercatori – un problema segnalato anche in Italia. Infine, le best practice internazionali mostrano l’importanza di politiche stabili e lungimiranti: Bayh-Dole in USA, EXIST in Germania, SATT in Francia – ogni paese ha adottato misure specifiche di lungo periodo che hanno cambiato la mentalità accademica nel tempo. Anche la valorizzazione in carriera conta: negli USA e UK, essere coinventore di un brevetto licenziato o fondatore di uno spin-off di successo è motivo di prestigio accademico; in Italia solo di recente questi aspetti iniziano a essere considerati nelle valutazioni. Dunque, guardare all’estero offre preziosi spunti su come l’Italia potrebbe migliorare il proprio ecosistema di spin-off, colmando il gap in termini di investimenti, competenze manageriali e cultura imprenditoriale.
Conclusioni
L’analisi condotta evidenzia che gli spin-off universitari e accademici in Italia hanno ormai raggiunto una massa critica e svolgono un ruolo non secondario nel valorizzare i risultati della ricerca pubblica. Negli ultimi cinque anni il fenomeno si è ampliato in numero e varietà, contribuendo alla Terza Missione degli atenei con nuove imprese innovative in tutti i settori, dal digitale alla biotech. Allo stesso tempo, permangono criticità strutturali: la maggior parte delle spin-off fatica a crescere oltre la fase iniziale, con fatturati e organici limitati; il collegamento con capitali privati è debole e il rischio è che molte idee promettenti rimangano sottodimensionate o vengano assorbite dall’estero.
In conclusione, gli spin-off universitari italiani rappresentano un patrimonio di innovazione da coltivare con attenzione: in essi risiede la capacità di tradurre l’eccellenza scientifica nazionale in nuove imprese, nuovi posti di lavoro qualificati e soluzioni tecnologiche per la società. Negli ultimi anni si sono posti basi importanti – maggiore sensibilità degli atenei, prime iniziative di finanziamento, una comunità (Netval) attiva – ma serve un salto di qualità tramite politiche integrate. Mettendo a sistema capitali, competenze e incentivi adeguati, l’Italia può ambire a replicare le best practice internazionali e magari a far emergere in futuro campioni tecnologici nati nei propri laboratori. Le raccomandazioni proposte mirano proprio a creare un ambiente dove la prossima invenzione rivoluzionaria di un ricercatore italiano possa trovare terreno fertile per diventare un’impresa di successo invece di languire o essere sviluppata all’estero. In definitiva, investire sugli spin-off accademici significa investire sul futuro competitivo e innovativo del Paese, valorizzando appieno il talento e la creatività generati dalle nostre università.
Fonti
Dati Netval, MUR e ISTAT; report Netval 2020-2024; statistiche Società Chimica Italiana 2023 (Pubblicazioni scientifiche Italia: 2012-2021); definizioni da regolamenti di ateneo ( Università di Macerata: Spin off ) ( Università di Macerata: Spin off ); casi studio Wired e stampa specializzata (Le startup italiane che puntano sulle biotecnologie | Wired Italia) (Le startup italiane che puntano sulle biotecnologie | Wired Italia) (Le startup italiane che puntano sulle biotecnologie | Wired Italia); dati EPO/UIBM 2025 (Disponibile il nuovo studio EPO “Nuove frontiere in oncologia”, sulle tecnologie contro il cancro: l’Italia tra i leader europei in innovazione, startup e ricerca d’avanguardia); pubblicazioni accademiche su performance spin-off (); best practice internazionali da fonti OECD, Sifted, Yissum, Il Sole 24 Ore (How can German universities produce more spinouts? | Sifted) (Yissum Technology Transfer Announces 15 New Companies - Yissum) (Paracchi, Genenta Science: «Nelle imprese hi-tech il paradosso del nostro sistema educativo» - Il Sole 24 ORE). Questo report ha integrato tali fonti ufficiali e istituzionali per offrire un quadro approfondito e aggiornato del fenomeno spin-off in Italia, delineando nel contempo prospettive di miglioramento ispirate ai modelli di successo a livello globale.
( Università di Macerata: Spin off ) () (UN SUD CHE INNOVA E PRODUCE - Volume 7 - La transizione tecnologica nelle filere produttive: sostenibilità e innovazione come chiave di sviluppo) (Pubblicazioni scientifiche Italia: 2012-2021) (Gli spin-off del sistema della ricerca pubblica) (Le startup italiane che puntano sulle biotecnologie | Wired Italia)
Database Spin-off Italia (Netval-Università Politecnica Marche-SSSA) (Spinoff — LodView)
Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) – Documenti su startup da ricerca e progetti PNRR
Dati Infocamere/Unioncamere sugli startup innovativa e distribuzione settoriale spin-off (In Italia 1243 imprese sono spin-off. Ne nascono 100 all'anno - Info Data)
ISTAT – Rapporti su innovazione e terza missione
EPO – Statistiche brevettuali (brevetti da università e spin-off)
Casi studio da articoli e interviste (es. Nature/Netval: Sibylla Biotech, Bettery (Gli scogli tra scoperta e mercato - Netval | Netval - Network per la valorizzazione della Ricerca) (Gli scogli tra scoperta e mercato - Netval | Netval - Network per la valorizzazione della Ricerca); Il Sole 24 Ore: Henesis, EraEndoscopy, Xtensa (In Italia 1243 imprese sono spin-off. Ne nascono 100 all'anno - Info Data); storie da Sant’Anna, Polimi, UniGe, ecc.)
EconomiaUp/StartupItalia – Classifiche incubatori PoliHub, I3P (L'Italia delle startup ai vertici mondiali con gli incubatori PoliHub e i3P - Economyup)
Comunicati PoliMi, PoliTo – Collaborazioni spin-off (es. Joint Lab con D-Orbit) (OPERA: new environmentally friendly propulsion systems - polimi)
Pubblicazioni accademiche (Osservatorio Spin-off CRUI, paper AIDEA 2023, ecc.) e normative di riferimento.
Note
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