"Non esistono fatti, solo interpretazioni" con questa lapidaria affermazione, Friedrich Nietzsche mette in discussione l'idea che possano esistere verità assolute e oggettive, indipendenti dal soggetto che le osserva e le interpreta. Secondo Nietzsche, ciò che chiamiamo "fatti" non sono altro che il risultato di un processo interpretativo, condizionato dalla prospettiva particolare e limitata dell'individuo. Ogni presunta verità è sempre relativa a un determinato punto di vista, a un insieme di valori e credenze, a una specifica configurazione di forze e istinti vitali. Non esiste un accesso diretto e neutrale alla realtà in sé, ma solo una molteplicità di interpretazioni che si contendono il campo, senza che nessuna possa rivendicare una validità universale e incontrovertibile.
Questa concezione implica un radicale ripensamento del rapporto tra soggetto e oggetto, tra pensiero e realtà. Non si dà alcuna corrispondenza speculare tra le nostre rappresentazioni mentali e il mondo esterno, nessuna adaequatio rei et intellectus. Le categorie con cui organizziamo e strutturiamo l'esperienza non rispecchiano un ordine intrinseco delle cose, ma sono proiezioni prospettiche, strumenti pragmatici per orientarsi nel caos del divenire. La conoscenza non è contemplazione disinteressata, ma interpretazione attiva, espressione di una volontà di potenza che plasma e configura il reale secondo i propri scopi e valori. In questo senso, Nietzsche dissolve la distinzione tra "vero" e "falso", riconducendola a una differenza di grado nella capacità di imporre e far valere una certa interpretazione. Ciò che conta non è l'adeguamento a un presunto stato di cose oggettivo, ma l'efficacia con cui una prospettiva riesce ad affermarsi e a dominare sulle altre.
Fonte: Nietzsche, Friedrich. "Nachgelassene Fragmente" ("Frammenti postumi"), 1886-1887.