Difendere le società aperte significa riconoscere che esse sono esposte a minacce sia esterne che interne. Se le minacce esterne provengono da potenze autocratiche che mirano a erodere l'ordine internazionale liberale, quelle interne nascono dalle dinamiche sociali disgreganti che agiscono come fattori di instabilità. La sopravvivenza delle società aperte dipende dalla capacità di rispondere in modo efficace a entrambe le sfide. Qui si vuole fare riferimento alla dimensione interna, che è quella più subdola, visto che la deriva autocratica non è il frutto di un colpo di mano nottetempo del tiranno, ma avviene con il favore popolare e questo perché l’effetto che l’incancrenirsi di una questione sociale produce è quello di svuotare di significato concreto le libertà liberali, rendendole patrimonio di pochi e alimentando una crescente distanza tra istituzioni e cittadini.
La questione sociale emerge quando le promesse che le società aperte fanno di un domani migliore rispetto a ieri non vengono mantenute e le masse popolari iniziano a guardare con paura al futuro. Un futuro nel quale non sentono di avere pieno diritto di cittadinanza, diversamente da quanti hanno gli strumenti materiali e culturali per vivere e prosperare nell’economia di domani. In questa condizione, le libertà liberali – che dovrebbero essere universali – finiscono per essere percepite come privilegi riservati a una minoranza. Le istituzioni liberali, nate per garantire diritti e libertà a tutti, vengono progressivamente viste dalle masse escluse come strumenti che servono a causare e perpetuare le disuguaglianze. Si crea così una frattura che mina la legittimità dell'ordine esistente, perché chi si sente abbandonato percepisce le strutture liberali non come garanzia di libertà, ma come ostacolo al proprio riscatto.
I diritti sociali non sono dunque una questione meramente valoriale o una scelta ideologica di parte. Essi costituiscono parte integrante del funzionamento della macchina istituzionale delle società aperte. Senza la loro effettiva garanzia, le libertà proclamate universali nelle costituzioni si riducono a libertà reali per pochi, e le promesse delle dichiarazioni universali dei diritti si trasformano, agli occhi delle vittime della questione sociale, in menzogne. In questo modo si innesca un processo di disillusione e ostilità che rompe il vincolo di fiducia tra cittadini e istituzioni, privando le democrazie liberali della loro base di consenso e aprendo la strada a nuove forme di autoritarismo.
Quando questa frattura si crea e non viene affrontata attraverso riforme efficaci, si verifica una trasformazione politica del demos. Il popolo, privato di reali strumenti di partecipazione e reso anomico dalla frustrazione, si degrada in folla. La folla, come insegnano storici e teorici della politica da Tocqueville a Toynbee, non agisce razionalmente: non riforma, ma distrugge. In tale contesto, il sentimento prevalente non è la fiducia nelle istituzioni, ma il desiderio di rovesciarle. Si apre così lo spazio politico per chi promette di abbattere l'ordine liberale e di sostituirlo con un nuovo assetto che si presenta come risolutivo ma che, nella sostanza, si rivela autoritario.
L'autocrate che emerge in queste condizioni trova nella folla la propria legittimazione. Non agisce contro il popolo, ma in suo nome, presentandosi come l’unico interprete delle frustrazioni collettive. Così, in un apparente paradosso, le società aperte vengono distrutte non dall’esterno, ma attraverso un processo interno di delegittimazione e sostituzione delle loro istituzioni fondamentali. La distruzione dell’equilibrio tra libertà e diritti sociali, come discusso nei testi di Stroncature su "Ordine interno e ordine mondiale" e "Liberalismo, socialismo, democrazia", costituisce dunque il preludio alla crisi della società aperta stessa.
Per evitare questo esito è necessario intervenire sulle cause profonde della questione sociale. La difesa delle società aperte deve comprendere una riforma della macchina istituzionale preposta alla tutela dei diritti sociali. Si tratta di rinnovare il welfare state, adattandolo alle trasformazioni demografiche, tecnologiche ed economiche in atto, rendendo i diritti realmente accessibili a tutti. In assenza di tale riforma, la tenuta interna delle società liberali continuerà a deteriorarsi, con il rischio che la crisi dell’ordine interno si traduca anche in una crisi dell’ordine internazionale liberale.
La stabilità dell'ordine internazionale dipende dalla stabilità degli ordinamenti interni delle democrazie che lo sostengono. Senza il consenso dei propri cittadini, nessuna società può mantenere a lungo né la propria apertura interna né il proprio ruolo sulla scena globale. Difendere la società aperta oggi significa dunque lavorare simultaneamente sulla protezione delle libertà, sulla garanzia effettiva dei diritti sociali e sulla riforma delle istituzioni. È in questo intreccio tra ordine interno ed equilibrio internazionale che si gioca il futuro delle società aperte nel XXI secolo.
L'autore trascura due dati fondamentali: le società liberali manifestano un carattere aggressivo sempre più acceso nel contesto internazionali. La loro invadenza e sottovalutazione del problema della coesione interna deriva dalla presunzione di onnipotenza che le ha pervase dagli anni '80; la società liberale è una forma, una scatola fondata sull'individuo. L'individuo, però, si forma su valori che si costruiscono in una comunità. Il pensiero liberale non riesce a ragionare in questi termini e genera, quindi, mostri totalitari e ipocriti addirittura peggiori dei suoi antagonisti