di Mario Alì1
In un'epoca in cui l'attenzione della politica e dei mezzi d'informazione è spesso rivolta altrove, il tema della crescita qualitativa dell'individuo attraverso lo sviluppo del capitale immateriale rimane crucialmente sottovalutato. Eppure, proprio questo rappresenta un punto strategico per comprendere e superare lo stallo economico che caratterizza l'Italia contemporanea.
La pubblicazione di due volumi dedicati al capitale immateriale – "Conoscenza, Competenza, Creatività e crescita: il capitale immateriale per l'Italia di domani" (realizzato durante la pandemia) e "Investire sul capitale immateriale per la crescita, la competitività e l'occupazione. Una nuova alleanza tra Scuola, Università, ricerca e impresa" (2023) – nasce precisamente dall'esigenza di affrontare questa questione nelle sue molteplici sfaccettature. Grazie al contributo di ventiquattro illustri studiosi, questi lavori esplorano la convinzione che quanto più il nostro Paese investirà nella crescita qualitativa, tanto maggiori saranno le opportunità lavorative offerte ai giovani nel futuro.
È innegabile che i beni materiali, quelli visibili e tangibili, esercitino un'attrattiva immediata rispetto all'immaterialità delle idee. Tuttavia, si tende a dimenticare che ogni oggetto fisico nasce prima nella mente, dalla genialità dell'essere umano, dalle sue idee trasformate in progetti e realizzazioni concrete. È grazie a queste potenzialità cognitive che aumenta il benessere di una società e l'occupazione dei suoi membri.
Come potete ben comprendere l’obiettivo è affrontare la questione del capitale immateriale declinandolo in vari aspetti grazie al contributo di 24 illustri studiosi che hanno contribuito alla realizzazione del libro attraverso i loro importanti saggi. Siamo assolutamente convinti che quanto più il nostro Paese investirà in crescita qualitativa, maggiori saranno le opportunità lavorative dei nostri giovani nel futuro.
Mi rendo perfettamente conto che il più delle volte pensiamo che i beni materiali, quelli che effettivamente vediamo e tocchiamo, siano molto più attrattivi dei beni immateriali, che non vediamo. In parte è così, ma spesso affrontiamo questo paragone in modo superficiale, non riflettiamo mai sul fatto che quello che vediamo e tocchiamo nasce dalla mente, dalla genialità dell’essere umano, dalle sue idee che vengono trasformate in progetti, in realizzazioni e che, grazie a queste potenzialità, aumentano il benessere di una società e l’occupazione dei suoi membri.
Capisco perfettamente che sia più facile credere e giustificare ciò che noi riusciamo a vedere e a toccare, perché quello che tocchiamo esiste. Ma se pensiamo, per un momento, a dei fili elettrici scoperti non vediamo la corrente correre lungo di essi, ma nel momento in cui li tocchiamo immediatamente ci accorgiamo della sua esistenza. Se vediamo dei pannelli solari su un tetto, non vediamo l’assorbimento dei raggi solari, ma sappiamo che da quel calore che viene assorbito nasce l’energia!!
Questi sono beni invisibili, nel senso che non li vediamo ma sono stati fondamentali per lo sviluppo della società moderna ed essi sono nati dalla genialità delle persone.
Da questi semplici esempi scaturisce la differenza tra capitale materiale e capitale immateriale, ma più che altro sorge la domanda: quale dei due è più importante? Sembra la favola dell’uovo e la gallina: chi nasce prima?
In questo contesto, non vi è alcun dubbio che giochino un ruolo prioritario le scelte politiche che dovrebbero concentrarsi maggiormente ad incrementare e finanziare le istituzioni preposte per la creazione del capitale immateriale come la scuola, l’università, la ricerca e le Accademie. Ma ancora non possiamo che registrare uno sforzo debole. Tra i 27 paesi Ue, la media della spesa in istruzione nel 2022 è stata pari al 4,7% del prodotto interno lordo e dieci stati, tra cui l’Italia, si attestano al di sotto di tale soglia. Con il 4,1% del Pil investito in istruzione, il nostro Paese supera solo Bulgaria (3,9%), Grecia (3,8%), Romania (3,2%) e Irlanda (2,7%). L’Italia, quindi, è tra i 5 paesi Ue con minore spesa in istruzione.
E, quindi, esiste a monte una scelta politica di dove e come allocare le risorse. Ma un ruolo fondamentale lo hanno anche i media che dovrebbero diffondere maggiormente informazioni su questi temi cruciali per la crescita qualitativa di un sistema Paese. Ma mi rendo perfettamente conto che, nei nostri tempi, esiste solo una regola fondamentale perché una notizia desti un interesse preso il grande pubblico, un concetto espresso da Axel Springer pioniere del giornalismo tedesco che sostiene che la carta stampata si regga su tre parole fondamentali che iniziano con la lettera “S”: Sesso, Sangue e Soldi e forse aggiungerei Sport. La sua convinzione parte da un presupposto centrale e cioè che l’informazione che concentra la propria attenzione su fatti di cronaca nera è destinata, nel nostro tempo, ad avere un maggiore successo sull’opinione pubblica, e il successo si trasforma inevitabilmente in guadagni economici per l’editore.
Ma è mai possibile pensare che alcuni editori lavorino soltanto finalizzando le loro scelte ai guadagni? Non lo so, ma ci credo e come sottolineava Giulio Andreotti a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre; questa scelta è probabilmente voluta perché: le brutte notizie vendono più di quelle buone.
Del resto, anche Papa Francesco sottolinea che: in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione. Ed infatti, se riflettiamo, trovare attualmente una notizia positiva nei media è quasi una missione impossibile, e questa negatività la si ha anche quando, quelle rare volte, leggiamo di scuola, di università, di scienza, di ricerca, di innovazione; il messaggio che passa è normalmente un messaggio negativo, come, ad esempio, scuole occupate ed imbrattate, bullismo, le sedie a rotelle non utilizzate, studenti che abbandonano la scuola, pochi laureati, parentopoli all’Università, genitori che picchiano i docenti aiutati molte volte dai propri figli somari, controsoffitti che cadono, esami truccati, diplomi regalati, le tende all’università ecc. C’è il mio amico Mario Rusconi, che è stato Presidente nazionale dei Presidi d’Italia, ed oggi lo è dei Presidi del Lazio, mi dice sempre: “ormai mi chiamano il Preside della “sfiga”, vengo convocato in TV e sui giornali soltanto per parlare di fatti brutti avvenuti nelle scuole”. Tutto giusto ma qualche volta si vorrebbero leggere notizie che diano informazioni importanti ai nostri giovani e alle loro famiglie, notizie che servano loro per affrontare a testa alta la sfida della competitività europea e mondiale. E questo stato di cose si riflette in modo negativo sulle giovani generazioni, una sorta di stanchezza dei giovani nel leggere i quotidiani. I dati sottolineano questa tendenza. Leggono i quotidiani con regolarità a malapena il 5% dei giovani fra i 14 e i 29 anni: c'è un 95% che non li apre nemmeno.
Qual è la morale di tutto questo? Sarebbe molto importante aggiungere a quelle tre S delle altre, come, ad esempio, la “S” di “Studente”, di “scuola”; probabilmente nel breve tempo i guadagni risulteranno minori, ma nel medio e lungo periodo si riuscirà a catturare l’attenzione e l’interesse dei giovani che porterà, finalmente, anche ad una ulteriore S, come “Serenità” delle famiglie e dei docenti e degli stessi giovani che vedono nella notizia una loro prospettiva futura e che oggi viceversa vivono un momento di disagio notevole.
Anche nei talk show che ci propinano. Tutti i giorni si affrontano temi importanti ma che non aiutano a risolvere molti dei nostri problemi, anzi in molti casi li peggiorano. Abbiamo assistito nei giorni passati a dibattiti accesi su svariati argomenti. Non entro nel merito, dico soltanto che ogni giorno, più volte al giorno si susseguono vari personaggi, ognuno con la propria idea, ognuno con la propria verità in tasca, ognuno identificandosi come difensore dell’Italia e per il bene dei cittadini, per poi lasciare i problemi senza soluzione, con un aumento della indecisione e della depressione dei cittadini e, finita la trasmissione, brindare tutti a tarallucci e vino.
Qualcuno ribatte che sono trasmissioni di attualità e di informazione ai cittadini. Perfetto, nulla da obiettare. Faccio solo una semplice considerazione: ma se veramente vogliamo aiutare i nostri figli, allora mi domando, perché non iniziare a realizzare talk show in favore dei giovani, perché non spiegargli che il futuro dipende dalla loro capacità di crescere culturalmente di acquisire conoscenze e competenze, perché non spiegare che cosa è un Programma europeo, perché non dire loro che esiste un programma dal nome di Next generation E.U. dove, per il nostro Paese, sono stati finalizzati oltre 216 miliardi di Euro, che ovviamente non spenderemo, dentro il quale, però, essi potrebbero trovare finanziamenti per realizzare parte dei loro sogni. Insistere su questi temi, farli conoscere, farli riflettere sulle possibilità che schiudono prima o poi ci porterebbe a dei risultati positivi, anche negli ascolti. D’altronde, è riuscita un’influencer napoletana con 2 milioni di follower ad intasare completamente la bella località di Roccaraso con oltre 200 Pullman e oltre 10mila persone mentre noi, attraverso i nostri mezzi di comunicazione, non riusciamo a far passare il concetto che la scuola e l’università sono le basi su cui si poggia la società futura? Queste disattenzioni sono parte della causa che costringe il nostro Paese ad un momento di seria difficoltà. Questo tipo di informazione pessimistica, a mio avviso, crea un disorientamento profondo nelle menti delle famiglie e dei giovani molti dei quali si trovano ad affrontare il periodo scolastico in modo negativo e in molti casi abbandonano gli studi in modo prematuro.
Ma vediamo alcuni dati.
Immaginate che nel 2024 i giovani tra i 18 e i 24 anni, che hanno abbandonato prematuramente la scuola in Italia sono stati 431.000, pari al 9-11% del totale. Siamo a circa 2 punti % in più rispetto alla media europea. Non va meglio l’Università, il cui tasso di abbandono in Italia è pari al 7,3% degli iscritti. Immaginate che in soli 13 anni dal 2011 al 2023, 550 mila i giovani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati all’estero. Al netto dei rientri, si stima che al capitale umano uscito dal nostro Paese corrisponda un valore di 134 miliardi, cifra che potrebbe triplicarsi se si considera la sottovalutazione dei dati ufficiali. La metà di questa cifra, circa 250.000 giovani, sono laureati in materie STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), settori sui quali si fonda lo sviluppo dell’attuale economia.
Se a questi aggiungiamo i cosiddetti NEET, giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività di formazione professionale, che sono pari al 19 - 23% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, abbiamo 7 punti in più rispetto alla quota media europea. Secondo l’OCSE, nel 2030 Cina e India potranno contare addirittura sulla metà dei laureati tra i grandi Paesi del mondo. Oggi la Cina sforna oltre 1 milione di laureati all’anno nella sola Facoltà di Ingegneria, mentre l’India, sempre nell’ambito della stessa facoltà, supera i due milioni di laureati. Il nostro Paese è tra gli ultimi posti in termini di numero di laureati in generale con una cifra pari a 296.000 unità.
Io sono profondamente convinto che la locomotiva della crescita, dell’innovazione, dello sviluppo umano e di quello immateriale cammini su due binari paralleli. Su un binario poggiano le ruote dello sviluppo economico, della globalizzazione finanziaria, quella che è nata guardando con particolare interesse agli aspetti finanziari, ai mercati, alle borse nazionali ed internazionali, allo scambio delle merci; sull’altro binario dovevano, allora ma ancora di più oggi, poggiare le ruote della crescita qualitativa o culturale della società e quindi dei nostri giovani. Se uno dei due binari è sbilanciato le ruote non riescono a camminare in sincrono, ma soprattutto se il difetto è accentuato sul binario della crescita qualitativa il treno deraglia e blocca completamente e definitivamente la crescita di un Paese. Ed infatti leggiamo che l’economia italiana è ferma da diverso tempo e secondo i dati ISTAT anche il 2025 parte con uno “0” di crescita acquisita. Confindustria è in allarme e Il Sole 24 ore il 4 febbraio 2025 scrive che sono due i rischi per l’economia italiana: “stagnazione economica e inflazione: i rischi per l’economia italiana nel 2025”. La notizia del 12 febbraio ci ricorda che la produzione industriale nel 2024 è in calo del 3,5% rispetto ai dati precedenti. A dicembre essa crolla del 7,1%, e ci ritroviamo al 23esimo mese in rosso. Dimezzata l’auto, male la moda. Solo l’alimentare cresce nei 12 mesi.
Nelle Conclusioni finali della Relazione annuale predisposta dalla Banca d’Italia svolta il 31 maggio del 2024 il Governatore Fabio Panetta scrive: Il capitale umano ha un ruolo decisivo. Il ritardo rispetto a molti paesi avanzati nelle competenze lavorative di giovani e adulti si riflette in un’occupazione sbilanciata verso le professioni meno qualificate. Competenze e conoscenze, da nutrire e rivitalizzare lungo tutto l’arco della vita, sono il cardine non solo del progresso economico, ma anche e soprattutto di quello civile.
Ha perfettamente ragione il Governatore Panetta, preoccupato di quello che sta avvenendo nel nostro Paese e se vogliamo anche nel resto d’Europa. Il mondo politico e la stessa società non ha raccolto l’invito di destinare maggiori investimenti nella crescita di conoscenze e competenze, quell’insieme di capitale immateriale definito in tutto il mondo la nuova e forse unica ricchezza delle nazioni, necessarie a creare nei singoli individui quel bagaglio culturale e scientifico per affrontare le sfide del futuro. La scuola e l’università aprono la mente alle idee. Queste attraverso la ricerca si elaborano e si trasformano in progetti che creano sviluppo e innovazione, accendono la crescita del Paese ed ovviamente l’occupazione.
Permettetemi di fare un riferimento a George Bernard Shaw drammaturgo nato a Dublino nel 1856 da una famiglia protestante e Premio Nobel nel 1925, il quale, a coronamento di un’attività di un enfant terrible, un dissacratore saggio, divenuto poi una solida istituzione dell’anticonformismo, scrisse un aforisma molto significativo: “se tu hai una mela e io ho una mela, e ce la scambiamo, ognuno di noi ha una mela … ma se tu hai un’idea, io ho un’idea e ce la scambiamo ognuno di noi ha due idee”.
Continuiamo a sentirci ripetere che c’è bisogno di creare un esercito europeo per difendere i nostri confini, cosa sana e giusta, ma prima facciamo crescere la qualità delle nostre scuole e delle nostre università che dovranno servire ad “armare” culturalmente e scientificamente i nostri giovani nell’affrontare la sfida della globalizzazione mondiale evitando loro, in un prossimo futuro, di passare da attori principali, come lo siamo stati nel mondo dell’economia e della cultura, a semplici comparse oggi, dove i generali verranno arruolati da tutta Europa e noi rischieremo di allargare la base della truppa, di soldati semplici.
Non credo sia questo quello che effettivamente vogliamo. Bisognerà allora passare dalla cultura dell’io alla cultura del noi. Capisco che non è facile e che nella civiltà della competitività viviamo e ci atteniamo all’“io” per vantaggi individuali, continuamente esortati a inseguire convenienze. Passare dall’io al noi richiede un salto culturale e di condivisione, non basta la risolutezza del soggetto.
All’Accademia dei Lincei ho lanciato l’idea di creare, provocatoriamente, un piano PNRR dedicato integralmente alla scuola e all’università e alle Accademie quinquennali, piano modificabile secondo le nuove esigenze. L’Accademia dei Lincei ha condiviso la proposta, e nella loro adesione ad essa aumentavano il periodo di programmazione a 7 anni.
Ho proposto al Centro Studi Americani di riprendere in mano, come Italia, quel famoso progetto che guarda allo Spazio Europeo dell’Università, della formazione e della ricerca. Vedo che altri Paesi europei tentano di mettere dei diritti di prelazione sui loro gioielli nazionali. Ma noi siamo o non siamo la culla della cultura nel mondo? E allora perché non abbandoniamo la politica di inseguimento, non particolarmente efficace, adottata molte volte dal nostro Paese in Europa, e perseguiamo una linea di anticipazione dei processi, ossia di creare attori principali e non comparse in un settore dove l’Italia è unica. Chi potrebbe dirci di no?
L’Italia è diventata uno dei Paesi più vecchi del mondo in cui per ogni bimbo che nasce si contano ben 5,8 anziani a livello nazionale. Se continua questo trend nel 2050 oltre il 30% degli italiani avranno più di 65 anni e il 14% avrà più di 80 anni. Nel nostro Paese le nascite sono state nel 2023 379.890, circa 13mila in meno rispetto al 2022; ciò significa che nascono sei bambini per ogni 1000 abitanti. Questo dovrebbe farci comprendere per il prossimo futuro, ma già da oggi, che i pochi giovani che nascono dovrebbero essere considerati una risorsa importante, un tesoro prezioso e quindi la loro istruzione, la loro cultura dovrebbe essere l’obiettivo principale di ogni politica di breve e medio periodo per prepararli alla sfida della globalizzazione europea e mondiale. Dall’altra parte abbiamo gli anziani, che dovrebbero, a mio avviso, essere maggiormente coinvolti per trasmettere la loro conoscenza e la loro esperienza alle nuove generazioni. Per far questo hanno bisogno, però, di mantenere la loro salute e, quindi, di un sistema sanitario funzionale e funzionante. E dove mostriamo, ormai da molti anni, le nostre maggiori difficoltà? Ovviamente nella scuola, nell’università nella ricerca, settori fondamentali per la crescita culturale dei nostri giovani, e nella sanità. Sono circa 14.000 i medici e gli infermieri pronti a lasciare il nostro Paese.
Anche sul tema dell’immigrazione c’è molto da sottolineare. L’Italia potenzialmente si trova nel centro di un’area geografica che comprende Asia, Cina, India, Russia, Africa e, quindi, ipoteticamente si confronta con una popolazione di oltre 4,5 miliardi di individui con un’età media intorno ai 24 anni. Noi siamo circa 58 milioni di persone, con un’età media di oltre 47 anni. Pensiamo veramente che si possa sostenere a lungo questo confronto senza poterlo governare, senza immaginare progetti a lungo termine, senza incrementare i settori della crescita qualitativa dei nostri giovani? Io sinceramente non ho la verità in tasca, ma molti dubbi mi assalgono.
Ripartizione della popolazione residente per area geografica
Popolazione Età media Superfici geografiche
India 1,429 miliardi 28 anni 3.287.263 Km2
Cina 1,411 miliardi 39 anni 9.597.000 Km2
Asia 4.695 miliardi 29 anni 44.580.000 Km2
Africa 1,373 miliardi 19 anni 30.370.000 Km2
Europa 742 milioni 44,4 anni 10.530.000 Km2
Italia 58 milioni 48,4 anni 302.073 Km2
Molti di voi obietteranno giustamente: “Evviva, campiamo molto di più”. Assolutamente si, ma non possiamo vivere soltanto nella gioia della nostra longevità, dobbiamo gettare le basi per permettere anche alle future generazioni di vivere quanto e forse anche meglio di come abbiamo vissuto noi. Ma sul tema della longevità, secondo una recente indagine dell’Università di East Angla (UK), anche l’aumento di aspettativa di vita sta subendo una forte flessione in tutta Europa. La rivista The Lancet Public Health ha rilevato che tra i principali fattori che influenzano negativamente questa tendenza ci sono il cibo che mangiamo, l’inattività fisica e l’obesità. Ovviamente, anche la pandemia da Covid-19 ha giocato un ruolo centrale. In ogni caso, secondo questa indagine, gli Italiani risulterebbero meno longevi di 0,36 anni. Ma come in tutte le tradizioni che si rispettino, c’è chi nelle situazioni di difficoltà, trova il suo tornaconto.
Ricchi sempre più ricchi e, dall’altro lato, poveri sempre più poverissimi. Questo è il quadro preoccupante tratteggiato da Oxfam nel suo rapporto pubblicato in occasione del Forum economico mondiale di Davos
Nel 2024, infatti, la ricchezza dei miliardari italiani è aumentata di 61,1 miliardi di euro – pari a una crescita di 166 milioni al giorno - raggiungendo un valore complessivo di 272,5 miliardi detenuto da soli 71 individui. Tutto ciò a fronte di un "quadro di grande preoccupazione" per la povertà assoluta, che coinvolge oltre 2,2 milioni di famiglie per un totale di 5,7 milioni di persone e che vivono in condizioni di povertà assoluta. Il 5% più ricco delle famiglie è titolare del 47,7% della ricchezza nazionale.
Se pensiamo alla tecnologia e ai passi innumerevoli che ha compiuto in questi anni rimaniamo strabiliati: usiamo i frutti della tecnologia con estrema facilità, ma mai pensiamo che dietro a quelle scoperte, a quelle innovazioni c’è tutto un mondo di creatività e di intelligenza. Ma anche qui la tecnologia si divide in due gruppi principali: i realizzatori di nuovi prodotti e gli utilizzatori. Noi siamo maggiormente presenti nel secondo gruppo. Prendiamo, ad esempio, i cellulari, strumenti che ormai fanno parte integrante della nostra vita quotidiana; ebbene, pochi s’interrogano sul fatto che dietro a questi fantastici strumenti della tecnologia giri un’intera economia e che da essa dipende lo stato di salute di una nazione e il futuro occupazionale dei nostri giovani.
Nel panorama globale dell’Intelligenza Artificiale, la Cina e l’America sembrano al momento essere dei leader indiscussi. Gli investimenti strategici e l’innovazione tecnologica guidano questa competizione, con le startup americane che mantengono un ruolo chiave. L’Europa cerca di adattarsi al nuovo scenario, mentre l’Italia resta indietro, evidenziando la necessità di politiche efficaci e investimenti mirati.
Siamo ormai abituati a pensare e a sentire che il settore industriale è l’elemento fondamentale per la creazione di nuova occupazione, ed in parte è vero, l’industria è senza alcun dubbio l’edificio centrale, ma le basi, le fondamenta su cui essa si regge sono la scuola, l’università la ricerca scientifica e dalla loro qualità dipende la sopravvivenza dell’industria stessa. Ed è per questo motivo che nel mio secondo libro dedicato interamente al capitale immateriale, ho tenuto a sottolineare che è urgente, oggi più che mai, “una nuova alleanza tra scuola, università ricerca e impresa”.
E riferendomi a quest’ultimo pensiero, vorrei concludere questo mio intervento riportando qui di seguito uno stralcio del Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), tenutosi a Roma l’11 febbraio 1950. In quell’occasione, Calamandrei disse:
La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. ……Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il Presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue […].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente…...
Nota biografica
Nel 1989 collabora con il Ministro Antonio Ruberti alla creazione del Ministero unico dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica.
Già Direttore Generale della direzione per lo Studente, lo Sviluppo e l’Internazionalizzazione della Formazione Superiore del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Nel 2009 viene nominato componente nazionale nella Commissione nazionale per l’UNESCO.
Membro dell’Associazione Amici dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Socio onorario della Fondazione Roma-Sapienza.
Membro del Consiglio di Amministrazione e del comitato esecutivo del Centro Studi Americani. Dal 2016 ad oggi ideatore e organizzatore del Premio PAIR (Prize for American-Italian Relations).
Nel 2016 viene nominato dal Governo Consigliere Magistrato della Corte dei Conti ed assegnato in via principale, alla Sezione di Controllo del Piemonte e in assegnazione aggiuntiva, alla Sezione centrale delle Autonomie a Roma.
Nel 2016 viene nominato dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
Nel 2020 viene nominato Ambasciatore dell’organizzazione “Race for the cure” la più grande manifestazione al mondo per la lotta ai tumori al seno.
Nel 2021 viene chiamato, come Professore di chiara fama, presso il Dipartimento di Scienza della Formazione dell’Università di Roma TRE.
Ha al suo attivo circa 70 pubblicazioni e articoli. Gli ultimi due libri sono stati pubblicati, nel 2021 e 2023, dall’editore Laterza con i seguenti titoli: il primo, “Conoscenza, competenza, creatività e crescita – il capitale immateriale per l’Italia di domani” e il secondo: “Investire sul capitale immateriale per la crescita, la competitività e l’occupazione. Una nuova alleanza tra scuola, università, ricerca e impresa”.
Purtroppo con il tempo evapora...